TAR Lecce, sez. II, sentenza 2019-03-11, n. 201900427

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Lecce, sez. II, sentenza 2019-03-11, n. 201900427
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Lecce
Numero : 201900427
Data del deposito : 11 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/03/2019

N. 00427/2019 REG.PROV.COLL.

N. 03050/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Seconda

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3050 del 2014, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato D L, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via 47° Reggimento Fanteria n.4;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso, ex lege , dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, presso la medesima per legge domiciliato;

per l’annullamento

del decreto del Ministero della Difesa n. 2509/N, datato 8 agosto 2014, notificato il 24 settembre 2014, nonché dei pareri emessi dal C.V.C.S. nelle adunanze n. 63/2012 e 70/2014 e di tutti gli atti preordinati, connessi e/o consequenziali;

per la declaratoria del diritto al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia lamentata, con tutte le conseguenze di legge a ciò connesse, ivi compresa la liquidazione dell’equo indennizzo spettante.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2019 il dott. Andrea Vitucci e uditi per le parti i difensori avv. G. Antonazzo, in sostituzione dell'avv. D. Lorenzo, per la ricorrente e avv. dello Stato M. G. Invitto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1) La ricorrente è vedova di militare dell’Aeronautica che, dal 29 settembre 2001 al 28 dicembre 2001, ha prestato servizio in Kosovo, cioè in contesto ambientale notoriamente oggetto di bombardamenti effettuati dalle forze NATO con ordigni all’uranio impoverito, cosa che ha comportato una inconsapevole esposizione del militare al conseguente inquinamento ambientale e all’inalazione di polveri sottili e volatili. Illustra, ulteriormente, la criticità delle condizioni di servizio, in ragione degli sbalzi termici del luogo (con punte di meno 21 gradi nel periodo invernale) e del tipo di attività svolte, caratterizzate da ipervigilanza in costante pericolo di vita di assoluta eccezionalità e con alto rischio personale e collettivo per servizio di ordine pubblico e di soccorso nell’ambito delle missione.

Espone, ancora, che, nel giugno 2010, è stato diagnosticato al marito un cancro del colon con metastasi epatiche, cui ha fatto seguito la domanda di riconoscimento della predetta patologia come dipendente da causa di servizio.

Dopo il decesso del militare, il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio (CVCS) si è pronunciato nel senso dell’esclusione del nesso di dipendenza tra la patologia e il servizio prestato. Infatti, nel parere 63/2012, il CVCS afferma che: « l’infermità “Adenocarcinoma colico con metastasi epatiche sincrone, in trattamento chemio-immunoterapeutico” NON PUÒ RICONOSCERSI DIPENDENTE DA FATTI DI SERVIZIO, in quanto nei precedenti di servizio dell’interessato, non risultano fattori specifici potenzialmente idonei a dar luogo ad una genesi neoplastica. Pertanto è da escludere ogni nesso di causalità o di concausalità non sussistendo, altresì nel caso di specie, precedenti infermità o lesioni imputabili al servizio che col tempo possano essere evolute in senso metaplastico. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti ».

A seguito delle osservazioni presentate da parte della ricorrente, il Comitato si è espresso una seconda volta e sempre in senso negativo. Infatti, nel parere 70/2014, il CVCS rileva che: « per l’infermità “Adenocarcinoma colico con metastasi epatiche sincrone, in trattamento chemio-immunoterapeutico” si conferma il precedente parere negativo, in quanto, dalle osservazioni presentate dall’interessato non si rilevano elementi di valutazione tali da far modificare il precedente giudizio. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti ».

Il Ministero della Difesa si è conformato a tali pareri con il decreto 2509/N dell’8 agosto 2014, negando la dipendenza della suddetta patologia da causa di servizio.

2) Avverso tali atti insorge la ricorrente, con unico motivo di ricorso, con cui denuncia: violazione di legge, in particolare dell’art. 64 D.P.R. n. 1092/1973, in combinato disposto con il D.P.R. n. 461/2001;
eccesso di potere per travisamento ed omessa valutazione dei fatti, oltre che irragionevolezza manifesta;
motivazione manifestamente errata.

Secondo la ricorrente, non sarebbero state correttamente valutate le condizioni di espletamento del servizio in Kosovo, non solo con riferimento alla situazione di peculiare stress e fatica, ma, soprattutto, in relazione all’esposizione del militare alle polveri sottili e nanoparticelle – derivanti dai bombardamenti all’uranio impoverito – che si sono diffuse nell’aria e depositate sul terreno e nell’acqua, contaminando tutto l’ambiente. Secondo la ricorrente, tale inquinamento ambientale si porrebbe quantomeno in nesso di concausalità con la patologia del marito, anche in considerazione del fatto che il militare, prima della partenza, era stato sottoposto a ripetute e ravvicinate vaccinazioni che ne hanno alterato il metabolismo e diminuito le difese immunitarie.

3) Il ricorso va accolto nei termini che seguono.

Va premesso che non sono contestati:

- il fatto dello svolgimento della missione in Kosovo;

- il fatto delle reiterate e ravvicinate vaccinazioni che il militare ha ricevuto prima della partenza per la missione.

È altresì notoria la circostanza che i territori balcanici, come il Kosovo, sono stati oggetto di bombardamenti con ordigni all’uranio impoverito, cosa che ha prodotto un notevole inquinamento ambientale, caratterizzato dalla presenza di agenti cancerogeni, cui si sono trovati inconsapevolmente esposti i militari italiani ivi inviati in missione, i quali, anche a distanza di tempo dal compimento della missione, hanno sviluppato patologie tumorali.

In casi del genere, la giurisprudenza ha a più riprese evidenziato che “ una volta accertata l'esposizione del militare all'inquinante in parola è la PA che deve dimostrare che questi non abbiano determinato l'insorgere della patologia e che essa dipenda invece da altri fattori (esogeni) dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica, e determinanti per l'insorgere dell'infermità” (T.A.R. Puglia, Lecce, 17 maggio 2018, n. 816;
nello stesso senso, T.A.R. Puglia, Bari, 20 settembre 2018, n. 1226).

Nel caso in esame, il CVCS ha escluso la dipendenza della patologia tumorale da causa di servizio limitandosi ad affermare che, nei precedenti di servizio dell’interessato, non risulterebbero fattori specifici potenzialmente idonei a dar luogo ad una genesi neoplastica e che non vi sarebbero precedenti infermità o lesioni imputabili al servizio che, col tempo, possano essersi evolute in senso metaplastico.

Così opinando, tuttavia, il Comitato ha reso una motivazione fittizia, che trascura del tutto la particolarità del caso di specie, particolarità avvalorata “ sia dai risultati di diffusi studi epidemiologici - anche recepiti nei rapporti delle Commissioni Parlamentari d’Inchiesta istituite (con deliberazione del Senato in data 11 ottobre 2006 e 12 gennaio 2008) proprio in relazione agli effetti nocivi derivanti dall'esposizione all'uranio impoverito - che dagli esiti di una specifica campagna di monitoraggio sulle condizioni sanitarie dei militari impiegati nei territori interessati nonché dai dati dell'Osservatorio Epidemiologico della Difesa e dell'Istituto Superiore della Sanità, che hanno riscontrato nei militari che (…) hanno partecipato a missioni di pace svolte all'estero, l'abbassamento delle difese immunitarie e l'insorgenza - con un tasso di correlazione statisticamente significativo - di patologie tumorali a seguito di esposizione a polveri di uranio impoverito e metalli pesanti (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 8 marzo 2018, n. 304;
T.A.R. Catanzaro, Sez. II, 2 ottobre 2014, n. 1568)”
(T.A.R. Puglia, Bari, 20 settembre 2018, n. 1226, cit.) .

Nei casi come quello in esame, “ nell’accertare i presupposti sostanziali della dipendenza della patologia da causa di servizio, la P.A. procedente ed i suoi organi tecnici sono gravati da un onere d’istruttoria e di motivazione assai stringente, circa la sussistenza, in concreto, delle circostanze straordinarie e dei fatti di servizio che hanno esposto il militare ad un maggior rischio rispetto alle condizioni ordinarie d’attività. Non considerano le appellanti che, nei casi delicati qual è quello in esame, all’interessato basta dimostrare l’insorgenza della malattia in termini probabilistico–statistici, non essendo sempre possibile stabilire un nesso diretto di causalità tra l’insorgenza della neoplasia ed i contesti operativi complessi o degradati sotto il profilo bellico o ambientale in cui questi è chiamato ad operare. Viceversa, la P.A. procedente, che ha disposizione dati aggiornati e più precisi e le professionalità più acconce per effettuare la verifica della concreta posizione del militare, pure in ordine alla ricostruzione dell’attività da lui svolta con riguardo ai di lui qualifica e profilo d’impiego operativo, ben più facilmente può tratteggiare, partendo da questi ultimi dati, una seria probabilità d’insorgenza, o meno, della malattia denunciata” (C.d.S., 29 febbraio 2016, n. 837).

Alla luce di quanto sopra, gli atti impugnati risultano privi di motivazione, perché avrebbero dovuto adeguatamente circostanziare i motivi dell’asserita esclusione del nesso causale tra servizio prestato e patologia riscontrata: essi risultano privi di un iter logico e sono affetti, quindi, da un vizio collocantesi a monte di quella sfera di “opinabilità” che caratterizza l’operato di organi tecnici, com’è nel caso dei pareri del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio.

Ciò consente al Giudice Amministrativo di disporre l’annullamento dell’atto della P.A., in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “… il giudizio del Comitato di verifica è espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile in sede giurisdizionale solo per assenza di motivazione, travisamento dei fatti, illogicità manifesta, violazione delle regole procedurali (cfr., ad es., sez. VI, 31 marzo 2009, n. 1889;
sez. IV, 16 maggio 2011, n. 2959;
sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 5818;
sez. IV, 26 luglio 2016, n. 3383;
sez. IV, 6 febbraio 2017, n. 493). Non è dunque consentito al giudice amministrativo, in virtù del principio di separazione dei poteri, sostituire a valutazioni amministrative, ancorché opinabili, proprie valutazioni. È dunque necessario che la scelta amministrativa risulti contraria al principio di ragionevolezza tecnica
” (C. d. S., Sez. VI, 8 marzo 2017, n. 1106).

Il ricorso va, quindi, accolto e, per l’effetto, vanno annullati gli atti impugnati, con salvezza della riedizione del potere amministrativo a seguito del disposto annullamento.

4) Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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