TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2016-12-30, n. 201612884

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2016-12-30, n. 201612884
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201612884
Data del deposito : 30 dicembre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/12/2016

N. 12884/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01216/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1216 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Fondazione Cassa di Risparmo di Pesaro, Montani Antaldi s.r.l., rappresentate e difese dagli avvocati A S, S B, B C, A V, con domicilio eletto presso A S in Roma, via Fulcieri Paulucci De Calboli,9;

contro

Banca d'Italia, rappresentata e difesa dagli avvocati S R C, M D P, L S, con domicilio eletto presso Stefania Ceci in Roma, via Nazionale, 91;
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso per legge dall' Avvocatura dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Bdo Italia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Sanino, Massimo Longo, Cristiano Fazio, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

nei confronti di

Nuova Banca delle Marche Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Merola, Luca Raffaello Perfetti, Silvia Romanelli, Giuseppe Rumi , con domicilio eletto presso Studio Legale Bonelli Erede in Roma, via Salaria, 259;
Banca delle Marche Spa in Risoluzione,
Fitd - Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi,
Rev - Gestione Crediti Spa,
Fondo Nazionale di Risoluzione presso la Banca d'Italia non costituiti in giudizio;
Roberto Nicastro, Maria Pierdicchi, Luciano Goffi, Bruno Inzitari;

per l'annullamento, previa sospensione,

- degli atti e dei provvedimenti con i quali è stata disposta la risoluzione della Banca delle Marche e di tutti i provvedimenti presupposti e consequenziali, in particolare:

- del provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 21 novembre 2015 n. 553 (prot. 1241013/15), con cui è stato disposto l’avvio della risoluzione della Banca Marche s.p.a., già in amministrazione straordinaria, approvata con decreto del 22 novembre 2015 del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

- del provvedimento della Banca d’Italia che dispone la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali;

- del provvedimento della Banca d’Italia del 22 novembre 2015 che dispone la cessione dell’azienda bancaria all’ente ponte-Nuova Banca della Marche;

del provvedimento della Banca d’Italia del 22 novembre 2015 di adozione dello Statuto della Nuova Banca della Marche;

- del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 9 dicembre 2015 che ha disposto la liquidazione coatta amministrativa;

- del provvedimento della Banca d’Italia del 22 novembre 2015 che determina la decorrenza del provvedimento di avvio della risoluzione;

- del provvedimento della Banca d’Italia del 22 novembre 2015 di nomina degli organi della Nuova Banca Marche s.p.a.;

- del provvedimento della Banca di Italia del 19 gennaio 2016, invito a manifestare interesse in relazione all’operazione di dismissione;

nonché per l’annullamento dei seguenti atti (conosciuti con il deposito in giudizio il 28 maggio 2016 e impugnati con i motivi aggiunti inviati alla notifica il 21 luglio 2016):

- della relazione ex art. 25 comma 3 del d.lgs. n. 180 del 2015 della BDO Italia quale esperto indipendente;

- della relazione della Banca d’ Italia del 27 maggio 2016 sullo stato del procedimento di risoluzione;

e per il risarcimento del danno.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Banca d'Italia, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, della Nuova Banca delle Marche s.p.a. e di Bdo Italia s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2016 la dott.ssa C A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La Banca delle Marche s.p.a., per la quale la Banca di Italia aveva disposto il 27 agosto 2013 la gestione provvisoria sulla base del potere attribuitole in via d’urgenza dall’art. 76 del d.lgs. n. 385 del 1993, era stata posta in amministrazione straordinaria, ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. n. 385 del 1993, con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 15 ottobre 2013, risultando a quella data gravi irregolarità nell'amministrazione, gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative e statutarie che regolano l'attività della banca;
gravi perdite del patrimonio;
nonché gravi inadempienze nell'esercizio dell'attività di direzione e di coordinamento della capogruppo.

La procedura di amministrazione straordinaria è stata prorogata di un anno con d.m. del 13-10-2014 e successivamente fino al 15-10-2015.

Con d.m. 4-2-2014 è stata disposta l’Amministrazione straordinaria della controllata Medioleasing s.p.a. e il 17-4-2014 della controllata Cariloreto s.p.a.;
tali procedure di amministrazioni straordinarie sono state prorogate fino al dicembre 2015.

Il provvedimento di amministrazione straordinaria era stato adottato sulla base degli accertamenti ispettivi della Vigilanza che fin dal 2011 avevano rilevato criticità negli assetti di governance e nella esposizione ai rischi di natura creditizia e finanziaria. Soprattutto nel corso delle ispezioni tra il novembre 2012 e l’aprile 2013 erano state evidenziate lacune nel processo creditizio, con riflessi sul corretto apprezzamento del rischio del credito. Negli ulteriori accertamenti ispettivi effettuati nel corso del 2013 sono state effettuate nuove rettifiche di valore dei crediti che hanno evidenziato le perdite patrimoniali e il mancato rispetto dei coefficienti regolamentari. La proposta di amministrazione straordinaria dell’8 ottobre 2013, oltre alle perdite, fa riferimento alle “gravi criticità nell’azione di governo che condizionata dalle principali fondazioni azioniste non ha assicurato la sana e prudente gestione, con conseguenti riflessi sulla situazione patrimoniale del gruppo non in grado di rispettare i requisiti prudenziali” e “all’assunzione di elevate alee creditizie”. La stessa difesa ricorrente dà atto che a seguito delle rettifiche imposte nelle ispezioni i bilanci la Banca avevano riportato perdite pari a euro 528 milioni nel 2012 e 233 milioni nel primo semestre del 2013.

Proprio in relazione allo stato di crisi e alla necessità di un aumento di capitale della Banca era stato emesso il prestito obbligazionario del 28 giugno 2013 subordinato Upper Tier II sottoscritto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro (10 milioni) odierna ricorrente e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (15 milioni), anch’essa azionista della Banca Marche.

I nuovi amministratori nominati il 27 giugno 2013 avevano anche contattato nel mese di luglio 2013 sia le fondazioni di riferimento sia banche nazionali e internazionali al fine di verificare l’interesse ad un aumento di capitale, senza esiti favorevoli (cfr. lettera alla Banca di Italia del 25 luglio 2013 depositata in atti).

Nel corso del Commissariamento è proseguita la revisione al ribasso delle posizioni creditizie, con rilevante crescita degli incagli, delle sofferenze e delle relative previsioni di perdita;
i Commissari, inoltre, nella relazione alla Banca di Italia dell’11 maggio 2015, segnalano il rischio di liquidità e la previsione del patrimonio netto negativo per il primo semestre del 2015.

Nel periodo di amministrazione straordinaria sono stati anche effettuati alcuni interventi immediati per sopperire alla carenza di liquidità: il 19 marzo 2014, un finanziamento straordinario (ELA- Emergency Liquidity Assistance) della Banca di Italia;
successivamente un mutuo con il Credito Fondiario (credito peraltro finanziato dal Credito Fondiario con un apertura di credito dalla BCE, che ha richiesto di estinguere la linea di credito). Sono stati esaminati possibili interventi di ricapitalizzazione da parte di altri istituti. Era stata avanzata una proposta in tal senso dal Credito Fondiario – Fonspa (lettera di intenti del 23 luglio 2014), per complessivi 2.700 milioni di euro, che prevedeva l’intervento del Fondo di tutela dei depositi, a garanzia dei crediti deteriorati della Banca Marche per 800 milioni di euro, la partecipazione del Fondo al capitale della banca per 100 milioni di euro, 1800 milioni di euro finanziati con l’emissione di titoli. Tale operazione era stata anche autorizzata dalla Banca di Italia, ai sensi dell’art. 96 ter del testo unico bancario il 3 dicembre 2014, ma non si è poi effettivamente concretizzata, secondo quanto indicato dai Commissari, l’offerta della Fonspa.

Il 2 ottobre 2015 i Commissari straordinari hanno formalizzato la richiesta di intervento del Fondo di tutela dei depositi ai sensi dell’art. 29 dello Statuto del Fondo, che prevede che il Fondo può disporre di interventi di sostegno a favore di una consorziata in amministrazione straordinaria quando sussistano prospettive di risanamento e ove sia prevedibile un minor onere rispetto a quello rinveniente dall’intervento in caso di liquidazione.

Tale intervento è stato approvato dal Consiglio del Fondo l’8 ottobre 2015 con una operazione di aumento di capitale fino a 1200 milioni di euro, a seguito della quale il Fondo avrebbe acquisito una partecipazione di controllo nel capitale della Banca Marche;
la concreta attuazione dell’intervento era fissata successivamente alla approvazione del decreto legislativo sulla risoluzione della banche e all’applicazione delle misure di riduzione e conversione dei prestiti subordinati emessi dalla banca (cfr. comunicazione del FITD del 9 ottobre 2015 depositata in giudizio dalla Banca di Italia).

Nei dati contabili al 30 settembre 2015 figurano perdite di esercizio per 923 milioni euro.

A tale data risultava, inoltre, negativo l’indice di adeguatezza patrimoniale CET 1 (-0,62%).

Il 4 novembre 2015 i Commissari segnalavano alla Banca di Italia l’ulteriore aggravamento della situazione di liquidità, che avrebbe potuto comportare la presentazione della richiesta, nei giorni successivi, di autorizzazione alla “sospensione dei pagamenti”, prevista dall’art. 74 del Testo unico bancario per le banche in amministrazione straordinaria, in circostanze eccezionali.

Il provvedimento di avvio della risoluzione della Banca Marche è stato adottato dalla Banca di Italia, ritenendo verificato il presupposto del dissesto, costituito dalle perdite patrimoniali di eccezionale gravità, tali da privare la banca dell'intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio. L’accertamento delle perdite è stato basato dalla Banca di Italia sulla valutazione provvisoria effettuata ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n. 180 del 2015, e sulla complessiva situazione della Banca Marche, posta in amministrazione straordinaria dall’ottobre del 2013. Nel programma di risoluzione si fa, infatti, riferimento anche al verificarsi di ulteriori presupposti previsti dall’art. 17, ovvero le attività inferiori alle passività - lettera c) dell’art 17;
la circostanza che nel prossimo futuro non sarebbe stata in grado di pagare i debiti alla scadenza - lettere d), e) dell’art. 17.

Il programma di risoluzione ha previsto la riduzione integrale delle riserve e delle azioni (valutate in relazione al patrimonio netto al 30 settembre 2015 pari a 13 milioni di euro), nonché del valore nominale degli elementi di classe 2 computabili nei fondi propri (249,7 milioni di euro);
la cessione di azienda ad un ente ponte e la successiva cessione dei crediti in sofferenza ad una società veicolo;
la permanenza della restante parte del debito subordinato in capo alla Banca in risoluzione destinata a coprire le perdite (177,9 milioni di euro). Le operazioni sono state finanziate con l’intervento del Fondo di risoluzione per circa 2000 milioni di euro, finanziato dai contributi ordinari della banche al Fondo per l’anno 2015 e dai contributi straordinari previsti dall’art. 83 del d.lgs. n. 180 del 2015 per tre annualità, oltre al valore della garanzia prestata per il finanziamento del Fondo di risoluzione dalla Cassa depositi e prestiti.

Il programma di risoluzione è stato ritenuto compatibile dalla Commissione europea con la disciplina degli aiuti di Stato in relazione all’art. 107 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea con atto del 22 novembre 2015.

Con decreto legge n. 183 del 2015 sono stati costituiti gli enti ponte. Il decreto-legge non è stato successivamente convertito, ma con l’art. 1 comma 854 della legge di stabilità per il 2016, n. 208 del 28 dicembre 2015, sono stati fatti salvi gli effetti prodotti dal decreto.

Il 9 dicembre 2015 è stata disposta la liquidazione coatta della Banca delle Marche in risoluzione.

La Fondazione Cassa di risparmio di Pesaro, quale azionista pari al 22,51% del capitale e titolare di obbligazioni subordinate pari a dieci milioni di euro (prestito obbligazionario subordinato Upper Tier II t.f. 12.50% scadenza 28-6-2023), e la società partecipata dalla fondazione, Montani Antaldi s.r.l., quale titolare di obbligazioni subordinate per tre milioni di euro (prestito obbligazionario con scadenza 22-12-2015), della Banca Marche s.p.a., con il presente ricorso hanno impugnato il provvedimento del Governatore della Banca di Italia del 21 novembre 2015, approvato con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 22 novembre 2015, di avvio della risoluzione della Banca Marche, posta in amministrazione straordinaria con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 15-10-2013, nonché tutti i provvedimenti relativi a tale operazione, in particolare i provvedimenti della Banca d’Italia del 22 novembre 2015 che hanno disposto la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali;
la decorrenza del provvedimento di avvio della risoluzione alle ore 22 del 22 novembre 2015;
la cessione dell’azienda bancaria all’ente ponte-Nuova Banca della Marche (la costituzione degli enti-ponte è stata prevista dal d.l. n. 183 del 22-11-2015);
l’adozione dello Statuto della Nuova Banca della Marche;
la nomina degli organi della Nuova Banca Marche s.p.a.;
nonché il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 9 dicembre 2015 che ha disposto la liquidazione coatta amministrativa della Banca Marche in risoluzione.

Le ricorrenti hanno formulato le seguenti censure:

- violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della direttiva 2014/59 e dell’art. 17 del d.lgs. 180 del 2015 in relazione alla sussistenza di una situazione alternativa alla risoluzione della crisi (intervento del fondo interbancario per la tutela dei depositi) percorribile in relazione alla disciplina degli aiuti di Stato;
illogicità e irragionevolezza dell’azione amministrativa;
contraddizione tra istruttoria e dispositivo;
violazione del principio di proporzionalità;
difetto di motivazione;
richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE;
travisamento dei fatti ed errore nei presupposti con riferimento ai criteri adottati in sede di valutazione della risolvibilità della Banca Marche;
contraddittorietà con precedenti accertamenti svolti in sede ispettiva;
adozione dei criteri contabili incongrui al fine della svalutazione dei crediti in sofferenza;
violazione degli standards EBA sulla valutazione ai fini della risoluzione;
sproporzione della misura;
violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa;
illogicità manifesta;
richiesta di rinvio pregiudiziale in relazione al principio di proporzionalità;
sviamento e violazione del d.lgs. n. 180 del 2015;
valutazione cumulativa dei presupposti di risoluzione;
violazione dell’art 23 del d.lgs. n. 180 del 2015, in quanto le valutazioni di risolvibilità sono state svolte dalla Banca di Italia e non dall’esperto indipendente.

Sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale e comunitaria del d.lgs. n. 180 del 2015 per violazione degli articoli 102 e 111 della Costituzione e dell’articolo 85 della direttiva 59/204 nella parte in cui la norma nazionale affida funzioni giurisdizionali all’autorità amministrativa;
dell’art. 95 del d.lgs. n. 180 del 2015 per violazione dell’art. 24 della Costituzione e dell’art. 85 della direttiva 59/2014 e 89° considerando della direttiva, nella parte in cui la norma nazionale limita i mezzi istruttori e di prova nelle controversie avverso i provvedimenti di risoluzione.

E’ stata proposta, altresì, domanda di risarcimento danni.

Si sono costituti la Banca di Italia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze contestando la fondatezza del ricorso;
la Nuova Banca Marche s.p.a. ha eccepito altresì la carenza di interesse al ricorso e la sua improcedibilità.

Alla camera di consiglio del 1-3-2016 è stata fissata l’udienza per la trattazione di merito del ricorso alla data del 18-4-2016. Con ordinanza n. 4799 del 27-4-2016 è stata disposta istruttoria al fine di acquisire la valutazione definitiva dell’esperto indipendente prevista dall’art. 25 del d.lgs. 180 del 2015, per la quale era stato già affidato l’incarico dalla Banca di Italia alla BDO Italia s.p.a..

A seguito del deposito di tale relazione in giudizio il 27 maggio 2015 le ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti, intimando anche l’esperto indipendente BDO Italia s.p.a., formulando censure di carenza di istruttoria, travisamento dei fatti manifesta irragionevolezza ed erroneità delle conclusioni, sostanzialmente contestando gli esiti e le modalità della valutazione definitiva e la mancata considerazione nella relazione dell’esperto indipendente di possibili alternative alla risoluzione e formulando, altresì, domanda di risarcimento danni.

Si è costituita la BDO Italia s.p.a. eccependo il proprio difetto di legittimazione e comunque la contestando le censure proposte avverso la relazione definitiva

All’udienza pubblica del 4 ottobre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso ed i relativi motivi aggiunti sono infondati e devono essere respinti.

Ritiene il Collegio che nell’ordine logico delle questioni debbano essere esaminate per prime le censure formulate con riferimento al difetto di istruttoria e al travisamento dei fatti ed errore dei presupposti relativi all’accertamento dei presupposti della risoluzione e le censure proposte con i motivi aggiunti avverso la relazione definitiva e, successivamente, quelle relative al mancato intervento del Fondo di tutela dei depositi;
in ultimo si devono considerare i profili di illegittimità comunitaria e costituzionale sollevate dalla difesa ricorrente.

Ritiene, altresì, il Collegio di evidenziare, in linea preliminare, che, pur se la presente controversia riguarda l’applicazione di una nuova disciplina legislativa, non si può non tenere conto del costante orientamento giurisprudenziale, ribadito anche di recente dal Consiglio di Stato, per cui gli atti posti in essere dalla Banca d’Italia, nell’attività di vigilanza, “costituiscono esplicazione di potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica, volto alla tutela dei risparmiatori e, dunque, delle garanzie che devono assistere l’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito, dell’affidabilità complessiva del sistema bancario e, in particolare, di ogni singolo istituto. Ciò, innanzi tutto, in concreta esplicazione di attività volta alla tutela dei valori di promozione e tutela del risparmio, nonché di esercizio dell’attività creditizia, contemplati e garantiti dall’art. 47 della Costituzione” (Consiglio di Stato n. 2328 del 2015). Stante la natura del potere amministrativo esercitato, gli atti adottati sono sindacabili innanzi al giudice amministrativo in sede di legittimità, oltre che per vizi di incompetenza e di violazione di legge, solo per illogicità manifesta, quale figura sintomatica di eccesso di potere, non potendo il giudice amministrativo sostituire proprie valutazioni a quelle dell’organo di controllo. Come per i provvedimenti delle autorità garanti, anche per le operazioni di controllo della Banca d’Italia il sindacato di eccesso di potere è essenzialmente incentrato sulla verifica della ragionevolezza e la coerenza tecnica della decisione amministrativa, in quanto per determinati settori, come quello delle autorità, dunque per la Banca d’Italia, il sindacato giurisdizionale necessariamente incontra il limite della specifica competenza tecnica, della posizione di indipendenza e dei poteri propri spettanti alle istituzioni in questione, il cui giudizio ha come parametri di riferimento non regole scientifiche esatte e non opinabili, ma valutazioni, anche di ordine prognostico, a carattere economico, sociale, o comunque non ripercorribile in base a dati univoci (cfr. Consiglio di Stato n. 4113 del 2013 rispetto alla Banca di Italia;
n. 1645 del 2013 rispetto all’Autorità Garante delle Comunicazioni;
n. 3901 del 2012, con riferimento all’ Autorità garante della concorrenza e del mercato, per cui in materia di sindacato sulle valutazioni tecnico-discrezionali dell'Amministrazione e, in particolare, delle Autorità amministrative indipendenti, non può esservi dubbio sul fatto che tale sindacato non possa dar luogo alla surrettizia sostituzione dell'Amministrazione nell'esercizio dei poteri ad essa spettanti, dovendo comunque rimanere fermo, a tutela dei fondamenti dell'ordinamento costituzionale, il principio che vieta al giudice di sostituirsi all'Amministrazione nell'esercizio della sua funzione di cura concreta dell'interesse pubblico).

Tali principi giurisprudenziali devono essere applicati anche alla presente controversia, nella quale la Banca di Italia opera quale Autorità di risoluzione, essendo, anche in tale ambito, affidata a tale Autorità la tutela dell’interesse pubblico in particolare, relativo alla continuità delle funzioni essenziali delle banche, alla stabilità finanziaria, al contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, alla tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela (art. 21 del d.lgs. n. 180 del 2015), valutazioni che possono appunto essere sindacate in caso di illogicità o irragionevolezza e erronea valutazione dei presupposti di fatto, ma non nelle scelte discrezionali operate.

La difesa ricorrente contesta l’effettivo verificarsi dei presupposti della risoluzione per la Banca Marche, con specifico riferimento alla svalutazione del portafoglio crediti che avrebbe operato la Banca di Italia in sede di valutazione provvisoria;
infatti, la stessa difesa riconosce la situazione di perdite della banca, legate a “crediti erogati a imprenditori e privati clienti della banca non regolarmente rimborsati negli ultimi anni” ma sostiene che la Banca di Italia, in sede di valutazione provvisoria, avrebbe eccessivamente svalutato tali crediti;
analoga censura è rivolta avverso la valutazione definitiva della società BDO.

Le censure non possono trovare accoglimento.

Il d.lgs. n. 180 del 16 novembre 2015, di attuazione della direttiva 2014/59, che ha istituito “un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento” ha previsto all’art. 20 alcuni strumenti di intervento nelle banche in stato di dissesto ovvero: alla lettera a) la riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale emessi dalla banca, quando ciò consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto;
alla lettera b) la risoluzione della banca o la liquidazione coatta amministrativa secondo quanto previsto dall'articolo 80 del Testo Unico Bancario se la misura indicata alla lettera a) non consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto.

In particolare, ai sensi del secondo comma dell’art. 20, la risoluzione è disposta quando la Banca d'Italia ha accertato la sussistenza dell'interesse pubblico che ricorre quando la risoluzione è necessaria e proporzionata per conseguire uno o più obiettivi indicati all'articolo 21 e la sottoposizione della banca a liquidazione coatta amministrativa non consentirebbe di realizzare questi obiettivi nella stessa misura. L’art. 21, come sopra accennato, pone quali obiettivi della risoluzione, la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela.

Ai sensi del comma 2, nel perseguire gli obiettivi di cui al comma 1, si tiene conto dell'esigenza di minimizzare i costi della risoluzione e di evitare, per quanto possibile, distruzione di valore.

Da tale disciplina deriva con chiarezza che i presupposti per disporre la risoluzione sono gli stessi nei quali può essere disposta la liquidazione coatta amministrativa della banca e che la prevalenza per la risoluzione è affidata alla valutazione circa il raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 21, ovvero la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela. Inoltre, entrambe devono essere disposte quando la riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale emessi dalla banca non sia sufficiente ad evitare il dissesto o il pericolo di dissesto. Tale disciplina di diritto interno dà infatti attuazione alle misure previste dalla direttiva 2014/59, i cui presupposti e scopi fondamentali sono esplicitati nei primi punti dei “considerando” ovvero fornire strumenti per prevenire gli stati di insolvenza o, in caso di insolvenza, per ridurre al minimo le ripercussioni negative preservando le funzioni degli enti creditizi colpiti dalla crisi finanziaria.

Rileva, in particolare, il quinto “considerando” della direttiva per cui “occorre pertanto un regime che fornisca alle autorità un insieme credibile di strumenti per un intervento sufficientemente precoce e rapido in un ente in crisi o in dissesto, al fine di garantire la continuità delle funzioni finanziarie ed economiche essenziali dell'ente, riducendo al minimo l'impatto del dissesto sull'economia e sul sistema finanziario. Il regime dovrebbe assicurare che gli azionisti sostengano le perdite per primi e che i creditori le sostengano dopo gli azionisti, purché nessun creditore subisca perdite superiori a quelle che avrebbe subito se l'ente fosse stato liquidato con procedura ordinaria di insolvenza, in conformità al principio secondo cui nessun creditore può essere svantaggiato, come specificato nella presente direttiva. Nuovi poteri dovrebbero consentire alle autorità di mantenere, ad esempio, la continuità dell'accesso ai depositi e delle operazioni di pagamento, di vendere rami sani dell'ente, se del caso, e di ripartire le perdite in modo equo e prevedibile. Questi obiettivi dovrebbero contribuire a evitare la destabilizzazione dei mercati finanziari e a ridurre al minimo i costi per i contribuenti”.

In tale quadro sono state poste le norme di diritto interno.

L’art. 17 del d.lgs. n. 180 del 2015, rubricato “presupposti comuni alla risoluzione e alle altre procedure di gestione delle crisi” indica i presupposti per l’adozione delle misure indicate dall’art. 20, che si verificano quando: “a) la banca è in dissesto o a rischio di dissesto secondo quanto previsto dal comma 2;
b) non si possono ragionevolmente prospettare misure alternative che permettono di superare la situazione di cui alla lettera a) in tempi adeguati, tra cui l'intervento di uno o più soggetti privati o di un sistema di tutela istituzionale, o un'azione di vigilanza, che può includere misure di intervento precoce o l'amministrazione straordinaria ai sensi del Testo Unico bancario”.

In base al comma 2, “la banca è considerata in dissesto o a rischio di dissesto in una o più delle seguenti situazioni: a) risultano irregolarità nell'amministrazione o violazioni di disposizioni legislative, regolamentarie o statutarie che regolano l'attività della banca di gravità tale che giustificherebbero la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività;
b) risultano perdite patrimoniali di eccezionale gravità, tali da privare la banca dell'intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio;
c) le sue attività sono inferiori alle passività;
d) essa non è in grado di pagare i propri debiti alla scadenza;
e) elementi oggettivi indicano che una o più delle situazioni indicate nelle lettere a), b), c) e d) si realizzeranno nel prossimo futuro;
f) è prevista l'erogazione di un sostegno finanziario pubblico straordinario a suo favore, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 18”.

Il comma 3 dell’art. 17 specifica che le misure indicate all'articolo 20 possono essere disposte anche se non sono state precedentemente adottate misure di intervento precoce o l'amministrazione straordinaria.

All’art. 17 del d.lgs. n. 180 del 2015 rinvia, nel testo entrato in vigore il 16 novembre 2015, a seguito delle modifiche operate con il d.lgs. n. 181 del 16 novembre 2015 (Modifiche del d.lgs. n. 385 del 1 settembre 1993, n. 385 e del d.lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998, n. 58, in attuazione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014), anche l’art. 80 del d. lgs. n. 385 del 1993, Testo unico bancario, che indica, quindi, i medesimi presupposti per disporre la liquidazione coatta amministrativa. La scelta tra la risoluzione e la liquidazione coatta amministrativa è affidata, in base a quanto previsto dal secondo comma dell’art. 20 del d.lgs. n. 180 del 2015, alla valutazione di interesse pubblico circa la realizzazione degli obiettivi di cui all’art. 21, ovvero la continuità delle funzioni della banca, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela.

Si deve anche evidenziare che il testo previgente dell’art. 80 del d.lgs. n. 385 del 1993 indicava quali presupposti per la liquidazione coatta amministrativa le irregolarità nell'amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite di eccezionale gravità.

E’ dunque evidente che nella situazione concreta della Banca Marche, già oggetto dell’Amministrazione straordinaria, anche prorogata più volte e con la prospettiva di una crisi di liquidità e della richiesta di autorizzazione alla sospensione dei pagamenti ai sensi dell’art. 74 T.u.b., preannunciata dai Commissari straordinaria, si devono ritenere verificati alla data del 21 novembre 2015 i presupposti per l’avvio della risoluzione.

La difesa ricorrente del resto neppure contesta integralmente la situazione di perdite della Banca Marche, ma deduce che le perdite sarebbero state la conseguenza dell’eccessiva svalutazione dei crediti deteriorati.

Rispetto a tali deduzioni, si deve evidenziare che la necessità di procedere alla effettiva valutazione dei crediti deteriorati, non correttamente valutati nella precedente gestione della banca, risulta già da quanto rilevato negli accertamenti ispettivi della Vigilanza che hanno condotto all’Amministrazione straordinaria e dalle successive rettifiche di valore dei crediti effettuate dai Commissari.

La situazione di gravi perdite si era già verificata nel corso degli esercizi 2012- 2013, quindi, anche prima della valutazione provvisoria effettuata dalla Banca di Italia quale Autorità di risoluzione e contestata dalle ricorrente.

In ogni caso, alla data del 30 settembre 2015, in base ai dati contabili, sui quali è stata effettuata la valutazione provvisoria della Banca di Italia, le perdite di esercizio erano pari a 923 milioni di euro, considerati pari a 1032 alla data del 22-11-2015 (con patrimonio netto negativo a tale data per 102 milioni di euro) nella valutazione definitiva.

In tale situazione di perdite e di crisi di liquidità della banca, come segnalata dai Commissari, anche la sola riduzione o conversione di azioni, indicata dalla lettera a) dell’art. 20, sarebbe stata evidentemente insufficiente.

Ciò risulta chiaramente dalla entità degli ipotizzati interventi del Fondo di tutela dei depositanti, sia con riferimento alla prima ipotesi (Fonspa per complessivi 2700 milioni di euro) sia rispetto a quella approvata dal Fondo nell’ottobre 2015 (per 1200 milioni di euro).

Né può dirsi irragionevole la scelta di disporre la risoluzione in luogo della liquidazione coatta amministrativa, che avrebbe comportato, violando la previsione del secondo comma dell’art. 21, comma 2, del d.lgs. 180, la distruzione di valore della Banca, non risultando soggetti interessati al subentro nell’azienda bancaria fin dal 2013 (cfr. lettera degli amministratori alla banca di Italia del 25 luglio 2013). Sul punto la relazione dei Commissari dell’11 maggio 2015 riferisce di una verifica effettuata sul mercato nel corso del 2014 da parte di Intesa e Unicredit per reperire soggetti interessati ad un aumento di capitale e all’assorbimento degli ingente volume di crediti deteriorati, con esito negativo, e della mancata concretizzazione dell’intervento successivamente ipotizzato da Fonspa.

Pertanto, come ha indicato la Banca di Italia nel programma di avvio della risoluzione, si è ritenuto di assicurare la continuità dell’azienda bancaria, l’erogazione dei crediti, dei mutui, i posti di lavoro di circa tremila dipendenti.

Si deve considerare che nelle concrete circostanze di fatto relative alla situazione economica della Banca Marche, in amministrazione straordinaria da più di due anni (la proroga di due mesi dal 13-10-2015 al dicembre 2015 era stata disposta dalla Banca di Italia quale proroga per la chiusura dell’Amministrazione prevista dal comma 6 dell’art. 70) e, in mancanza di soluzioni alternative di mercato, la via ordinaria da seguire per l’Autorità di Vigilanza sarebbe stata proprio quella della liquidazione coatta ai sensi dell’art. 80 del testo unico bancario.

Del resto la stessa Banca di Italia nel provvedimento di avvio della risoluzione dà espressamente conto della valutazione dell’interesse pubblico operata proprio al fine di evitare il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, al fine di salvaguardare le funzioni essenziali della Banca, effettivamente mantenute, nel caso di specie, con le posizioni di credito in corso, i mutui, i depositi anche non protetti, comunque non colpiti dalle misure di risoluzione del 22-11-2015, e la tutela, quindi, del territorio in cui era specificamente radicata l’attività della Banca Marche, nonchè i posti di lavoro di circa tremila dipendenti, con una scelta che, ad avviso del Collegio, non può ritenersi illogica o irragionevole sulla base delle circostanze di fatto valutate dalla Autorità amministrativa.

Le ricorrenti sostengono il contrasto della disciplina del d.lgs. n. 180 del 2015 con la direttiva 2014/59 con riferimento alla violazione del principio di proporzionalità.

Si deve richiamare il 45 considerando della direttiva, che prevede espressamente che, in linea di principio, un ente in dissesto dovrebbe essere liquidato con procedura ordinaria di insolvenza. “Tale procedura, tuttavia, potrebbe compromettere la stabilità finanziaria, interrompere la prestazione di funzioni essenziali e pregiudicare la tutela dei depositanti. In tal caso, è altamente probabile che sarebbe di pubblico interesse sottoporre l'ente a risoluzione e applicare strumenti di risoluzione anziché avvalersi della procedura ordinaria di insolvenza, con l'obiettivo quindi di garantire la continuità delle funzioni essenziali, di evitare effetti negativi sulla stabilità finanziaria, di tutelare i fondi pubblici riducendo al minimo il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario per gli enti in dissesto e di tutelare i depositanti e gli investitori protetti, i fondi e le attività dei clienti”.

Le medesime valutazioni relative all’interesse pubblico sottostante alla scelta della risoluzione sono richieste dagli artt. 20 e 21 del d.lgs. 180 che ha dato attuazione alla disciplina comunitaria e che, pertanto, si devono ritenere conformi alla normativa di provenienza comunitaria.

Inoltre, tali disposizioni risultano correttamente applicate, nel caso di specie, in particolare, sotto il profilo del rispetto del principio di proporzionalità.

E’, infatti, evidente, anche solo dalla entità dell’intervento del Fondo di risoluzione, che solo una riduzione o conversione delle azioni, prevista dall’art. 20, comma 1, lettera a), non sarebbe stata sufficiente a ripianare la situazione di perdite e ad evitare il dissesto della Banca, come espressamente richiesto dall’art. 20, comma 1, lettera b), per disporre la risoluzione o la liquidazione coatta.

La risoluzione è stata, infatti, attuata con la cancellazione delle azioni -con un valore pari al patrimonio netto di 13 milioni di euro al 30 settembre 2015, negativo al 22 novembre 2015 in base alle successive rettifiche dei crediti deteriorati- e delle obbligazioni subordinate - per 249,7 milioni di euro di elementi di classe 2 computabili nei fondi propri oltre a 177,9 milioni di debito subordinato rimasto nella banca in liquidazione - e con un intervento del Fondo di tutela dei depositanti di circa duemila milioni di euro, finanziato dai contributi ordinari della banche al Fondo per l’anno 2015 e dai contributi straordinari previsti dall’art. 83 del d.lgs. n. 180 del 2015 per tre annualità, e con la garanzia della Cassa depositi e prestiti.

Le ricorrenti contestano, inoltre, la carenza della valutazione operata della Banca di Italia circa possibili soluzioni alternative alla risoluzione in particolare con riferimento al profilo dell’intervento del Fondo di tutela dei depositi approvato dal Fondo nell’ottobre del 2015.

Si deve tenere presente che l’art. 17, comma 1, lettera b), prevede espressamente la risoluzione possano quando non si possano “ragionevolmente prospettare misure alternative che permettano di superare la situazione di cui alla lettera a) in tempi adeguati, tra cui l'intervento di uno o più soggetti privati o di un sistema di tutela istituzionale, o un'azione di vigilanza, che può includere misure di intervento precoce o l'amministrazione straordinaria ai sensi del Testo Unico Bancario”.

Nel caso di specie, l’Amministrazione straordinaria era stata già disposta e prorogata fino ad un complessivo periodo superiore a due anni;
in tale periodo erano state tentate alcune soluzioni non andate a buon fine, quali l’intervento Fonspa. Inoltre, l’intervento del Fondo per la tutela dei depositi, approvato dal Consiglio del Fondo a ottobre 2015, prevedeva espressamente la sua concreta attuazione successiva all’entrata in vigore del d.lgs. n. 180 del 2015 con la applicazione della riduzione e conversione dei prestiti subordinati della banca.

Quanto, poi, al contrasto dell’intervento del Fondo di tutela dei depositanti con la disciplina degli aiuti di Stato, la Banca di Italia ha dato espressamente conto nel programma di risoluzione che l’intervento del Fondo non ha potuto avere corso, in relazione alla posizione negativa della Commissione europea in quanto non compatibile con la disciplina degli aiuti di Stato e che l’intervento del Fondo avrebbe dovuto essere previamente sottoposto formalmente all’esame della Commissione per verificarne l’ammissibilità in relazione a tale disciplina.

Si deve, infatti, considerare che la Commissione europea, già il 10 ottobre 2014, aveva richiesto informazioni relative alla situazione della Banca Marche con riferimento in particolare ad un possibile intervento del Fondo;
che la Commissione aveva, inoltre, formalmente espresso la sua posizione circa gli interventi del Fondo di tutela dei depositi, ritenendola incompatibile con la disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, nel caso dell’intervento disposto a favore della Banca Tercas, con la comunicazione del 27 febbraio 2015 (a cui è seguita la decisione del 23 dicembre 2015 con cui la Commissione ha disposto il recupero dell’ “aiuto” concesso alla Banca Tercas);
che, infine, i Commissari Vestager e Hill, nella nota del 19 novembre 2015 depositata in giudizio, ribadivano tale posizione.

Ne deriva che la valutazione operata a quella data del 21 novembre 2015 e nei limiti del sindacato di ragionevolezza su tali scelte non appare illegittima.

In tale quadro complessivo e nella situazione di urgenza verificatasi per la Banca Marche, la Banca di Italia ha, infatti, valutato prevalente l’interesse pubblico alla risoluzione in base alla espressa previsione dell’art. 20 comma 2 del d.lgs. n. 180 del 2015.

Nella valutazione di interesse pubblico possono essere considerati anche i rischi di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione, procedura che, tra l’altro, nel caso della Banca Tercas si è effettivamente concretizzata con il provvedimento finale della Commissione del 23 dicembre 2015. A tal proposito, si deve anche precisare in fatto che, per la Banca Tercas, l’intervento del Fondo di tutela dei depositanti era stato contenuto nella somma complessiva di trecento milioni di euro, inferiore di gran lunga a quanto ipotizzato per la Banca Marche e che, comunque, le azioni ordinarie erano state integralmente svalutate, mentre la Commissione nei suoi rilievi si è appuntata proprio sulla mancata conversione o svalutazione dei prestiti subordinati.

Da tale circostanza di fatto, deriva l’assoluta irrilevanza, rispetto al sindacato di legittimità del provvedimento adottato il 21 novembre 2015 e alla situazione concreta in cui ha operato a tale data la Banca di Italia, della questione dedotta dalla difesa ricorrente circa il rinvio pregiudiziale ai fini del concreto accertamento della compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato dell’intervento del fondo di tutela dei depositi, intervento mai effettivamente concretizzato e che comunque prevedeva le misure nei confronti degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati (cfr. autorizzazione del Fondo dell’8 ottobre 2015).

Invece l’intervento del Fondo di risoluzione è stato approvato il 22-11-2015 dalla Commissione europea, in relazione alla disciplina dell’art. 107 del trattato sul funzionamento dell’unione europea, ed è stato ritenuto compatibile con la disciplina degli aiuti di Stato in quanto in linea con i principi fissati dalla Commissione nella comunicazione del settore bancario del 2013, con la cancellazione delle azioni e di parte del debito subordinato.

La legittimità di tale posizione della Commissione rispetto all’intervento sulle posizioni degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati, secondo quanto prescritto nella comunicazione del 2013, è stata confermata dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 19 luglio del 2016, relativa ad un intervento della banca centrale slovena che, per ricapitalizzare alcune banche in difficoltà aveva inciso sul capitale degli azionisti e sul debito subordinato;
la sentenza ha, infatti, affermato che lo Stato membro può anche non imporre una tale misura prevista dalla comunicazione della Commissione sul settore bancario del 2013, ma in tal caso assume il rischio di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiari l’incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno.

La Corte, nella sentenza del 19 luglio 2016, ha anche affermato che la comunicazione del settore bancario deve essere interpretata nel senso che le misure di conversione o svalutazione dei titoli subordinati non devono andare oltre quanto necessario per superare la carenza di capitale della banca, il che, nel caso di specie, risulta evidente data la consistenza economica dell’intervento del Fondo di risoluzione rispetto alla posizione degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati, che era comunque destinata a ripianare le perdite della banca in caso di liquidazione coatta amministrativa.

La Corte di Giustizia, nella sentenza sulle banche slovene, ha infatti espressamente escluso la lesione del diritto di proprietà e dell’affidamento rispetto alle misure che incidono sugli azionisti e sugli obbligazionisti subordinati, in particolare in quanto “gli azionisti assumono in toto il rischio dei propri investimenti” e “sono responsabili per le passività della banca fino a concorrenza del capitale sociale”, per cui comunque sarebbero destinati a subire le perdite in caso di fallimento della banca, così come i creditori subordinati, in relazione alla natura dei titoli sottoscritti, destinati a partecipare alle perdite della banca dopo gli azionisti.

Né possono rilevare, ai fini del sindacato di legittimità, le eventuali diverse azioni di rilevanza politica presso la Commissione europea o altri organi dell’Unione al fine di disciplinare diversamente tali materie. Si tratta di scelte politiche che avrebbero potuto esser diverse, ma non comportano la illegittimità dell’azione amministrativa.

Si deve considerare che l’art. 21 del d.lgs. n. 180 del 2015 pone come obiettivi della risoluzione, la continuità delle funzioni essenziali delle banche, la stabilità finanziaria, il contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche, la tutela dei depositanti e degli investitori protetti da sistemi di garanzia o di indennizzo, nonché dei fondi e delle altre attività della clientela. Tali obiettivi indicati dalla legge risultano seguiti dalla Banca di Italia e dal Ministero dell’Economia nelle scelte alla base del provvedimento di risoluzione, né l’ordine o le priorità degli obiettivi posti da tale norma possono essere oggetto di contestazione in questa sede, trattandosi di scelte ampiamente discrezionali, quali, ad esempio, un maggiore aggravio a carico delle finanze pubbliche o del sistema bancario invece che degli azionisti o titolati di obbligazioni subordinati con un aumento della consistenza economica dell’intervento del fondo di risoluzione.

La difesa ricorrente muove poi censure rispetto alla valutazione provvisoria svolta dalla Banca di Italia e alla valutazione definitiva da parte della BDO.

L’art. 25 del d.lgs. n. 180 del 2015 prevede la valutazione provvisoria effettuata dalla Banca d'Italia o dal commissario straordinario, “quando sussistono motivi di urgenza” che non permettono di procedere alla valutazione definitiva da parte dell’esperto indipendente.

La valutazione provvisoria è consentita dai paragrafi 2 e 9 dell’art. 36 della direttiva 2014/59;
in particolare il paragrafo 2 prevede la valutazione provvisoria effettuata dall’Autorità di risoluzione qualora “non sia possibile” la valutazione di una persona indipendente da qualsiasi autorità pubblica, compresa l'autorità di risoluzione;
il paragrafo 9 la prevede, qualora la valutazione dell’esperto indipendente, non sia possibile “a causa dell'urgenza dettata dalle circostanze del caso”.

La norma interna ha consentito la valutazione provvisoria, solo nei casi di urgenza, quindi, in maniera più restrittiva rispetto a quanto previsto dalla direttiva.

Nel caso di specie, poi il ricorso alla valutazione provvisoria, quale presupposto per la risoluzione, risulta ampiamente giustificato in una situazione quale la crisi di liquidità della Banca segnalata dai Commissari con nota del 4 novembre 2015.

Quanto alle specifiche censure mosse avverso le modalità della valutazione provvisoria e definitiva, in quanto avrebbero operato ulteriori eccessive svalutazioni dei crediti deteriorati, si deve tenere conto, in primo luogo che, in base alla espressa disciplina dell’art. 23 del d.lgs. n. 180 del 2015, tali valutazioni devono essere effettuate proprio in base a criteri prudenziali e realistici delle attività e passività (“l’avvio della risoluzione è preceduto da una valutazione equa, prudente e realistica delle sue attività e passività”).

In particolare, in base al comma 2 dell’art. 24, la valutazione si fonda su ipotesi prudenti, anche per quanto concerne i tassi di insolvenza e la gravità delle perdite. Queste sono accertate con riferimento al momento in cui è effettuata la valutazione;
ove possibile, è altresì fornita una stima delle perdite che potrebbero risultare al momento dell'applicazione delle azioni di risoluzione o dell'esercizio del potere di riduzione o conversione delle azioni, delle altre partecipazioni e degli strumenti di capitale.

Peraltro, la valutazione provvisoria ha fatto riferimento, in primo luogo, ai dati contabili al 30 settembre 2015, da cui già risultavano le gravi perdite della Banca (923 milioni di euro) con il mancato rispetto dei requisiti prudenziali;
la previsione di perdite ulteriori al 22 novembre e patrimonio netto negativo a tale data. In una valutazione di fase 2, seguendo i criteri di valutazione maggiormente realistici e prudenziali, indicati dalla Commissione europea nella Comunicazione 2009/C 72/01 sul trattamento delle attività che hanno subito una riduzione di valore nel settore bancario comunitario e ai principi EBA (a quanto consta, in corso di approvazione), ha ulteriormente svalutato i crediti in base al loro stimato effettivo valore di cessione. In base a tali risultati, sono state considerate perdite pari a 1445 milioni di euro.

A prescindere dall’effettivo interesse delle ricorrenti a tale censura, considerato che già in base ai dati contabili dei Commissari si devono ritenere sussistenti i presupposti per la risoluzione, si deve considerare che la questione della valutazione dei crediti deteriorati è stata posta come elemento di attenzione per la situazioni di crisi generale della banche. Proprio al fine di ovviare a tale situazione di deterioramento del credito del sistema bancario sono stati indicati dalla Commissione, nella comunicazione sul trattamento delle attività che hanno subito una riduzione di valore nel settore bancario comunitario (2009/C72/01), criteri in base ai quali il portafoglio crediti di una banca sia valutato in modo il più possibile rispondente all’effettivo valore di mercato.

Inoltre, le problematiche del portafoglio crediti, erano proprio alla base della situazione critica della Banca Marche (cfr. proposta di Amministrazione straordinaria e relazione dei Commissari dell’11 maggio 2015), come riconosciuto anche dalla difesa ricorrente.

Quanto ai criteri utilizzati nella valutazione, si deve considerare che l’adozione di criteri prudenti e realistici è indicata dagli artt. 23 e 24 del d.lgs n. 180, conformemente a quanto prescritto a livello europeo dalla comunicazione della Commissione del 2009. In effetti, la valutazione con tali criteri ha comportato nuove svalutazioni tali da comportare un considerevole aggravio delle perdite (1442 milioni di euro).

Le svalutazioni sono poi state sostanzialmente confermate dalla valutazione definitiva, elaborata applicando i medesimi criteri di valutazione.

Anche la valutazione definitiva ha fatto riferimento, in primo luogo, ai criteri contabili e al bilancio dei Commissari, considerando al 22 novembre 2015 una perdita di esercizio pari 1032 milioni di euro e un patrimonio netto negativo pari a -102 milioni di euro, a cui nella valutazione cd. di fase 2 sono state aggiunte rettifiche prudenziali sia sul patrimonio netto sia sui crediti in prospettiva della cessione all’ente ponte e alla società veicolo. Tali valutazioni prudenziali hanno sostanzialmente confermato la valutazione provvisoria con un patrimonio netto negativo pari a 1412 milioni di euro.

In ogni caso, già nei dati contabili al 30 settembre 2015 la situazione della Banca Marche era tale da avere cospicue perdite che non avrebbero comunque consentito agli azionisti di soddisfare il loro credito in sede concorsuale.

La grave situazione della Banca Marche è stata poi confermata dalla sentenza del Tribunale di Ancona del 15 marzo 2016 che ne ha dichiarato l’insolvenza confermando, in particolare anche la legittimità delle stime effettuate sui crediti deteriorati.

Comunque, sia la valutazione provvisoria che quella definitiva hanno evidenziato che gli azionisti e i creditori subordinati non avrebbero subito un migliore trattamento a seguito della liquidazione coatta amministrativa, come espressamente richiesto dalla disciplina legislativa interna e dalla normativa comunitaria.

Tale valutazione, indicata dal considerando 50 e nell’art. 74 della direttiva e nell’art. 24 comma 5 del d.lgs. n. 180 del 2015 è, infatti, necessaria proprio al fine di salvaguardare il contemperamento tra la prevalenza degli interessi generali che stanno a base della scelta della risoluzione, rispetto agli interessi dei privati, azionisti e obbligazionisti, che non devono ricevere un trattamento deteriore rispetto a quello della ipotesi ordinaria della liquidazione coatta amministrativa. Il 45 considerando della direttiva evidenzia che la procedura ordinaria per la crisi della banche è la procedura ordinaria di insolvenza. Il considerando 50 prevede che “l'interferenza nei diritti di proprietà non dovrebbe essere eccessiva. Gli azionisti e creditori interessati non dovrebbero subire perdite superiori a quelle che avrebbero sostenuto se l'ente fosse stato liquidato quando è stata decisa la risoluzione. Qualora le attività di un ente soggetto a risoluzione siano parzialmente cedute a un acquirente privato o a una banca-ponte, è opportuno liquidare la parte residua di tale ente con procedura ordinaria di insolvenza. Per tutelare gli azionisti e creditori che si trovano coinvolti nella procedura di liquidazione dell'ente, è opportuno sancirne il diritto a ricevere, in pagamento o a compensazione dei loro crediti nel quadro di tale procedura, una somma non inferiore a quella che, secondo le stime, avrebbero recuperato se l'ente fosse stato integralmente liquidato con procedura ordinaria di insolvenza”.

La valutazione operata proprio con riferimento alla specifica circostanza che i creditori e gli azionisti non avrebbero ottenuto meno di quanto avrebbero ottenuto con la liquidazione coatta è una clausola di salvaguardia che serve a garantire il livello di tutela normalmente apprestato per tali soggetti in una procedura concorsuale. Si deve del resto considerare che il ricorso alla procedura di risoluzione è giustificato proprio nell’ottica del possibile salvataggio della banca, altrimenti destinata alla liquidazione (ai sensi del vigente art. 80 del testo unico bancario i presupposti della liquidazione coatta sono gli stessi della risoluzione), quando non sussistano le prospettive di risanamento.

La stessa sentenza della Corte di Giustizia del 19 luglio 2016 fa espresso riferimento agli strumenti di risoluzione come “provvedimenti di risanamento”.

La valutazione circa le alternative in sede di liquidazione coatta ha comportato una quantificazione dei costi e dei tempi della procedura, risultando che gli azionisti e gli obbligazionisti non avrebbero ottenuto alcuna liquidazione, dopo la soddisfazione di tutti gli altri creditori.

L’evidenza di tali circostanze di fatto, in relazione anche alla entità delle perdite della banca, comporta la irrilevanza, nel caso di specie, della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa ricorrente con riferimento all’art. 95 del d.lgs. n. 180 del 2015, che rende inapplicabile al presente giudizio la verificazione e la consulenza tecnica d’ufficio, né tale difesa ha dedotto alcuna specifica circostanza circa la possibilità di ottenere un migliore trattamento in sede di liquidazione coatta.

Gli interventi di salvataggio così come effettuati, senza incidere sui depositi non protetti, non si possono ritenere in contrasto con l’art 47 della Costituzione.

Né nel caso di specie si può ravvisare una violazione dell’art 42 della Costituzione, non potendosi configurare in alcun modo una espropriazione.

Le azioni e le obbligazioni subordinate sono, infatti, titoli di credito, la cui natura e funzione è quella di partecipare alla eventuali perdite della banca, come affermato anche dalla Corte di Giustizia, che, nella sentenza sulle banche slovene, ha espressamente escluso la lesione del diritto di proprietà e dell’affidamento da parte delle misure che incidono sugli azionisti e sugli obbligazionisti subordinati, in particolare in quanto gli azionisti assumono il rischio dell’investimento e sono responsabili per le passività della banca fino a concorrenza del capitale sociale, i creditori subordinati sono, comunque, destinati a subire le perdite della banca dopo gli azionisti.

Infondata è l’eccezione relativa al difetto di istruttoria, in quanto la Banca di Italia avrebbe trattato con uno stesso procedimento quattro banche.

Risulta, infatti, dagli atti di causa e dalla cospicua documentazione depositata che l’istruttoria è stata effettuata con riferimento alla situazione concreta della Banca Marche e ai dati contabili e ai parametri di vigilanza di quest’ultima.

La difesa ricorrente contesta poi la legittimità costituzionale della disciplina della risoluzione introdotta dal d.lgs. n. 180 del 2015, in relazione agli articoli 102 e 111 della Costituzione, in quanto avrebbe affidato tutte le funzioni della risoluzione ad un autorità amministrativa, comprese funzioni tipiche dell’autorità giudiziaria, quali quelle del Tribunale fallimentare in sede contenziosa e tale scelta non sarebbe stata imposta dal testo della direttiva 2014/59.

Ritiene il Collegio l’infondatezza della questione del rispetto della normativa comunitaria in quanto la disposizione comunitaria attribuisce un ampio margine di discrezionalità al legislatore nazionale in relazione ai diversi sistemi di diritto interno. In base all’art. 85 della direttiva “gli Stati membri possono imporre che una decisione di adottare una misura di prevenzione della crisi o una misura di gestione della crisi sia soggetta a un'approvazione ex ante delle autorità giudiziarie, posto che, per quanto concerne una decisione di adottare una misura di gestione della crisi, conformemente al diritto nazionale, la procedura connessa alla domanda di approvazione e l'esame della domanda da parte del giudice siano eseguiti con urgenza”.

I profili di legittimità costituzionale sollevati con riferimento al mancato intervento dell’autorità giudiziaria, appaiono, in primo luogo del tutto irrilevanti, nel caso di specie, essendo già intervenuta la sentenza che ha accertato lo stato di insolvenza della Banca Marche in amministrazione straordinaria, pronunciata dal Tribunale di Ancona il 15-3-2016, che costituisce l’accertamento giurisdizionale invocato dalle ricorrenti con il riferimento al Tribunale fallimentare.

Si tratta, inoltre, di accertamenti giurisdizionali relativi allo stato di insolvenza, che hanno effetto sulle procedure concorsuali, che sono al di fuori della giurisdizione di questo Tribunale.

Quanto alla circostanza che una tale valutazione dello stato di insolvenza avrebbe dovuto essere prevista ex ante, prima dell’avvio della procedura amministrativa, la disciplina introdotta dall’art. 36 del d.lgs. n. 180 del 2015, corrisponde a quanto previsto per la liquidazione coatta amministrativa sia dal Testo unico bancario (art. 82, comma 2, a cui l’art 36 del d.lgs. 180 del 2015 espressamente rinvia) sia, più in generale, dall’art. 202 della legge fallimentare.

L’ordinamento prevede già ipotesi di dichiarazione di insolvenza pronunciata successivamente all’avvio di una procedura amministrativa, ritenute anche costituzionalmente legittime dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 301 del 2005 (con riferimento agli articoli 82 del Testo unico bancario e 202 della legge fallimentare -si trattava della liquidazione coatta amministrativa di una banca di credito cooperativo) e, con sentenza n. 87 del 1969, per cui la disciplina della liquidazione coatta amministrativa riflette le stesse finalità pubblicistiche cui sono rivolte le imprese ad essa soggette: finalità che giustificano gli interventi della Pubblica Amministrazione, mediante la vigilanza sugli organi, nonché l'ingerenza e i controlli sulle attività delle imprese medesime;
(sulla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 202 della legge fallimentare anche con riferimento all’art. 41 della Costituzione, cfr. Cassazione sez. I, n. 9881 del 1997, per cui “non si ritiene che la sostituzione di organi gestori dell'impresa, attuata nell'ambito di possibilità riservate alla previsione di legge e realizzata per la tutela di finalità pubbliche o di interessi diffusi assunti a rilevanza pubblica, costituisca violazione, sotto qualsiasi forma, del diritto che l'art. 41 Cost. prevede nel primo comma, disciplinandolo peraltro nella correlazione con i limiti del secondo e terzo comma. Qualora non si intenda sostenere l'illegittimità costituzionale della sostituzione gestoria in tutti i casi dalla legge previsti, anche al di fuori della disciplina concorsuale per le esigenze della normativa societaria, a tutela di interessi diffusi connessi sia al tipo di attività di impresa esercitata -gestione commissariale per motivi distinti dall'insolvenza-, sia in generale alla crisi irreversibile dell'impresa, non si vede quale situazione di pregiudizio tutelabile sotto il profilo dell'art. 41 Cost. si realizzerebbe nella fattispecie dell'art. 202 della legge fallimentare, e ciò in quanto l'iniziativa economica si vuole libera se ed in quanto diretta a produrre ricchezza, ma si vuole dissolta quando l'irreversibilità della crisi costituisce distruzione di ricchezza individuale e sociale, e ciò nei limiti che l'art. 41 Cost. prevede per l'iniziativa economica”).

La Corte Costituzionale ha anche affermato che “ove sorga la esigenza di una procedura concorsuale, non necessariamente questa deve interamente svolgersi nel contesto di un procedimento giurisdizionale sotto l'immediato e diretto controllo dell'autorità giudiziaria, come nell'ipotesi del fallimento, ben potendo invece il legislatore prevedere un procedimento amministrativo tanto più se sono coinvolti interessi pubblici…Ciò di per sé solo non significa negazione della giustiziabilità delle posizioni soggettive versate nella procedura di liquidazione e non comporta vulnus a quel supremo principio dell'ordinamento costituzionale che è il diritto alla tutela giurisdizionale, la quale non implica un'unica rigida tipologia di procedura concorsuale. Il nostro ordinamento d'altra parte già conosce ipotesi di procedure concorsuali che si svolgono inizialmente in ambito amministrativo, quali la liquidazione coatta amministrativa e l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi” (sentenza n. 155 del 1994 rispetto alla procedura di dissesto degli enti locali;
cfr. altresì ordinanza n. 7 del 2006, che rispetto alla disciplina della amministrazione straordinaria delle grandi imprese di cui al d.lgs. n. 270 del 1999 fa riferimento al contemperamento tra l'interesse al risanamento dell'impresa e quello, proprio dei creditori, al soddisfacimento delle proprie ragioni).

Si deve peraltro evidenziare che in base alle disposizioni del testo unico bancario, sia nel testo anteriore al novembre 2015, sia in quello vigente, la liquidazione coatta delle banche (come nel testo vigente la risoluzione) ha per presupposto non solo una situazione di perdite ma anche la violazione di disposizioni legislative, amministrative e statutarie e la irregolarità dell’Amministrazione;
quindi, nelle ipotesi, in cui non rileva lo stato di insolvenza, la liquidazione è disposta senza alcun intervento della autorità giudiziaria ordinaria.

L’infondatezza delle censure dedotte comporta l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento al d.l. n. 183 del 2015 abrogato con la legge n. 208 del 2015, salvandone gli effetti prodotti, che ha costituito gli enti ponte, trattandosi di una fase successiva a quella relativa all’accertamento dei presupposti per la risoluzione.

La stessa difesa ricorrente ha sollevato tale profilo di censure con riguardo alla carenza dei presupposti per la risoluzione che sarebbero stati legificati dalla legge provvedimento, affermando espressamente che “laddove i presupposti per la risoluzione delle Banca Marche siano effettivamente sussistenti e non sussista altra misura in grado di salvaguardare gli interessi pubblici coinvolti, dovrà concludersi per la legittimità del provvedimento della Banca di Italia e del d.l. n. 183 del 2015.”

In ogni caso, la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale non esclude per la legge ordinaria la possibilità di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti o materie normalmente affidati all'autorità amministrativa, non sussistendo un divieto di adozione di leggi a contenuto particolare e concreto, salvo un sindacato stringente sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta del legislatore, nonché del rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso. “Non è configurabile, in base alla Costituzione, una riserva di amministrazione, ma il legislatore, qualora emetta leggi a contenuto provvedimentale, deve applicare con particolare rigore il canone della ragionevolezza, affinché il ricorso a detto tipo di provvedimento non si risolva in una modalità per aggirare i principi di eguaglianza ed imparzialità. La mancata previsione costituzionale di una riserva di amministrazione e la conseguente possibilità per il legislatore di svolgere un'attività a contenuto amministrativo, non può giungere fino a violare l'eguaglianza tra i cittadini” (sentenza n. 137 del 2009).

Il sindacato di legittimità costituzionale andrebbe effettuato, quindi, sotto il profilo della ragionevolezza e della disparità di trattamento, sindacato che nel caso di specie, data l’assoluta eccezionalità e novità della situazione normativa applicata con l’avvio della risoluzione, conduce, comunque, ad un giudizio di manifesta infondatezza della questione.

L’infondatezza delle censure comporta il rigetto della domanda di risarcimento danni.

In considerazione della novità della questione sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.

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