Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-01-20, n. 202000447

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-01-20, n. 202000447
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000447
Data del deposito : 20 gennaio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/01/2020

N. 00447/2020REG.PROV.COLL.

N. 05772/2018 REG.RIC.

N. 05793/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5772 del 2018, proposto dalla società C.R.E. – Centro Ricerche Ecologiche S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F T e D V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, Lungotevere Marzio n.3;

contro

la Provincia di Lodi, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato V L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini n. 30;

nei confronti

del Comune di Meleti, del Comune di Cornovecchio, dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Lombardia, dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Lodi, della Regione Lombardia, non costituitisi in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 5793 del 2018, proposto dalla Provincia di Lodi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato V L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini n. 30;

contro

la società C.R.E. – Centro Ricerche Ecologiche S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati F T e D V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, Lungotevere Marzio n.3;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia n. 726 del 13 marzo 2018.

Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Lodi nell’appello n. 5772 del 2018 e di C.R.E. – Centro Ricerche Ecologiche S.p.A. nell’appello n. 5793 del 2018;

Visti tutti gli atti delle cause;

Relatore alla pubblica udienza del giorno 12 dicembre 2019 il consigliere S M;

Uditi per le parti rispettivamente rappresentate gli avvocati Massimiliano Pozzi (su delega dell’avvocato D V) e V L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Appello n. 5772/2018

1. Con sentenza non definitiva n. 323 del 14 gennaio 2016, pronunciata sul ricorso di C.R.E. – Centro Ricerche Ecologiche s.p.a., il TAR per la Lombardia, sez. IV, condannava la Provincia di Lodi al risarcimento, in favore di C.R.E. , del danno da ritardo nel rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione e l’esercizio di un impianto di stoccaggio e trattamento di fanghi biologici in Comune di Meleti (LO).

In particolare, la sentenza riconosceva il danno subito in conseguenza del mancato utile che sarebbe stato ottenuto se la Provincia di Lodi non avesse rilasciato in ritardo l’autorizzazione, posto che, al termine del contenzioso amministrativo fra C.R.E. e la Provincia, quest’ultima aveva rilasciato il titolo abilitativo con provvedimento del 26 ottobre 2012, a fronte di un primo diniego della Provincia stessa risalente al 2006.

Ai fini della quantificazione del danno da ritardo, il TAR disponeva una verificazione, della quale era incaricato il Direttore del Dipartimento “Economia, Management e Metodi Quantitativi” dell’Università di Milano o un suo delegato.

La sentenza n. 323 del 2016 veniva poi corretta, a fronte di un errore materiale contenuto nella medesima, con ordinanza n. 502 del 2016.

La citata sentenza parziale veniva altresì appellata davanti al Consiglio di Stato, che con sentenza della Sezione IV n. 2650 del 2017 rigettava sia l’appello principale della Provincia sia quello incidentale di C.R.E., confermando così interamente la pronuncia di primo grado.

Il quesito posto al verificatore con la sentenza parziale veniva poi integrato con ordinanza n. 1771 del 2017, per tenere conto di fatti sopravvenuti al deposito della sentenza stessa.

2. All’esito della verificazione il TAR – con la sentenza oggetto dei presenti giudizi - ha disposto la liquidazione del risarcimento nei termini che possono essere così sintetizzati.

Il primo giudice ha ritenuto, anzitutto, che, al fine di calcolare il tempo di avvio dell’impianto occorra fare riferimento alla circostanza che, una volta ottenuta seppure in ritardo l’autorizzazione nell’anno 2012, l’odierna appellante abbia impiegato quasi tre anni per la sua realizzazione.

Al valore così individuato dal verificatore (ipotesi B), il TAR ha poi apportato un ulteriore correttivo in considerazione del fatto che il tardivo ottenimento dell’autorizzazione (2012) consentirà a C.R.E. di gestire l’impianto fino all’anno 2022, in relazione alla durata decennale del provvedimento abilitativo. Qualora l’autorizzazione fosse stata tempestivamente rilasciata (dal 1° gennaio 2006) la sua scadenza sarebbe stata invece al 31 dicembre 2015, sicché non può disconoscersi la rilevanza, ai fini della quantificazione del danno, degli eventuali utili percepiti dal 1° gennaio 2016 e che saranno percepiti fino alla scadenza del titolo abilitativo nel frattempo ottenuto (ottobre 2022).

In sostanza, la società ha conseguito un vantaggio patrimoniale dal tardivo rilascio del titolo (principio della “ compensatio lucri cum damno ”).

Il TAR ha poi specificato analiticamente le modalità di calcolo delle somme dovute a C.R.E., consistenti sostanzialmente nelle detrazione di un ulteriore importo dal valore indicato dal verificatore nell’ipotesi sub “B” della propria relazione.

3. La società C.R.E. ha impugnato il capo della sentenza relativo all’individuazione dei criteri di calcolo del risarcimento del danno ed in particolare quello relativo all’applicazione del principio della c.d. “ compensatio lucri cum damno ”.

Nello specifico, la società ha quindi articolato i seguenti mezzi di impugnazione:

I. In rito: violazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c.;
violazione del principio del
“ne bis in idem”.

Il TAR ha violato il principio del “ ne bis in idem ”, pronunciando sulle stesse questioni già affrontate e risolte dalla sentenza non definitiva dello stesso TAR, n. 323 del 2016, confermata da questa Sezione con sentenza n. 2650 del 2017, passata in giudicato.

II. Nel merito: erroneo riconoscimento della compensazione del danno con gli “eventuali utili” futuri derivanti dal rilascio tardivo .

A prescindere dalla violazione del principio del “ ne bis in idem” , la decisione del TAR sarebbe in ogni caso errata perché pretenderebbe di compensare il danno (certo) subito da C.R.E. a causa del ritardo con cui la Provincia ha rilasciato l’autorizzazione, con gli eventuali utili futuri che la stessa C.R.E. potrà percepire fino alla scadenza dell’autorizzazione.

Secondo la società appellante l’utile che sarebbe stato senz’altro conseguito se l’impianto fosse stato autorizzato e avviato sin dal 2006 e che è stato definitivamente perso, è ristorabile solo per equivalente e non può in alcun modo essere “compensato” (o addirittura “risarcito in forma specifica”) dal rilascio tardivo della stessa autorizzazione, che ha solo reintegrato ex nunc l’ordine giuridico illegittimamente violato, consentendo pro futuro l’esercizio dell’attività.

Ha quindi concluso affinché questo Consiglio annulli e/o riformi la sentenza impugnata nei limiti delle censure sollevate con il presente appello e, per l’effetto, condanni la Provincia di Lodi a risarcire tutti i danni derivanti dagli illegittimi dinieghi e dagli ulteriori provvedimenti illegittimi nella misura di cui all’Ipotesi A della Relazione finale del Verificatore, depositata nel giudizio di primo grado, pari a € 3.266.346;
il tutto oltre interessi e rivalutazione dal giorno del danno e fino al saldo del relativo risarcimento;
in subordine, condanni la Provincia di Lodi a risarcire tutti i danni derivanti dagli illegittimi dinieghi e dagli ulteriori provvedimenti illegittimi nella misura di cui all’Ipotesi B della Relazione finale del Verificatore, pari a € 2.709.346;
il tutto oltre interessi e rivalutazione dal giorno del danno e fino al saldo del relativo risarcimento.

4. Si è costituita, per resistere, la Provincia di Lodi.

5. Nelle more del giudizio, è deceduto il difensore della Provincia sicché la società appellante ha provveduto a riassumere il proprio appello.

6. La Provincia di Lodi si è costituta in giudizio, col nuovo difensore, in data 21 giugno 2019.

7. Le parti hanno depositato ulteriori memorie, in vista della pubblica udienza del 12 dicembre 2019, alla quale l’appello è stato assunto in decisione.

Appello n. 5793/2018

8. La sentenza in epigrafe è stata impugnata anche dalla Provincia di Lodi, la quale ha contestato il criterio con cui il TAR ha stabilito che anche gli utili conseguiti dall’impresa per gli anni 2016 - 2017 concorrano a determinare l’utile medio che la stessa trarrà dalla maggior durata della autorizzazione. Essendo, infatti, quegli utili pari a 0 per entrambi gli anni (ed avendo anzi l’impresa registrato una considerevole perdita), sarebbe evidente che la media degli utili che la società appellante avrebbe potuto e/o potrà conseguire sino alla scadenza del titolo tardivamente rilasciato (2022), risultano falsati da circostanze straordinarie, esclusivamente imputabili all’impresa che, per tale ragione, non possono andare a suo vantaggio.

E’ infatti accaduto che gli impianti di Maccastorna Meleti e Lomello (presi in considerazione dal verificatore al fine di calcolare il mancato utile relativamente all’impianto di Meleti) siano stati oggetto di sequestro preventivo dal 6 luglio 2016 al 29 maggio 2017. Pertanto, le perdite subite dall’impresa in quel biennio non sono rappresentative dell’utile che “ragionevolmente” l’impresa continuerà a produrre fino alla scadenza del 2022, atteso che sono il frutto di eventi straordinari determinati da fatti illeciti imputabili alla stessa impresa e che, in quanto tali, falsano il calcolo dei vantaggi conseguiti.

9. Si è costituita per resistere la società C.R.E., richiamando tutte le argomentazioni già esposte nel proprio appello.

10. In data in data 13 febbraio 2019, come già evidenziato, è deceduto l’avvocato difensore della Provincia di Lodi che, in data 29 aprile 2019, si è costituita con un nuovo difensore.

Successivamente a tale costituzione, non ha presentata domanda di fissazione di udienza.

11. Alla pubblica udienza di discussione del 12 dicembre 2019 – nel corso della quale il Collegio ha sottoposto al difensore della Provincia, ai sensi degli artt. 79 comma 3 e 80 comma 2 c.p.a., la questione del deposito di una nuova istanza di fissazione di udienza dopo il decesso del precedente difensore ed il nuovo avvocato dell’amministrazione ha confermato che non è stata depositata una nuova istanza attesa la sua inutilità in quanto il processo non risultava formalmente interrotto – anche questo appello è stato trattenuto in decisione.

12. In via preliminare, occorre procedere alla riunione degli appelli in epigrafe, in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

13. Va dichiarata l’estinzione dell’appello n. 5793 del 2018 non potendo trovare ingresso la tesi difensiva sostenuta dalla Provincia appellante circa l’assenza di una formale declaratoria di interruzione del processo.

Va infatti considerato che:

a) la disciplina della interruzione del processo amministrativo è dettata dal c.p.c. (art. 79, comma 2, c.p.a.) mentre quella della prosecuzione o riassunzione è stabilita dall’art. 80, comma 2, c.p.a., secondo cui “ Il processo interrotto prosegue se la parte nei cui confronti si è verificato l'evento interruttivo presenta nuova istanza di fissazione di udienza ”;

b) il provvedimento del giudice che dichiara la interruzione del giudizio ha natura meramente dichiarativa di effetti che si producono ope legis con decorrenze che variano a seconda del tipo di fatto interruttivo, con la conseguenza che il processo si interrompe anche a prescindere dal provvedimento del giudice che lo dichiara, provvedimento che ha indole non decisoria e come tale non è impugnabile (Cass. civ., sez. I, 24 luglio 1997, n.6915;
id., 7 marzo 1990, n. 1807;

c) il termine per proseguire o riassumere il giudizio è perentorio e previsto a pena di estinzione;

d) in caso di decesso del difensore della parte, la norma enucleabile dal combinato disposto degli artt. 299 e 301 c.p.c. è univoca nel senso della immediatezza dell’effetto interruttivo, a decorrere cioè dal decesso, e senza alcuna necessità di comunicazioni legali o declaratorie da parte del giudice, tanto è vero questo che se il processo prosegue tutti gli atti successivi sono invalidi e il vizio può essere rilevato in appello (Cass. civ. sez. I, 10 dicembre 2010, n.24997;
id., sez. III, 17 dicembre 2010, n.25641;
id., sez. III, 27 maggio 2009, n.12261).

e) nel processo amministrativo, a mente del combinato disposto degli artt. 39, comma 1, 79, comma 2, 80, commi 2 e 3, c.p.a. e 305 c.p.c. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sentenze n. 4587 del 2017 e 3534 del 2016;
sez. VI, n. 405 del 2015):

- il termine per proseguire il giudizio a carico della parte nei cui confronti si è verificato l’evento interruttivo è di tre mesi e decorre da quando si è avuta la conoscenza legale dell’evento che, nel caso di specie, deve individuarsi nel 12 aprile 2019, data in cui la stessa Provincia appellante ha notificato alle altre parti del giudizio iscritto al n. 5772 del 2018, il decesso del proprio difensore, con ciò dimostrando di averne conoscenza in forma legale, almeno dalla suddetta data;

- l’unica ma essenziale formalità richiesta per la prosecuzione è la presentazione dell’istanza di fissazione di udienza nel termine perentorio di tre mesi decorrenti dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo.

Nel caso di specie non è stata mai presentata istanza di fissazione di udienza a cura della parte che ha subito l’evento interruttivo;
l’estinzione del processo si è verificata in via automatica allo scadere dei 3 mesi, in data 12 luglio 2019, e quindi ben prima della riunione del ricorso n. 5772 del 2018 al n. 5793 del 2018 avvenuta solo in questa sede;
il che mette fuori gioco la tesi – ammesso che la stessa possa essere trasposta nel processo amministrativo e valga anche per l’ipotesi della prosecuzione - secondo cui sarebbe sufficiente a evitare la estinzione la riassunzione ad opera di una sola parte salva integrazione del contraddittorio (Cass. civ., sez. I, 16 luglio 2005, 15095;
cfr. anche, Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 4319 del 10 settembre 2008;
tuttavia, contra nel senso della limitazione dell’effetto interruttivo alla sola parte che ne è colpita, Cass. civ., sez. un., n. 15142 del 2007).

14. L’appello n. 5772 del 2018 è infondato e deve essere respinto.

15. In primo luogo, vanno disattese le argomentazioni basate sulla pretesa violazione, da parte del TAR, del giudicato derivante dalla sentenza parziale dello stesso giudice n. 323 del 2016.

Tale pronuncia si è infatti limitata a statuire in ordine all’ an del risarcimento mentre, ai fini della quantificazione del danno, ha disposto l’effettuazione di una verificazione.

Per quanto concerne la decorrenza del risarcimento dovuto alla parte appellante, nessuna critica viene poi realmente spesa per confutare l’assunto del TAR, secondo cui “ debba essere preferito il dato concreto a quello teorico, allo scopo di pervenire ad una liquidazione corretta del danno, basata sull’utile non effettivamente percepito ”.

Ad ogni buono conto, l’appellante non ha dato nessuna prova dell’intervento di fattori estranei alle proprie scelte imprenditoriali, idonei a privare di rilevanza probatoria la fattispecie presa a raffronto.

16. Per quanto attiene all’applicazione del principio della “ compensatio lucri cum danno ” – premesso che esso attiene alla stima e alla liquidazione della posta risarcitoria, sicché alcun vincolo poteva derivare dalla sentenza n. 323 del 2016, la quale ha definitivamente accertato solo l’esistenza del danno e la sua imputabilità alla Provincia di Lodi - è poi sufficiente rinviare ai recenti arresti in materia della Cassazione civile (Sezioni unite, 22 maggio 2018, nn. 12564, 12565, 12566, 12567) e del Consiglio di Stato (Ad. plen. n. 1 del 2018).

In particolare, la decisione da ultimo ricordata ha sottolineato che “ la giurisprudenza e la dottrina non hanno mai dubitato della necessità di valutare l'entità dei vantaggi conseguiti dal danneggiato ai fini della determinazione effettiva del danno ” e che “ Sul piano strutturale, tale risultato si raggiunge accertando che la causa giustificativa del vantaggio sia rappresentata dalla commissione dell'illecito, con conseguente applicazione della regola della causalità giuridica che [...] costituisce una modalità di determinazione del danno subito. Ne consegue che nella fase di valutazione delle conseguenze economiche negative, dirette ed immediate, dell'illecito occorre considerare anche il lucro eventualmente acquisito al patrimonio della parte lesa che, in quanto tale, riduce l'area dei danni effettivamente cagionati dalla condotta del responsabile ”.

Vero è che il suddetto principio opera solo quando il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno, ossia quando l'incremento patrimoniale che il danneggiato ottiene sia una conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito che cagiona il danno ma non anche quando il vantaggio, del cui valore economico si chieda l'imputazione in conto al valore economico del pregiudizio, derivi non dal suddetto comportamento illecito, ma da circostanze ad esso del tutto estranee.

Che è quanto verificatosi nel caso di specie, dal momento che il vantaggio derivante dall’esercizio dell’attività di impresa per un tempo ulteriore rispetto a quella che avrebbe dovuto essere l’originaria data di scadenza del titolo autorizzativo, è ricollegabile direttamente al tardivo rilascio di quest’ultimo, ovvero all’elemento costitutivo del fatto illecito accertato dalla sentenza n. 323 del 2016 (confermata in appello da questo Consiglio, con sentenza n. 2650 del 2017).

Diverso sarebbe stato il caso in cui il rilascio dell’autorizzazione fosse avvenuto per il solo tempo residuo fino all’originaria scadenza. Solo in tale ipotesi, infatti, avrebbe potuto ipotizzarsi una perdita secca di guadagno per l’odierna appellante.

17. In definitiva, per quanto testé argomentato, l’appello n. 5772 del 2018 deve essere respinto mentre l’appello n. 5793 del 2018 va dichiarato estinto, con conseguente integrale conferma della sentenza impugnata.

18. La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese del grado.

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