TAR Salerno, sez. II, sentenza 2019-03-29, n. 201900492

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. II, sentenza 2019-03-29, n. 201900492
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 201900492
Data del deposito : 29 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/03/2019

N. 00492/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00535/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso, numero di registro generale 535 del 2007, proposto da:
P E, rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio D’Amato, con domicilio eletto, in Salerno, alla via Diaz, 28;

contro

Comune di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A P, L M e M G G, con domicilio eletto, in Salerno, presso la Casa Comunale in via Roma;

per l’annullamento

dell’ordinanza n. 4, in data 10/01/2007, a firma dell’arch. B D R, nella qualità, notificata all’istante in data 25/01/2007, relativa all’accertamento di un presunto abuso edilizio, consistente nella realizzazione di un locale in assenza di titolo abilitativo, con conseguente ordine di demolizione;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Salerno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del 18 marzo 2019 il dott. Paolo Severini,

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;


FATTO

La ricorrente, proprietaria, tra le altre, di un’unità immobiliare, facente parte del fabbricato “C”, sito in Salerno, alla via Migliorati, n. 51, riportata nel Catasto Fabbricati del Comune di Salerno al foglio 70, particella 308, sub 3, categoria C/2, in forza di atto di donazione, da parte del padre, A P, in data 12/10/1983, a rogito del notaio Di F di Salerno, rep. 132716;
premesso che, a seguito di sopralluogo, effettuato presso la proprietà immobiliare sopra descritta, il Comune di Salerno, a mezzo del Direttore del Settore Urbanistica, in data 25/01/2007 aveva inteso ordinarle la demolizione della struttura ritenuta abusiva, di cui appresso, da eseguire nel termine di novanta giorni dalla notifica del provvedimento;
che, facendo riferimento all’autorizzazione edilizia, prot. n. 1343/6827, rilasciata ad A P in data 30/8/1968, per la realizzazione di cinque fabbricati, e precisamente dei lotti “A” – “B” – “C” – “D” ed “E”, in zona Torrione Alto di Salerno, nonché alla successiva concessione in variante, in data 26/05/1970, il Comune di Salerno aveva asserito che il piano ingresso (primo livello) del fabbricato “C”, destinato in parte a parcheggio e in parte a porticato, si presentava, in realtà, frazionato e con una distribuzione diversa, rispetto a quanto autorizzato;
che il Comune aveva precisato, al riguardo, che, in luogo del porticato e di parte dell’area a parcheggio, al lato sud – est del fabbricato “C”, era stato realizzato un locale, della complessiva superficie di mq. 170 (centosettanta), adibito ad uso ufficio, che si presentava dotato di due accessi indipendenti e suddiviso in più ambienti, tra loro comunicanti;
che, pertanto, l’ordinanza di demolizione era “la conseguenza della ritenuta assenza di titolo abilitativo alla realizzazione dell’organismo edilizio, come descritto”;
tanto premesso, avverso i provvedimenti specificati in epigrafe la ricorrente articolava i seguenti motivi in diritto:

I) Violazione di legge, del giusto procedimento e dell’obbligo di motivazione, ex art. 3 l. 241/90. Eccesso di potere per carenza d’istruttoria e di motivazione;
sviamento;
mancata valutazione dell’interesse pubblico:

anzitutto, andava sottolineata “la buona fede della ricorrente, che ebbe a rilevare la nuda proprietà dell’immobile, oggetto dell’ordinanza di demolizione, con atto per notar Di F in data 12/10/1983, rep. 132716, indi consolidatasi a seguito del decesso dell’usufruttuario, A P, in data 16/03/1986”, e quindi la sua “convinzione della piena legittimità del vano”;
dopo aver ricevuto la notifica dell’ordinanza impugnata, la ricorrente aveva proceduto ad un attento esame della documentazione relativa alla realizzazione del fabbricato, “non traendo, ex se, la certezza che, nella fattispecie, il vano possa essere considerato privo di titolo edilizio”;
e, infatti, la licenza edilizia originaria, effettivamente prevedeva che la zona, oggi delimitata da mura, fosse un porticato aperto, sottostante il fabbricato;
ma, successivamente, il costruttore ebbe a produrre sostanziale variante, in data 16/02/1970, prevedendo una parziale chiusura del vano in oggetto, espressamente autorizzata dalla Commissione Edilizia Comunale in data 14/05/1970, poi comunicata dal Sindaco del Comune di Salerno il successivo 15/05/1970;
quindi il costruttore, con atto di rettifica, a rogito dello stesso notaio Di F, del 28/07/1971, rep. 107398, provvedeva ad imprimere alle aree del più complessivo intervento edilizio, interessante la realizzazione di cinque fabbricati, la loro definitiva destinazione, risultando allegata all’atto, rinvenuto nella pratica comunale, una piantina che espressamente prevedeva la chiusura del vano;
e, all’esito di ciò, l’Ingegnere Capo, con lettera del 13/08/1971, comunicava al Sindaco del Comune di Salerno, che “eseguiti gli opportuni accertamenti, ha rilevato che la costruzione è stata realizzata in conformità al progetto approvato”, rilasciando nulla osta, sotto il profilo tecnico di propria competenza, in merito al rilascio del certificato d’abitabilità;
sicché, alla luce degli atti, esistenti nella pratica edilizia presso il Comune di Salerno, era “da discutere possa affermarsi l’esistenza dell’abuso contestato”;
del resto, “ulteriore conferma dell’esistenza del vano al 1971, epoca dei ricordato accertamento di conformità da parte dell’U. T. C. di Salerno”, si traeva “dallo stesso accatastamento che, alla data dcl 19/02/1972, attesta l’esistenza del vano, con relativa attribuzione di numero particellare”;
da ciò la natura “pacifica” della situazione, confermata, “per certi aspetti e paradossalmente”, dallo stesso Comune di Salerno, “che mai nulla ha rilevato in merito alla presunta, contestata, abusività ed ha, anzi, sempre percepito le imposte comunali sugli immobili, come attestato dalla certificazione in data 2/03/2007”, allegata. Inoltre, l’ente locale non aveva fornito alcuna motivazione, in merito alla sussistenza di un interesse pubblico attuale alla demolizione, e alle ragioni che determinavano l’interesse al sacrificio di posizioni giuridiche, ancorché private, consolidate nel tempo;
pur essendo noto “che nessuna motivazione deve sorreggere un’ordinanza di demolizione, in ragione della lesione dell’interesse pubblico, rappresentata dall’abuso e, quindi, dell’interesse della P. A. al ripristino della legalità”, pur tuttavia detto principio non trovava applicazione, in presenza di una “scoperta” dell’abuso, a distanza di anni;
caso, in cui occorreva una motivazione specifica, relativamente alle ragioni di pubblico interesse, che giustificano l’emanazione dell’atto, in ragione, a causa del lungo lasso di tempo trascorso dalla violazione della normativa urbanistica e/o edilizia, della situazione d’affidamento, consolidatasi in favore del privato (era citata giurisprudenza a sostegno);
del resto, alla luce di quanto sopra indicato, “il bene, nella sua attuale consistenza, deve ritenersi realizzato fin da epoca anteriore allo stesso certificato di abitabilità e comunque certamente era esistente, alla data dell’atto di donazione della nuda proprietà da parte di A P in favore della figlia e attuale ricorrente”;
e “sin dal citato atto di rettifica del 28/07/1971 si faceva espressamente riferimento alla planimetria relativa al complesso edilizio, dalla quale risultava già chiaramente lo stato dei luoghi, corrispondente a quello attuale e, specificamente, l’esistenza dell’unità immobiliare”, la cui illegittimità, pure, era stata ritenuta dall’Amministrazione;
quindi “al Comune di Salerno era conoscibile la realizzazione del suddetto locale, del quale soltanto oggi si chiede la demolizione, già ben oltre trenta anni fa”;
inoltre, “il pagamento dell’ICI, da parte della ricorrente determinava, “ex se, ulteriore elemento di conferma del consolidamento della situazione, confermandosi, indirettamente, la conoscenza, da parte del Comune, dell’esistenza della consistenza immobiliare de qua”;

II) Violazione di legge e del giusto procedimento. Eccesso di potere per difetto d’istruttoria e sviamento:

ulteriore vizio del provvedimento impugnato era da ravvisare “nella sua estrema genericità, tale da non consentire, al destinatario, alcuna effettiva ed adeguata difesa”;
il Comune s’era limitato “a dedurre l’illegittimità del vano, senza precisare le ragioni che l’avevano indotto a ritenere sussistente l’abuso”, di fatto deducendolo “da un asserito confronto degli elaborati grafici e descrittivi senza, tuttavia chiarire se l’esame sia stato effettuato, anche valorizzando quello allegato all’atto di rettifica ed alla pianta del piano ingresso, approvata dalla C. L. C., in data 14/05/1970”;
il tutto, senza considerare che l’ordine di demolizione, in quanto atto iniziale del procedimento sanzionatorio, e “in funzione della formale contestazione dell’illecito”, deve contenere una chiara e dettagliata descrizione delle opere che si assumono abusive (era citata giurisprudenza a sostegno);

III) Violazione di legge, in relazione all’art. 7 l. 7/08/90, n. 241:

era mancata la comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, conclusosi con il detto provvedimento, prescritta dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241;
“trattandosi di manufatto realizzato da oltre un trentennio, ne doveva scaturire, per l’Amministrazione, la necessità, prima d’assumere qualsiasi provvedimento, di rendere effettiva la partecipazione del privato al procedimento avviato, onde consentirgli di fornire tutte le giustificazioni in merito al presunto abuso”.

Si costituiva in giudizio il Comune di Salerno, con memoria in cui sosteneva la legittimità del proprio operato, “in presenza di evidente abusivismo edilizio, costituito dalla realizzazione di un locale, suddiviso in più ambienti tra loro comunicanti, adibiti ad uso ufficio, avente la superficie di mq. 170 circa, sito al piano d’ingresso del lotto “C” dell’immobile di via Migliorati, 51 – Parco Pellegrino – su area, destinata in parte a parcheggi pertinenziali e in parte a porticato, e avente due accessi indipendenti, ubicati rispettivamente in via Migliorati, 51 ed in via Felline, 11, il cha aveva comportato “la realizzazione di un organismo integralmente diverso da quello oggetto di concessione, sia per tipologia che per utilizzazione”;
in particolare, il provvedimento impugnato era stato emanato, a seguito di verbale di sopralluogo, datato 21.11.2006, n. 121442 di prot., effettuato dall’Ufficio Vigilanza del Settore Urbanistica del Comune di Salerno, il 10.11.2006, su richiesta della Polizia di Stato – Sezione Polizia Giudiziaria presso la Procura della Repubblica – in riferimento al processo penale, R. G. 133106/21;
in detto verbale era riportato analiticamente l’intervento edilizio realizzato il quale, come poteva agevolmente rilevarsi dagli atti concessori, rilasciati in data 30.08.1968, prot. 1348/6827 e dalla variante, presentata il 16.02.1970, non risultava autorizzato, né assentito con atti formali e, pertanto, era del tutto abusivo;
a confutazione di quanto asserito dalla ricorrente, s’evidenziava che: non poteva presupporsi la liceità del vano, come affermava controparte, sulla considerazione che l’assolvimento dei tributi su esso gravanti ne avesse legittimato la realizzazione;
parimenti, non costituiva prova della liceità del volume realizzato l’avvenuto accatastamento;
le avverse affermazioni, attinenti alla conoscibilità, da parte del Comune, dell’esistenza dell’unità immobiliare di cui è causa, e al conseguente comportamento acquiescente dell’ente, erano da confutare, “atteso che, con certificazione rilasciata il 26.04.2005, il Comune ribadiva testualmente che: sui grafici allegati alla licenza edilizia rilasciata il 30.08.1968 al sig. P A e alla successiva variante rilasciata il 26.05.1970, il piano terra del lotto C del fabbricato è adibito a parcheggio e porticato”;
né le rettifiche, apportare con atti notarili alla destinazione delle aree a parcheggi pertinenziali, potevano legittimare l’immobile in oggetto, essendo necessario, per la sua realizzazione, il rilascio d’apposito titolo abilitativo;
quanto, poi, al dedotto intervenuto rilascio del certificato d’abitabilità, lo stesso “non comprova il riferimento anche alle opere abusive, giacché le stesse potrebbero essere state realizzate in epoca successiva al suo rilascio”;
andava, infine, evidenziato che l’ordinanza gravata, in quanto atto vincolato, non implicava la necessità di comunicare l’avvio del procedimento al suo destinatario;
e, pertanto, “l’eventuale contributo partecipativo dell’interessato non potrebbe comunque influire sul contenuto del provvedimento stesso”;
veniva, quindi, meno l’invocata violazione della legge n. 241/90, come modificata dalla legge n. 15/05, e anzi, ai sensi del cpv. dell’art. 21 octies: “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”;
in ogni caso, anche a prescindere da quanto sopra, la supposta violazione degli artt. 7 e ss. della 1. 241/90, lamentata dalla ricorrente, era infondata, in quanto con nota, prot. n. 104510 dell’11.10.2006, l’Ufficio Urbanistica le aveva richiesto l’esibizione della documentazione, attestante la liceità dell’immobile de quo, richiesta rimasta inevasa.

Alla pubblica udienza del 18 marzo 2019, il ricorso era trattenuto in decisione.

DIRITTO

Rileva, preliminarmente, il Tribunale che, con il provvedimento gravato, il Direttore del Settore Urbanistica del Comune di Salerno, “Visto il rapporto dell’Ufficio Vigilanza, prot. n. 121442/06, dal quale si rileva, a seguito di sopralluogo effettuato presso la proprietà immobiliare di P E, ubicata al piano ingresso del fabbricato lotto “C” di Via Migliorati 51, identificato in N. C. E. U. di Salerno al Fg. 70 particella n. 308 sub 3, quanto segue: “In data 30.08.68 veniva rilasciata a P A autorizzazione edilizia prot. n. 1348/6827 per la realizzazione di n. 5 fabbricati (lotti A – B – C – D – E) al Torrione Alto e successiva concessione in variante rilasciata in data 26.05.70. Nel corso del sopralluogo e sulla scorta degli elaborati grafici e descrittivi allegati ai citati titoli autorizzativi è emerso che il piano ingresso (primo livello) del fabbricato “C”, destinato in parte ad area parcheggio e in parte a porticato, si presenta frazionato e con una diversa distribuzione, difatti in luogo del porticato e di parte dell’area parcheggio, lato sud/est del fabbricato “C”, risulta realizzato un locale, avente superficie complessiva di mq. 170,00 circa, adibito ad uso ufficio;
lo stesso è dotato di n. 2 accessi indipendenti, ubicati rispettivamente in Via Migliorati n. 51 ed in Via Felline n. 11, e risulta suddiviso in più ambienti, tra loro comunicanti. Gli stessi sono condotti in locazione dalle Società Ciampi Costruzioni s. r. l. e dal Consorzio Aracne s. c. a. r. l.”;
“Rilevato che tali opere, realizzate in assenza di titolo abilitativo , hanno comportato, altresì, la realizzazione di un organismo integralmente diverso da quello oggetto di concessione, sia per caratteristiche tipologiche che di utilizzazione”;
“Ritenuto di dover adottare i conseguenziali provvedimenti in merito”;
“Visto l’art. 31 del d. P. R. 380 del 6.06.2001 e successive modifiche ed integrazioni”;
ordinava, alla ricorrente, la demolizione della struttura abusiva di cui sopra, con ripristino dello stato dei luoghi, entro novanta giorni dalla data di notifica, “con preavviso che, in mancanza, si provvederà, ai sensi dell’art. 31 del d. P. R. 380/01 e successive modifiche ed integrazioni, all’acquisizione del bene e dell’area di sedime, e di quant’altro necessario, al patrimonio indisponibile dell’Amministrazione Comunale e alla successiva demolizione a spesa dei responsabili dell’abuso stesso (…)”.

L’oggetto dell’odierno gravame è, quindi, rappresentato da un’ordinanza di demolizione, fondata sulla mancanza d’idoneo titolo abilitativo, in grado di legittimare la contestata realizzazione dell’immobile abusivo, sopra descritto, nel lato sud – est del primo livello del lotto “C” di Parco Pellegrino, sito in Salerno nel quartiere Torrione Alto, in luogo del porticato e di parte dell’area parcheggio, previsti nell’autorizzazione edilizia del 1968 e nella concessione edilizia del 1970.

O, a fronte di tale provvedimento, è da escludere, anzitutto, invertendo l’ordine delle censure di parte ricorrente, che il Comune fosse tenuto a comunicare, alla ricorrente, l’avvio del procedimento, teso alla repressione dell’abuso edilizio accertato.

Tale conclusione costituisce il portato dell’univoca giurisprudenza del G. A., espressa, da ultimo, nelle massime seguenti: “L'ordine di demolizione di opere abusive non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, avendo carattere vincolato” (Consiglio di Stato, Sez. V, 12/10/2018, n. 5887);
“L'ordinanza di demolizione va emanata senza indugio e, in quanto tale, non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l'abuso, di cui l'interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. IV, 28/12/2018, n. 7393).

Del pari deve fondatamente escludersi che, ai fini dell’irrogazione della sanzione demolitorio – ripristinatoria, pur se ingiunta molti anni dopo la realizzazione dell’abuso, occorra una motivazione “rafforzata”, in punto d’interesse pubblico alla sua emanazione, in virtù del dedotto affidamento del privato, consolidatosi per effetto del decorso di un considerevole lasso temporale.

Valga, al riguardo, il riferimento alle massime che seguono: “La demolizione di un immobile edificato senza il necessario titolo, avendo natura vincolata ed essendo rigidamente ancorato alla sussistenza dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non necessita di specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongono la rimozione dell'abuso;
tale principio, peraltro, non ammette deroghe neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione sia intervenuta a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non sia finalizzato ad eludere l'onere di ripristino” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3/12/2018, n. 6839);
“L'emissione dell'ordinanza di demolizione di un'opera abusiva, anche qualora sia trascorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell'abuso, non necessita una particolare motivazione circa la sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legittimità violata” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. II, 11/12/2018, n. 7095).

Altrettanto privo di pregio si presenta il (secondo) motivo di censura, impingente nella dedotta genericità dell’ordinanza impugnata, la quale, giusta il suo contenuto, come sopra riportato integralmente, descrive invece, compiutamente ed idoneamente, l’abuso edilizio accertato, senza che possa derivarne, ad avviso del Collegio, alcuna menomazione del diritto di difesa della ricorrente (com’è, del resto, comprovato proprio dalla presentazione dell’odierno gravame), alla cui dedotta buona fede, ed asserita “convinzione della piena legittimità del vano” di cui sopra, nessun rilievo può essere d’altronde, sic et simpliciter, assegnato.

In realtà, attraverso la deduzione difensiva dell’estrema genericità del provvedimento de quo, parte ricorrente intende, in realtà, far risaltare altre circostanze, a suo avviso idonee ad incidere sulla legittimità del medesimo, e segnatamente quella dell’assunta legittimazione dell’ampliamento superficiario e volumetrico, realizzato al primo livello del fabbricato “C” in questione, per effetto, in particolare, della variante del 1970, che sarebbe stata autorizzata, in tale conformazione, dalla Commissione Edilizia Comunale in data 14.05.1970.

In effetti, al ricorso è allegato un elaborato tecnico, riferito al lotto “C” in oggetto e al piano “ingresso”, recante l’apposizione di un timbro con cui il sindaco, in data 26.05.1970, autorizzava, salvo il diritto dei terzi, e alle condizioni contenute nella lettera, a sua firma, prot. 10433 del 15.05.1970, “l’esecuzione dell’opera di cui al presente progetto, approvato in conformità del parere espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 14.05.1970, n. 183”.

Secondo parte ricorrente (che adopera peraltro, al riguardo, espressioni ellittiche – dall’esame degli atti della pratica edilizia, la ricorrente non aveva “tratto, ex se, la certezza che, nella fattispecie, il vano possa essere considerato privo di titolo edilizio ” – e dubitative – era “da discutere possa affermarsi l’esistenza dell’abuso contestato ”), tale variante avrebbe legittimato la parziale chiusura dell’area porticato e dell’area parcheggio del lotto edilizio in questione.

Di tanto, tuttavia, è più che lecito dubitare.

In primo luogo, l’ordinanza oggetto di gravame è connessa agli esiti del sopralluogo effettuato presso l’immobile de quo ed è stata adottata, “ sulla scorta degli elaborati grafici e descrittivi allegati ai citati titoli autorizzativi ” (sia del 1968, sia del 1970).

Inoltre, in data 26.04.2005, il Direttore del Settore Urbanistica del Comune di Salerno, “vista la licenza edilizia rilasciata in data 30.08.1968 a P A per la costruzione di cinque fabbricati al Torrione Alto e la successiva variante rilasciata in data 26.05.1970 (per il lotto C) ”, certificava (con atto, prot. 9060/428) “ che sui grafici allegati alle citate licenze edilizie il piano terra è adibito a parcheggio e porticato ” (e, inoltre, che “il P. R. G. (approvato con d. P. R. del 4.02.1965, pubblicato in G. U. n. 47 del 22.02.1966), allegato al vigente Regolamento Edilizio, nelle norme generali valevoli per le zone residenziali consente che i piani seminterrati ed eventualmente quote parti dei piani terreni siano adibiti a magazzini o sedi di laboratori artigiani o di piccole industrie, quando esse non siano né graveolenti, né rumorose”).

Sicché, a fronte di un certificato rilasciato, in forma ufficiale, dal Direttore del Settore Urbanistica, attestante le circostanze, sopra riportate in grassetto, non è possibile sostenere, in giudizio, l’esatto contrario, vale a dire che la concessione in variante del 26.05.1970 (da identificarsi, evidentemente, nel citato provvedimento, emesso mercé la sottoscrizione, da parte del Sindaco, del timbro, recante il contenuto sopra riferito) avrebbe invece legittimato la parziale chiusura del porticato e del parcheggio, cui era in origine adibito il piano terra dell’edificio “C”, con la creazione del “locale, avente superficie complessiva di mq. 170,00 circa, adibito ad uso ufficio”, oggetto dell’accertamento, posto a base della contestata ordinanza di demolizione.

Ciò, per la semplice, ma dirimente, ragione che tale certificato, emesso dal Direttore del Settore Urbanistica nell’esercizio delle sue funzioni, costituisce, all’evidenza, un atto avente fede privilegiata, in particolare facente fede, fino a querela di falso, della veridicità di quanto, in esso, attestato.

E non risulta, né invero è stato neppure affermato da parte ricorrente, che detta querela di falso sia stata, nella specie, presentata;
onde l’adibizione del piano terra del lotto in questione a parcheggio e porticato, non può essere messa in discussione, in questa sede.

In giurisprudenza, circa il valore fidefaciente del certificato in questione, si legga, in termini, la seguente massima: “Non occorre una sentenza dell'autorità giudiziaria per accertare l'epoca di ultimazione di opere oggetto di domande di conservazione, in quanto detto giudizio può senz'altro trarsi da una relazione del competente Ufficio tecnico comunale che, tra l'altro, fa fede fino a querela di falso ex art. 2700 c.c. e contro le cui risultanze il ricorrente non ha offerto alcun principio di prova” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. III, 12/01/2015, n. 129).

Se, del resto, “il verbale redatto e sottoscritto dagli agenti e dai tecnici del Comune a seguito di sopralluogo, attestante l'esistenza di manufatti abusivi, costituisce atto pubblico, fidefaciente fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c., delle circostanze di fatto in esse accertate sia relativamente allo stato di fatto e sia rispetto allo status quo ante” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 5/10/2018, n. 5738), a maggior ragione tale fede privilegiata deve assegnarsi ad un certificato, redatto dal Direttore del Settore Urbanistica del Comune, regolarmente protocollato e d’altronde non contestato (neppure in maniera generica) in corso di giudizio.

Ebbene, a fronte del valore fidefaciente, riconosciuto al certificato in oggetto, ogni altro profilo di censura esposto (segnatamente, nel contesto della prima doglianza), da parte ricorrente, del pari tendente ad affermare l’avvenuta legittimazione, da parte del Comune, del parziale cambio di destinazione d’uso del primo livello del fabbricato “C” in questione, inevitabilmente si scolora, e perde di rilevanza, non essendo evidentemente in grado di superare l’accertata adibizione, esclusivamente a parcheggio e porticato, del livello de quo, la quale esclude pertanto l’intervenuta autorizzazione, da parte del Comune, di qualsiasi incremento volumetrico e superficiario, mediante parziale chiusura, del piano ingresso del lotto “C”.

In ogni caso, s’osserva – conformemente a quanto rilevato dalla difesa dell’ente – che nessun pregio giuridico può assumere, in tale direzione, l’affermazione che il costruttore (dante causa della ricorrente), con atto di rettifica, a rogito del notaio Di F, del 28/07/1971, rep. 107398, “provvedeva ad imprimere alle aree del più complessivo intervento edilizio, interessante la realizzazione di cinque fabbricati, la loro definitiva destinazione, risultando allegata all’atto, rinvenuto nella pratica comunale, una piantina che espressamente prevedeva la chiusura del vano”: è ovvio, a tale riguardo, che un atto pubblico, espressione d’autonomia negoziale, come tale privo d’ogni connotazione autoritativa, non può “imprimere”, ad un immobile, alcuna destinazione urbanistica, diversa da quella, risultante dai titoli, per il medesimo rilasciati dalla P. A.

Ne consegue come la circostanza per cui la realizzazione del locale de quo (e il conseguente parziale cambio di destinazione d’uso del piano ingresso dello stabile, indicato con la lettera “C”) sia stata riportata nel predetto atto pubblico di rettifica, vada considerata del tutto irrilevante, ai presenti fini.

Tra l’altro, s’osserva che in detto atto di rettifica s’affermava espressamente che con atto del 25 maggio 1971, a rogito dello stesso notaio, il costituito P A “destinava permanentemente ad area di parcheggio, asservendole ai relativi fabbricati, le aree coperte e scoperte relative al Parco Pellegrino (…)”;
laddove, con successivo atto dello stesso notaio del 13.07.1971, a parziale modifica del precedente, “si dichiarava dal costituito che l’area di parcheggio asservita (…) di metri quadrati trecentoventuno, era quella risultante dalla planimetria allegata (…)”;
e che, successivamente, poiché anche tale planimetria era “risultata inesatta”, si dichiarava “che l’area asservita coperta e scoperta, sempre di metri quadrati trecentoventuno, è quella risultante definitivamente dalla planimetria, che si allega al presente atto sotto la lettera A), dove tale area è dipinta in colore blu”.

Ebbene, il Collegio rileva che se la tesi di parte ricorrente, secondo la quale il parziale cambio di destinazione d’uso, mercé la creazione del locale anzidetto, dell’area porticato e parcheggio del fabbricato “E”, fosse stato effettivamente legittimato, come sostenuto nell’atto introduttivo del giudizio, mercé l’autorizzazione edilizia, a firma del sindaco (su conforme parere della C. E. C.) del 26.05.1970, non si vede per quale ragione parte ricorrente avrebbe dovuto stipulare l’atto di rettifica in questione, cui allegava planimetrie riproducenti lo stato dei luoghi, come modificato a seguito del parziale cambio di destinazione d’uso di cui sopra.

Ne risulta confermato come l’atto pubblico di rettifica in oggetto non possa non apparire come il vano tentativo di conferire – con l’allegazione, allo stesso, di planimetrie, riproducenti lo stato dei luoghi modificato, rispetto a quello licenziato, anche in variante, dal Comune – legittimità postuma ad una modifica della conformazione del piano ingresso del citato fabbricato “E”, rimasta priva d’assenso esplicito, da parte dell’Amministrazione.

Del pari assolutamente non dirimente l’affermazione, contenuta nell’atto (alla cui autorità, pure, s’è appellata la ricorrente), a firma dell’ingegnere capo del Comune di Salerno, prot. 7094 del 23.08.1971, diretto al sindaco e secondo il quale – relativamente al lotto “C” in argomento – “la costruzione è stata realizzata in conformità al progetto approvato”, non essendovi, quindi, ostacoli al rilascio del certificato d’abitabilità: detta espressione, infatti, in sé e per sé considerata, non prova nulla, posto che la conformità al progetto approvato – soprattutto se letta in correlazione con il contenuto del predetto certificato del 2005, dotato di fede privilegiata, a firma del Direttore del Settore Urbanistica dell’ente – ben può essere intesa, nel senso del perdurante utilizzo, esclusivamente a porticato e a parcheggio, del primo livello dello stesso lotto “C” (tanto, indipendentemente dal contenuto del prefato atto pubblico di rettifica del 28.07.1971, che non può evidentemente valere, giusta quanto sopra rilevato, a conferire legittimità, sul piano urbanistico – edilizio, ad una costruzione, priva d’idoneo titolo abilitativo).

Del tutto insignificanti, infine, ai fini predetti, le circostanze, pure valorizzate in ricorso, dall’intervenuto accatastamento, alla data dcl 19/02/1972, del vano de quo, “con relativa attribuzione di numero particellare”;
e della regolare percezione, per il medesimo, da parte del Comune di Salerno, dell’imposta comunale sugli immobili.

Quanto all’affermazione, in giurisprudenza, che le risultanze catastali non fanno piena prova circa la titolarità della proprietà e degli altri diritti reali, cfr. T. A. R. Marche, Sez. I, 8/05/2015, n. 354: a fortiori, esse non possono conferire legittimità urbanistico – edilizia ad un immobile, che ne sia privo, per difetto del titolo abilitante alla sua edificazione.

Del tutto irrilevante, poi, che in relazione all’immobile abusivo de quo siano state pagate le imposte, e segnatamente l’I.C.I.;
soccorre, al riguardo, l’insegnamento del G. A., sintetizzato chiaramente nella massima seguente: “In materia di abuso edilizio, l'affidamento del privato che possa generare l'obbligo della Amministrazione di motivare in maniera specifica la sanzione ripristinatoria è solo quello che si traduce nella convinzione della legittimità dell'opera realizzata, escluso, peraltro, che tale convinzione possa fondarsi sul mero decorso del tempo accompagnato dall'inerzia dell'Amministrazione sino a quel momento, così come è escluso che possa assurgere a qualche rilevanza il convincimento di un supposto condono intervenuto medio tempore fondato sulla richiesta del pagamento di tasse e imposte;
queste ultime, infatti, discendono dall'esistenza dell'immobile e dal relativo uso e non dalla regolarità edilizia dello stesso, essendo dovute, ove ricorrano i presupposti per il prelievo fiscale, a prescindere dall'esistenza del titolo edilizio
” (T. A. R. Emilia Romagna – Parma, Sez. I, 10/05/2017, n. 154).

In conformità alle suddette considerazioni, il ricorso, in definitiva, non può trovare accoglimento.

Sussistono peraltro, per la risalenza e la peculiarità della specie, eccezionali motivi per compensare, tra le parti, spese e competenze di lite.

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