TAR Torino, sez. II, sentenza 2010-12-18, n. 201004587
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N. 04587/2010 REG.SEN.
N. 01308/1999 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1308 del 1999, proposto da:
G P M, rappresentato e difeso dall'avv. C R, con domicilio eletto presso l’avv. R L in Torino, corso Montevecchio, 50;
contro
Liquidazione Unificata Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta e delle Società controllate, rappresentato e difeso dall'avv. F L, con domicilio eletto presso l’avv. M G in Torino, corso V. Emanuele II, 90;
per l'accertamento
del diritto del ricorrente di ottenere dalla Liquidazione Unificata dell'Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta e delle Società controllate il rimborso, ai sensi dell'art. 13 della L. 12/8/1962 n. 1338, della somma di lire 9.044.100, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 30/10/1991 in poi sulle singole 60 rate di lire 150.753 cadauna
nonché per la condanna
ai sensi dell'art. 26 comma 3° della L. 6/12/1971 n. 1034 al pagamento delle anzidette somme di cui l'Amministrazione risulti debitrice.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Liquidazione Unificata Ente Nazionale per la Cellulosa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2010 il dott. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in oggetto, parte ricorrente ha chiesto l'accertamento del proprio diritto ad ottenere dalla Liquidazione Unificata dell'Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta e delle Società controllate, ente convenuto, il rimborso, ai sensi dell'art. 13 della L. 12 agosto 1962, n. 1338, della somma di lire 9.044.100, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 30 ottobre 1991 sulle singole 60 rate di lire 150.753, nonché la condanna al pagamento delle anzidette somme di cui l'Amministrazione risulterebbe debitrice.
Espone parte ricorrente di essere stato dipendente, a decorrere dal 10 aprile 1962, dell'Ente Nazionale Cellulosa e Carta, presso l'Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato;per il periodo iniziale di rapporto di lavoro con l'Ente Nazionale Cellulosa e Carta, e precisamente dal 10 aprile 1962 al 31 dicembre 1962, egli fu inquadrato come Bracciante Agricolo Avventizio;tuttavia, risultò un’omissione contributiva da parte dell'Ente Nazionale Cellulosa e Carta per tale periodo di lavoro.
Espone ancora parte ricorrente che in data 20 dicembre 1990 egli aveva richiesto all'I.N.P.S. la costituzione della rendita vitalizia ai sensi dell'art. 13 della L. 12 agosto 1962, n. 1338, avvalendosi della facoltà ivi prevista, in quanto lo stesso datore di lavoro non aveva ritenuto di provvedere direttamente alla costituzione di detta rendita. In data 31 luglio 1991, l'I.N.P.S. ha accolto la domanda e ha costituito tale rendita, con opzione per il pagamento rateale in rate mensili di lire 150.735, per un complessivo importo di lire 9.044.100.
Espone, infine, parte ricorrente di dover chiedere il rimborso, ai sensi dell'art. 13 della L. 12 agosto 1962, n. 1338, dell'onere sopportato al fine di ovviare all'omissione contributiva, pari a lire 9.044.100, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 30/10/1991 in poi sulle singole 60 rate di lire 150.753 cadauna, nonché chiede la condanna ai sensi dell'art. 26, comma 3, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 al pagamento delle predette somme di cui l'Amministrazione risulti debitrice.
Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 10 novembre 2010, il ricorso veniva posto in decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato.
Preliminarmente, si deve osservare che la controversia sugli obblighi contributivi che si connettono ad un rapporto di impiego con un Ente pubblico, come nel caso di specie, implicano che la relativa domanda di risarcimento (per l'omessa contribuzione) ricada nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.
Tale assunto risale ad una nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 27 aprile 1981, n. 2, secondo cui, ai sensi dell'art. 30 t.u. n. 1054 del 1924, hanno natura di questioni attinenti a diritti patrimoniali consequenziali e restano perciò sottratte alla giurisdizione amministrativa, quelle che si pongono come ulteriori e indipendenti rispetto al giudizio principale;non prospetta, pertanto, questioni consequenziali, in quanto non esige alcuna ulteriore indagine rispetto alla pronuncia sul credito principale, la domanda degli interessi legali, anche moratori, spettanti al ricorrente su retribuzioni dovute a seguito del giudizio di legittimità di un atto o comportamento amministrativo nell'ambito di un rapporto di impiego.
Tale orientamento, che ha posto fine ad un annoso dibattito, con grave incertezza per le relative questioni afferenti le liti dei dipendenti, costretti ad adire due giudici di ordini diversi per far valere diritti nascenti dallo stesso fatto genetico, è stato ulteriormente ribadito, con riferimento agli obblighi contributivi rimasti inadempiuti, da una successiva pronuncia (Consiglio di Stato, Ad. Pl., 1° dicembre 1995, n. 32), secondo cui, in tema di previdenza e assistenza obbligatoria in favore di dipendenti pubblici restano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie promosse dal dipendente nei confronti del datore di lavoro, sia per far valere l'obbligo di quest'ultimo al versamento dei contributi assicurativi, sia per invocare la responsabilità risarcitoria per omessa contribuzione.
Peraltro, con l’attribuzione del potere di disporre il risarcimento del danno, attribuito dal giudice amministrativo (limitatamente alla giurisdizione esclusiva) con l’art. 35 del d. lgs. n. 80 del 1998, esteso in via generale ad opera dell’art. 7 della l. 205 del 2000 e, oggi, con l’art. 30 del d. lgs. 104 del 2010 (cd. Codice del processo amministrativo), l’eventuale dubbio giurisdizionale, quand’anche si volesse eccepirlo, risulta superato per effetto del noto principio di immediata applicabilità dello ius superveniens attributivo di giurisdizione (o di competenza): le norme sopravvenute in corso di giudizio che modifichino la giurisdizione e la competenza trovano applicazione anche nei giudizi pendenti se tale giurisdizione o competenza venga, per l'effetto, attribuita ai giudici dinanzi ai quali la causa pende, ovvero dinanzi ai quali la causa stessa dovrebbe essere ripresa o riassunta se fosse dichiarato che, al momento della domanda, essi mancavano della giurisdizione o della competenza che hanno esercitato (cfr., recentemente, Cassazione civile, sez. II, 9 giugno 2010, n. 13882).
Tale principio, che discende dal principio di economia dei giudizi e che ha assunto, oggi, una nuova e più ampia dimensione, nonché copertura costituzionale nell’art. 111 Cost. (ragionevole durata del processo), imponendo all’interprete, nella risoluzione di questioni attinenti alle norme sullo svolgimento del processo, come quella di specie, una nuova sensibilità e un nuovo approccio ermeneutico che tenga conto non solo della coerenza logico-concettuale della norma e dei relativi concetti giuridici sul piano tradizionale, ma anche del suo impatto operativo sull’obiettivo pratico (di importanza costituzionale, legata ad esigenza di tutela di un diritto fondamentale protetto a livello di Convenzione europea dei diritti dell’Uomo) di assicurare la ragionevole durata del processo, in combinazione con l’art. 24 della Costituzione.
Peraltro, il principio di matrice giurisprudenziale di immediata applicabilità dello ius superveniens trova una sua specifica disciplina nell’art. 8 della l. 31 maggio 1995, n. 218 sulla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, che stabilisce che (per la determinazione della giurisdizione italiana) si applica l'articolo 5 del codice di procedura civile, ma la giurisdizione sussiste se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo.
Tale regola si deve intendere espressiva di un principio generale, altrimenti risultando incomprensibile la sua collocazione esclusivamente nell’ambito del diritto internazionale privato.
Si potrebbe, al più, dubitare se le anzidette norme (art. 35 del d. lgs. n. 80 del 1998, art. 7 della l. 205 del 2000 e art. 30 del d. lgs. 104 del 2010) siano norme attributive di giurisdizione ovvero, come appare più verosimile alla luce della lettura che ne è stata data dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004, e suffragata dallo stesso Codice del processo amministrativo che la include nella disciplina delle azioni, non sia soltanto che un nuovo strumento di tutela che completa quella accordata al privato.
A prescindere da tale sottile distinzione, quello che è certo è che l’originaria esclusione dell’ambito della giurisdizione amministrativa dei diritti patrimoniale consequenziali, individuata dall’art. 7 della l. n. 1034 del 1971, e nella quale si faceva ricadere la controversia in tema di risarcimento del danno, è venuta meno, modificando, di conseguenza, il perimetro della giurisdizione del giudice amministrativo che oggi, senz’altro, può conoscere di tali liti, con conseguente operatività del summenzionato principio di immediata applicabilità dello ius superveniens.
Aggiungasi ancora, per completezza, che rientra nella giurisdizione di codesto plesso giurisdizionale anche la domanda del soggetto che, in relazione al mancato versamento, da parte dell’ente pubblico datore di lavoro, di contributi previdenziali, chieda la costituzione di una rendita vitalizia ai sensi dell’art. 13 L. n. 1338 del 1962 (cfr. TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 30 settembre 2010, n. 7928).
Tale pronuncia si basa anch’essa sul presupposto che le domande di risarcimento del danno per inadempimento degli obblighi contributivi, ancorché nella forma della costituzione di una rendita vitalizia, hanno per oggetto obbligazioni direttamente attinenti al rapporto di lavoro e quindi non riconducibili a una causa previdenziale.
Il Collegio osserva, inoltre, che il ricorso, attinente ad ipotesi di pubblico impiego privatizzato, è anteriore alla scadenza del termine di cui all'art. 69, comma 7, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Nel merito, ritiene il Collegio che le circostanze di fatto dedotte in ricorso siano precisamente dimostrate dai documenti agli atti.
Lo stato di servizio del periodo 10 aprile 1962 – 31 dicembre 1962 attesta come il ricorrente abbia lavorato ininterrottamente quale dipendente dell'Ente Nazionale Cellulosa e Carta presso l'Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato.
Peraltro, in esito all'istruttoria presidenziale disposta in corso di giudizio, l'I.N.P.S. ha trasmesso gli atti del procedimento di costituzione della rendita vitalizia a favore del ricorrente per omissione contributiva del datore di lavoro;tra gli atti trasmessi vi è il libretto di lavoro del ricorrente, che attesta l'identico periodo di servizio.
Inoltre, l’atto di assunzione a tempo determinato per anni due dal 1° gennaio 1963, dimostra che il ricorrente ha lavorato senza soluzione di continuità rispetto al servizio della cui omissione contributiva si discute, sempre quale dipendente dell'Ente Nazionale Cellulosa e Carta presso l'Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato;l'atto di assunzione in servizio alle dipendenze della Società Agricola Forestale S.A.F., succeduta all'Ente Nazionale Cellulosa e Carta riconosce, infine, l'anzianità in servizio dal 10 aprile 1962, vale a dire dal giorno di inizio del periodo di servizio della cui omissione contributiva si discute.
Parte ricorrente ha inoltre dimostrato il proprio diritto soggettivo al regolare versamento dei contributi previdenziali in proprio favore ed alla conformità alle prescrizioni di legge della propria posizione assicurativa, costituendo questa un bene suscettibile di lesione e di tutela giuridica nei confronti del datore di lavoro che lo abbia pregiudicato (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 15 settembre 2004, n. 9199), mediante la produzione della ricevuta di presentazione della domanda di costituzione di rendita vitalizia reversibile per contributi omessi ai sensi dell'art. 13 della L. 12 agosto 1962, n. 1338 e dell'atto di costituzione della rendita per un ammontare complessivo di lire 9.044.100 e dei relativi bollettini di versamento.
L'omissione contributiva concerne il già citato periodo nel quale il ricorrente era dipendente dell'Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato, fondato l'11 luglio 1937, passato dal 1952 all'Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta;dal 1979 l'Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta (E.N.C.C.) ha affidato la gestione dell'Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato a una delle società affiliate, la Società Agricola e Forestale per le Piante da Cellulosa e da Carta, e con D.L. 27 agosto 1994, n. 513, conv. in L. 28 ottobre 1994, n. 595 è stata disposta la liquidazione dell'E.N.C.C. e delle sue controllate.
La controllata S.A.F., in particolare, è stata posta in liquidazione coatta amministrativa con D.M. 22 settembre 1994, che ha contestualmente autorizzato la continuazione dell'esercizio di impresa, cui è seguito il D.M. 4 ottobre 1994 che ne ha nominato il commissario;il successivo D.L. 21 giugno 1995, n. 240, conv. in L. 3 agosto 1995, n. 337 ha unificato le varie procedure liquidatorie di ente controllante e società controllate in capo al commissario liquidatore dell'E.N.C.C. ed ha stabilito che il personale dipendente fosse iscritto dal 1° agosto 1995 a domanda in uno speciale Ruolo Unico Transitorio, posto alle dipendenze dello stesso commissario ed inquadrato giuridicamente secondo le norme del comparto ministeriale.
Infine, in tempi più recenti, con d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 454, il settore della ricerca in agricoltura è stato riorganizzato mediante la creazione del Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, ente di diritto pubblico posto sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole e forestali;ai sensi dell'art. 9, il personale dipendente degli istituti, tra cui quello dell'Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato, iscritto nel Ruolo Unico Transitorio, è stato fatto confluire nel ruolo organico del Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura con decorrenza dalla data di approvazione ministeriale dei regolamenti di organizzazione e funzionamento e di amministrazione e contabilità, in data 1° ottobre 2004.
Dalla stessa data gli istituti di sperimentazione esistenti tra cui l'Isti-tuto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato sono sottoposti, con una relativa autonomia, allo stesso Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura.
Successivamente alla notifica del presente ricorso, in forza del D.M. 4 maggio 2000 sono state avocate, con decorrenza 1° maggio 2000, al Ministero del Tesoro e contestualmente affidate all'Ispettorato generale per la liquidazione degli enti disciolti le residue operazioni liquidatorie della Liquidazione unificata E.N.C.C. e società controllate. Con L. 27 marzo 2001, n. 122 l'Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato è stato devoluto (ex art. 5, comma 5), per essere utilizzato nell'ambito della riforma degli istituti di ricerca e sperimentazione agraria, al Ministero delle politiche agricole e forestali con decorrenza dal 2 maggio 2001.
Il Ministero, con decreto 21 dicembre 2001, prot. 3386 ha temporaneamente affidato la gestione amministrativa dell'Istituto di Sperimentazione per la Pioppicoltura di Casale Monferrato all'Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo di Firenze.
Alla luce di tali complesse vicende, deve, tuttavia, essere confermato il principio secondo cui, nell'ipotesi di successione a titolo particolare tra enti con trasferimento ex lege di una parte dei beni e rapporti ad un nuovo ente senza l'estinzione di quello originario, la successione nel processo è disciplinata dall'art. 111 c.p.c., (cui oggi rinvia l’art. 39 CPA), in forza del quale il processo prosegue fra le parti originarie salva l'estromissione consensuale del dante causa (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 7 settembre 2009, n. 5238).
Peraltro, si deve ricordare che la successione o il trasferimento di competenze tra enti era regolato dall'art. 92, r.d. 17 agosto 1907, n. 642, in virtù del quale la morte o il cambiamento di stato delle parti non sospende il processo, né implica l'integrazione del contraddittorio nei riguardi dell'ente subentrante, cui è consentito soltanto l'intervento spontaneo nella causa.
E’ pur vero che tale norma è stata abrogata dall'art. 4, comma 1, punto 2), dell'Allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e che l’art. 79 del CPA rinvia direttamente alle competenti norme del codice di rito civile con riguardo all’interruzione e alla sospensione del giudizio;tuttavia, nel caso di specie, come si è visto, non siamo di fronte all’estinzione di un ente, ma alla sua semplice successione, con la conseguenza che va ribadito, come detto, il principio secondo cui la successione nel processo è disciplinata dall'art. 111 c.p.c., (cui oggi rinvia l’art. 39 CPA), in forza del quale il processo prosegue fra le parti originarie salva l'estromissione consensuale del dante causa.
In punto prescrizione, peraltro non eccepita, si può sinteticamente evidenziare che il diritto del lavoratore al risarcimento del danno per omessa o irregolare contribuzione assicurativa di cui all'art. 2116, comma 2, c.c., risarcimento conseguibile anche attraverso il recupero della somma occorsa per la costituzione di rendita vitalizia a norma dell'art. 13 l. n. 1338 del 1962, sorge solo nel momento in cui si verifica il duplice presupposto dell'inadempienza contributiva del datore di lavoro e della perdita, totale o parziale, della prestazione previdenziale od assistenziale, con la conseguenza che da tale momento, e non da quello in cui i contributi omessi avrebbero dovuto essere versati o ne sia maturata la prescrizione o sia cessato il rapporto di lavoro, decorre la prescrizione di tale diritto (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 15 aprile 1999, n. 3773 e cfr. TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 30 settembre 2010, n. 7928).
Nel caso concreto, la prescrizione, al momento della notifica del ricorso o non era ancora iniziata a decorrere, atteso che il dipendente non era ancora in quiescenza, o non era compiuta se si considera che la costituzione della rendita è avvenuta nel 1991.
Quanto agli accessori del credito richiesti, si deve ricordare che, nella materia dei crediti previdenziali e assistenziali, il diritto a percepire gli interessi sui ratei arretrati delle prestazioni maturati (prima della liquidazione) posteriormente all'entrata in vigore dell'art. 16, comma 6, l. n. 412 del 1991 (che ha introdotto il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria, non applicabile nella specie ratione temporis) è soggetto alla prescrizione decennale, non potendo trovare applicazione la prescrizione quinquennale ex art. 2948, comma 4, c.c., che si riferisce alle obbligazioni periodiche e di durata, e trattandosi di un credito che, a seguito della modifica apportata dalla predetta l. n. 412 del 1991, rientra nella disciplina dell'art. 1224 c.c., prevista per la responsabilità contrattuale connessa alla mora debendi ed avente perciò anche una funzione risarcitoria (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 14 febbraio 2004, n. 2868).
Pertanto, dimostrato il titolo e il quantum, alla luce di quanto sopra esposto, si deve accertare il diritto del ricorrente di ottenere, dalla Liquidazione Unificata dell'Ente Nazionale per la Cellulosa e per la Carta e delle Società controllate, il rimborso ai sensi dell'art. 13 della L. 12 agosto 1962, n. 1338 della somma di lire 9.044.100, con gli interessi di mora, al tasso legale, e rivalutazione dal 30 ottobre 1991 fino alla data dell’effettivo soddisfo, sulle singole 60 rate di lire 150.753 (secondo il tasso di conversione della lira in euro irrevocabilmente e senza possibilità di oscillazioni fissato nel trattato istitutivo della moneta unica europea), con conseguente condanna dell’Amministrazione convenuta.
Non è applicabile, nella specie, il nuovo principio scolpito dalla Cassazione civile, Sez. Un., 16 luglio 2008, n. 19499, in tema di maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2 c.c., secondo cui nelle obbligazioni pecuniarie è fatta salva la possibilità del debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore alla differenza tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata.
Qui, infatti, trova diretta applicazione l’art. 429, comma 3, c.p.c., disposizione che detta una particolare disciplina dei cd. “crediti sensibili”, cioè crediti pecuniari aventi anche funzione alimentare (come, parallelamente, i crediti ex art. 155, comma 5, c.c. in tema di assegno di separazione ed ex art. 5, comma 7, l. 898 del 1970), statuendone l’automatica rivalutazione;poiché, inoltre, si tratta di credito sorto anteriormente, come detto, all'entrata in vigore dell'art. 16, comma 6, l. n. 412 del 1991, l’applicazione dell’art. 429 c.p.c. è integrale.
Peraltro, gli interessi e la rivalutazione sui crediti di lavoro tardivamente corrisposti, ivi compresi quelli concernenti il lavoro pubblico vanno liquidati d'ufficio dal giudice, ai sensi dell'art. 429, comma 3, c.p.c., senza necessità di una specifica domanda del lavoratore, e quindi anche a prescindere dalla loro quantificazione operata dal lavoratore medesimo (cfr. Cassazione civile, Sez. Un., 7 luglio 2010, n. 16036).
Vista la soccombenza, si deve condannare, inoltre, l’Amministrazione convenuta al pagamento delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.