TAR Roma, sez. 5S, sentenza 2024-02-05, n. 202402184

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5S, sentenza 2024-02-05, n. 202402184
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202402184
Data del deposito : 5 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 05/02/2024

N. 02184/2024 REG.PROV.COLL.

N. 06279/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6279 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati D C, R Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto di diniego di concessione della cittadinanza italiana (K10/-OMISSIS-);


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 26 gennaio 2024 il dott. G V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Con il ricorso in epigrafe viene impugnato il decreto n. K10/-OMISSIS- emesso in data 14.02.2019 con cui il Ministero dell'Interno ha rigettato l'istanza del ricorrente, presentata il 15.10.2013, volta alla concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della Legge n. 91/1992.

L’Amministrazione, in particolare, alla luce della documentazione acquisita e fornita dall’interessato, anche a seguito della comunicazione del preavviso di diniego di cui all’art. 10- bis , legge n. 241/90, ha negato la cittadinanza per la ritenuta insufficienza del reddito.

Avverso il predetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l’odierno istante, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I. “V iolazione di legge: in particolare dell’art. 9 della legge 05.02.1992 n. 91 e del d.p.r. 12.10.1993, n. 573 ”, in quanto l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto delle somme effettivamente percepite nel corso degli anni di permanenza in Italia, di importo superiore alla soglia reddituale minima anche in virtù dell’apporto economico della moglie per l’anno di imposta 2018 e considerato che il nucleo familiare dell’istante è composto, oltre che dalla moglie, da tre figli minorenni (dunque la soglia reddituale minima è pari ad € 12.910,00). Ha precisato, al riguardo, che in data 26.10.2017 gli è stato riconosciuto, da parte dell’INPS, l’assegno di invalidità pensionabile ai sensi della legge n. 222/1984 con decorrenza dall’1.11.2017;

II. “ Eccesso di potere ”, in quanto ciò che deve assumere rilievo ai fini della concessione della cittadinanza è soltanto “il reddito attuale”.

Si è costituito il Ministero intimato per resistere al ricorso.

Con atto di motivi aggiunti notificato il 12.7.2019 e depositato in pari data, il ricorrente ha preliminarmente chiesto lo stralcio della costituzione a firma di altro avvocato siccome non pertinente nell’odierno giudizio e ha reiterato le ragioni a sostegno, in particolare, della concessione della misura cautelare stante la sussistenza anche del periculum in mora .

Con ordinanza collegiale n. -OMISSIS-del 17.7.2019 è stata respinta l’istanza cautelare.

All’udienza straordinaria del 26 gennaio 2024, in vista della quale l’Amministrazione resistente ha depositato la documentazione inerente al procedimento e la relazione ministeriale, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2.- Il ricorso, come integrato dall’atto di motivi aggiunti, è infondato e va, pertanto, respinto.

Si rende opportuno rammentare, in via preliminare, che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale ripetutamente condiviso anche da questa Sezione (cfr., da ultimo, TAR Lazio, Roma sez. V bis, nn. 14163/2023 e 14172/2023), nel giudizio ampiamente discrezionale che l’amministrazione svolge ai fini della concessione della cittadinanza italiana rientra anche l’accertamento della sufficienza del reddito, in quanto la condizione del possesso di adeguati mezzi di sostentamento dell’istante non è solo funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766;
id., 16 febbraio 2011, n. 974) – ratio che è alla base delle norme che prescrivono il possesso di tale requisito per l’ingresso in Italia, per il rinnovo del permesso di soggiorno e per il rilascio della carta di soggiorno – ma è anche funzionale ad assicurare che lo straniero possa conseguire l’utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri, cui verrebbe ad essere assoggettato;
in particolare, tra gli altri, al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr., ex multis , Tar Lazio, I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;
id., 19 febbraio 2018, n. 1902;
Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).

La valutazione del requisito reddituale va effettuata tenendo conto non solo di quello già maturato al momento della presentazione della domanda (cfr., TAR Lazio, sez. I ter, 14 gennaio 2021, n. 507;
id., 31 dicembre 2021, n. 13690, nonché, da ultimo, sez. V bis, n. 1590/2022 e. 1724/2022) – che deve essere corredata della dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio, come prescritto dal DM 22.11.1994 adottato in base all’art. 1 co. 4 del DPR 18 aprile 1994, n. 362 – ma anche di quello successivo, in quanto lo straniero deve dimostrare di possedere una certa stabilità e continuità nel possesso del requisito, che va mantenuto fino al momento del giuramento, come previsto dall’art. 4, co. 7, DPR 12.10. 1993, n. 572 (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1724/2022;
sez. I ter, n. 507/2021, n. 13690/2021, n. 10750/2020, n. 2234/2009;
cfr. sez. II quater n. 1833/2015;
n. 8226/2008).

Per quanto riguarda, invece, la soglia minima del reddito, non stabilita direttamente dalla normativa soprarichiamata, l’Amministrazione ha ritenuto di fissare ex ante dei parametri minimi indefettibili di reddito, facendo a monte una valutazione circa la congruità degli stessi a garantire l’autosufficienza economica del richiedente.

Segnatamente, l’Amministrazione – come esplicitato nella circolare del Ministero dell’Interno prot. n. K.60.1 del 5 febbraio 2007 a sua volta ricognitiva del consolidato orientamento giurisprudenziale in subiecta materia - ha assunto a parametro di riferimento l’ammontare prescritto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria dall’art. 3, d.l. 25 novembre1989, n. 382, convertito in l. 25 gennaio 1990, n. 8, confermato dall’art. 2, comma 15, l. 28 dicembre 1995, n. 549, fissato in € 8.263,31 annui, incrementato ad € 11.362,05 in presenza di coniuge a carico e di ulteriori € 516,00 per ciascun figlio a carico, in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale ritenuto idoneo a garantire la possibilità per il soggetto di mantenere in modo stabile e continuativo se medesimo e la propria famiglia.

Il parametro cui si conforma la p.a. individua una soglia che è ritenuta congrua dalla giurisprudenza in materia, in quanto “ indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la famiglia senza gravare (in negativo) sulla comunità nazionale ” (cfr. ex multis : Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3958;
T.A.R. Lazio - Roma, sez. II, 2.2.2015, n. 1833).

D’altronde, tale soglia reddituale non è stata creata arbitrariamente dalla giurisprudenza, in quanto assume, quale parametro di riferimento, il livello reddituale minimo previsto, cautelativamente, dall'art 26, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, che richiede, appunto, il possesso “ di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria ” (cfr. livello individuato quale soglia dall’art. 24 legge 40/1998).

Il parametro su riferito costituisce, dunque, un requisito minimo indefettibile, ragion per cui, l’insufficienza del reddito dichiarato può costituire causa ex se di diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro, e titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro ovvero della carta di soggiorno;
anche in questi casi, infatti, si tratta di titoli che possono essere rilasciati e rinnovati solo previa dimostrazione del possesso dei requisiti reddituali espressamente prescritti art. 9 e 29 d.lgs n. 286/1996 (sicché il requisito reddituale risulta implicitamente incluso nel requisito della “residenza legale”) .

Pertanto, salvo qualche sporadico caso isolato (che peraltro si giustifica con riferimento alle particolarità del caso di specie, vedi, Cons. St., sez. II, n. 1175/2009), il possesso del requisito reddituale è ritenuto una condizione indefettibile per la concessione della cittadinanza in quanto funzionale non solo ad evitare che l’ammissione del nuovo membro non finisca per gravare (in negativo) sul pubblico erario per carenza di adeguate fonti di sussistenza, ma anche e soprattutto per assicurare che sia in grado di assumersi i doveri che derivano dall’appartenenza alla Comunità Nazionale, in primis quello di concorrere (in positivo) allo sviluppo economico-sociale e di onorare il vincolo di solidarietà mediante la partecipazione al gettito fiscale (vedi, Cons. Stato, sez. IV, n. 2254/1996, 3145/1998, 1474/1999;
6063/2002), che possa “apportare un contributo ulteriore ed autonomo alla Comunità di cui entra a far parte” (TAR Lazio, sez. I, n. 2377/2006;
TAR Lazio, sez. II quater n. 832/2009;
Cons. St., sez. VI, n. 8421/2009;
Cons. St., sez. VI, 3213 e 3907 del 2008;
TAR Lazio, sez. II quater, n. 4189/2012;
vedi, tuttavia, per la possibilità di deroga a tali principi nel caso in cui il richiedente sia un portatore di handicap, TAR Lazio, sez. I ter, n. 7846/2020, con richiamo ai principi di eguaglianza e non discriminazione di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, alla legge 104/1992 ed alla sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2017). Si tratta pertanto di un punto di arrivo ormai pacifico (vedi, da ultimo, tra tante, Cons. St., sez. III, nn. 3143, 4754 e 4767 del 2023) che la Sezione ha da subito recepito (TAR Lazio, sez. V bis, n.1590/2022, 1698/2022, 1724/2022, 2945/2022, nonché, di recente, n. 11028/2022, 11187/2022, 8273/2023, 9570/2023, 9582/2023, 11964/2023, 12386/2023), evidenziandone la validità anche dal punto di vista storico-comparatistico, dato che “il requisito dell’autonomia reddituale costituisce una condizione prescritta dalla legislazione in materia dei diversi Stati membri dell’Unione Europa, configurandosi come principio comune ai diversi ordinamenti giuridici” (TAR Lazio, sez. V bis, n. 11028/2022;
16321/2022, 1993/2023, 4268/2023, 10747/2023).

A tale riguardo va peraltro osservato che, anche a livello sovranazionale, il possesso del requisito in contestazione è prescritto dalla normativa comunitaria sulla cittadinanza dell’Unione per l’esercizio del diritto di soggiorno nei territori degli Stati Membri, che, al fine di evitare il fenomeno del cd. “turismo sociale”, è sottoposto alla condizione “ di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato Membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato Membro ospitante ” (art. 7 direttiva 2004/38/CE), per la ragione che “ i beneficiari non devono costituire un onere eccessivo per le finanze pubbliche dello Stato ospitante ” (considerando n. 10 della citata Direttiva). L’autosufficienza reddituale rileva, pertanto, quale elemento tangibile dell’effettiva appartenenza alla comunità nazionale richiesta in capo al richiedente la cittadinanza, il quale, proprio in vista di detta verifica, deve dimostrare di poter contare su strumenti personali per far fronte ai bisogni propri e del proprio nucleo familiare (TAR Lazio, Roma, sez. V bis, n. 14172/2023 cit.).

In definitiva, l'interesse pubblico alla concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante;
prospettive a cui non può essere estranea la produzione di un reddito, che accresca le risorse del Paese stesso sotto il profilo sia produttivo che contributivo onde evitare di gravare, al contrario, sugli oneri di solidarietà sociale previsti per i soggetti indigenti.

La legittimità della suddetta valutazione è stata affermata anche dalla giurisprudenza costante in materia, condivisa anche da questo Tribunale (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1590/22, 1698/22, 1724/22, 2945/22, 3692/22, 4619/22;
cfr.: Tar Lazio, sez. I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;
6 settembre 2019, n. 10791;
Tar Lazio, sez. II quater, 2 febbraio 2015, n. 1833;
13 maggio 2014, n. 4959;
3 marzo 2014, n. 2450;
18 febbraio 2014, n. 1956, 10 dicembre 2013, n. 10647;
Cons. Stato sez. I, parere n. 240/2021;
parere n. 2152/2020;
Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).

Ciò posto, valga altresì precisare che, nella valutazione sulla sussistenza del requisito della capacità reddituale, l’Amministrazione deve tenere conto non soltanto del reddito dell’istante ma deve anche verificare l’eventuale, effettivo, contributo offerto dagli altri membri del nucleo familiare (in tal senso, ex plurimis , Tar Lazio, sez. V bis, n. 1698/2022;
Cons. St., sez. III, n. 4372/2019).

L’orientamento da tempo espresso dalla giurisprudenza al riguardo è stato recepito dallo stesso Ministero dell’Interno, che, nella circolare prot. n. K.60.1 del 5 febbraio 2007, diramata agli Uffici competenti, ha ribadito che è necessario, « nel rispetto del concetto di solidarietà familiare cui sono tenuti i membri della famiglia, valutare la consistenza economica dell’intero nucleo al quale l’aspirante cittadino appartiene quando, dalla documentazione prodotta e/o dalla istruttoria esperita, si può evincere che esistono altre risorse che concorrono a formare il reddito ».

La stessa circolare ha altresì precisato che, essendo autocertificabili solo i redditi propri, per i redditi degli altri componenti il nucleo familiare andrà necessariamente prodotta la documentazione (mod. CUD, mod. 730 e mod. Unico) atta a dimostrare la disponibilità dei mezzi di sostentamento adeguati.

3.- Ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, nella vicenda in scrutinio l’Amministrazione ha motivato il diniego rilevando che, anche a seguito delle osservazioni trasmesse dall’istante a seguito al preavviso di rigetto ex art. 10- bis , “ i redditi dello straniero non sono sufficienti e quelli della moglie non trovano alcun riscontro presso l’Agenzia delle Entrate ”.

Ebbene, dalle coordinate sopra esposte deriva che era onere dell’odierno ricorrente dimostrare, innanzitutto, di aver percepito un reddito non inferiore ai parametri minimi innanzi indicati, nella specie pari ad € 12.910,00, in conformità a quanto ammesso anche dal ricorrente, in quanto il nucleo familiare dell’istante risulta composto, oltre che dalla moglie, da tre figli minorenni.

Quanto al riparto dell’onere probatorio, è appena il caso di rammentare che, ai sensi dell'art. 64 c.p.a., il processo amministrativo è governato, in linea generale, dal principio dell'onere della prova, in base al quale ciascuna parte è tenuta a fornire gli elementi probatori, riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni, che siano nella rispettiva disponibilità. Infatti, sebbene tale principio sia temperato dal metodo acquisitivo nell'azione di annullamento, nondimeno il potere del giudice di acquisire d’ufficio documenti utili alla decisione - al fine di compensare lo squilibrio normalmente esistente tra parte pubblica e privata nella disponibilità del materiale documentale – è limitato alle ipotesi in cui la parte privata non abbia la possibilità di produrre la documentazione necessaria a dimostrazione dei propri assunti difensivi (cfr., ex multis , Consiglio di Stato sez. V, 27/12/2017, n.6082).

Ne consegue che, nella fattispecie in esame, non vi è dubbio che, a fronte di un provvedimento di diniego motivato sulla base della carenza del requisito reddituale, gravi sulla parte che assuma di essere in possesso di detto requisito fornire la prova della sussistenza di un reddito sufficiente e regolarmente dichiarato ai fini fiscali, tenuto conto che la correlata documentazione a supporto è agevolmente nella disponibilità di ogni contribuente (vedi, di recente, TAR Lazio, sez. V bis, n. 8693/22, 11928/22, 11188/22, n. 1198/23).

Ora, dalla disamina della documentazione depositata in giudizio risulta che il ricorrente non abbia assolto all’onere probatorio a suo carico, essendosi infatti limitato a produrre la certificazione unica relativa al solo anno di imposta 2018 (da cui risulta un reddito dichiarato di € 5.938,92) e una certificazione dei compensi corrisposti alla moglie del ricorrente per l’anno 2018, certificazione alla quale, in ogni caso, non può essere riconosciuta alcuna validità in quanto priva di data e di sottoscrizione del datore di lavoro, tanto più che l’Amministrazione resistente, al riguardo, ha rilevato che tali presunti redditi non risulterebbero comunque fiscalmente dichiarati.

Sotto quest’ultimo profilo, del resto, va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale, condiviso anche da questa Sezione (TAR Lazio, Roma, sez. V- bis , 03/08/2022, n. 10972), secondo cui al fine di dimostrare il raggiungimento della soglia reddituale è necessario anche comprovare documentalmente di aver adempiuto agli obblighi fiscali verso lo Stato Italiano, non essendo sufficiente una mera dichiarazione del datore di lavoro, tenuto conto che il definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale appare possibile soltanto " quando l'interessato, anziché limitarsi a dichiarare il reddito all'autorità, non si sottrae ai pesi ed oneri connessi a tale dichiarazione ("id est": gli adempimenti fiscali e contributivi), secondo il principio ubi commoda, ibi incommoda” (T.A.R. Sicilia sez. IV - Catania, 27/12/2016, n. 3368).

Si aggiunga, ancora, con riferimento all’assegno di invalidità pensionabile ai sensi della legge n. 222/1984 percepito dal ricorrente con decorrenza dall’1.11.2017, che la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ritenuto di escludere la computabilità della pensione di invalidità ai fini del raggiungimento della soglia minima reddituale, in particolare precisando che la pensione di invalidità “ non assume rilievo ai fini del calcolo e della formazione del reddito, avendo di contro la funzione solidaristica di sostegno al reddito. Ciò si comprende laddove si consideri che alla base del requisito reddituale vi è la necessità di accertare che il richiedente lo status di cittadino possa far fronte al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica per i servizi pubblici essenziali: la pensione di invalidità - che appunto non concorre al reddito - non deve essere dichiarata nella dichiarazione dei redditi ed è esente dal calcolo delle ritenute previdenziali e fiscali, e conseguentemente non soccorre ai fini dell'integrazione del requisito de quo (in questo senso cfr. Consiglio di Stato , sez. III, n. 6371/2018;
n. 1458/2019)
” (Consiglio di Stato, 11/05/2023, n.4767).

Né può ritenersi condivisibile l’assunto difensivo secondo cui il reddito rilevante ai fini della concessione della cittadinanza dovrebbe essere soltanto quello “attuale”, atteso che, come già precisato da questa Sezione, il principio di attualizzazione del reddito previsto dalla ridetta circolare ministeriale del 2007, vale a dire la valorizzazione favorevole al richiedente dell’eventuale miglioramento delle sue condizioni economiche nel periodo successivo all’istanza, non impedisce comunque all’Amministrazione di valutare la situazione reddituale “di partenza” dell’istante - quanto meno il triennio anteriore alla domanda – al fine stabilire se il richiedente sia effettivamente titolare in modo stabile e continuativo del requisito reddituale, anche in considerazione della naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di idonei mezzi di sussistenza.

In ogni caso, peraltro, l’invocato principio di attualizzazione non può essere inteso nel senso proposto dal ricorrente, dato che i requisiti prescritti per l’ottenimento di un beneficio debbono essere posseduti sin dal momento della presentazione dell’istanza – oltre che mantenuti sino al momento della decisione sulla stessa da parte dell’autorità procedente – e non può essere applicato in via analogica al procedimento di concessione della cittadinanza per naturalizzazione l’opposto principio della rilevanza delle sopravvenienze favorevoli sancito dalla normativa in materia di immigrazione, al fine ad evitare che lo straniero, per mancanza di titolo autorizzatorio al soggiorno, cada in situazioni di clandestinità: l’art. 5 co . 5, D.lgs. 286/1998, nel prevedere che il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno sono rifiutati “ quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato (…) sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio”, proprio per la sua natura derogatoria al principio generale soprarichiamato, non può essere applicato al di fuori delle ipotesi espressamente previste, tanto meno ove non sia ravvisabile l’ eadem ratio (come appunto nei procedimenti per la concessione della cittadinanza).

In definitiva, anche tenuto conto delle risultanze del sistema “punto fisco”, come da documentazione prodotta dall’Amministrazione, deve ritenersi che il ricorrente non abbia adeguatamente dimostrato il possesso del requisito reddituale per una pluralità di annualità rientranti nel “periodo di osservazione”, poiché ricadenti sia nel triennio anteriore all’istanza presentata nel 2013 che in quello successivo fino all’emissione del diniego, pertanto la valutazione cui è pervenuta l’Amministrazione in ordine all’insufficienza e all’instabilità della condizione economica dell’istante appare immune dai vizi dedotti.

4.- In conclusione, occorre ribadire che il provvedimento di concessione della cittadinanza è atto altamente discrezionale, in quanto l'Amministrazione, dopo aver accertato l'esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli di solidarietà economica e sociale.

In tale quadro, l'interesse pubblico alla concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante;
prospettive a cui non può essere estranea la produzione di un reddito, che accresca le risorse del Paese stesso sotto il profilo sia produttivo che contributivo onde evitare di gravare, al contrario, sugli oneri di solidarietà sociale previsti per i soggetti indigenti.

L’anzidetta valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei ristretti ambiti del controllo di legittimità, con esclusione di ogni sindacato sostitutivo di merito;
il sindacato del giudice, dunque, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Consiglio di Stato sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;
Tar Lazio II quater n. 5665 del 19 giugno 2012).

Ebbene, considerato che la disponibilità di un reddito minimo da parte del richiedente, onde raggiungere l’autosufficienza economica, costituisce uno dei presupposti fondamentali richiesti al cittadino straniero per ottenere la cittadinanza italiana, ne consegue che l’insufficienza dei mezzi economici può essere valutata come circostanza ostativa alla concessione della cittadinanza sulla scorta di tutte le considerazioni sinora esposte.

D’altronde, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro e di conseguire lo status anelato ove concorrano tutte le condizioni richieste, per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.

In conclusione, il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, pertanto il ricorso proposto, come integrato dall’atto di motivi aggiunti, deve essere respinto.

5.- Alla luce di una valutazione globale della controversia, ritiene il Collegio che sussistano giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi