TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-05-12, n. 202308195

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-05-12, n. 202308195
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202308195
Data del deposito : 12 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/05/2023

N. 08195/2023 REG.PROV.COLL.

N. 09807/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9807 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Presidenza della Repubblica, in persona del Presidente della Repubblica pro tempore, Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

previa adozione delle più idonee misure cautelari

- del decreto del Presidente della Repubblica, emesso il 25/05/2022 e notificato alla ricorrente il 27/06/2022, di annullamento del decreto del Presidente della Repubblica, emesso in data 29/02/2016, con il quale era stata concessa alla ricorrente la cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f) Legge n. 91/1992, -OMISSIS-;

- di ogni altro atto richiamato, presupposto, antecedente, consequenziale e comunque connesso al decreto ivi impugnato, ancorché non conosciuto per quanto lesivo dell'interesse della ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2023 il dott. G V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. - Con il ricorso in esame la ricorrente ha domandato l’annullamento, previa sospensione cautelare, del decreto del Presidente della Repubblica prot. n. -OMISSIS-, del 27 giugno 2022, con il quale è stato annullato, in autotutela, il precedente decreto del 29 febbraio 2016 che le aveva concesso la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f) , della legge n. 91 del 1992.

La motivazione, che assiste il provvedimento di autotutela impugnato, ha rilevato che il decreto di concessione della cittadinanza, dopo la prestazione del giuramento di rito da parte dell’interessata, “ è divenuto oggetto del procedimento penale presso il Tribunale di Roma (n. 4196/2017/2018 R.G.N.R. PM e n. 13469/2017 R.G. Ufficio G.I.P.-G.U.P.), attualmente nella fase dell’udienza preliminare, instaurato a seguito dell’indagine compiuta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, volta ad accertare l’avvenuta definizione favorevole, pur in presenza di gravi elementi ostativi, di circa 500 pratiche di concessione della cittadinanza, tra le quali risulta ricompresa anche quella dell’istante ”. Rispetto a tale procedimento penale, riferisce l’atto impugnato, era stato stralciato, tempo addietro, un ulteriore procedimento, “ il n. 43898/2017, definito con giudizio abbreviato con la sentenza n. 13711/2018 del Tribunale di Roma, che ha condannato una dipendente della Direzione centrale per la cittadinanza del Ministero dell’Interno per i reati di cui agli artt. 615 ter e 615 quater c.p., per aver definitivo positivamente, nonostante l’istruttoria fosse alterata, circa 100 istanze di cittadinanza, mediante accesso abusivo al sistema informatico e manipolazione dei dati dietro corrispettivo ”. La sentenza del Tribunale di Roma, si legge nell’atto, “ è stata confermata in secondo grado, con la sentenza n. 14467/2019 della Corte d’Appello di Roma, e in ultimo grado, a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione nr. 14189/2020, diventando definitiva ”. Il provvedimento di concessione della cittadinanza, nei confronti dell’odierna ricorrente, sarebbe pertanto risultato “ carente in via assoluta di istruttoria e non altrimenti sanabile, per via delle circostanze emerse in sede penale e non addebitabili all’Amministrazione ”.

Nella motivazione dell’atto, inoltre, si dà conto della nota ministeriale, datata 22 dicembre 2021, con la quale, nei confronti dell’odierna ricorrente, è stata data comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, e si aggiunge che “ non sono stati forniti nuovi elementi utili per una decisione favorevole ”.

Viene infine esclusa la sussistenza di un affidamento tutelabile in capo alla parte privata, ai sensi dell’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990, “ sulla base della considerazione che il decorso del tempo non può ingenerare un affidamento in buona fede in capo a coloro che hanno ottenuto la cittadinanza in conseguenza di comportamenti penalmente rilevanti, tenuto peraltro conto che l’Amministrazione è venuta a conoscenza degli ulteriori fatti criminosi solo con la recente richiesta di rinvio a giudizio ”. L’amministrazione, dunque, si sarebbe mossa “ tempestivamente ”, pur nella consapevolezza che non sarebbe applicabile il termine “ ragionevole ” di cui all’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990 allo specifico procedimento di concessione dello status di cittadino, e ciò “ per incompatibilità con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, secondo consolidata giurisprudenza ” (sono qui richiamate alcune sentenze di questo TAR).

Sono, infine, spese ulteriori considerazioni atte a sostenere la sussistenza e la prevalenza dell’interesse pubblico, concreto e attuale, alla rimozione dell’atto di riconoscimento della cittadinanza, anche nel bilanciamento con il contrapposto interesse della parte privata, nel soddisfacimento dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza.

2. – Il ricorso è affidato a due diversi motivi di gravame, rispettivamente rubricati “ Omessa notifica dell’avviso di avvio del procedimento amministrativo volto all’annullamento del decreto di concessione della cittadinanza italiana;
violazione dell’art. 10 bis legge n. 241/1990
” ed “ Eccesso di potere per difetto di istruttoria, omessa valutazione e travisamento dei fatti ”.

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta che l’avviso “ex art. 10 bis Legge n. 241/1990”, al contrario di quanto affermato nella motivazione dell’atto di diniego, non gli sarebbe stato mai notificato, impedendole così di poter spiegare le proprie difese e le proprie osservazioni nel corso del procedimento. La ricorrente precisa di essere residente all’estero “ed iscritta all’A.I.R.E. dal 23/05/2019”.

Con il secondo motivo, viene contestato che l’originario provvedimento di concessione della cittadinanza fosse realmente carente in punto di istruttoria. La ricorrente afferma in particolare che, nel quadro risultante sia dall’originaria notizia di reato (depositata in giudizio al doc. n. 13 – e poi confluita nel fascicolo delle indagini preliminari per il procedimento penale n. 4196/17), sia dalla successiva richiesta di rinvio a giudizio (doc. n. 14), tra le pratiche di cittadinanza “agevolate” dall’intervento illecito della funzionaria non figurerebbe quella della ricorrente, pur se essa risulta tra le pratiche “lavorate” dalla dipendente medesima. Che quest’ultima abbia favorito l’adozione del decreto di conferimento della cittadinanza, omettendo la valutazione degli elementi “a sfavore” per i vari richiedenti, costituirebbe solo “un’ipotesi accusatoria”, in quanto – nonostante la già intervenuta sentenza di condanna, all’esito del procedimento penale stralcio – il filone nel quale è compresa la pratica della ricorrente è ancora fermo alla fase dell’udienza preliminare.

In particolare, l’elemento di fatto sul quale si sorregge l’ipotesi accusatoria, e cioè l’avvenuto accesso alla pratica informatica da parte della dipendente ministeriale, avrebbe contorni del tutto generici, in quanto risulterebbe solo che vi sia stato un accesso, ma non si avrebbe certezza alcuna circa le operazioni concretamente compiute in sede di tale accesso. Potrebbe anche ritenersi – si sostiene nel ricorso – che la dipendente infedele abbia fatto accesso alla pratica de qua solo per visionarla, senza compiere alcun atto idoneo a favorire il buon esito della stessa. Non si avrebbe, insomma, la certezza dell’avvenuta commissione, da parte della dipendente ministeriale, del fatto di reato contestato. Evidenzia, inoltre, che al momento di quell’accesso (avvenuto nel 2016) una buona parte dell’istruttoria della pratica della ricorrente doveva ritenersi già esaurita, essendo trascorso ormai un considerevole lasso di tempo dalla presentazione dell’istanza (risalente al 2011), senza che fosse stato emesso alcun preavviso di rigetto della domanda di concessione della cittadinanza italiana. Nel sistema SICITT, difatti, risultava presente un parere della Prefettura (contrario ma non è dato sapere in merito a quale requisito e per quali motivi), nonché una richiesta di aggiornamento del casellario giudiziale, sintomo evidente che, tra il momento della presentazione dell’istanza e quello del presunto intervento risolutivo dell’imputata, fosse già nella disponibilità dell’Amministrazione il parere favorevole della Questura di Roma, stante l’assenza di precedenti penali e di polizia giudiziaria in capo alla ricorrente, e ne fosse stato richiesto un aggiornamento (al fine di verificare se successivamente alla presentazione dell’istanza fossero state annotate iscrizioni pregiudizievoli nel casellario giudiziale o carichi pendenti inerenti la posizione della ricorrente).

Precisa, ancora, al fine di confutare il rilevato vizio di carenza assoluta di istruttoria del decreto concessorio originario, che l’istante era senz’altro in possesso del requisito reddituale, contrariamente a quanto ritenuto nell’ipotesi accusatoria e, segnatamente, nel prospetto riepilogativo delle irregolarità accluso all’informativa di reato (doc. n. 13 ricorso) predisposta dal Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche della Polizia di Stato (C.N.A.I.P.I.C.). Al riguardo, deduce in particolare che, con riguardo, tra gli altri, ai periodi di imposta 2010, 2011 e 2012, il reddito del coniuge (del quale risultava fiscalmente a carico) era pari rispettivamente ad € 10.154, € 6.180 ed € 2.379, ma per le annualità di imposta 2011 e 2012 doveva essere computata anche l’indennità di disoccupazione per un reddito complessivo pari a circa € 12.000.

Ne deriverebbe, a giudizio della ricorrente, il dovere dell’amministrazione di riaprire l’istruttoria sulla sua domanda, “in applicazione del principio generale di conservazione dell’atto amministrativo”, così giungendosi a “sana[re] la presunta nullità del decreto impugnato con effetti ex tunc ”. In sostanza, conclude la ricorrente, quand’anche il decreto di conferimento della cittadinanza fosse stato emesso a seguito dell’intervento illecito della dipendente infedele, “occorrerebbe valutare in concreto se tale provvedimento abbia deviato dal perseguimento dell’interesse pubblico cui dovrebbe essere orientato”, esito, quest’ultimo, che sarebbe tuttavia da escludere sulla base della produzione documentale offerta con il ricorso.

3. – Si sono costituite le Amministrazioni intimate, eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione passiva del Presidente della Repubblica sul presupposto che i decreti in oggetto, sebbene formalmente emanati nella forma del d.P.R., corrispondono esclusivamente a determinazioni e scelte dell’Autorità governativa proponente, ovvero il Ministro dell’Interno. Nel merito, la difesa erariale ha contestato la fondatezza degli assunti avversari, depositando altresì memorie e documenti nonché la relazione ministeriale.

4. - Con ordinanza n. -OMISSIS- del 5 ottobre 2022, questa Sezione, in esito alla discussione sull’incidente cautelare, ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per la sollecita fissazione dell’udienza di merito, ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.

5. - La ricorrente ha depositato memoria difensiva in data 28 settembre 2022 e la difesa erariale ha depositato, in data 24 marzo 2023, documentazione riguardante il prospetto riepilogativo delle irregolarità riscontrare a carico, tra l’altro, dell’odierna istante, invero già prodotto da quest’ultima in quanto accluso all’informativa di reato (doc. n. 13 ricorso).

Alla pubblica udienza del 28 marzo 2023, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. – In via preliminare, deve essere scrutinata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva del Presidente della Repubblica sollevata dalla difesa erariale.

L’eccezione merita adesione.

Invero, alla luce della costante giurisprudenza, puntualmente richiamata dall’Avvocatura Generale dello Stato, nel caso di impugnazione di atti emanati nella forma del decreto del presidente della Repubblica, assunto nell'esercizio di poteri non riconducibili a quelli amministrativi e "politici" non liberi nei fini, quanto piuttosto nell'esercizio di un potere neutrale di garanzia e controllo di rilievo costituzionale su atti di altri organi o autorità, la legittimazione passiva va riconosciuta, non già al Presidente della Repubblica, bensì all'autorità il cui atto è fatto oggetto del ridetto controllo presidenziale, e alla quale spetta la qualifica di autorità emanante (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. I, 16/02/2017, n.2485).

Va, inoltre, ricordata la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo la quale “lo Stato può essere convenuto in giudizio nelle persone del Presidente del Consiglio dei Ministri o dei singoli Ministri competenti in riferimento alla materia controversa, e non anche del Presidente della Repubblica, il quale è estraneo al potere esecutivo, titolare di un autonomo potere "neutro", garante della Costituzione e dell'unità nazionale, e le cui attribuzioni e funzioni non ne implicano mai una partecipazione diretta all'amministrazione dello Stato-soggetto” (Cass. civ. Sez. II sent., 05/08/2016, n. 16578).

Ne consegue, alla luce di quanto precede, che deve essere disposta l’estromissione dal giudizio del Presidente della Repubblica.

2.- Tanto premesso, il ricorso è infondato nel merito e va, pertanto, respinto.

La vicenda oggetto del presente scrutinio è nota alla giurisprudenza della Sezione, che su di essa si è già pronunciata con diversi precedenti.

Si tratta della vicenda che ha visto coinvolta una funzionaria infedele del Ministero dell’interno la quale, a seguito di un procedimento penale, è stata condannata per aver alterato, a seguito di indebiti accessi nelle rispettive procedure informatiche, un numero notevole di pratiche afferenti alla concessione della cittadinanza italiana in favore di richiedenti stranieri. Le fondamentali circostanze di fatto della vicenda, che hanno orientato l’amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, sono sufficientemente e adeguatamente descritte nella motivazione dell’atto gravato, nel quale si dà conto del procedimento penale stralciato dal filone principale, conclusosi con la condanna definitiva, dopo tre gradi di giudizio, nei confronti della funzionaria infedele. La relazione depositata in giudizio dall’amministrazione (in data 27 settembre 2022) aggiunge un ulteriore, e rilevante, dato di fatto, ossia l’avvenuta condanna, in primo grado, della medesima funzionaria anche per le imputazioni di cui al filone principale, nell’ambito del quale risulta compresa la pratica di cittadinanza dell’odierno ricorrente. Si legge, infatti, nella relazione che “ L’attuale procedimento penale costituisce il filone principale della nota vicenda conclusasi, in un procedimento stralcio, con la condanna in tutti i gradi del giudizio di una dipendente del Ministero dell’interno per l’illegittima concessione di circa 100 cittadinanze ” e che “ In relazione a tale ulteriore procedimento, la suddetta dipendente e il coniuge della medesima, pure coinvolto, hanno presentato richiesta di patteggiamento, che è stata accolta dal G.U.P. presso il Tribunale di Roma, il quale in data 11.05.2022 ha emanato nei loro confronti una sentenza di condanna. Il suddetto Giudice ha inoltre disposto il rinvio a giudizio di tutti gli altri imputati ”.

Dagli atti versati in giudizio, e in particolare anche da quelli che sono stati depositati dalla stessa parte ricorrente, emerge chiaramente – come si anticipava – che la pratica di cittadinanza dell’odierna ricorrente risulta compresa tra quelle inquinate dall’intervento illecito della funzionaria infedele. Nell’informativa di reato predisposta dal Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche della Polizia di Stato (C.N.A.I.P.I.C.), recante la data del 20 giugno 2019 (doc. n. 13 del ricorrente), sono riportati i numeri di protocollo delle pratiche di cittadinanza “ a cui si è evidentemente interessata la principale indagata ”. Nell’allegato elenco risulta anche il numero di protocollo -OMISSIS-, concernente la pratica dell’odierna istante, con indicazione delle seguenti irregolarità riscontrate: “ Utilizzo illecito della credenziale ‘Dirigente Area terza’ per la definizione – Utilizzo illecito della credenziale ‘Dirigente Area terza’ per richiesta nuovo parere casellario - Utilizzo illecito della credenziale ‘Dirigente Area terza’ per scansione ed acquisizione al fascicolo dei redditi familiari - Parere Prefettura Roma contrario per insufficienza reddituale – Assenza del timbro di accettazione della prefettura su domanda – Assenza attestazione avvenuto versamento euro 200”.

Allo stesso tempo, nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, datata 7 luglio 2020 (doc. n. 14 del ricorrente), il numero di protocollo -OMISSIS- è richiamato sia nell’elenco delle 486 pratiche alterate sotto la descrizione del capo di imputazione ex artt. 110, 48 e 479 c.p., contestandosi qui, nei confronti di diversi soggetti, la “ manipolazione del sistema informatico SICITT, in uso al Ministero dell’Interno, nonché la formazione di attestazioni false concernenti il reddito, requisito necessario per l’ottenimento della cittadinanza italiana ”, sia nell’elenco delle 299 pratiche per le quali risultano essere state utilizzate le credenziali del dirigente dell’area. Si tratta, in quest’ultimo caso, del capo di imputazione ex artt. 81, capoverso, 615- ter , comma 1, comma 2, numero 1), e comma 3, e 615- quater c.p., concernente specificamente la persona della funzionaria infedele, la quale, “ con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dopo essersi abusivamente procurata le credenziali di accesso altrui, abusivamente si introduceva e si manteneva nel sistema informatico denominato SICITT del Ministero dell’Interno, sistema di interesse pubblico munito di misure di sicurezza, per manipolare i dati in esso contenuti e consentire a numerosi stranieri, sprovvisti dei requisiti necessari, di acquisire la cittadinanza italiana ”.

Si tratta della notizia di reato che ha aperto il filone principale del procedimento penale (n. 4196/2017), attualmente – come per l’appunto riferito in giudizio dall’amministrazione resistente – giunto alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) per la funzionaria infedele (e il coniuge, pure coinvolto), nonché alla richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli altri imputati.

3. – In base a queste risultanze, dunque, risulta destituita di fondamento l’asserzione accennata in ricorso, secondo cui, tra le pratiche inquinate, non figurerebbe quella della ricorrente;
al contrario, essa è espressamente indicata nell’elenco di cui ai capi di imputazione e, conseguentemente, rientra tra quelle di cui alla relativa sentenza di patteggiamento dell’11 maggio 2022 sopra menzionata.

Ne deriva, pertanto, che l’amministrazione, a fronte dell’acclarata manipolazione abusiva della pratica in oggetto affetta, dunque, da un grave e insanabile vizio di difetto di istruttoria, ha ragionevolmente avviato il procedimento di autotutela per disporre l’annullamento d’ufficio del precedente decreto concessorio.

4.- Quanto all’ulteriore profilo di censura – secondo cui non sarebbe possibile, con certezza, desumere un effettivo inquinamento della pratica, ben potendosi presumere che l’illecito accesso, posto in essere dalla funzionaria infedele, si sia limitato a una mera visualizzazione dei dati, senza alcun intervento atto ad alterarne l’esito – anch’esso è parimenti destituito di fondamento, in base a quanto è dato ricavare dagli atti versati in giudizio.

Invero, come si evince dal prospetto riepilogativo delle irregolarità riscontrate a carico, tra l’altro, dell’odierna istante, accluso alla informativa di reato del CNAIPIC, anche la pratica della medesima (come, del resto, tutte le altre) risultava affetta da macroscopici vizi afferenti all’istruttoria: emergevano, invero, diverse irregolarità, e precisamente, come già si è rimarcato, le seguenti: “ Utilizzo illecito della credenziale ‘Dirigente Area terza’ per la definizione – Utilizzo illecito della credenziale ‘Dirigente Area terza’ per richiesta nuovo parere casellario - Utilizzo illecito della credenziale ‘Dirigente Area terza’ per scansione ed acquisizione al fascicolo dei redditi familiari - Parere Prefettura Roma contrario per insufficienza reddituale – Assenza del timbro di accettazione della prefettura su domanda – Assenza attestazione avvenuto versamento euro 200 ”.

La mancanza del requisito reddituale, in particolare, risulta attestata dal suddetto parere contrario della Prefettura espresso “per insufficienza reddituale”, nonché dalle risultanze della documentazione reddituale prodotta in atti dalla stessa ricorrente, emergendo, per sua stessa ammissione, importi reddituali al di sotto della soglia minima “ per alcuni periodi di imposta ”, sebbene integranti, in tesi, “ circostanze di natura meramente episodica e non rilevanti qualora valutate nell’ambito della copiosa produzione documentale offerta dalla scrivente difesa, che meglio delinea l’integrazione del requisito prescritto ai fini della concessione della cittadinanza italiana ”.

Appare evidente, pertanto, che la relativa pratica di cittadinanza, lungi dal potersi considerare ormai “chiusa” e sufficientemente istruita in vista del suo accoglimento, al contrario era ancora ampiamente “aperta” e, piuttosto, destinata ad essere rigettata a causa della mancanza, già sostanzialmente accertata dalla Prefettura (ma in attesa di ulteriore conferma istruttoria), dell’indefettibile requisito reddituale. Non può, pertanto, convenirsi con quanto si sostiene nel ricorso, secondo cui l’istruttoria doveva considerarsi già conclusa al momento in cui si è verificato l’illecito accesso al sistema informatico.

In definitiva, come già affermato dalla Sezione in ordine ad altre pratiche pure ricomprese nell’elenco di quelle che formano oggetto del procedimento penale principale (oggi conclusosi, come detto, con una sentenza di patteggiamento di primo grado, nei confronti della funzionaria infedele e del coniuge), non può ragionevolmente porsi in discussione, proprio sulla base delle predette risultanze, il fatto che la funzionaria infedele abbia avocato a sé le pratiche di cittadinanza, attribuendo ai richiedenti lo status , nonostante non fossero in possesso dei requisiti (o comunque, anche ove posseduti, abbia anticipato i tempi di concessione dello stesso, con ingiustificata priorità rispetto ad altri richiedenti che si sono trovati per conseguenza “scavalcati”), in tal modo perpetrando un favoritismo in contrasto con i valori di uguaglianza che costituiscono principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico (in tal senso, di recente, TAR Lazio, Roma, questa Sezione V- bis , sentenze n. 2105 e n. 2106 del 2023).

5. – Deve pertanto ribadirsi, in questa sede, l’orientamento già espresso dalla Sezione (cfr., di recente, ex plurimis , le sentenze n. 17073 del 2022, n. 3560 e n. 3561 del 2023), e peraltro, anche confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4687 del 9 giugno 2022, in ordine alla piena legittimità dell’atto di annullamento d’ufficio adottato dall’amministrazione resistente. Quest’ultima si è, infatti, trovata di fronte ad esiti illegalmente alterati delle varie pratiche di cittadinanza coinvolte – a causa della mancanza di una previa, rigorosa e limpida istruttoria procedimentale – e ha dovuto, conseguentemente, intervenire per porvi rimedio, sul presupposto che, in tale contesto, << la soluzione meglio idonea a realizzare il giusto contemperamento degli interessi contrapposti è quella consistente nell’”azzeramento” della vicenda procedimentale così radicalmente inficiata dalla menzionata condotta criminosa, trasferendo la tutela dell’interesse sostanziale del richiedente la concessione della cittadinanza al nuovo procedimento concessorio che dovesse essere instaurato a seguito dell’eventuale rinnovazione, da parte del medesimo, della relativa istanza >>
(Consiglio di Stato, sentenza n. 4687/2022 cit.).

Del resto, come già argomentato dalla Sezione, in presenza di una concessione radicalmente illegittima del massimo status giuridico nazionale, solamente un contrarius actus può costituire valido rimedio (cfr. TAR Lazio, questa sez. V- bis , sentenza n. 3170 del 2022;
sez. I- ter , sentenza n. 9069 del 2021), vieppiù nel caso di specie, in cui l’illegittimità è riconducibile ad un fatto costituente reato, in grado di mettere in pericolo al massimo grado quegli stessi interessi pubblici, presidiati dal complesso di controlli e verifiche rigorose che si impongono nell’esercizio del potere concessorio de quo .

A questo proposito, come è stato sottolineato anche dai precedenti di questa Sezione ( ex plurimis , sentenze n. 1975, n. 2943, n. 2945 e n. 3026 del 2022), si deve ricordare che alla base del provvedimento di cittadinanza vi è una valutazione altamente discrezionale del soggetto pubblico, che pone in essere un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, oltre che nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, consistenti nel dovere di difenderlo anche a costo della propria vita in caso di guerra (il “ sacro dovere ” di difendere la Patria, sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52, primo comma, Cost.), nonché, in tempo di pace, nell’adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, che richiedono di apportare il proprio attivo contributo alla comunità di cui si entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

Ancora, come pure è stato rimarcato dalla giurisprudenza, a differenza dei normali procedimenti concessori (i quali esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto tra pubblica amministrazione e amministrati), l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (popolo), incide sul rapporto tra individuo e Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo: si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 104 del 2022;
nonché, in precedenza: Cons. Stato, sez. IV, decisioni n. 798 del 1999 e n. 4460 del 2000;
sez. VI, sentenza n. 3006 del 2011;
sez. III, sentenze n. 6374 del 2018 e n. 1390 del 2019;
nello stesso senso, cfr. anche TAR Lazio, Roma, sez. II- quater , sentenze n. 10588 e n. 10590 del 2012, e n. 3920 e n. 4199 del 2013).

È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, proprio perché sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l’interesse dell’istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato (cfr., in tal senso, da ultimo, della Sezione, le sentenze n. 16247 e n. 16842 del 2022).

6. – Deve essere disatteso anche l’ulteriore motivo di censura riguardante l’omessa notifica della comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, ai sensi dell’art. 10- bis ( recte : art. 7) della legge n. 241 del 1990.

Anche a voler aderire alla tesi difensiva della ricorrente in ordine all’invalidità della notificazione della comunicazione di avvio del procedimento (in quanto, a prescindere dal verbale di “vane ricerche”, pure depositato in giudizio, l’amministrazione non ha in effetti fornito prova di aver compiuto tutti gli atti necessari a far ritenere completato il procedimento di notifica nei confronti del destinatario irreperibile), tale mancanza risulta invero superabile, e non può condurre da sola all’annullamento dell’atto in questa sede gravato, ai sensi dell’art. 21- octies , comma 2, della legge n. 241 del 1990. L’amministrazione ha infatti adeguatamente dimostrato, nel presente giudizio, come già si è avuto modo di illustrare, che il contenuto del provvedimento finale, pur avente natura discrezionale e non vincolata, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, avuto riguardo agli esiti del procedimento penale fin qui raggiunti e alla relativa conferma delle ipotesi accusatorie in ordine all’avvenuto inquinamento della pratica di cittadinanza del ricorrente nonché tenuto conto delle plurime irregolarità riscontrate a carico dell’istante.

7. – Il ricorso, pertanto, è integralmente da respingere.

Quanto alle spese di lite, si ritiene che sussistano giusti motivi per disporne la compensazione integrale tra le parti, tenuto conto della parziale novità della vicenda e della controvertibilità delle questioni trattate.

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