TAR Bari, sez. III, sentenza 2015-05-14, n. 201500726
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N. 00726/2015 REG.PROV.COLL.
N. 02163/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2163 del 2011, proposto da:
L A, rappresentato e difeso dagli avv. C C, A D C, G G, M A, F P, M C, con domicilio eletto presso F P in Bari, Via M. Celentano, n. 27;
C A, P A, Michele Fu L A, R A, Grazia Fu L A, F A, C A, M G F P A, M M F P A, M F P A, C F P A, A V A P P, rappresentati e difesi dagli avv. C C, G G, F P, A D C, M A, con domicilio eletto presso F P in Bari, Via M. Celentano, n. 27;
contro
Comune di Cerignola, rappresentato e difeso dall'avv. Angela Paradiso, con domicilio eletto presso Raffaele De Robertis in Bari, Via Davanzati, n. 33;
per l’accertamento
dell'illegittimità dell'occupazione dei suoli, attualmente di proprietà pro quota dei ricorrenti, a seguito di successione ereditaria, siti nel Comune di Cerignola, nella procedura espropriativa finalizzata all’esecuzione di opere ed alloggi E.R.P. nel Comparto E del Piano di zona 167, lotti 34 – 24 - 29;
- della persistenza del diritto di proprietà dei ricorrenti sull'area illegittimamente occupata e trasformata;
nonché, per la condanna
- al risarcimento di tutti i danni derivanti dalla illegittima occupazione dei suoli, oltre interessi e rivalutazione sulle somme dovute a tale titolo;
- al pagamento dell’indennizzo per occupazione legittima.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cerignola;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2015 la dott.ssa Cesira Casalanguida e uditi per le parti i difensori F P e Angela Paradiso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti, in qualità di proprietari pro quota a seguito di successione ereditaria, agiscono, in riassunzione, per l’accertamento dell’illegittimità della procedura espropriativa finalizzata alla realizzazione di un programma di Edilizia Residenziale Pubblica, nei confronti del Comune di Cerignola, dopo che il G.O.T. della Sezione Staccata di Cerignola del Tribunale di Foggia ha declinato la giurisdizione a favore del giudice amministrativo, con sentenza n. 48 del 09.02.2011.
Affermano che la menzionata sentenza, fino alla proposizione del presente ricorso, non è stata loro notificata.
Aggiungono, in via subordinata che, quand’anche non si ritenessero sussistenti i presupposti per la translatio iudicii , essi, comunque, intendono riproporre in questo giudizio le medesime richieste avanzate dinanzi al giudice ordinario.
Riferiscono che, con atto di citazione notificato in data 24.01.2005, in qualità di eredi dei proprietari dei suoli, censiti al catasto al fg. 200 p.lle 6 e 16 e al fg. 201, p.lla 272, oggetto di una procedura espropriativa finalizzata all’esecuzione di opere ed alloggi E.R.P., nel comparto E del Piano di zona 167, lotti 34-24-39, avevano convenuto il Comune di Cerignola innanzi alla competente Sezione staccata del Tribunale di Foggia.
Essi agivano per il risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimità della procedura ablatoria posta in essere dal Comune di Cerignola per la realizzazione delle opere sopra indicate.
Espongono nel ricorso, notificato il 28.11.2011 e depositato il successivo 19.11.2011, che le occupazioni d’urgenza disposte dal Comune di Cerignola sono divenute illegittime con illecita detenzione e successiva irreversibile trasformazione dei suoli per la mancata emissione del decreto di esproprio.
Rinviano all’atto di citazione relativo al giudizio innanzi al giudice ordinario, integralmente trascritto nel ricorso, per la compiuta esposizione dei fatti relativi allo svolgimento della procedura espropriativa.
I suoli in questione sono stati oggetto dei seguenti Decreti Sindacali del Comune di Cerignola, rispettivamente:
1. Decreto n. 1808 del 18.01.1980, con cui fu disposta l’occupazione d’urgenza dell’area identificata al catasto al foglio di mappa 200, partita 9354 p.lla 6, e al foglio 201, parte della particella 272;
2. Decreto n. 13530 del 15.05.1984, con cui fu disposta l’occupazione d’urgenza dell’area identifica al catasto al fg 200, parte della p.lla 6, e fg. 201, parte p.lla 272;
3. Decreto n. 9786 del 23.04.1986, con cui fu disposta l’occupazione d’urgenza dell’area identifica al catasto al fg. 200 partita 9354, p.lla 6, di superficie pari a mq 8797 e al fg. 200 partita 9354, p.lla 16;
4. Decreto n. 28120 del 5.12.1987 con cui fu disposta l’occupazione d’urgenza dell’area identifica al catasto al fg. 200 partita 9354, p.lla 6.
La superficie effettivamente utilizzata, secondo i ricorrenti, sarebbe pari all’intergale estensione dei suoli degli allora proprietari Arbore- Noviello.
Dopo il decesso degli originari proprietari si aprirono le successioni aventi ad oggetto i suddetti beni.. Tra il 1994 e il 1995 furono prorogati di uno o due anni i termini fissati dagli originari Decreti sindacali, alla cui scadenza le occupazioni sono divenute illegittime.
Il Comune avrebbe proceduto alla trasformazione irreversibile dei suoli, senza tuttavia concludere la procedura espropriativa e senza emettere, più specificamente, i Decreti di esproprio.
Con riferimento ai danni subiti, i ricorrenti distinguono:
a) il danno per l’occupazione divenuta “ sine titulo ” a seguito della mancata adozione dei decreti di esproprio, comprensivo della perdita dei frutti e dei manufatti esistenti sui suoli e quello subito con riferimento alle cd superfici residue che, se anche non direttamente interessate dalla procedura espropriativa, avrebbero perso la loro consistenza e il loro valore . Per la quantificazione chiedono che si faccia riferimento al valore venale dei beni;
b) l’indennizzo per la mancata disponibilità dei suoli durante l’occupazione, dovuto solo per i suoli occupati in forza dei quattro decreti sindacali oggetto di causa, da calcolare annualmente, in misura pari agli interessi legali sull’indennità risarcitoria.
Indicano, quale momento a cui riferirsi per la determinazione del risarcimento e dell’indennizzo di cui alle lettere a) e b), quello che coincide con la scadenza del periodo di occupazione legittima, richiamando le risultanze di una C.T.U. disposta dal giudice ordinario.
Specificano la natura di debito di valore di quello di cui è titolare il Comune nei propri confronti.
A) I ricorrenti dichiarano, inoltre, di accettare integralmente le risultanze della menzionata consulenza tecnica d’ufficio, disposta nel giudizio innanzi al Giudice ordinario, quanto al valore unitario attribuito al suolo espropriato, pari nel dicembre 2007 a € 67,00 al mq;
B) sulla base delle stime del CTU la stima dei terreni alla data del dicembre 2007 sarebbe pari a € 67/mq x 21,107 mq = 1.414.169,00 (e non € 1.420.189,00, come erroneamente scritto dal C.T.U.);
C) chiedono rivalutazione ed interessi dal gennaio 2008 al momento del pagamento;
D) a titolo di indennizzo per mancata disponibilità dei suoli, dal momento dell’occupazione fino al momento in cui questa è divenuta illegittima, chiedono un importo da calcolare sulla base dell’indennità di esproprio, pari ad € 1.125.657,00.;
E) escludono il vincolo di solidarietà attiva sulle somme oggetto di risarcimento dei danni e indicano le quote spettanti a ciascuno.
Si è costituito in giudizio il Comune di Cerignola, con atto depositato in data 10.01.2012.
In via pregiudiziale ha eccepito l’estinzione del processo, per intempestività dell’atto di riassunzione. I termini da rispettare nel caso in esame non sarebbero quelli fissati dall’art. 59 comma 2 L. 69/2009, in quanto il giudizio innanzi al giudice ordinario era stato promosso anteriormente alla data di entrata in vigore di suddetta Legge, quanto piuttosto quelli di cui all’art. 50 cpc. Essendo stata la sentenza comunicata in data 06.04.2011, la riassunzione effettuata in data 28.11.2011, sarebbe intempestiva per avvenuto decorso del termine semestrale fissato dalla norma richiamata.
L’amministrazione ha eccepito, inoltre, l’avvenuta prescrizione delle domande proposte in via subordinata e relative al risarcimento dei danni e all’indennizzo.
Ha specificato, in proposito, come l’azione risarcitoria sia soggetta a prescrizione quinquennale e tale termine sarebbe applicabile anche alla prescrizione della pretesa di indennizzo.
Ha aggiunto che la domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima sarebbe affetta anche da difetto di giurisdizione, oltre ad essere prescritta. Ha richiamato in proposito l’art. 2948, n. 4 c.c. a norma del quale si prescrive in 5 anni “ tutto ciò che deve pagarsi periodicamente, ad anno o in termini più brevi ”. Tale previsione, secondo la difesa del Comune, imporrebbe di superare il tradizionale orientamento giurisprudenziale secondo cui il pagamento dell’indennità sarebbe soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale.
L’ente resistente ha contestato altresì, le risultanze della Consulenza Tecnica d’ufficio esperita nel corso del giudizio innanzi al giudice ordinario.
Ha sostenuto, in particolare, con riferimento al valore dei suoli oggetto della procedura espropriativa che il PEEP svolgerebbe anche una funzione conformativa del diritto di proprietà, nel senso che l’aumento o la riduzione della volumetria fabbricabile, da parte delle disposizioni del Piano attuativo, segnerebbero delle innovazioni rispetto alle precedenti determinazioni generali sulla edificabilità dei suoli, indipendenti dal procedimento espropriativo e dalla opere per cui quest’ultimo è stato avviato.
Ha contestato, ancora, la mancata indicazione dei criteri sulla base dei quali il CTU avrebbe stato calcolato l’importo degli oneri di urbanizzazione.
Il Comune ha citato la sentenza n. 652/2008 della Corte D’Appello di Bari, nella quale- per altri suoli inseriti nello stesso PEEP - sarebbe stato un valore di euro 33,31 al mq alla data del 05.11.1995.
La medesima pronuncia sarebbe stata assunta a fondamento anche della successiva pronuncia della medesima Corte D’Appello di Bari n. 1159/2009, confermata dalla Cassazione con sentenza n. 20413/2011.
Ne conseguirebbe che il valore pari a € 52,00 al mq fissato alla data del 07.07.1995 dal CTU sarebbe errato.
L’amministrazione si è opposta anche alla determinazione dell’indennità di occupazione, operata dal C.T.U., chiedendo, in definitiva, che non se tenga conto nel presente giudizio.
Da ultimo, ha contestato la richiesta di cumulo tra rivalutazione ed interessi, evidenziando la necessità di provare in modo circostanziato l’eventuale ulteriore danno subito per la mancata tempestiva corresponsione degli importi dovuti.
Con successiva memoria, depositata in data 24 febbraio 2015, il Comune ha eccepito l’intervenuta usucapione delle aree occupate in forza dei decreti di occupazione d’urgenza n. 13530 del 15.05.1984 e n. 28120 del 5.12.1987.
Ha sostenuto al riguardo che incontestati sarebbero l’intervenuta trasformazione irreversibile delle aree occupate anteriormente alla scadenza dei termini di scadenza dell’occupazione legittima e l’esercizio dei poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà sin dalla data della scadenza dell’occupazione legittima.
Ha, inoltre, aggiunto, che dall’adozione dei menzionati Decreti, i termini dell’occupazione legittima sarebbero scaduti, per effetto delle proroghe di legge, in data 13.07.1994 per il Decreto n. 13530/1987 e in data 21.02.1995 in relazione al Decreto n. 28120/1987.
Tali date costituirebbero il dies a quo di decorrenza del termine ventennale di cui all’art. 1158 c.c previsti per il maturarsi dell’usucapione.
Ha richiamato a sostengo dell’intervenuta usucapione la giurisprudenza secondo la quale, per la sua formazione è sufficiente “ il solo possesso come esercizio di un potere di fatto sulla cosa, alla stregua di un proprietario e non è quindi incompatibile con la conoscenza del diritto altrui ” (Cass. N. 27401 del 29.12.2014).
L’accoglimento dell’eccezione di intervenuta usucapione determinerebbe, secondo il Comune, il venir meno della fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata dai ricorrenti.
Ha evidenziato anche l’assenza di atti interruttivi, non ritenendo la domanda di risarcimento proposta idonea ad interrompere la decorrenza del termine ventennale, in quanto basata sull’istituto dell’occupazione acquisitiva, risultato in contrasto ai principi comunitari.
Ha rivendicato, inoltre, la sussistenza, ai sensi dell’art. 8 c.p.a., della giurisdizione del giudice amministrativo sul punto, in quanto la questione dell’usucapione è stata eccepita in via incidentale, la cui risoluzione sarebbe necessaria per pronunciare sulla questione principale.
Ha ribadito le ragioni poste a fondamento delle eccezioni di avvenuta parziale prescrizione del diritto all’indennità di occupazione legittima e l’opposizione alla quantificazione operata sia del valore dei suoli, che dell’indennità di occupazione, dal C.T.U., nominato dal giudice ordinario nel giudice presso lo stesso incardinato e concluso con pronuncia di difetto di giurisdizione a favore di quella del giudice amministrativo.
Da ultimo, ha insistito nel negare che siano dovuti interessi sull’indennità di occupazione legittima.
Con memoria depositata in data 9 marzo 2015, i ricorrenti hanno replicato alle eccezioni del Comune.
In primo luogo, hanno argomentato a favore dell’applicabilità dell’art. 59 della L. 69/2009 al caso in esame, in quanto, trattandosi di norma processuale essa sarebbe di immediata applicabilità ai giudizi in corso, secondo il principio del tempus regit actum.
In secondo luogo, si sono opposti all’eccezione di intervenuta prescrizione rispetto alla domanda avanzata in via subordinata.
A tal fine hanno evidenziato la natura di illecito permanente dell’occupazione sine titulo a cui non sarebbero applicabili i termini di cui all’art. 2947 c.c., sostenendo a riguardo che il termine di prescrizione decorrerebbe solo dal momento di cessazione del’illecito.
Hanno aggiunto che l’eccezione di difetto di giurisdizione sulla domanda di condanna del Comune al pagamento delle indennità di occupazione legittima, sarebbe inammissibile in quanto la questione sarebbe coperta dal giudicato intervenuto sulla sentenza pronunciata dal giudice ordinario.
Con riferimento al termine di prescrizione da riferire al diritto di pagamento dell’indennità di occupazione, hanno replicato rivendicando l’applicazione del termine decennale di cui all’art. 2946 c.c., citando giurisprudenza a supporto della tesi che ritiene applicabile il termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c. alle sole ipotesi di occupazione illegittima.
Hanno insistito sulle richieste contenute nel ricorso introduttivo del giudizio e chiedono la restituzione dei suoli e il ripristino dello stato dei luoghi.
A tale richiesta si è opposto il Comune, ritenendola irritualmente presentata per la prima volta nell’ultima memoria e, pertanto, inammissibile. Tale domanda, introdotta per la prima volta confermerebbe l’intervenuta usucapione, non avendo mai chiesto prima le parti la restituzione dei suoli.
Ha specificato che l’estensione dell’area per cui è causa è pari a mq 18.110 e che l’eccezione di usucapione sarebbe riferibile ad una parte dei suoli pari a mq 9.193, rispetto alla complessiva superficie oggetto di occupazione, pari a mq 18.110. Residuerebbe ai fini della decisione di risarcimento la sola superficie di mq 8.917.
I ricorrenti hanno successivamente controdedotto all’eccezione di usucapione e a quella di inammissibilità della domanda restitutoria, ritenuta come mera specificazione della domanda proposta con il ricorso introduttivo del giudizio, anche sulla base dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa e in particolare, con riferimento all’art. 42 bis D.P.R. 327/2001 (vedi memoria ricorrenti del 19.03.2015).
All’udienza pubblica del 09.04.2015, le parti hanno dichiarato accordo sulla complessiva estensione dell’area oggetto di occupazione, pari a mq 18.110. Il legale del ricorrente ha ribadito, inoltre, che la domanda oggetto di giudizio è quella risarcitoria, comprensiva oltre al risarcimento per equivalente anche di quella in forma specifica. All’esito della discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I. I ricorrenti, in qualità di proprietari pro quota, a seguito di successione ereditaria, di suoli siti nel territorio del Comune di Cerignola, hanno subito l’occupazione di suoli corrispondenti alle particelle catastali nn. 6 e 16 del fg. 200 e p.lla 272 di cui al foglio 201, giusta decreti di occupazione d’urgenza emessi negli anni 1980- 1987, ai quali tuttavia non ha mai fatto seguito l’adozione di un formale decreto di esproprio a conclusione della procedura preordinata alla realizzazione di un Programma di Edilizia Residenziale Pubblica. Di conseguenza, i ricorrenti hanno proposto azioni civili dinanzi al giudice ordinario, intese a ottenere il risarcimento dei danni subiti, uno di questi concluso con la sentenza n. 1074/98 della Corte D’appello di Bari, con cui il Comune di Cerignola è stato condannato al risarcimento dei danni per la occupazione illegittima avvenuta in forza del Decreto n. 1808 del 18.01.1980.
Successivamente è stato depositato atto di citazione in data 24.01.2005 davanti al Tribunale di Foggia, Sezione Staccata di Cerignola, che con sentenza n. 48 del 09.02.2011 ha dichiarato il difetto di giurisdizione a favore del giudice amministrativo.
I ricorrenti hanno, pertanto, reiterato l’azione con ricorso innanzi a questo T.A.R., al quale hanno chiesto la condanna del Comune di Cerignola al risarcimento del danno.
II. Ricostruita in sintesi la situazione in fatto- resa più complessa da un’attività difensiva eccessivamente capziosa delle parti - deve essere preliminarmente vagliata l’eccezione di tardività dell’atto di riassunzione.
Trova applicazione nel nostro ordinamento il principio della cd. translatio iudicii, sancito per la prima volta dall’art. 59 della legge n. 69 del 2009 (in seguito alle note decisioni della Corte costituzionale n. 77 del 2007 e delle Sezioni Unite Civili della Cassazione del 22 febbraio 2007, n. 4109), ora riprodotto dall’art. 11 del c.p.a., a norma del quale quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto, innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato.
L’applicazione della previsione di cui all’art. 59 L. 69/2009, diversamente da quanto sostenuto dall’amministrazione resistente, è conforme alle pronunce sul punto della Corte di Cassazione che ha stabilito che “ le disposizioni processuali sulla translatio iudicii, dettate dalla L. n. 69/2009, art. 59, sono di immediata applicazione ai giudizi pendenti dopo la sua entrata in vigore, ciò perché l'art. 59 non contiene una norma che modifica precedenti disposizioni del codice di procedura civile e dunque sfugge alla regola di diritto intertemporale dettata dall'art. 58, comma 1 della citato legge, in cui è stato stabilito che le disposizioni modificatrici non si applicano invece nei giudizi già pendenti ” (così ex multis, Cass. S.S. U.U. ord. 6016 del 15-03-2011).
Sulla base delle richiamate previsioni, va dichiarata tempestiva la riproposizione della domanda risarcitoria (notificata il 28.11.2011 e depositata il 19.11.2011) dinanzi a questo Giudice, tenuto conto del passaggio in giudicato (nei termini di cui all’art. 327 c.p.c. ) della sentenza del Tribunale civile di Foggia, Sezione distaccata di Cerignola, depositata il 9 febbraio 2011 e del necessario computo del periodo feriale di sospensione dei termini, in applicazione dell’art.1 della Legge n.742 del 1969.
La comunicazione della sentenza, a cui fa riferimento il Comune nel sollevare l’eccezione di tardività della riassunzione, non corrisponde alla notifica della medesima, necessaria per la decorrenza del cd. termine breve per impugnare, previsto dall’art. 325 cpc., né l’amministrazione fornisce ulteriore prova circa l’avvenuta notifica ai ricorrenti della sentenza del Tribunale di Foggia.
Ne consegue che, ai fini del decorrenza del termine dei tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza per la riassunzione, come previsto dall’art. 11 comma 2 del D. Lgs 104/2010, occorre far riferimento al cd. termine lungo, semestrale (decorrente dal 9 febbraio 2011), di cui all’art. 327 cpc,, come sopra già chiarito.
L’eccezione è, pertanto, infondata.
III. Quanto all’eccezione di difetto di giurisdizione sulla domanda di pagamento dell’indennità di occupazione legittima, è sufficiente richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale ai sensi del quale rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l'azione con la quale i proprietari di un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché questi abbiano fatto seguito, in origine, ad una corretta dichiarazione di pubblica utilità;rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla indennità di occupazione legittima, senza che l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione anche in presenza di motivi di connessione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 4 febbraio 2011 , n. 804).
Esula, pertanto, dalla giurisdizione del giudice amministrativo la domanda relativa all’indennità da occupazione legittima.
Né possono trovare accoglimento i rilievi dei ricorrenti avverso l’eccezione sollevata sul punto dall’amministrazione resistente, tesi a rivendicare la formazione del giudicato sulla sentenza del GOT della Sezione Staccata di Cerignola del Tribunale di Foggia.
Nella suindicata sentenza, infatti, il giudice ordinario si pronuncia sulla domanda intendendola come “ rientrante nella fattispecie del risarcimento del danno da occupazione da occupazione acquisitiva e come tale devoluta al G.A .”, senza ulteriori distinzioni.
L’atto introduttivo del giudizio ordinario comprendeva, in realtà, una pluralità di domande, sulle quali il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento è stato oggetto di rilevanti modifiche, da cui non si può prescindere e sulle quali, pertanto, è da escludere che si sia formato alcun giudicato implicito, essendo, peraltro, esse oggetto del giudizio che prosegue in questa sede a seguito della translatio iudicii .
Ne consegue che la sentenza del giudice ordinario non preclude al Comune resistente di proseguire la propria attività difensiva anche nel giudizio instaurato a seguito di translatio iudicii innanzi al diverso giudice.
Né può ritenersi che il Comune introduca per la prima volta le questioni sul riparto di giurisdizione in materia di espropriazioni, risultando che l’ente abbia trattato tali aspetti anche nelle memorie difensive depositate nel fascicolo del giudizio innanzi al giudice ordinario (Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 19/06/2014, n. 13940).
Il Collegio, in ogni caso, anche prescindendo dall’eccezione sollevata dal Comune, deve rilevare che, tra le domande proposte cumulativamente, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo riferito alla specifica domanda relativa all’indennità da occupazione legittima, sia, per giurisprudenza consolidata, pacifico e non può, pertanto, esimersi dal rilevarlo.
Nell’ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo risulta, invece, compresa la domanda di risarcimento dei danni relativi alla diminuzione di valore delle cd. superfici residue. Trattasi di danni derivanti dalla diminuzione di valore dei terreni non oggetto di asservimento, tali terreni sono residui ed ulteriori rispetto a quelli irreversibilmente trasformati, essi restano in proprietà dei soggetti privati e non sono acquisiti dalla Pubblica Amministrazione. Tuttavia, la controversia risarcitoria relativa al loro decremento di valore è direttamente riconducibile e/o strettamente connessa all’occupazione dei suoli limitrofi oggetto della procedura espropriativa (Cfr. T.A.R. Basilicata, sent. 106 del 28.02.2013). Per esigenze di sistematicità tale domanda viene trattata congiuntamente alle ulteriori domande risarcitorie (v. successivo punto VI).
IV. Si impone, a questo punto, l’esame dell’eccezione riconvenzionale di usucapione sollevata dal Comune, per una parte dei beni oggetto della procedura espropriativa, più specificamente delle aree occupate sulla base dei Decreti di occupazione d’urgenza n. 13530 del 15.05.1984 e n. 28120 del 05.12.1987, anch’essa priva di fondamento.
Nel ritenere che su tale eccezione il giudice amministrativo ben può pronunciarsi incidentalmente a norma dell’art. 8 c.p.a.., il Collegio rileva come essa non possa trovare accoglimento e ciò consente di prescindere dalla disamina della pronunzia che, dissentendo dall’indirizzo interpretativo prevalente (condiviso peraltro da questa Sezione cfr. la sentenza n. 46 del 14.1.2015), esclude l’usucapibilità dei beni illecitamente occupati dall’amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3346).
Nel caso in esame, incontestato ed anzi confermato da entrambe le parti è il dato circa la scadenza dei termini di occupazione legittima, che per i suoli oggetto dei suddetti decreti, tenuto conto delle proroghe di legge, corrisponde rispettivamente al 13.07.1994 per il Decreto 13530/1984 e al 21.02.1995 per il Decreto n. 28120/1987.
Ne deriva che non risultano decorsi i termini di legge previsti per il perfezionarsi dell’usucapione, posto che il termine ventennale per il perfezionamento dell’acquisto a titolo originario risulta senz’altro interrotto dalla notifica, in data 24 gennaio 2005, della citazione con cui i ricorrenti hanno convenuto il Comune dinanzi al Tribunale di Foggia, Sezione staccata di Cerignola ed i cui effetti sono fatti salvi dalla tempestiva riproposizione della domanda dinanzi a questo T.A.R. (sull’idoneità della domanda risarcitoria a interrompere il termine ad usucapionem in presenza di un’occupazione abusiva per la realizzazione di opere di pubblica utilità, per tutte cfr. Cass. civ., SS.UU., 19 ottobre 2011, n. 21575).
V. Superate le questioni pregiudiziali e definito l’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, può ora passarsi a esaminare il merito del ricorso.
Con riferimento all’oggetto della domanda, specificata nel corso di causa, nel senso di doversi ritenere comprensiva anche di quella risarcitoria in forma specifica, comprensiva, quindi, oltre al risarcimento del danno per equivalente anche di quella restitutoria, il Collegio ritiene infondate le eccezioni dell’amministrazione intimata sul punto.
In linea con la giurisprudenza successiva alle sentenze europee in materia (ad es. Cedu- Carbonara), che nega effetto abdicativo alla richiesta risarcitoria per equivalente ,” è corretto il rilievo che, anche indipendentemente da eventuali richieste in tale senso avanzate dal proprietario spogliato, la prima statuizione che il Collegio dovrebbe emanare, una volta accertata la illegittimità della procedura predetta, sarebbe proprio quella di condanna alla restituzione del fondo, previa rimessione in pristino” (In tal senso, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, sent. 1768 del 07.04.2015).
Il diritto di proprietà, d'altro canto, non può essere fatto oggetto di atti abdicativi (TAR Puglia-Bari sez. III n. 2131/08, par. 6.1.2), e quindi anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato, finalizzata a ottenere il mero controvalore del fondo compromesso dalla realizzazione dell'opera pubblica, ancorché interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del fondo, non può valere a determinare in capo al privato la perdita di proprietà del fondo illegittimamente occupato dall'opera pubblica.
Discende da quanto sopra che in tali casi solo un formale atto di acquisizione del fondo riconducibile a un negozio giuridico, ovvero al provvedimento ex art. 42 bis D.P.R. 327/01 può precludere la restituzione del bene: di guisa che in assenza di un tale atto è obbligo primario della Amministrazione quello di restituire il fondo illegittimamente appreso (C.d.S. n. 4970/2011).
Mantenendo il privato la proprietà di questo ultimo, egli non ha alcun titolo per chiedere un risarcimento commisurato alla perdita della proprietà del fondo, potendo invece agire per la restituzione di esso e per il risarcimento del danno conseguente al mancato godimento del bene durante il periodo di occupazione illegittima (TAR Puglia-Bari sez. II n. 2131/08).
Ne deriva che, perdurando il diritto di proprietà dei ricorrenti sui terreni indicati in ricorso di estensione complessiva pari a mq 18.110, come concordemente puntualizzato dalle parti, attesa l’accertata occupazione da parte del Comune di suoli dei ricorrenti, deve riconoscersi che, in assenza di qualsivoglia provvedimento ablatorio, va, dunque, accolta la domanda di restituzione degli stessi, fermo restando il potere dell'Amministrazione di attivare la procedura prevista dal citato art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001,.
VI. Diversa sorte merita, invece, la domanda di risarcimento per la mancata disponibilità dei suoli per il periodo intercorrente tra la data di scadenza dell’occupazione legittima e quella di restituzione, analogamente a quella di risarcimento riferita alle superfici genericamente definite “residue”. Tali superfici, secondo quanto riferito dai ricorrenti, non sono state oggetto né di occupazione, né di alcuna procedura espropriativa, ma avrebbero subito un decremento di valore in mancanza di un provvedimento autorizzativo.
Entrambe le domande risarcitorie vanno respinte per difetto di prova del danno subito.
La natura dirimente di tale elemento, esime, peraltro, dal valutare le eccezioni di prescrizione sollevate dal Comune.
In ordine alla prova del danno, la Sezione ha più volte ribadito (v. sent. nn. 1328/2014;45/2015 e 350/2015) “ che non sussiste alcun automatismo tra l’indisponibilità fisica di un bene (derivante dall’occupazione – benché senza titolo - da parte della mano pubblica) ed il detrimento patrimoniale derivante da tale evento, nonché il suo ammontare.
Per predicarsi tale automatismo dovrebbe potersi affermare in primo luogo che corrisponda a principio di assoluta e ragionevole normalità (secondo, cioè, il criterio inferenziale dell’id quod plerumque accidit) che un suolo ed annesso manufatto produca frutti civili o naturali, sennonché tale asserzione risulta tutt’altro che scontata ” (Così, da ultimo, T.A.R. Bari, sez. III, sent 563 del 09.04.2015).
L’orientamento della Sezione è contrario al riconoscimento di qualunque automatismo in materia risarcitoria, in quanto “ il criterio di liquidazione automatico del danno derogherebbe in maniera rilevante all’onere probatorio sotto un duplice profilo:
- da un lato quello dell’esistenza del danno (in quanto è tutt’altro che pacifico che la mancata disponibilità di un bene determini un detrimento patrimoniale);
- dall’altro, quello della sua quantificazione che viene pretesa in modo forfettario, senza alcun fondamento normativo che supporti tale tesi.
Né può in qualche modo percorrersi la via di un’applicazione analogica ed automatica di quanto previsto dall’art. 42 bis T.U. edil, (“1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità' che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità', può' disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”) .
Invero, deve rilevarsi che la disposizione in questione fa riferimento – in modo non casuale – alla liquidazione di un “indennizzo” e non di un “risarcimento” (reclamato nel caso in esame) ”.
Si è, inoltre, ribadito che le considerazioni corroborano la propria forza persuasiva “ attraverso la ulteriore considerazione che la prova del danno attraverso criteri concreti non sarebbe risultata di difficile assolvimento.
Sarebbe stato sufficiente, infatti, per i ricorrenti, esibire in giudizio precedenti contratti di locazione del bene (laddove usato a fini commerciali – agrituristici) ovvero contratti di vendita del frutto ricavato o ricavabile dalle coltivazioni (laddove destinato a fini agricoli), per dimostrare e quantificare le perdite subite ”.
Conclusivamente, ripudiato ogni automatismo risarcitorio, nel caso di specie, valutate le concrete circostanze che hanno caratterizzato la vicenda, ritiene la Sezione che non possa dirsi assolto in alcun modo l’onere probatorio richiesto dalle disposizioni civili in materia risarcitoria.
La novità della questione esaminata da ultimo e l’assenza di un quadro giurisprudenziale consolidato nella materia esaminata, giustificano la compensazione delle spese di lite anche in considerazione della parziale soccombenza.