TAR Catania, sez. IV, sentenza 2020-11-23, n. 202003131
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Testo completo
Pubblicato il 23/11/2020
N. 03131/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01290/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1290 del 2019, proposto da -O-, rappresentato e difeso dall'avvocato M L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento:
- del Decreto emesso dal Ministero dello Sviluppo Economico – Direzione Generale per gli Incentivi alle Imprese – Div. IX – Interventi per lo sviluppo locale, prot. n. 7763 del 23/4/2019, con il quale è stata disposta la revoca del contributo pari a euro 132.729,42, concesso ai sensi della Legge n. 662/1996, con invito alla restituzione della complessiva somma di euro 190.895,82, di cui euro 88.486,28 a titolo di rimborso dei due acconti percepiti, oltre agli interessi;
- di ogni altro provvedimento, presupposto, connesso e conseguenziale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico;
Vista l’ordinanza cautelare n. -O-;
Vista l’ordinanza del C.g.a.r.s. n. -O-;
Viste le memorie difensive delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza del 12 novembre 2020, celebratasi da remoto ai sensi dell’art. 25 D.L. n. 137/2020, il dott. Maurizio Antonio Pasquale Francola;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso ritualmente notificato e depositato, il ricorrente lamentava l’illegittimità del provvedimento con il quale il Ministero dello Sviluppo Economico aveva disposto la revoca del finanziamento concessogli ai sensi della Legge n. 662/1996, intimando il pagamento della somma di € 190.895,82 a titolo di sorte capitale, interessi e maggiorazione del 5% ai sensi dell’art. 9, co.4, D.Lgs. 31 marzo 1998, n.123, domandandone l’annullamento, previa sospensione cautelare degli effetti, per maturata prescrizione del preteso credito.
Si costituiva il Ministero dello Sviluppo Economico sollevando l’eccezione di incompetenza territoriale del T.A.R. Lazio, sede di Roma, poiché il provvedimento impugnato, sebbene emanato da un’Autorità Nazionale, era destinato a produrre effetti soltanto in un’area circoscritta della Regione Siciliana.
Con ordinanza n.10305/2019 depositata il 5 agosto 2019, il T.A.R. Lazio sede di Roma accoglieva l’eccezione processuale sollevata dal Ministero dello Sviluppo Economico, declinando la propria competenza in favore del T.A.R. Sicilia, Sezione Staccata di Catania, dinanzi al quale il ricorrente riassumeva il giudizio.
Si costituiva dinanzi al T.A.R. adito il Ministero dello Sviluppo Economico opponendosi all’accoglimento del ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto.
Con ordinanza -O- il Collegio rigettava l’istanza cautelare proposta dal ricorrente.
Il C.g.a.r.s. ha riformato detta ordinanza ai soli fini della sollecita fissazione del merito.
Con successiva memoria il ricorrente insisteva per l’accoglimento del ricorso e il Ministero insisteva per il rigetto.
All’udienza del 12 novembre 2020, celebratasi ai sensi dell’art. 25 D.L. n. 137/2020, il Collegio tratteneva il ricorso in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, osserva che la controversi rientra nella giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133, co. 1, lett. a), n.2) c.p.a. e di cui all’art. 11, ult. co., L. n. 241/1990, poiché il finanziamento in questione rientra tra gli investimenti produttivi disposti in sede di approvazione di un “ patto territoriale ”. Secondo quanto, infatti, stabilito dalla Corte di Cassazione a SS.UU. 27.10.2014, n. 22747 « La cognizione della controversia relativa all'impugnazione di un provvedimento di revoca del beneficio finanziario accordato ad una società per la realizzazione di un investimento produttivo in sede di approvazione di un "patto territoriale" appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione al disposto di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 11, co. ultimo, che demanda, in generale, a tale giurisdizione le questioni relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento pubblico di erogazione di una sovvenzione economica » (Cfr. anche Cass. SS.UU., 8.7.2008, n. 18630 e n. 1132 del 21.1.2014;in tal senso anche Consiglio di Stato sez. V 27 dicembre 2013 n. 6277).
Pertanto, il ricorso va esaminato nel merito.
Secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato « il recupero di somme indebitamente erogate dalla Pubblica Amministrazione ha carattere di doverosità e costituisce esercizio, ai sensi dell'art. 2033 cod.civ., di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate;si tratta cioè di atti vincolati, di carattere non autoritativo, di doveroso recupero di somme erroneamente corrisposte dall'Amministrazione, rispetto ai quali - nell'ambito del rapporto obbligatorio di reciproco dare avere (paritetico) - resta ferma la possibilità per l'interessato di contestare eventuali errori di conteggio e la sussistenza dell'indebito » (Consiglio di Stato sez. III, 20/03/2019, n.1852).
Considerato che l’oggetto del contendere è costituito dal diritto di credito vantato dall’Amministrazione Finanziaria nei confronti del ricorrente, deve applicarsi, in conformità ai principi enunciati dalla giurisprudenza amministrativa (Ad. Plen. 4/2003), la disciplina sostanziale e processuale, rispettivamente, contemplata dal codice civile e dal codice di procedura civile.
Il ricorrente sostiene che il credito vantato nei suoi confronti sarebbe prescritto, poiché la dedotta prescrizione decennale dovrebbe computarsi dal momento in cui l’Amministrazione aveva avuto o avrebbe potuto avere contezza dell’illegittima assegnazione del contributo erogato, che, nel caso in esame, risalirebbe all’anno 2005 ed ossia al tempo stabilito per realizzazione delle opere finanziate e per la consegna ed esame dei documenti giustificativi della spesa sostenuta.
Il Collegio osserva che l’assunto non è corretto.
Occorre, infatti, distinguere e mantenere ben separati il profilo del potere pubblico da quello del diritto di credito;ed ossia, il profilo dell’esercizio del potere con il quale l’Amministrazione ha dichiarato decaduto il beneficiario dal finanziamento concesso, rispetto al profilo della pretesa economica vantata dall’Amministrazione resistente a titolo di diritto alla ripetizione d’indebito scaturente dal potere esercitato per l’adozione del predetto provvedimento di decadenza.
Ed invero, in relazione al primo profilo, il destinatario dell’azione amministrativa, nella sua qualità di titolare di un interesse legittimo, può censurare l’operato dell’Amministrazione lamentando un cattivo esercizio del potere per violazione, ad esempio, delle norme che lo disciplinano anche eventualmente sul piano della tempistica, sebbene, come noto, siffatto rilievo può incidere sulla legittimità del provvedimento adottato non quando si discuta del mancato rispetto dei termini di conclusione (e quindi della tardiva conclusione) di un procedimento già intrapreso (al più rilevando la fattispecie sul piano risarcitorio) ma quando si contesti il tardivo inizio del procedimento poi conclusosi con il provvedimento impugnato, come solitamente avviene quando si deduce la violazione del termine di 18 mesi contemplato dall’art.21 nonies L. n.241/1990 per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.
Tuttavia, va precisato che i finanziamenti sono contraddistinti da diverse fasi suscettibili di classificazione in due categorie: quella, iniziale, dell’ammissione al finanziamento, subordinata alla verifica dei requisiti prescritti per la concessione del beneficio economico;e quella, successiva, di controllo dell’impiego delle somme erogate a titolo di finanziamento per la realizzazione delle opere finanziate. Sebbene la distinzione tra l’una e l’altra fase rilevi spesso ai fini del riparto della giurisdizione, tranne qualora la controversia rientri nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo come nel caso in esame, il procedimento di finanziamento è unitario, potendosi ritenere concluso soltanto al momento della compiuta verifica che le somme erogate siano state integralmente adoperate per lo scopo perseguito, ossia per la realizzazione delle opere o per l’espletamento delle attività finanziate.
Il che implica l’irrilevanza delle censure sulla tempistica caratterizzante l’azione dell’amministrazione sino a quando il procedimento sia ancora pendente, come nel caso in cui sia in corso la fase di verifica dell’impiego delle somme erogate a titolo di finanziamento. Il beneficiario, infatti, delle predette somme non può ritenersi titolare di un legittimo affidamento sulla stabilità del finanziamento provvisoriamente concessogli in ragione soltanto del protrarsi di un significativo intervallo di tempo intercorso tra l’erogazione dei pagamenti effettuati in suo favore a titolo di acconto e l’impugnato provvedimento di revoca, essendo ancora pendente il procedimento, ovviamente, nella sua interezza considerato.
Ed invero, secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato in un caso analogo a quello in esame, a fronte di erogazioni provvisorie, in quanto tali sottoposte ancora alla pronuncia definitiva dell’Amministrazione, non può sussistere alcuna violazione del principio di affidamento, non essendo ancora il procedimento di concessione del contributo concluso, né potendo, “ incidere il decorso del tempo, venendo in considerazione esborsi di pubblico denaro e, dunque, un interesse erariale che risulta, in assenza di atti conclusivi del procedimento, certamente prevalente rispetto a quello del privato ” (Consiglio di Stato sez. VI, 09/03/2016, n.942).
Trattasi di un principio consolidato in quanto affermato dal Consiglio di Stato in precedenti pronunce, con le quali, infatti, è stato chiarito che “ Nessun affidamento può essere fatto su un atto di concessione provvisoria, perché nello stesso provvedimento provvisorio è prevista la restituzione degli incentivi qualora gli accertamenti finali si siano conclusi con esito negativo. Conseguentemente, di fronte alla situazione di provvisorietà della concessione del beneficio, l'interessato non può vantare nessuna posizione consolidata che impedisca alla p.a. di procedere alla rimozione dell'agevolazione concessa ” (Consiglio di Stato sez. VI, 15/11/2010, n.8046).
Se, dunque, il tempo dell’azione autoritativa dell’Amministrazione durante l’espletamento dell’intero procedimento amministrativo non incide sulla legittimità della determinazione finale assunta, a differente conclusione deve, invece, pervenirsi con riguardo al diverso profilo inerente, non all’esercizio del potere in atto, bensì agli effetti del potere già esercitato che determinano, in caso di decadenza del beneficiario dal finanziamento concesso, la costituzione di un diritto di credito dell’Amministrazione finanziaria alla ripetizione, a titolo d’indebito, delle somme corrisposte a titolo di acconto al beneficiario in seguito dichiarato decaduto dal finanziamento a beneficio del quale era stato provvisoriamente ammesso.
Qualora, infatti, si intendesse contestare la tempistica della condotta serbata dall’Amministrazione limitatamente al profilo della persistente sussistenza del credito da quest’ultima vantato, l’interessato dovrebbe dedurre, come nella fattispecie accaduto, l’estinzione del predetto diritto per maturata prescrizione, sollevando, così, una questione prettamente civilistica che deve essere risolta secondo le regole propriamente civilistiche della ripetizione d’indebito.
L’obbligazione di ripetizione dell’indebito di cui all’art.2033 c.c. rinviene la propria fonte in un fatto giuridico in senso stretto, ossia l’esecuzione di una prestazione di dare (e mai di fare) non dovuta, vale a dire non solutiva di un’obbligazione preesistente valida ed efficace. Il che nei contratti può verificarsi a causa della nullità del contratto, ovvero della pronuncia di una sentenza costitutiva di annullamento, rescissione o risoluzione per inadempimento o eccessiva onerosità sopravvenuta che, una volta passata in giudicato, determina l’inefficacia del contratto sin dal momento della sua stipula. Sussiste, però, una profonda differenza tra le fattispecie richiamate, poiché, se a fronte di un contratto nullo l’azione di ripetizione dell’indebito è esperibile sin dal momento della dazione (Cassazione civile sez. III, 19/04/2016, n.7749;Cassazione civile sez. III, 15/07/2011, n.15669;Cassazione civile sez. II, 13/04/2005, n.7651), lo stesso non accade anche nelle altre ipotesi considerate, poiché, sebbene la prestazione eseguita si consideri ab origine non dovuta, il termine decennale di prescrizione decorre non dal momento della dazione, bensì da quello del passaggio in giudicato della sentenza costitutiva che determina l’inefficacia, con effetto ex tunc , del contratto (Cassazione civile, sez. I, 02/12/2016, n.24653;Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015, n.24628). Ai sensi dell’art.2935 c.c., infatti, la prescrizione decorre soltanto dal momento in cui l’azione può essere esercitata ed il che, nelle ipotesi di annullamento, rescissione, risoluzione per inadempimento o eccessiva onerosità sopravvenuta, coincide con il passaggio in giudicato della sentenza costitutiva che determina lo scioglimento retroattivo del vincolo contrattuale e la contestuale costituzione del diritto di credito alla ripetizione delle prestazioni eventualmente già eseguite. E quindi, il credito se da un lato, in ragione della retroattività caratterizzante gli effetti dei richiamati rimedi negoziali di natura costitutiva, deve considerarsi configurabile per fictio iuris sin dal tempo dell’esecuzione materiale dell’obbligazione di dare, dall’altro può essere in concreto esercitato soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo accerta e dichiara, prima non prospettandosi alcun indebito a causa della persistente efficacia del contratto, ossia della fonte dell’obbligazione adempiuta.
I principi di diritto da ultimo enunciati valgono anche nei confronti del beneficiario decaduto dal finanziamento concessogli. Il provvedimento di decadenza, infatti, accerta la sussistenza di un vero e proprio inadempimento di obblighi che, dopo la concessione del contributo, il beneficiario era tenuto a rispettare e che, invece, non ha eseguito. Di conseguenza, la dichiarata decadenza, pur decretando l’inefficacia retroattiva del provvedimento di ammissione al finanziamento, implica la costituzione con effetto ex nunc del diritto di credito alla ripetizione dell’indebito, al pari di quanto avviene in caso di pronuncia di una sentenza costitutiva di annullamento, rescissione, risoluzione per inadempimento o eccessiva onerosità sopravvenuta.
Nel caso in esame, considerato che l’obbligazione di pagamento del finanziamento concesso rinviene la propria fonte nel provvedimento amministrativo con il quale è stato riconosciuto al ricorrente il beneficio economico dal medesimo richiesto e considerato che il pagamento effettuato non può ritenersi indebito sino a quando il predetto provvedimento di ammissione (costituente la causa petendi ) non sia stato ritirato dall’Amministrazione, il termine di prescrizione per la pretesa ripetizione delle somme corrisposte al ricorrente a titolo di contributo non può decorrere prima della comunicazione del provvedimento di revoca impugnato, tanto più che quest’ultimo è stato adottato per ragioni sopravvenute consistenti negli accertati e non contestati inadempimenti degli obblighi che il beneficiario si era impegnato a rispettare per il mantenimento del beneficio ottenuto.
In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, affermando il principio di diritto secondo cui « in tema di contributi pubblici, qualora il difetto della “causa solvendi” sopravvenga all’erogazione del contributo, il diritto dell’amministrazione alla restituzione non può sorgere nel momento della percezione del contributo da parte del privato, ma solo nel momento della revoca in cui, a seguito della scoperta e dell’accertamento dell’illegittimità dell’erogazione, l’indebito si è concretizzato, sicché è da tale momento che decorre il termine decennale di prescrizione dell'azione di ripetizione » (Cassazione civile sez. VI, 09/10/2017, n.23603).
Poiché, dunque, secondo quanto stabilito dall’art.2935 c.c. la prescrizione "comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere" e che siffatto momento coincide nella fattispecie con la comunicazione dell’impugnato provvedimento di revoca del finanziamento erogato (più propriamente qualificabile come decadenza del ricorrente dal beneficio concesso), il ricorso è infondato con riguardo alla sorte capitale del credito vantato dall’Amministrazione resistente.
Il ricorso deve essere, invece, accolto in relazione al profilo del dedotto erroneo computo degli interessi pretesi. L’Amministrazione, infatti, ha ritenuto dovuti gli interessi sin dalla data di erogazione delle somme corrisposte al ricorrente. Il che è erroneo se si considera che l’obbligazione pecuniaria di cui l’Amministrazione pretende il pagamento è sorta soltanto con il provvedimento di decadenza del ricorrente dal beneficio precedentemente concessogli. E poiché gli interessi costituiscono oggetto di un’obbligazione accessoria rispetto a quella della sorte capitale ai quali accedono, non può configurarsi il diritto di credito al pagamento degli stessi in un momento in cui non era ancora sorto il diritto di credito al pagamento della sorte capitale.
La simmetria del principio di diritto precedentemente affermato, infatti, se, da un lato, esclude il computo della prescrizione dalle singole erogazioni di somme a titolo di acconto, dall’altro esclude, del pari, la configurabilità del credito al pagamento degli interessi prima che sia sorto il credito principale, ossia prima della comunicazione del predetto provvedimento di decadenza.
Il ricorso, pertanto, va in parte accolto, per l’effetto dovendosi dichiarare dovuti gli interessi maturati a partire dalla data di comunicazione dell’impugnato provvedimento.
Osserva invero il Collegio che l’accoglimento in parte qua del ricorso non può implicare una pronuncia di annullamento parziale del provvedimento impugnato in ragione del limite di cui agli artt. 4 e 5 L. n. 2248/1865, all. E e della necessità che il giudice amministrativo assicuri ai diritti sottoposti alla sua cognizione la stessa tutela di cui beneficerebbero nella loro sede naturale, ed ossia dinanzi al giudice civile, come più precisamente affermato dall’Ad. Plen. n. 4/2003.
L’accoglimento parziale del ricorso e la conseguente configurabilità di una reciproca soccombenza delle parti, giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.