TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2020-10-28, n. 202011004
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Pubblicato il 28/10/2020
N. 11004/2020 REG.PROV.COLL.
N. 14327/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 14327 del 2019, proposto da
E P V, rappresentato e difeso da se stesso e dall’avvocato L F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Consiglio Nazionale Forense, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati F C e G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
previa sospensione
del bando indetto dal Consiglio Nazionale Forense presso il Ministero della Giustizia per l’ammissione al corso propedeutico all’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle Giurisdizioni superiori, ai sensi dell’art. 22, comma 2, della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, pubblicato il 22.10.2019 e, in particolare, dell'art. 1 “Requisiti di ammissione” lettera a) dove prevede tra i requisiti “a) l’iscrizione all’Albo ordinario o all’Elenco speciale degli Avvocati di enti pubblici da almeno otto anni”, nonché per l'annullamento di ogni altro atto presupposto, consequenziale o connesso a quello impugnato se lesivo degli interessi dell'odierno ricorrente;
del Regolamento del Consiglio Nazionale Forense n. 1 del 20 novembre 2015 di cui all'art. 22 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 sui corsi per l'iscrizione all' “Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori”, come modificato dalla delibera del Consiglio assunta nella seduta amministrativa del 14 giugno 2019 nella quale sono state aggiunte all'art. 1 comma 1, a seguito di albo, le seguenti parole: «ordinario o all’elenco speciale degli Avvocati di enti pubblici»;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consiglio Nazionale Forense e del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2020 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato al Consiglio nazionale forense e al Ministero della giustizia il 20 novembre 2019 il ricorrente, iscritto all’albo degli avvocati di Roma dal 15 luglio 2010 in qualità di avvocato stabilito e iscritto all’albo ordinario in data 8 gennaio 2018, impugna il bando indetto dal Consiglio nazionale forense presso il Ministero della giustizia per l’ammissione al corso propedeutico all’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, ai sensi dell’articolo 22, comma 2, della legge numero 247 del 2012, bando pubblicato il 22 ottobre 2019.
Il bando viene censurato nella parte in cui, all’articolo 1, tra i requisiti di ammissione, prevede l’iscrizione all’albo ordinario da almeno 8 anni.
Il ricorrente impugna anche il regolamento del Consiglio nazionale forense numero 1 del 2015, come modificato dalla delibera del Consiglio in data 14 giugno 2019.
Gli atti impugnati sono censurati per violazione dell’articolo 22, comma 2, della legge numero 247 del 2012 e per violazione dell’articolo 9 del decreto legislativo numero 96 del 2001, come modificato dall’articolo 1 della legge numero 167 del 2017, nonché per violazione dei principi comunitari di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.
Il Consiglio nazionale forense si costituisce in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso, per infondatezza.
Il Ministero della Giustizia si costituisce eccependo il difetto di legittimazione passiva.
In fase cautelare il ricorrente chiede l’ammissione con riserva al corso propedeutico all’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
Il Tribunale amministrativo regionale, dopo aver accolto provvisoriamente, con decreto monocratico numero 7315 del 2019, l’istanza cautelare al solo fine di consentire all’interessato la presentazione della domanda di partecipazione al corso, respinge l’istanza cautelare, con ordinanza numero 8243 del 17 dicembre 2019, condividendo, alla sommaria cognizione propria della fase cautelare, la ricostruzione giuridica proposta dalla difesa del Consiglio nazionale forense sui requisiti di accesso al corso per l’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
L’ordinanza cautelare di primo grado viene impugnata in appello al Consiglio di Stato che, con ordinanza numero 447 del 21 febbraio 2020, accoglie l’appello cautelare, al solo fine della sollecita definizione della controversia nel merito, ai sensi dell’articolo 55, comma 10, del codice processuale amministrativo.
Il ricorrente propone quindi una nuova istanza cautelare per la partecipazione al corso, respinta dapprima con decreto presidenziale numero 4421 del 22 giugno 2020 e, successivamente, in sede collegiale, con ordinanza numero 4720 del 14 luglio 2020.
Anche questa ordinanza cautelare viene impugnata, ma il Consiglio di Stato respinge l’appello cautelare, dapprima con decreto presidenziale numero 4713 del 5 agosto 2020 e, quindi, in sede collegiale, con ordinanza numero 5579 del 21 settembre 2020.
Nel corso del contraddittorio scritto, precedente l’udienza di merito, il Consiglio nazionale forense eccepisce l’improcedibilità del ricorso, non essendo stato impugnato dal ricorrente l’elenco degli avvocati ammessi al corso propedeutico.
La difesa del ricorrente eccepisce, a sua volta, la infondatezza della questione di procedibilità del ricorso e insiste nella domanda di annullamento degli atti impugnati.
Il ricorso è trattato, nel merito, all’udienza del 20 ottobre 2020, per essere deciso.
DIRITTO
L’avvocato ricorrente è iscritto all’albo degli avvocati di Roma dal 15 luglio 2010 come avvocato stabilito, essendo transitato nell’albo ordinario l’8 gennaio 2015. Esercita la professione in Spagna dal 1 giugno 2010.
Con il ricorso che viene in decisione impugna il bando per l’ammissione al corso propedeutico all’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, nella parte in cui prevede, tra i requisiti di ammissione, l’iscrizione all’albo ordinario da almeno 8 anni. Impugna inoltre il regolamento del Consiglio nazionale forense numero 1 del 2015, applicativo dell’articolo 22 della legge numero 247 del 2012, disciplinante i corsi per l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, come modificato dalla delibera del Consiglio del 14 giugno 2019 che ha aggiunto, all’articolo 1 comma 1, alla parola “albo” la parola “ordinario” in tal modo restringendo il requisito di accesso ai soli avvocati iscritti da 8 anni all’albo ordinario, senza tenere conto del periodo di iscrizione nella sezione speciale dell’albo riservata agli avvocati stabiliti.
Preliminarmente deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Giustizia, essendo impugnati atti e provvedimenti adottati dal Consiglio nazionale forense, per cui il Ministero risulta estraneo alla controversia e deve essere estromesso dal giudizio.
Ancora in via preliminare, deve essere esaminata la eccezione di improcedibilità del ricorso per mancata impugnazione del sopravvenuto elenco degli ammessi al corso propedeutico. Ad avviso del Consiglio nazionale forense sarebbe sopravvenuto il difetto di interesse alla decisione, non essendo stato impugnato il provvedimento conclusivo del procedimento di ammissione al corso propedeutico, per cui il ricorrente non potrebbe trarre alcuna utilità dall’eventuale decisione favorevole di annullamento del bando.
L’eccezione è infondata perché l’esclusione del ricorrente dall’elenco degli avvocati ammessi al corso discende automaticamente dall’applicazione dei requisiti di partecipazione, tempestivamente impugnati dal ricorrente. Infatti l’atto finale, consistente nella formazione dell’elenco, non consegue ad ulteriori valutazioni rispetto a quella di accertamento del mancato possesso del requisito, ritualmente contestata dal ricorrente, per cui l’atto definitivamente esclusivo sarebbe automaticamente caducato dalla eventuale decisione di annullamento della clausola escludente contenuta nel bando.
Nel merito, i due motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente connessi.
Il ricorrente censura gli atti impugnati, con il 1° motivo, per violazione dell’articolo 22, comma 2, della legge numero 247 del 2012 e, con il 2º motivo, per violazione dell’articolo 9 del decreto legislativo numero 96 del 2001 come modificato dall’articolo 1 della legge numero 167 del 2017, nonché per violazione dei principi comunitari di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, contemplati dagli articoli 49 e 56 del Trattato di funzionamento dell’unione europea.
Il ricorrente propone una lettura integrata della normativa richiamata, da cui discenderebbe la illegittimità dei requisiti di ammissione al corso propedeutico all’iscrizione nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione.
L’articolo 22, albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, della legge 31/12/2012, n. 247, Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, al comma 2 prevede che l’iscrizione nell'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori può essere richiesta al CNF anche da chi, avendo maturato una anzianità di iscrizione all'albo di otto anni, successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell'avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal CNF.
Quindi, ad avviso del ricorrente, l’articolo 22, comma 2, della legge 247 del 2012 non richiederebbe 8 anni di iscrizione all’albo ordinario per poter partecipare al corso, essendo sufficienti 8 anni di iscrizione all’albo, compresi gli anni di iscrizione in qualità di avvocato stabilito.
L’interessato, avendo maturato oltre 8 anni di iscrizione all’albo, essendo iscritto dal 15 luglio 2010 nella qualità di avvocato stabilito e dall’8 gennaio 2015 nella qualità di avvocato iscritto nell’albo ordinario, avrebbe dunque maturato il requisito minimo per l’ammissione al corso.
L’ammissione gli viene impedita dal regolamento del Consiglio nazionale forense numero 1 del 2015, come modificato con delibera del 14 giugno 2019, nonché dal bando che ha dato pedissequa applicazione al regolamento, atteso che il regolamento, all’articolo 1, ha precisato che l’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori può essere richiesta dagli avvocati che abbiano maturato una anzianità di iscrizione all’albo ordinario di 8 anni.
Con il 2º motivo il ricorrente deduce la illegittimità della delimitazione del requisito di iscrizione di 8 anni con riferimento all’albo ordinario, senza tener conto della precedente iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati, riservata agli avvocati stabiliti. A suo avviso il regolamento sarebbe in contrasto con l’articolo 9 del decreto legislativo numero 96 del 2001 oltre che con i principi comunitari precedentemente richiamati.
Infatti il D.lgs. 02/02/2001, n. 96, Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, all’articolo 9 “Patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori”, comma 1, dispone che nei giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione ed alle altre giurisdizioni superiori l'avvocato stabilito può assumere il patrocinio se iscritto in una sezione speciale dell'albo di cui all'art. 33 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 36 del 1934, e successive modificazioni, ferma restando l'intesa di cui all'articolo 8, commi 1 e 2, con un avvocato abilitato ad esercitare davanti a dette giurisdizioni.
Il successivo comma 2 prevede che l'iscrizione nella sezione speciale dell'albo indicato al comma 1 può essere richiesta al Consiglio nazionale forense dall'avvocato stabilito che dimostri di aver esercitato la professione di avvocato per almeno otto anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell'attività professionale eventualmente svolta in Italia, e che successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell'avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal Consiglio nazionale forense, ai sensi dell'articolo 22, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247.
Quindi, se la legge consente all’avvocato stabilito in Italia di assumere il patrocinio iscrivendosi in una sezione speciale dell’albo dei cassazionisti e se l’iscrizione in questa sezione speciale può essere ottenuta avendo esercitato la professione di avvocato per almeno 8 anni in uno Stato membro, tenuto conto anche dell’attività svolta in Italia, non potrebbe essere legittimamente negata l’ammissione al corso propedeutico anche all’avvocato stabilitosi in Italia e successivamente transitato nell’albo ordinario, per complessivi 8 anni di esercizio della professione.
Il Consiglio nazionale forense respinge l’interpretazione proposta dal ricorrente sostenendo che il periodo di esercizio della professione nella qualità di avvocato stabilito non può essere sommato a quello di iscrizione nell’albo ordinario, al fine della maturazione del requisito minimo di 8 anni per la partecipazione al corso propedeutico all’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio innanzi alla Cassazione.
Ciò in quanto si tratterebbe di requisiti infungibili, diversi per i presupposti di accesso, per la diversità del luogo di iscrizione e per la diversità del regime giuridico sulle modalità di esercizio della professione.
Quanto al requisito di accesso, l’iscrizione nell’albo ordinario da almeno 8 anni non sarebbe equiparabile all’iscrizione nell’albo ordinario da meno di 8 anni accompagnata da un periodo complementare di iscrizione nella sezione speciale dell’albo riservata agli avvocati stabiliti, perché l’avvocato stabilito esercita la professione spendendo il titolo acquisito all’estero, in uno stato dell’Unione europea, ma nel triennio di iscrizione nella sezione speciale può esercitare la professione soltanto previa intesa con un avvocato iscritto all’albo ordinario.
Anche il luogo di iscrizione sarebbe diverso. L’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo numero 96 del 2001 consente all’avvocato stabilito che abbia esercitato per almeno 8 anni l’attività professionale, in Italia come negli stati membri, l’iscrizione non già nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione, bensì in una sezione speciale dell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione.
Coerentemente, anche il regime giuridico delle modalità di esercizio della professione sarebbe diverso, perché l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione consente il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori all’avvocato stabilito soltanto avvalendosi dell’intesa con un altro avvocato iscritto nell’albo superiore.
Quindi, ad avviso del Consiglio nazionale forense, il ricorrente avrebbe potuto mantenere il titolo di avvocato stabilito, iscritto nella sezione speciale dell’albo degli avvocati mediante l’abilitazione acquisita in altro Stato dell’Unione e avrebbe potuto spendere il titolo per chiedere l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione.
In alternativa, essendosi integrato nell’albo ordinario, avendo concluso il triennio nella sezione speciale, per iscriversi nell’albo superiore dovrebbe maturare il requisito di 8 anni di iscrizione nell’albo ordinario, al pari di tutti gli avvocati ordinari, per evitare discriminazioni a danno degli avvocati fin dall’inizio iscritti nell’albo ordinario.
A giudizio del Collegio il ricorso è fondato.
La ricostruzione giuridica sostenuta dal Consiglio nazionale forense risulta coerente in punto di interpretazione letterale, in quanto delimita rigorosamente i percorsi professionali necessari per l’iscrizione nell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione e nella sezione speciale dell’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione, impedendo la sovrapposizione di tali percorsi e non consentendo all’avvocato, inizialmente iscritto all’albo nella qualità di avvocato stabilito e successivamente iscritto all’albo ordinario, il cumulo dei due periodi di esercizio della professione, contraddistinti da una disciplina diversa, essendo richiesta l’intesa con un avvocato iscritto all’albo ordinario per esercitare la professione nella qualità di avvocato stabilito.
La suddetta interpretazione, peraltro, non appare conforme al diritto dell’Unione europea, in particolare al principio desumibile dall’art. 13 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, Dir. 07/09/2005, n. 2005/36/CE, così sostituito dall'articolo 1 della direttiva 2013/55/UE.
La disposizione richiamata prescrive che se, in uno Stato membro ospitante, l'accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l'autorità competente di tale Stato membro permette l'accesso alla professione e ne consente l'esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell'attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all'articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio.
Il principio di diritto europeo, in sostanza, impedisce qualsiasi discriminazione tra i professionisti abilitati all’esercizio della professione nello Stato ospitante e i professionisti abilitati in altro Stato membro dell’Unione, una volta riconosciuta la validità del titolo abilitante conseguito nello Stato estero.
Si deve inoltre tenere conto dell’articolo 10 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, Dir. 16/02/1998, n. 98/5/CE.
Al comma 3 dell’articolo 10 la Direttiva dispone che un avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine in uno Stato membro e che dimostri un’attività effettiva e regolare per un periodo di almeno 3 anni nello Stato ospitante può ottenere dall’autorità competente di detto Stato membro l’accesso alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante.
Nell’ordinamento italiano la Direttiva è stata trasposta mediante l’istituzione della figura dell’avvocato integrato che, avendo chiesto e ottenuto l’iscrizione all’albo ordinario degli avvocati, viene totalmente equiparato agli avvocati nazionali.
L’equiparazione presuppone che l’avvocato abbia svolto effettivamente e regolarmente l’attività professionale nello Stato ospitante ma, una volta ottenuta, alla luce del principio recato dall’art. 13 della Direttiva n. 2005/36/CE, impedisce qualsiasi discriminazione nell’ulteriore sviluppo professionale.
In sostanza, si deve ritenere che l’avvocato integrato, perfettamente equiparato all’avvocato iscritto nell’albo ordinario, abbia svolto anche nel triennio di assimilazione una attività professionale equiparabile a quella degli avvocati iscritti all’albo ordinario, non potendosi dequotare ad attività di praticante quella svolta spendendo il titolo maturato in uno Stato dell’Unione.
Questa interpretazione è rafforzata dall’articolo 9, comma 2, del D.lgs. 02/02/2001, n. 96, laddove si consente il patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione ed alle altre giurisdizioni superiori, seppure in una sezione speciale, all'avvocato stabilito che dimostri di aver esercitato la professione di avvocato per almeno otto anni in uno o più degli Stati membri, tenuto conto anche dell'attività professionale eventualmente svolta in Italia, e che successivamente abbia lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell'avvocatura.
Sarebbe illogico ammettere al patrocinio innanzi alle Corti superiori un avvocato che abbia esercitato la professione prevalentemente all’estero, nel corso degli 8 anni necessari per l’ammissione alla Scuola, escludendo dal corso abilitante un avvocato che abbia maturato il requisito di esperienza prevalentemente mediante l’iscrizione nell’albo ordinario, completando gli 8 anni con il triennio di esercizio nella qualità di avvocato stabilito, trattandosi di un triennio di effettivo esercizio della professione, non assimilabile a un periodo di pratica, altrimenti incorrendo nel divieto di discriminazione tra professionisti che abbiano esercitato in forza di titoli abilitanti conseguiti in Stati diversi.
Né si può fondatamente sostenere che l’equiparazione non operi per l’accesso al patrocinio innanzi alle corti superiori, invocando l’art. 5, comma 3 della Dir. 16/02/1998, n. 98/5/CE, laddove si dispone che, per assicurare il buon funzionamento della giustizia, gli Stati membri possono stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati.
La norma consente agli Stati membri di disciplinare l’accesso al patrocinio superiore richiedendo requisiti particolarmente qualificanti, per cui è certamente legittimo richiedere, al fine dell’ammissione, una determinata esperienza professionale, accompagnata dal superamento di un corso di formazione.
Le norme specifiche di accesso al patrocinio superiore, peraltro, non possono essere interpretate in senso discriminatorio per nazionalità, dovendosi valutare allo stesso modo l’esperienza maturata spendendo il tiolo nazionale e quella acquisita avvalendosi dell’abilitazione estera, anche prevedendo sezioni distinte, ma non escludendo dalla sezione ordinaria l’avvocato straniero ormai integrato nell’albo ordinario, elidendo il valore del primo periodo di esercizio della professione in Italia.
Quindi, fermo restando che ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo numero 96 del 2001 l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo speciale per i patrocinanti in Cassazione può essere richiesta dagli avvocati stabiliti in Italia che abbiano esercitato la professione di avvocato per almeno 8 anni in uno o più Stati dell’Unione, si deve riconoscere che l’articolo 22 della legge di riforma dell’ordinamento forense, laddove consente la partecipazione al corso propedeutico per l’iscrizione all’albo speciale per i patrocinanti in Cassazione agli avvocati iscritti all’albo per almeno 8 anni, non possa essere interpretato nel senso che sono richiesti 8 anni di iscrizione nell’albo ordinario, senza tener conto del triennio maturato nella sezione speciale dello stesso albo, nel periodo immediatamente precedente l’integrazione.
In conclusione, la sezione speciale dell’albo per i patrocinanti in Cassazione rimane riservata agli avvocati stabiliti che esercitano la professione avvalendosi del titolo conseguito all’estero.
L’iscrizione ordinaria nell’albo speciale per i patrocinanti in Cassazione, invece, deve essere consentita, previo superamento del corso propedeutico, a tutti gli avvocati che siano stati iscritti nell’albo professionale per 8 anni, compresi gli avvocati integrati che abbiano ottenuto l’assimilazione, senza poter escludere la valutabilità del triennio di assimilazione al fine del conseguimento del requisito complessivo di 8 anni di iscrizione nell’albo.
Il regolamento impugnato risulta quindi illegittimo, avendo introdotto un requisito di ammissione al corso propedeutico più restrittivo di quello derivante da una interpretazione della legge nazionale in senso conforme al diritto dell’Unione europea.
Ne conseguono l’accoglimento del ricorso e l’annullamento degli atti impugnati.
Le spese processuali, tenuto conto della novità e della complessità delle questioni controverse, devono essere interamente compensate tra le parti costituite.