TAR Catania, sez. III, sentenza 2011-08-19, n. 201102099

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. III, sentenza 2011-08-19, n. 201102099
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 201102099
Data del deposito : 19 agosto 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03291/2002 REG.RIC.

N. 02099/2011 REG.PROV.COLL.

N. 03291/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3291 del 2002, proposto da:
S A e M G, quali eredi di S D , rappresentati e difesi dall’avv. P P L V, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, viale XX Settembre,19;

contro

Comune di Gravina di Catania, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. A A, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via Firenze, 20;

per l'accertamento

della illegittima ed irreversibile occupazione di immobile, anche in dipendenza dell'annullamento degli atti di occupazione provvisoria ed immissione in possesso, e per la conseguente condanna al risarcimento del danno, da liquidarsi previa consulenza tecnica.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Gravina di Catania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2011 il dott. Maria Stella Boscarino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio, notificato in data 10.9.2002 e depositato in data 7.10.2002, i Sigg.ri Spampinato Santo, M G e S D esponevano di essere comproprietari di un appezzamento di terreno edificabile sito in Gravina di Catania, contrada Valle Allegra, descritto in catasto al foglio 1, particelle 144, 146 e 1433.

Il Comune di Gravina di Catania, con decreti nn.6/89 e n. 10/89 del 30.6.89, disponeva l’occupazione temporanea e d’urgenza di parte di detto terreno per la realizzazione di alloggi sociali della Cooperativa Edilizia Pier Santi Mattarella e per strada.

In data 8.7.1989 veniva eseguita l’occupazione delle aree in oggetto che venivano irreversibilmente trasformate.

I Sigg.ri Spampinato e Musmeci impugnavano innanzi al T.A.R. i decreti di occupazione d’urgenza di cui sopra e ne chiedevano in via cautelare la sospensione.

Il T.A.R. dapprima rigettava la domanda di sospensione cautelare ma successivamente, con sentenza n. 1083/93 del 29 dicembre 1993, annullava i provvedimenti impugnati.

Il Comune di Gravina di Catania proponeva appello avverso la suddetta decisione che veniva rigettato con sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 361/98 del 9 giugno 1998.

Poiché nel frattempo gli immobili espropriati erano stati irreversibilmente trasformati, i proprietari adivano, in data 21.4.2000, il giudice ordinario per il risarcimento dei danni subiti e, a seguito di dichiarazione di difetto di giurisdizione, giusta sent. n. 19/02 del 23.1.2002, col ricorso introduttivo del presente giudizio si rivolgevano a questo Tribunale Amministrativo per ottenere il risarcimento del danno conseguente alla perdita di parte della loro proprietà, irreversibilmente trasformata per effetto del decreto di occupazione d’urgenza annullato da questo TAR con la citata sentenza n. 1083/93, confermata dal CGA con la decisione n. 361/98.

In data 30 maggio 2003 si costituiva in giudizio il Comune intimato contestando genericamente le domande dei ricorrenti.

Su richiesta dei ricorrenti, con decreto del Consigliere delegato n. 9/09 del 15.6.2009 veniva disposta consulenza tecnica d’ufficio al fine di:

“1) esattamente individuare e descrivere gli appezzamenti di terreno edificabile di proprietà dei ricorrenti meglio descritti in ricorso, occupati e irreversibilmente trasformati in esecuzione del decreto di occupazione d’urgenza del Comune di Gravina di cui sopra.

2) Calcolare il valore di mercato dei terreni occupati alla data attuale trattandosi di debito di valore.”

In data 17 dicembre 2009 il CTU, Ing. C D S, depositava la relazione di CTU.

All’Udienza del giorno 14 luglio 2010 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

Con sentenza n. 3839/2010 del 27.9.2010 il Collegio, rilevato che dagli atti della causa risultava che in data 21.10.2009 era deceduto il Sig. S D, non rinvenendosi nel fascicolo l’atto di riassunzione volontaria, pur menzionato nelle difese di parte ricorrente , dichiarava l'interruzione del giudizio, ai sensi e per gli effetti degli artt. 300 del C.P.C. e 24 della legge 6/12/1971 n. 1034, riguardo il predetto Sig. S D.

Quanto agli altri ricorrenti, la Sezione accoglieva le domande di accertamento dell’illecito e di condanna dei soggetti responsabili al risarcimento del danno, differendone, tuttavia, gli effetti all'emissione da parte del Comune intimato (che aveva già manifestato "per facta concludentia" la volontà di mantenere in suo potere il bene dei ricorrenti) di un formale provvedimento acquisitivo da emanarsi ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell'art. 43 T.U. espropriazione, fissando i principi da seguire, anche ai sensi dell'art. 35, comma 2, del D.L.vo n. 80/1998 come sostituito dall'art. 7 della L. n. 205/2000.

Con atto notificato il 17.1.2011 e depositato il 28.1.2011 S A e M G, quali eredi di S D, riassumevano il giudizio, insistendo nelle richieste già formulate.

Peraltro, allegavano copia della nota del 16.12.2010, con la quale la Segreteria di questo T.A.R. comunicava il rinvenimento (successivamente al deposito della sentenza n. 3839/2010) del primo atto di riassunzione, notificato il 4.5.2010 e depositato il 19.5.2010.

Con memoria depositata il 10.6.2011 i ricorrenti, preso atto del mutato quadro normativo in dipendenza della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.43 T.U., medio tempore intervenuta, hanno chiesto, preliminarmente, la condanna del Comune al risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione illegittima dalla data dell’immissione in possesso, la condanna del Comune a dichiarare l’intenzione di acquisire transattivamente la proprietà delle aree in questione, previo pagamento del valore venale delle aree, ovvero, in subordine, alla restituzione dei terreni.

Infine, all’udienza del 6.7.2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

I. Il ricorso è ammissibile e procedibile, avendo i ricorrenti diligentemente notificato 17.1.2011 e depositato il 28.1.2011 atto di riassunzione, pur essendo stato (successivamente al deposito della sentenza n. 3839/10) rinvenuto l’originario atto di riassunzione, notificato il 4.5.2010 e depositato il 19.5.2010.

I ricorrenti hanno altresì prodotto documentazione idonea a comprovare la rispettiva qualità di eredi.

II. Il Collegio ritiene di richiamare i presupposti di fatto posti a base della sentenza n. 3839/2010 del 27.9.2010.

Dalla documentazione prodotta dai ricorrenti in allegato al ricorso, si evince che con sentenza di questo Tar numero 1083 del 29 dicembre 1993 vennero annullate le deliberazioni di localizzazione adottate dal Comune di Gravina di Catania impugnate dai ricorrenti, mediante le quali erano stati localizzati i programmi costruttivi di due cooperative, nonchè i decreti sindacali con i quali era stata autorizzata l'occupazione temporanea e di urgenza delle aree assegnate alle predette cooperative. In particolare, la sentenza annullava le localizzazioni ritenendo fondato il terzo motivo di ricorso, secondo il quale le assegnazioni erano illegittime perché non precedute dalla adozione dei programmi di attuazione di cui agli articoli 11 della legge n.167 del 1962 e 7 della legge regionale n.86 del 1981.

Dalla documentazione acquisita dal CTU nel presente giudizio risulta che i ricorrenti erano proprietari delle aree oggetto di causa nelle seguenti misure:

- Spampinato Santo per la metà indivisa (50%)

- S D e M G per metà indivisa (25% ciascuno).

Il C.T.U. sulla scorta dei decreti di occupazione d’urgenza e del verbale di immissione in possesso ha accertato l’occupazione ed irreversibile trasformazione:

-per effetto del decreto di occupazione d’urgenza n. 6/89 mq. 90 della particella 144 per sede stradale;
mq. 366 della particella 146 per sede stradale mq. 56 della particella 1433 per sede stradale per complessivi mq. 512;

-per effetto del decreto 10/89 mq. 493 della particella 144 per sede stradale;
mq. 108 della particella 144 per sede stradale;
mq. 219 della particella 1435;
mq. 10 della particella 153;

-per un totale di mq. 830.

Ciò posto, la Sezione, con la sentenza n. 3839/2010 del 27.9.2010, precisato che l’annullamento degli atti in sede giurisdizionale comporta l’illiceità dell’ablazione della proprietà dei ricorrenti, poiché l’occupazione del terreno dei ricorrenti non è supportata da alcun titolo giuridico, ha ritenuto fondate le domande (di Spampinato Santo e M G, pro quota) di accertamento dell’illecito e di condanna dei soggetti responsabili al risarcimento del danno.

Quanto all'accertamento dell'elemento soggettivo della responsabilità extracontrattuale, poichè il soggetto danneggiato può limitarsi ad indicare gli elementi costituenti indici presuntivi della colpa della pubblica amministrazione, sulla quale incombe l'onere di provare il contrario, ovvero la sussistenza di un errore scusabile, si è ritenuta accertata da questo Tribunale, con rinvio alla sentenza n.1083/93, la conduzione negligente del procedimento espropriativo, non essendo stato rispettato l’iter di formazione della deliberazione di localizzazione, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, e, d’altra parte, in carenza di dimostrazione circa la sussistenza di un eventuale errore scusabile da parte del Comune, si é ritenuto sussistente anche l'elemento soggettivo dell'illecito procedimento ablativo.

Accertata la sussistenza della responsabilità extracontrattuale, quanto alle modalità di riparazione del danno subito dai ricorrenti, i quali hanno chiesto il risarcimento del danno per equivalente attesa l'irreversibile trasformazione del fondo , la Sezione ha affermato che nel nostro ordinamento non può più ritenersi sussistente l'istituto - di creazione giurisprudenziale - della c.d. "occupazione appropriativa", secondo il quale, anche in assenza di un provvedimento ablatorio, l'Amministrazione acquista, a titolo originario, la proprietà dell'area altrui, in virtù della trasformazione irreversibile della stessa ed in attuazione della dichiarazione di pubblica utilità.

Ciò nonostante, in adesione all’orientamento giurisprudenziale prevalente al momento della decisione, la Sezione ha ritenuto che “ l'esclusione dell’acquisto a titolo originario del bene per effetto della trasformazione irreversibile, mentre comporta la persistenza della titolarità della proprietà in capo al privato, non preclude a quest'ultimo di disporre, nella migliore cura del proprio diritto, optando per l'esercizio in giudizio dell'azione risarcitoria”.

Muovendo da tali presupposti, poichè gli interessati non avevano chiesto la restituzione del bene ma il risarcimento del danno, la Sezione ha ritenuto che la domanda risarcitoria dei ricorrenti potesse essere accolta, differendone, tuttavia, gli effetti all'emissione da parte del Comune intimato di un formale provvedimento acquisitivo da emanarsi ai sensi del combinato disposto dei commi 1 e 3 dell'art. 43, cit.

III. Senonchè, tale decisione non può essere estesa ai ricorrenti, per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale – avvenuta successivamente al deposito della sentenza di questo TAR n.3839/2010 del 27.9.2010, e precisamente con sentenza della Corte Cost. 8 ottobre 2010, n. 293- dell’art.43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico sugli espropri), il quale prevedeva che, qualora un immobile venisse utilizzato per scopi di interesse pubblico e fosse stato modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, l'Amministrazione potesse acquisirne la proprietà con atto formale di natura ablatoria e discrezionale, risarcendo al privato il relativo danno.

Poiché la decisione della Corte segue di pochi giorni la sentenza di questo TAR, non può trovare applicazione alla fattispecie il principio affermato da C.G.A. (sentenza 19.5.2011 n. 369), secondo il quale gli effetti della sentenza della Corte Cost. 8 ottobre 2010, n. 293 non possono prodursi nei confronti di una controversia per la quale fosse già intervenuta una sentenza passata in giudicato, per la semplice ragione che nel caso in questione la sentenza di questo TAR non era ancora passata in giudicato, di guisa che trova applicazione il principio generale, ricordato dallo stesso CGA, della retroattività degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità, con rilevanza anche nei processi in corso.

Ciò detto, non potendosi, all’evidenza, fare applicazione di una norma ormai espunta dall’ordinamento, il Collegio ritiene, in primo luogo, di richiamare brevemente gli orientamenti giurisprudenziali seguiti alla declaratoria di incostituzionalità dell’art.43 citato.

Con sentenza di questa Sezione n. 290/2011 del 10/02/2011, seguita da altre pronunce sulla stessa linea interpretativa, si è precisato che il danno arrecato alla sfera giuridica degli interessi dei soggetti incisi da una procedura espropriativa illegittima non può ritenersi causato dalla perdita del diritto di proprietà, che non può avvenire in assenza di un atto autoritativo della PA., né per una vicenda acquisitiva, per accessione invertita ( posto che il passaggio di proprietà non può conseguire da un mero fatto illecito ascrivibile alla P.A. in danno del proprietario privato, come ripetutamente affermato dalla Corte dei diritti dell’uomo) e neppure per effetto del decreto di acquisizione sanante, previsto dall’art. 43 del T.U. n. 327/2001;
norma dichiarata incostituzionale, per eccesso di delega, con sentenza della Corte Cost. 8 ottobre 2010, n. 293.

Con la citata sentenza di questa Sezione n. 290/2011 del 10/02/2011, si è ritenuto che i privati rimangano legittimi proprietari dell'area e quindi il risarcimento chiesto per la perdita della relativa proprietà sia senza presupposto, in fatto ed in diritto .

La Sezione ha infatti ritenuto non applicabile, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, la ricostruzione operata dalla giurisprudenza relativamente alla volontà della parte ricorrente - implicitamente manifestata - di dismettere la proprietà dei beni, oggetto dell’illegittima procedura ablatoria, e dell’implicita intenzione da parte della PA evocata in giudizio di acquisire la proprietà del bene stesso, ai fini della configurazione di un’ipotesi di trasferimento della proprietà del bene privato, per volontà delle parti;
perché tale ricostruzione presupporrebbe la vigenza della norma (art. 43 cit., oggi incostituzionale) che consentiva la “formalizzazione” dell’accordo implicito di trasferimento, desumibile dai comportamenti processuali delle parti, mediante l’adozione di un provvedimento sanante, che valesse come titolo formale al trasferimento, elemento indispensabile in materia di circolazione dei beni immobili, anche al fine di dare certezza alla situazione proprietaria, consentendo le relative forme di pubblicità dei titoli.

A tal fine, si è ricordato l’orientamento del Consiglio di Stato (cfr. Sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 676) secondo il quale alla rinuncia alla restituzione dell’area irreversibilmente trasformata non può in alcun modo attribuirsi un effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato.

Essendo impraticabile la soluzione del trasferimento della proprietà in conseguenza dell’opzione esercitata dal privato di richiedere in giudizio il risarcimento per equivalente, piuttosto che la restituzione del bene, questa Sezione ha concluso che non solo la proprietà dell’area illegittimamente trasformata dalla realizzazione dell’opera pubblica rimane nella sfera giuridica del privato, ma che questi diviene proprietario, secondo la regola dell’accessione ex art. 934 c.c., di quanto realizzato sul suolo di sua proprietà, salvo l’obbligo di corrispondere all’autore dell’opera realizzata il valore dei materiali, quando la separazione non sia chiesta dal proprietario dei materiali, ovvero non possa farsi senza che si rechi grave danno all'opera costruita.

Non di meno, ove i ricorrenti abbiano chiesto solamente il risarcimento e non la restituzione, la Sezione ha ritenuto che rientri nel dovere istituzionale dell’Amministrazione – in possesso delle aree- di porre fine all'occupazione senza titolo e quindi, se non intenda restituire al legittimo proprietario il terreno con le opere ivi realizzate, il dovere di trovare una soluzione negoziale-transattiva.

Con più recenti orientamenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato, si è ritenuto che a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del T.U. n. 327/2001 (per effetto della sent. della Corte cost. 8 ottobre 2010 n. 293), a fronte del vuoto normativo così creatosi, deve ritenersi che: a) se il privato espropriato chiede unicamente il risarcimento del danno per equivalente, preso atto dell’irreversibile trasformazione dell’immobile, con tale richiesta rinuncia alla restitutio in integrum ;
b) venuto meno l’art. 43 del T.U. espropriazioni, la richiesta del solo risarcimento per equivalente non sortisce effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato, occorrendo piuttosto un accordo transattivo tra le parti;
c) se invece il privato espropriato insiste per la tutela restitutoria, la stessa va disposta, a meno che non ricorrano i presupposti per l’applicazione dell’art. 2933, comma 2, o 2058 c.c. (VI, sent. N. 3561/2011 del 13 giugno 2011).

Con precedente decisione, si era ritenuto che la sentenza della Corte Costituzionale nr. 293 dell’8 ottobre 2010, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del più volte citato art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001, non elimina il dovere di ristorare i proprietari espropriati del pregiudizio cagionato dall’occupazione sine titulo: tanto più in un caso in cui , in giudizio, i ricorrenti, chiedendo unicamente il risarcimento per equivalente, hanno preso atto dell’irreversibile trasformazione dell’immobile e di fatto rinunciato alla restitutio in integrum .A tale rinuncia tuttavia, formulata all’interno di un contesto normativo ben diverso da quello oggi conseguente alla caducazione del ricordato art. 43, non può in alcun modo attribuirsi un effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato. Pertanto, l’Amministrazione deve addivenire a un accordo transattivo con i privati che determini il definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile, accompagnandosi anche al doveroso risarcimento del danno da occupazione illegittima;
infatti , una volta venuta meno la norma che attribuiva al soggetto pubblico il potere di determinare unilateralmente l’effetto traslativo, è chiaro che la produzione di quest’ultimo non può prescindere dal concorso della volontà dell’espropriato (Consiglio di Stato, IV, n. 676/2011 del 28/01/2011).

Sulla stessa linea interpretativa, e nel senso che l’Amm.ne è tenuta ad addivenire ad accordo transattivo che determini il definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile, accompagnato dal pagamento del corrispettivo per la cessione della proprietà, da concordarsi tra le parti, e dal risarcimento del danno da occupazione illegittima, si era anche espresso recentemente questo TAR Sicilia, Sez.II di Catania, con sentenza n.893/2011 del 13.4.2011.

IV. A questo punto, deve darsi atto del quadro normativo, ulteriormente mutato, per effetto del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, pubblicato nella Gazz. Uff. 6 luglio 2011, n. 155 , che con l’art. 34, comma 1 (non modificato dalla legge di conversione, L.15 luglio 2011, n.111, su GURI n. 164 del 16-7-2011), ha modificato il decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, inserendo dopo l'articolo 42 l’art. 42-bis.

La disposizione, rubricata “Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, stabilisce che:

“ 1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.

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