Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-03, n. 201704587

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-10-03, n. 201704587
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704587
Data del deposito : 3 ottobre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/10/2017

N. 04587/2017REG.PROV.COLL.

N. 10185/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10185 del 2006, proposto dal Comune di Prato, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato D M T, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Maresciallo Pilsudski, 118;

contro

D B, E B, B B e G A, in proprio e nella qualità di eredi del signor B B – in precedenza costituito e rappresentato dall’avvocato M G –tutte rappresentate e difese dagli avvocati G e M G, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

nei confronti di

Calamai Marcello, Toffoli Leone Giuseppe, Immobiliare Calamai Marcello S.r.l. e Immobiliare il Giglio di Calamai Massimo e C. S.n.c. - le società in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t. - tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Anna Giannerinie domiciliati, ex art. 25 Cpa, presso la Segreteria della quarta Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro 13;
Chiappi Giuseppa, rappresentata e difesa dall'avvocato Anna Giannerini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M. Antonietta D'Intino in Roma, via G. Pisanelli, 2;
5 Effe C S.p.A. e Costruzioni Edili Cienne S.r.l., non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Toscana, Sezione I, n. 3960 del 14 settembre 2006, resa tra le parti, concernente approvazione piano di recupero, concessione edilizia, dichiarazione di pubblica utilità e decreto di esproprio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di B B, M C, Immobiliare Calamai Marcello S.r.l., Immobiliare il Giglio di Calamai Massimo e C. S.n.c., Leone Giuseppe Toffoli, Giuseppa Chiappi, D B, E B, B Be G A;

Visto l’appello incidentale proposto dal signor B B;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Traina, Fedeli Barbantini, su delega di G e M G e Elena Stella Richter, su delega di Giannerini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. 1. Con l’appello in esame, il Comune di Prato impugna la sentenza 14 settembre 2006 n. 3960, con la quale il TAR per la Toscana, sez. I, in accoglimento dei ricorsi proposti dal signor B B, ha annullato:

- la delibera del Consiglio comunale di Prato 20 gennaio 2000 n. 3, di definitiva approvazione del piano di recupero presentato dal signor M C ed altri;

- la delibera della Giunta comunale di Prato 13 marzo 2002 n. 171, con la quale è stata dichiarata la pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori per la realizzazione del verde pubblico in angolo tra via Bologna e via Gherardi;

- il decreto di esproprio dell’area di proprietà B;

- la concessione edilizia 10 dicembre 2002 n. 76504, rilasciata alla società Cos Costruzioni Edil Cienne s.r.l..

La sentenza impugnata ha inoltre condannato il Comune di Prato al risarcimento del danno derivante dalla illegittimità dei provvedimenti impugnati.

1.2. La presente controversia riguarda, in sostanza, la mancata inclusione di un’area di mq. 1206, adiacente via Gherardi, di proprietà del sig. B nel piano di recupero per la realizzazione di edifici a destinazione residenziale e commerciale (interessante, invece, una confinante area di mq. 4500);
tale area, oltre a non essere inclusa nel piano, era oggetto di decreto di esproprio, previa dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori per la realizzazione del verde pubblico.

La sentenza impugnata ha, in particolare, affermato che:

- l’area di proprietà B “risultava indispensabile alla realizzazione dell’intervento oggetto del piano di recupero”, posto che – come rilevato dalla disposta c.t.u. – l’area stessa “è stata ritenuta indispensabile ai fini dell’approvazione definitiva del piano di recupero”, poiché “senza la progettazione e l’accollo dell’esecuzione, da parte dei proponenti, del verde pubblico e dei parcheggi nell’area de qua, lo strumento attuativo non sarebbe stato mai approvato dal Comune o lo sarebbe stato in termini radicalmente doversi”;

- “l’indubbia esistenza del potere della pubblica amministrazione di ricorrere all’espropriazione di un’area, esterna al perimetro del piano attuativo, ove ritenuta necessaria ai fini del corretto inserimento dell’intervento programmato nel contesto urbano, non toglie che, nella fattispecie, la più organica e completa valutazione degli effetti implicati dall’intervento urbanistico all’interno della più complessiva zona di insediamento, in termini di reperimento delle aree verdi e più in generale di riqualificazione delle zone circostanti, avrebbe imposto un apprezzamento della proposta di inserimento dell’area (di proprietà del ricorrente) all’interno del piano di recupero, così come da questi prospettato nell’osservazione presentata (e favorevolmente valutata, in prima battuta, dalla competente commissione consiliare)”;

- poichè “la fattibilità di un intervento urbanistico compreso in un piano attuativo va riferito non solo agli aspetti del piano come strumento in se considerato, ma anche al corretto inserimento di esso nel contesto urbanistico esistente”, ne consegue che laddove la realizzazione del piano attuativo “imponga il reperimento di ulteriori aree o spazi privati, ai fini di un’ottimale armonizzazione con il tessuto urbanistico ovvero per attenuare l’impatto dell’intervento in termini di aumento di carico urbanistico nel contesto esistente, appare logico che le aree occorrenti siano comprese nel piano attuativo alla cui realizzazione sono essenzialmente collegate”;

- l’approvazione del progetto definitivo dei lavori per la realizzazione del verde pubblico è illegittima, laddove non preceduta dall’approvazione del progetto preliminare, poiché “i tre livelli di progettazione non possono essere né eliminati né sommati tra loro, rappresentando essi tre progressivi livelli di successivi approfondimenti tecnici”;
né l’amministrazione ha comunque motivato sulla mancata osservanza degli adempimenti previsti;

- deve essere riconosciuto il diritto del ricorrente al risarcimento del danno derivante dalla illegittimità dei provvedimenti che, in attuazione del piano di recupero, “hanno autonomamente comportato l’acquisizione coattiva del bene privato attraverso una procedura (anche) autonomamente illegittima”;
mentre non può essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno derivante dalla mancata inclusione dell’area in proprietà del ricorrente nello strumento urbanistico attuativo, poiché “deve escludersi che il ricorrente possedesse un titolo specifico per pretendere l’adozione di un piano di recupero esteso all’area di sua proprietà”.

1.3. Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) violazione ed errata applicazione del PRG di Prato;
contraddittorietà della motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia;
difetto di giurisdizione;
ciò in quanto: a1) poiché è lo steso PRG a delimitare la zona da sottoporre a piano di recupero, il ricorso avrebbe dovuto essere tempestivamente rivolto contro il PRG, risultando ora irricevibile per tardività;
a2) l’area del ricorrente non era affatto indispensabile ai fini dell’attuazione del piano di recupero (pacificamente ritenuto autosufficiente in ordine agli standard), e comunque essa non poteva essere inclusa nel piano di recupero perché non preventivamente individuata a tal fine dal PRG;

b) violazione artt. 9 e 10 l. n. 865/1975;
carenza di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia;
poiché l’espropriazione del terreno è fondata su presupposti del tutto autonomi rispetto al piano di recupero;

c) violazione art. 16 l. n. 109/1994 e art. 21-octies l. n. 241/1990;
poiché “la mancanza della scansione procedimentale dei tre tipi successivi di progetto non ne comporta necessariamente l’illegittimità, qualora risulti che in relazione alle circostanze del caso concreto, gli interessi tutelati dalla norma non vengano in gioco e comunque non siano pregiudicati”;

d) erronea quantificazione del danno.

1.4. Si è costituito in giudizio il signor B B (con memoria depositata il 18 gennaio 2007):

-concludendo per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza;

- riproponendo tutti i motivi di censura assorbiti dalla sentenza gravata (pagina 5);

- proponendo appello incidentale autonomo (affidato a due distinti motivi) per contestare la quantificazione sia del riconosciuto risarcimento del danno ché della liquidazione delle spese di lite (pagine 5 – 15).

1.5. Si sono altresì costituiti in giudizio, richiedendo il rigetto di entrambi gli appelli proposti:

- il signor M C, in proprio e quale legale rappresentante della Immobiliare Calamai Marcello s.r.l. ed il signor Massimo Calamai, legale rappresentante della società “Immobiliare Il Giglio di Calamai Massimo e c” s.n.c.,

- la signora Giuseppa Chiappi ed il signor Giuseppe Leone Toffoli.

1.6. Con ordinanza 2 novembre 2016 n. 4582, questa Sezione – preso atto dell’intervenuto decesso del signor B B - dava atto dell’intervenuta interruzione del processo “a far tempo dal 12 settembre 2016, data in cui il difensore della parte appellata B Bruno, ha reso la relativa dichiarazione”.

Il Comune di Prato, con ricorso spedito per la notifica in data 15 dicembre 2016, ha provveduto alla riassunzione del giudizio.

A seguito della intervenuta riassunzione, si sono costituiti in giudizio:

-le signore Daniela, Elisabetta e B B nonché G A, in proprio e nella qualità di coeredi del signor B B, con memoria depositata in data 8 febbraio 2017, che hanno eccepito, con memoria depositata il 24 aprile 2017, la irricevibilità del ricorso per riassunzione, stante la sua tardività;

- il signor Leone Giuseppe Toffoli, che ha, in via preliminare, eccepito l’irricevibilità del ricorso in riassunzione del Comune di Prato “in quanto avvenuta oltre il termine trimestrale prescritto dall’art. 80, co. 3, Cpa;

- il signor M C, la società “Immobiliare Calamai Marcello s.r.l.”, e la società “Immobiliare Il Giglio di Calamai Massimo e c” s.n.c., che hanno anch’essi eccepito l’irricevibilità del ricorso per riassunzione.

1.7. Con memoria di costituzione volontaria delle eredi del Signor B – depositata in data 8 febbraio 2017 – queste ultime hanno insistito per la prosecuzione del giudizio e l’accoglimento dell’appello incidentale a suo tempo proposto.

1.8. Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione del 25 maggio 2017, la causa è stata trattenuta in decisione.

In tale udienza, il Collegio ha avvisato le parti presenti, ai sensi dell’art. 73 Cpa, della possibile estinzione sia del ricorso principale che di quello incidentale, in considerazione del mancato rispetto degli adempimenti previsti dall’art. 80 Cpa, nei termini dimidiati in base all’art. 119, co. 2, Cpa.

DIRITTO

2. Il presente giudizio di appello deve essere dichiarato estinto, per effetto della tardività con la quale il medesimo è stato riassunto e proseguito.

2.1. Come è noto, l’art. 80, co. 3 Cpa, prevede che, qualora non vi sia prosecuzione ai sensi del comma 2, “il processo deve essere riassunto, a cura della parte più diligente, con apposito atto notificato a tutte le altre parti, nel termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione”.

Nel caso del presente giudizio – che concerne i procedimenti e i relativi provvedimenti che hanno portato alla espropriazione dell’area dell’originario ricorrente signor B B ai fini dell’attuazione di un piano di recupero – trova applicazione l’art. 119, co. 2, Cpa, in base al quale è disposta la dimidiazione di tutti i termini processuali (salvo le eccezioni ivi indicate), applicabile anche, tra gli altri, ai giudizi di cui al precedente comma 1, lett. f), tra i quali rientra quello in oggetto.

Ne consegue, dunque, che il termine di novanta giorni, previsto dal citato art. 80, co. 3, Cpa per la riassunzione del processo, è ridotto a quarantacinque, per effetto dell’indicato.

2.2. Tanto precisato in ordine al termine complessivo applicabile, il dies a quo di decorrenza di quest’ultimo deve essere individuato nel momento di acquisizione di conoscenza legale dell’evento interruttivo, mediante dichiarazione, notificazione o certificazione.

Per “conoscenza legale” deve intendersi non già una conoscenza acquisita per scienza privata o sulla base del cd. fatto notorio (in quanto conosciuto nella comunità, propalato dalla vox populi ovvero riportato dagli organi di informazione, etc.), bensì una conoscenza acquisita attraverso strumenti tipici, come tali riconosciuti e previsti dall’ordinamento.

Nel caso di interruzione del processo (e più specificamente, per quel che rileva nella presente sede, nel caso di interruzione per effetto di morte o perdita di capacità della parte costituita), l’art. 300 Cpc (cui rinvia l’art. 79, co. 2, Cpa) prevede che il procuratore della medesima “lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti” (primo comma),di modo che “dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto . . .”.

Come appare evidente, la norma ricollega l’effetto interruttivo non già all’ordinanza con la quale il giudice da atto dell’interruzione (atto meramente dichiarativo con finalità di mera ricognizione dello stato del giudizio), bensì alla “dichiarazione o notificazione” della notizia dell’evento determinante interruzione effettuata dal procuratore costituito.

Ed infatti, coerentemente con tale previsione del codice di procedura civile, la decorrenza del termine per la riassunzione è individuata dall’art. 80, co. 3, Cpa, nel momento di “conoscenza legale” (nei sensi innanzi precisati) dell’evento che produce l’effetto interruttivo, di modo che, se questa avviene per dichiarazione del procuratore in udienza (mezzo tipico, e dunque legale, di conoscenza previsto dal cpc), questo è il momento in cui si produce l’interruzione, che costituisce altresì il dies a quo per il computo del termine per la riassunzione del processo.

2.3. Non può, quindi, essere condivisa la tesi sostenuta dal Comune di Prato (v. memoria del 21 aprile 2017), secondo il quale il dies a quo per la riassunzione decorre non dal giorno della dichiarazione della morte, né da quando si è verificato l’evento interruttivo, ma dalla data in cui detto evento sia venuto in forma legale a conoscenza della parte interessata alla riassunzione intendendosi per tale la comunicazione, da parte della segreteria, dell’intervenuta pronuncia di interruzione, non bastando nemmeno la presenza del legale della parte interessata all’udienza in cui è avvenuta la dichiarazione di morte.

Il Collegio non ignora che parte della giurisprudenza amministrativa (citata dal Comune di Prato) ha ritenuto che il dies a quo per la decorrenza del termine per la riassunzione decorre dalla comunicazione della segreteria della intervenuta pronuncia di interruzione, non bastando nemmeno la presenza del legale della parte interessata all’udienza in cui è avvenuta la dichiarazione del decesso (Cons. Stato, sez. IV, 31 dicembre 2010 n. 9608;
Cons. giust. amm. Sic., 29 aprile 2013 n. 421).

Tuttavia, in senso difforme da tale considerazione, oltre a quanto già innanzi esposto, occorre ancora aggiungere:

a) quanto previsto dall’art. 300 Cpc, che individua il momento dell’interruzione (anche) nella dichiarazione in udienza da parte del procuratore costituito ovvero nella notifica alle altre parti, così indicando due modalità di conoscenza legale dell’evento, cui corrisponde la previsione dell’art. 80, co. 3, Cpa. Quest’ultimo coerentemente prevede che l’acquisizione della “conoscenza legale” dell’evento interruttivo possa essere acquisita mediante “dichiarazione, notificazione o certificazione”, dove il richiamo alla “dichiarazione” è a tutta evidenza riferito a quella resa in udienza dal procuratore costituito;

c) laddove si facesse dipendere la decorrenza del termine per riassumere dalla comunicazione da parte della segreteria del giudice dell’ordinanza con la quale questi dà atto dell’interruzione, per un verso si “aggiungerebbe” un mezzo di conoscenza legale (la comunicazione dell’ordinanza) non previsto dalla legge;
per altro verso, si renderebbe priva di effetti l’indicazione, normativamente espressa, della “dichiarazione” quale mezzo di conoscenza legale;
da ultimo, si attribuirebbe (implicitamente) una natura costitutiva all’ordinanza del giudice, del tutto invece negata dall’ordinamento.

Le considerazioni innanzi espresse non risultano, invece, contraddette dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che ha (condivisibilmente) negato che possa costituire dies a quo agli effetti del decorso del termine per la riassunzione:

- sia la data del deposito agli atti di causa del certificato di morte della parte (Cons. Stato, sez. V, 27 maggio 2014 n. 2713);

- sia la data del deposito della memoria con la quale il difensore da atto dell’evento interruttivo (Cons. Stato, sez. V, 18 maggio 2015 n. 2502).

Ed infatti, i casi testé rappresentati costituiscono:

- per un verso, ambedue ipotesi “atipiche”, non previste dall’art. 300 Cpc per il prodursi dell’effetto interruttivo del processo (che invece va ricollegato esclusivamente alla dichiarazione in udienza o alla notificazione alle parti);

- per altro verso, proprio perché la dichiarazione è avvenuta in forma non tipica, ed al di fuori dell’udienza, luogo nel quale pienamente si esplica il contraddittorio tra le parti, risulterebbe violato il diritto di difesa, laddove dalla data di tali depositi si intendesse far decorrere il termine per la proposizione del ricorso in riassunzione.

Al contrario, la dichiarazione resa in udienza costituisce modalità tipica produttiva dell’effetto interruttivo del processo, ed essa esplica effetti di conoscenza legale per le parti, ancorché non presenti in udienza, posto che – salvi i casi in cui non si provi di non aver ricevuto avviso dell’udienza medesima – quanto avviene in tale sede deve essere inteso come “legalmente conosciuto” dalle parti.

2.4. Nel caso di specie, come espressamente risulta dall’ordinanza di questa Sezione n. 4582/2016 (dichiarativa dell’interruzione), il difensore di B B ha comunicato il decesso del medesimo con atto depositato in data 12 settembre 2016.

Il Comune di Prato ha preso atto dell’evento interruttivo “a seguito di comunicazione effettuata in data 20 settembre 2016 da parte del difensore del sig. B B”, come da atto depositato in data 22 settembre 2016.

Tale ultima data costituisce, quindi, il momento in cui l’appellante ha avuto conoscenza dell’evento interruttivo e dalla quale decorre il termine perentorio (dimidiato) di quarantacinque giorni per la notificazione del ricorso in riassunzione (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 3494 del 2016).

Poiché quest’ultimo è stato spedito per la notifica solo in data 15 dicembre 2015, lo stesso risulta tardivo.

2.6. Risulta altresì violato il termine dimidiato di 15 giorni previsto per il deposito dell’atto di riassunzione (art. 45, co. 1, Cpa): nella specie, la notificazione di tale atto si è perfezionata il 21 dicembre del 2016 mentre il deposito del ricorso in riassunzione risulta effettuato in data 9 gennaio 2015.

3. Ad analoghe conclusioni perviene il Collegio in ordine alla intempestività del deposito della memoria di costituzione volontaria di prosecuzione del giudizio ad opera della parte che ha subito l’evento interruttivo (in questo caso le eredi del signor B).

Assodata la necessità che per coltivare fruttuosamente l’appello incidentale autonomo, a suo tempo proposto,la parte interessata avrebbe dovuto dare corso alla rituale prosecuzione del giudizio (a mente del combinato disposto degli artt. 79, co. 2 e 80, co.2, Cpa, e 305 c.p.c., cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 3534 del 2016), invero,come dianzi rilevato, risulta per tabulas che le eredi del signor B:

- hanno depositato l’atto di prosecuzione oltre il termine di un mese e mezzo dalla interruzione sancito dall’art. 305 Cpc (nella specie in data 8 febbraio 2017);

- in ogni caso, non hanno depositato una formale istanza di fissazione dell’udienza come imposto dall’art. 80, co. 2, Cpa.

4. Attesa la reciproca tardività in cui sono incorsi gli appellanti principale ed incidentale, nonché la novità e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio, disponendosi altresì che il contributo unificato corrisposto per il presente grado di giudizio rimanga definitivamente a carico delle parti (appellanti principale ed incidentale) che lo hanno versato.

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