TAR Venezia, sez. IV, sentenza 2024-03-11, n. 202400457
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Pubblicato il 11/03/2024
N. 00457/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00681/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 681 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Baran S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati G M, G V D P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Provincia di Treviso, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati S T, C R, M B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio S T in Mestre, via Pepe 20;
nei confronti
Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati Luisa L, Tito Munari, Francesco Zanlucchi, Giacomo Quarneti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Acegasapsamga S.p.A., Comune di V, Consiglio di Bacino Priula, Cna S.p.A., non costituiti in giudizio;
Superstrada Pedemontana Veneta S.p.A., Consorzio Stabile Sis S.C.P.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'avvocato Antonio D'Agostino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
in parte qua del provvedimento prot. n. 2022/0011947 del 07.03.2022 del Dirigente il Settore Ambiente e Pianificazione Territoriale della Provincia di Treviso ad oggetto “Contaminazione presso la discarica sita nei comuni di Spresiano via Risorgimento e V via Marconi disposizione di procedere ai (sensi) dell'art. 242 come da 244 del D. Lgs. 152/2006.” , nella parte in cui individua quale responsabile della contaminazione anche “la Ditta SO.ECO.TRE S.r.l. di Spresiano ora BIGARAN S.r.l.” ;nonché per l'annullamento di ogni atto al medesimo connesso, presupposto ovvero conseguente ed in ispecie:
del verbale della conferenza di servizi istruttoria 10.03.2021;
della comunicazione di avvio del procedimento prot. n. 2021/0025337 del 05.05.2021 della Provincia di Treviso.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Baran S.r.l. il 26/9/2023:
per la declaratoria di nullità o in subordine per l'annullamento
del provvedimento n. 134 reg. del 12.06.2023 del Dirigente del Settore Ambiente e Pianificazione Territoriale della Provincia di Treviso recante approvazione del piano di caratterizzazione presentato della ditta Cna S.p.A., nonché di ogni altro atto al medesimo presupposto, connesso e conseguente e così:
della nota provinciale prot. 2023/34326 del 12.06.2023 di trasmissione del provvedimento;
della nota provinciale prot. n. 2022/0062517 del 26.10.2022 di avvio del procedimento e di indizione della conferenza di servizi per l'approvazione del piano di caratterizzazione;
della relazione istruttoria provinciale 07.12.2022;
del verbale della conferenza di servizi del 14.12.2022;
della nota provinciale 12.01.2023 di trasmissione del verbale predetto;
della nota provinciale prot. n. 17715 del 29.03.2023 di indizione della conferenza di servizi;
della relazione istruttoria provinciale 14.04.2023;
nel verbale della conferenza di servizi del 19.04.2023.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Treviso e di Regione del Veneto e di Superstrada Pedemontana Veneta S.p.A. e di Consorzio Stabile SIS S.C.P.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2024 il dott. A O e uditi per le parti i difensori L, T, M e, in sostituzione dell'avv. D'Agostino, M;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente Baran s.r.l. svolge attività di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti in Veneto e nell’Italia settentrionale.
Nell’anno 2006, la società Baran ha incorporato So.ve.a. (Società Veneta Ambiente) s.r.l., la quale nell’anno 1999 aveva incorporato So.eco.tre. (Società Ecologica Trevigiana) s.r.l..
Per tale via, la società Baran è succeduta nei rapporti attivi e passivi facenti capo a So.eco.tre..
So.eco.tre. ha eseguito i lavori della ricomposizione discarica per rifiuti urbani di V-via Marconi (poi unita alla contigua discarica di Spresiano-via Risorgimento) in forza della convenzione stipulata il 4 agosto 1992 con il Consorzio Intercomunale Priula (cui è succeduto il Consiglio di bacino Priula), ente allora competente alla gestione del servizio pubblico locale di smaltimento dei rifiuti urbani.
In passato, l’area sulla quale insiste la discarica di V venne impiegata come cava di prestito di materiali inerti per la costruzione dell’autostrada Mestre-Vittorio Veneto e, successivamente, è stata utilizzata per conferirvi i rifiuti urbani dal Comune di V, che ne ha concesso l’utilizzo anche all’A.M.N.I.U.P. di Padova, ora ACEGASAPSAMGA S.p.A..
Il progetto dei lavori di ricomposizione prevedeva che So.eco.tre, per baulare la discarica, vi conferisse rifiuti che, secondo il Decreto Ministero Ambiente 26 aprile 1989 “Istituzione del catasto nazionale dei rifiuti speciali” , erano classificati con il codice K0 “Rifiuti potenzialmente assimilabili ai rifiuti urbani” , e in particolare con i codici compresi tra il K001 e il K0022, che identificavano rifiuti non putrescibili.
Dopo che, nel marzo 1996, So.eco.tre. ha cessato di conferire i rifiuti, la Provincia di Treviso, con i decreti 30 ottobre 1997 n. 2038 e 21 agosto 1998 n. 2155, ha dettato nei confronti del Consorzio Intercomunale Priula le prescrizioni per la gestione post mortem della discarica.
Tra le prescrizioni era compreso il campionamento semestrale dell’acqua di falda prelevata da pozzi spia.
Con decreto 30 dicembre 2016 n. 518, la Provincia di Treviso ha volturato il titolo per la gestione post-operativa delle discariche di Spresiano-via Risorgimento e di V-via Marconi a Cna S.p.A., cessionaria dall’1 gennaio 2011 dei rami aziendali produttivi del Consorzio Priula, che da allora ha circoscritto la propria competenza alle funzioni di regolazione, organizzazione, affidamento e direzione del servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti urbani.
Con lo stesso atto la Provincia, nel dare riscontro alla richiesta di Cna di dichiarare cessata la gestione post mortem , ha precisato che tale gestione avrebbe dovuto proseguire sino a quando “diventi trascurabile il potere inquinante dei percolati estratti o cessi la produzione del percolato” .
Per lo stesso motivo, la Provincia non ha accolto analoghe richieste che Cna ha presentato successivamente a situazione sostanzialmente invariata.
A questo punto, va detto che il progetto dei lavori eseguiti da So.eco.tre. prevedeva la copertura della discarica con uno spessore di 30 cm composto da materiali a bassa permeabilità e con ulteriore spessore di 70 cm di terreno vegetale (il che - sostiene la Provincia - non avrebbe impedito all’acqua di filtrare);che la discarica è priva di un sistema di raccolta del percolato e ha il fondo composto da ghiaia e privo di impermeabilizzazione, così come le pareti.
Nel mentre, è stato progettato il tracciato della Superstrada Pedemontana Veneta, che ora attraversa il sedime della discarica, dalla quale sono stati rimossi i rifiuti nella misura necessaria a realizzare l’infrastruttura.
In vista di tale operazione, la società Superstrada Pedemontana Veneta S.p.A. (S.P.V., concessionaria per la realizzazione e gestione dell’opera pubblica) tra il gennaio e il febbraio 2012 ha eseguito trenta sondaggi (ai quali ne sono seguiti altri nove) con profondità compresa tra cinque e venticinque metri sulla parte del sedime della discarica interessata dai lavori, per accertarne la composizione e per estrarre il biogas.
L’indagine svolta da S.P.V. comprendeva la verifica della presenza di percolato sul fondo della discarica utilizzando i pozzi del biogas realizzati dai gestori dell’impianto e i fori prodotti dai nuovi carotaggi.
A tale ultimo riguardo, nella relazione allegata alla determinazione della Provincia di Treviso 12 dicembre 2017 n. 475 di proroga della gestione post-operativa della discarica sino al 31 dicembre 2018, i tecnici della Provincia – esaminate le analisi effettuate da S.P.V. - hanno rilevato che “le analisi del liquido estratto dalla discarica evidenziano il superamento dei limiti previsti per lo scarico in acque superficiali. La discarica produce modesti quantitativi di percolato” e che “deve essere accertata l’assenza di impatti sulle acque sotterranee mediante il campionamento e l’analisi delle acque di falda dei due piezometri presenti presso la discarica e di un terzo piezometro a valle da individuare/realizzare” .
In tale contesto, nel corso della Conferenza di servizi istruttoria del 21 ottobre 2020 indetta dalla Regione Veneto sulle questioni tecnico-ambientali inerenti l’attraversamento stradale della discarica, maturava la decisione di eseguire, prima dell’avvio dei lavori, un monitoraggio “in bianco” per confrontare lo stato delle acque sotterranee prima e dopo gli interventi di sbancamento e di rimozione dei rifiuti.
All’esito del monitoraggio delle acque, eseguito da Cna S.p.A. e da S.P.V. sui piezometri di relativa pertinenza e conclusosi nel gennaio 2021, risultavano superati alcuni dei limiti previsti alla tabella 2 dell’All. 5 alla Parte Quarta del D. Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, in difformità rispetto alla serie storica dei valori ottenuti dagli altri piezometri preesistenti.
In particolare, le anomalie idrochimiche derivavano dai campioni estratti da S.P.V. attraverso i propri piezometri.
Ritenendo di dovere approfondire la situazione, la Provincia ha chiesto a S.P.V. chiarimenti sulle caratteristiche dei piezometri impiegati per i campionamenti e ha chiesto l’intervento di A.R.P.A.V..
Nel febbraio 2021 A.R.P.A.V. ha eseguito ulteriori analisi e con nota del 9 marzo 2021 ne ha trasmesso i risultati.
In particolare, i campioni estratti dai piezometri a valle della discarica esprimevano parametri che superavano sia la concentrazione massima di ferro e manganese prevista dalla tabella 2, di cui all’Allegato 5, della Parte Quarta del D. Lgs. n. 152/2006, sia la concentrazione massima di ammonio prevista dal Decreto del Ministero dell’Ambiente 16 luglio 2016 di recepimento della direttiva 2014/80/UE della Commissione del 20 giugno 2014 sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento.
A.R.P.A.V., nel parere reso alla Regione il 22 marzo 2021, ha affermato che il quadro idrochimico “è compatibile con la presenza nelle acque sotterranee di contaminazione organica con tutta probabilità derivante dalle percolazioni della discarica, pur non potendosi escludere sorgenti di diversa natura come perdite fognarie o simili, eventualmente da accertare” , ha precisato essere “remota” la “possibilità che l’alterazione idrochimica rilevata a valle della discarica possa essere ricondotta a sorgenti di contaminazione diverse dalla infiltrazione di percolati, come emissioni da provenienti da infrastruttura fognaria e/o perdenti” , ha comunque ha suggerito di svolgere alcuni approfondimenti.
S.P.V. ha quindi proseguito nel monitoraggio delle acque sotterranee da marzo 2021 a gennaio 2022, con cadenza bimensile e riscontrato costantemente il superamento dei parametri di ferro, manganese e ammonio.
Nel frattempo, il 4 marzo 2021 hanno avuto inizio i lavori per la realizzazione della superstrada.
In parallelo al procedimento di competenza regionale riguardante la superstrada, la Provincia di Treviso ha indetto una conferenza di servizi istruttoria tenutasi il 10 marzo 2021 avente a oggetto le descritte criticità ambientali e, il 5 maggio 2021, ha avviato nei confronti del Comune di V, del Consiglio di bacino Priula e delle società Cna e Baran il procedimento per l’individuazione del responsabile del superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione, ai sensi dell’art. 244 del D.Lgs. n. 152/2006.
Il Consiglio di bacino e Cna, con nota congiunta del 4 giugno 2021, hanno affermato che il responsabile della contaminazione non sarebbe individuabile, con la conseguenza che competerebbe alla Provincia assumere gli atti previsti dalla legge.
Non consta che la società Baran abbia prodotto memorie o documenti nel corso del procedimento.
A conclusione del procedimento la Provincia, con provvedimento 7 marzo 2022 prot. n. 11947, ha ritenuto la discarica di V causa della contaminazione della falda secondo il criterio del “più probabile che non” , anche all’esito degli ulteriori monitoraggi eseguiti nel frattempo, e ha individuato i responsabili nei medesimi destinatari della comunicazione di avvio.
Successivamente, con decreto 12 giugno 2023 n. 134 la Provincia ha approvato il piano di caratterizzazione nel frattempo predisposto dalla società Cna ai sensi dell’art. 242, comma 3, del D. Lgs. n. 152/2006.
Con ricorso notificato il 4 maggio 2022 e depositato il 16 maggio 2022, la società Baran ha impugnato il provvedimento 7 marzo 2022 prot. n. 11947 con il quale la Provincia di Treviso le ha attribuito la responsabilità della contaminazione.
Il ricorso si affida ai seguenti motivi:
“1. Violazione degli artt. 3 L. 241/1990, 242, 244, 250 D. Lgs. 152/2006. Eccesso di potere per difetto di presupposto, carenza e perplessità della motivazione, difetto di istruttoria, illogicità grave e manifesta.”
La ricorrente lamenta che la Provincia avrebbe trascurato di eseguire gli approfondimenti istruttori suggeriti da A.R.P.A.V. circa la possibilità che la contaminazione provenga da condotti fognari o pozzi perdenti a servizio di abitazioni della zona.
La Provincia avrebbe omesso di considerare che i dati storici di monitoraggio della falda non hanno evidenziato la presenza di contaminazioni, né avrebbe considerato che gli scavi e la movimentazione di rifiuti nell’ambito dei lavori di costruzione della Pedemontana avrebbero potuto incidere sulle condizioni idrochimiche della falda.
“2. Ulteriore violazione degli artt. 3 L. 241/1990, 2043 e ss. c.c. Eccesso di potere per difetto di presupposto, carenza della motivazione, difetto di istruttoria.”
La ricorrente sostiene che So.eco.tre. non avrebbe mai smaltito rifiuti putrescibili, possibile fonte di produzione del percolato e sostiene che So.eco.tre. avrebbe eseguito la ricomposizione della discarica nel rispetto della convenzione stipulata il 4 agosto 1992 con il Consorzio Intercomunale Priula e, in particolare, nel rispetto del progetto elaborato e approvato da soggetti terzi.
Da questo punto di vista, difetterebbe il nesso di causalità tra l’attività di So.eco.tre. e la contaminazione delle acque.
Inoltre, la condotta di So.eco.tre. non sarebbe connotata da colpa e che la contaminazione sarebbe riconducibile al fatto del terzo.
Sotto connesso aspetto, la Provincia avrebbe ritenuto So.eco.tre. responsabile dell’inquinamento senza distinguerne la posizione rispetto a quella degli altri soggetti ritenuti tali.
In particolare, la Provincia avrebbe omesso di esaminare le singole condotte di questi ultimi e avrebbe omesso di valutarne individualmente la possibile incidenza causale.
La Provincia non avrebbe preso in considerazione la condotta della A.M.N.I.U.P. di Padova, che pure aveva utilizzato la discarica.
“3. Ulteriore violazione degli artt. 3 L. 241/1990, 242, 244, 250 D. Lgs. 152/2006. Eccesso di potere per difetto di presupposto, di motivazione, di istruttoria e travisamento dei fatti.”
La ricorrente sostiene che l’elevata concentrazione di biogas riscontrata all’interno della discarica sarebbe sintomatica della presenza di rifiuti organici, suscettibili di produrre percolato, rifiuti di tipologia differente rispetto a quelli trattati da So.eco.tre..
Sotto altro aspetto, la ricorrente evidenzia che in vista dell’esecuzione dei lavori della Pedemontana S.P.V. ha eseguito dall’anno 2012 trentanove perforazioni della discarica per il controllo e l’estrazione del biogas.
Ciò avrebbe presumibilmente determinato modifiche nei percorsi e nella modalità di percolazione delle acque di infiltrazione superficiale della porzione sud del corpo rifiuti, accentuandone la loro concentrazione nella falda sottostante.
La ricorrente sostiene anche che avrebbe potuto incidere sulla contaminazione anche la massa di rifiuti esterni alla discarica, la cui presenza era stata accertata nel 2012.
Al riguardo, la ricorrente lamenta che l’istruttoria della Provincia non avrebbe considerato tali evidenze fattuali nella ricostruzione del nesso causale della contaminazione.
“4. Violazione degli artt. 2935 e ss, 2947 c..c.. Eccesso di potere per carenza di presupposto.”
La ricorrente deduce che, avuto riguardo al tempo trascorso dall’attività svolta da So.eco.tre. presso la discarica, ogni eventuale pretesa nei suoi confronti sarebbe prescritta.
Con atto per motivi aggiunti notificato l’8 settembre 2023 e depositato il 26 settembre 2023, la società Baran ha impugnato il decreto della Provincia 12 giugno 2023 n. 134 di approvazione del piano di caratterizzazione deducendo vizio di invalidità derivata dalla ritenuta illegittimità del provvedimento 7 marzo 2022 prot. n. 11947 impugnato con il ricorso introduttivo, nonché vizio proprio di:
“Nullità del provvedimento impugnato per difetto assoluto di attribuzione. Incompetenza assoluta. Violazione degli artt. 196 e 242 D. Lgs. 152/2006. Non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 6, comma 2, L.R. n. 3/2000 per violazione dell’art. 117 della Costituzione.”
La ricorrente lamenta che i provvedimenti impugnati sarebbero nulli perché la Provincia li avrebbe adottati in carenza assoluta di potere.
Infatti, nella prospettazione attorea, i provvedimenti impugnati rientrerebbero nella sfera di attribuzione della Regione Veneto in ragione di quanto dispone l’art. 196 ( “Competenze delle regioni” ), comma 1, lett. c), e dell’art. 242 ( “Procedure operative ed amministrative” ), comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006.
In particolare, la ricorrente sostiene che il combinato disposto degli artt. 196 e 242, comma 3, del D.Lgs. n. 152/2006 e dell’art. 1, comma 2, della L. 5 giugno 2003 n. 131 ( “Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3” ) avrebbe abrogato l’art. 6, comma 2, della L.R. Veneto 21 gennaio 2000 n. 3, recante la delega della Regione alle province delle funzioni in materia di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati.
Quest’ultima norma, quand’anche non la si ritenesse abrogata, sarebbe costituzionalmente illegittima, alla luce dei principi di diritto sottesi alla sentenza della Corte Costituzionale 24 luglio 2023 n. 160.
Infatti, venendo in rilievo una materia di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. s) Cost., la Regione non potrebbe delegare alle Province la competenza ad essa attribuita dall’art. 242 del D.Lgs. n. 152/2006 in materia di bonifica di aree inquinate.
Si sono costituite in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso la Provincia di Treviso, la società Superstrada Pedemontana Veneta S.p.A. (S.P.V.) e il Consorzio Stabile SIS S.c.p.A., esecutore dei lavori.
La società e il Consorzio, costituitesi a mezzo di un unico difensore, hanno anche eccepito in via pregiudiziale il proprio difetto di legittimazione passiva e l’inammissibilità per genericità e per carenza di prova del ricorso e dei motivi aggiunti, nella parte in cui vengono prospettati profili di responsabilità a loro carico.
Si è costituita in giudizio anche la Regione Veneto per resistere ai motivi aggiunti, e in particolare per sostenere che l’art. 6, comma 2, della L.R. n. 3/2000 è tuttora applicabile, avuto riguardo a quanto dispongono l’art. 18 della L.R. Veneto 16 agosto 2007 n. 20 e l’art. 22 del D.L. 10 agosto 2023 n. 104, conv. con modificazioni dalla L. 9 ottobre 2023 n. 136.
In vista dell’udienza di discussione del 25 gennaio 2024, fissata anche per la discussione del ricorso R.G. n. 695/2022 proposto da Cna S.p.A. avverso i medesimi provvedimenti qui gravati, le parti si sono scambiate memorie e repliche ai sensi dell’art. 73, comma 1, cod. proc. amm. e hanno concordemente chiesto un rinvio dell’udienza per trattare congiuntamente il ricorso con quelli aventi lo stesso oggetto proposti dal Consiglio Bacino Priula (R.G. n. 1146/2022) e dal Comune V (R.G. n. 1169/2022).
DIRITTO
1. Viene in decisione il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla società Baran s.r.l. avverso il provvedimento della Provincia di Treviso - Settore Ambiente e Pianificazione Territoriale 7 marzo 2022 prot. n. 11947 assunto ai sensi degli artt. 242 e 244 del D. Lgs. n. 152/2006, nella parte in cui individua la società Baran s.r.l. tra i responsabili della contaminazione presso la discarica sita nei comuni di Spresiano - via Risorgimento e V, e avverso il decreto della Provincia di Treviso 12 giugno 2023 n. 134 recante l’approvazione del piano di caratterizzazione nel frattempo predisposto dalla società Cna ai sensi dell’art. 242, comma 3, del D. Lgs. n. 152/2006.
2. In via preliminare, il Collegio ritiene di non dovere accogliere l’istanza di rinvio ad altra udienza pubblica per la discussione del ricorso.
Al riguardo, l’art. 73, comma 1 -bis , cod. proc. amm. prevede che “Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio.”
In proposito, il Collegio non riscontra l’esistenza nell’ordinamento processuale vigente di norme o principi che attribuiscano alle parti in causa il diritto al rinvio della discussione del ricorso, al di fuori dei casi tassativi di diritto a rinvio per usufruire dei termini a difesa previsti dalla legge, e ritiene che le situazioni eccezionali alle quali si riferisce l’art. 73, comma 1 -bis , cod. proc. amm. “possono essere integrate solo da gravi ragioni idonee a incidere, se non tenute in considerazione, sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite, atteso che, pur non potendo dubitarsi che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, in esso non vengono in rilievo esclusivamente interessi privati, ma trovano composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti” (C.G.A., 31 gennaio 2022, n. 153).
Nel caso di specie, non si ravvisano sussistere ragioni di tale eccezionale consistenza.
Inoltre, il provvedimento di individuazione dei soggetti responsabili della contaminazione si limita, a individuare i soggetti che hanno concorso alla contaminazione delle acque, senza tuttavia graduare la responsabilità di ciascuno di essi, in linea con quanto prevede l’art. 244 del D. Lgs. n. 152/2006.
Viene quindi in rilievo un atto plurimo a effetti scindibili, atteso che a ciascuno dei destinatari è imputata una condotta a sé stante rispetto a quella degli altri.
Ne deriva che anche le posizioni processuali dei soggetti che la Provincia di Treviso ha individuato come responsabili sono scindibili.
In particolare, la decisione in ordine alla legittimità o meno dell’attribuzione della responsabilità di uno di essi non è suscettibile di influenzare il giudizio sulla responsabilità altrui, atteso che, come detto, vengono in rilievo condotte tra loro differenti, ancorché concorrenti.
3.1. Sempre via preliminare, va rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva opposta da S.P.V. e dal Consorzio Stabile SIS.
Si tratta infatti di soggetti che hanno titolo per essere convenuti in giudizio in quanto parti controinteressate, alle quali il ricorso deve essere notificato ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. proc. amm..
In particolare, la qualità di controinteressati discende dalla simultanea sussistenza di due necessari elementi: quello formale, rappresentato dalla contemplazione nominativa del soggetto nel provvedimento impugnato, e quello sostanziale, che deriva dall'esistenza in capo a tale soggetto di un interesse legittimo uguale e contrario a quello fatto valere attraverso l'azione impugnatoria (cfr. T.A.R. Milano, sez. IV, 5 luglio 2023, n.173).
Nel caso di specie, sussistono sia l’elemento formale (perché il provvedimento indica la parte S.P.V.), sia quello sostanziale, per avere S.P.V. e il Consorzio SIS interesse alla conservazione del provvedimento impugnato, da intendersi loro favorevole atteso che non li investe di alcuna responsabilità per la contaminazione del sito.
3.2. Va respinta anche l’eccezione di inammissibilità opposta dalle parti private intimate, atteso che i motivi di ricorso rispettano il requisito della specificità previsto dall’art. 40, comma 1, lett. d), cod. proc. amm..
4. Venendo al merito del ricorso, il Collegio ne ravvisa l’infondatezza.
5.1. Prioritariamente, va affrontata la censura, proposta attraverso i motivi aggiunti, riguardante la competenza ad assumere il provvedimento impugnato che, secondo la ricorrente, sarebbe nullo per difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’art. 21 -septies della L. 7 agosto 1990 n. 241 per averlo assunto la Provincia di Treviso anziché la Regione Veneto.
La censura è infondata.
5.2. Al riguardo osserva il Collegio che, prima della riforma del Titolo V della Costituzione attuata dalla L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3, non era in discussione la facoltà della Regione di delegare alla Provincia le funzioni in materia ambientale.
In particolare, per quanto riguarda la Regione Veneto, l’art. 6, comma 2, della L.R. 21 gennaio 2000 n. 3, recante la delega della Regione alle province delle funzioni in materia di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati prevedeva che “Sono delegate alle province le funzioni regionali in materia di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 22/1997, fatta salva l'istituzione dell'apposito fondo regionale di cui al comma 9 dell'articolo 17, nonché le funzioni regionali di cui ai commi 14 e 15-ter del medesimo articolo.”
A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., introdotto dalla L. Cost. n. 3/2001, la materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” è divenuta di competenza esclusiva dello Stato .
Successivamente, l’art. 242 del D.Lgs. n. 152/2006, ha affidato alle Regioni le funzioni in materia di bonifiche, senza previsione della possibilità di conferimento ad altri enti locali.
L’entrata in vigore della norma da ultimo menzionata ha determinato l’abrogazione dell’art. 6, comma 2, della L.R. n. 3/2000, ai sensi di quanto prevede l’art. 1, comma 2, della L. n. 131/2003, secondo cui “Le disposizioni normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale . ”
Tuttavia, contrariamente a quanto dedotto da Baran nei motivi aggiunti, l’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 3 del 2000, non è stata l’ultima legge che nella Regione Veneto ha disciplinato la materia (diversamente dal caso esaminato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 2 del 2024 che riguarda la Regione Lazio).
Infatti il legislatore regionale successivamente all’entrata in vigore del D.lgs. n. 152 del 2006, ha approvato la legge regionale 16 agosto 2007 n. 20 recante “ Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di difesa del suolo, lavori pubblici e ambiente ”, il cui art. 18 prevede che “ Fino all’entrata in vigore della legge regionale di riordino della disciplina di tutela ambientale, la Regione, le province ed i comuni esercitano le competenze amministrative in materia di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati di cui agli articoli 4, 6 e 7 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 ‘Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti’ e successive modificazioni, nonché le competenze amministrative in materia di tutela dell’atmosfera e delle acque di cui agli articoli 4, 5 e 6 della legge regionale 16 aprile 1985, n. 33 ‘Norme per la tutela dell’ambiente’ e successive modificazioni ”.
Tale norma non ha utilizzato la tecnica redazionale consistente nell’espressa riscrittura del conferimento delle competenze in materia di bonifiche alle Province ma, producendo comunque effetti del tutto equivalenti, ha operato un rinvio materiale e recettizio alle disposizioni di cui all’art. 6 della legge regionale n. 3/2000, novando la fonte e determinandone la reviviscenza ex nunc , con la conseguenza che, per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 18 della legge regionale n. 20 del 2007, nella Regione Veneto le competenze in materia di bonifiche sono state – e sono tutt’ora – legittimamente esercitate dalle Province.
5.3. È vero che, come dedotto dalla parte ricorrente, alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale n. 189 del 2021 e 160 del 2023, sarebbe ragionevole ora dubitare della legittimità costituzionale di una tale norma per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto si pone in contrasto con la normativa statale che, nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di ambiente, con l’art. 242 del D.Lgs. n. 152/2006, ha affidato le funzioni amministrative in materia di bonifiche alle Regioni.
Tuttavia è necessario tener conto che il legislatore statale è intervenuto nella materia con l’art. 22 del decreto legge n. 104 del 2023 convertito in legge n. 136 del 2023, che contiene due disposizioni.
Con una prima previsione che riguarda la futura attività legislativa delle regioni viene disposto che “ Le Regioni possono conferire, con legge, le funzioni amministrative di cui agli articoli 194, comma 6, lettera a), 208, 242 e 242-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, agli enti locali di cui all'articolo 114 della Costituzione, tenendo conto in particolare del principio di adeguatezza. La medesima legge disciplina i poteri di indirizzo, coordinamento e controllo sulle funzioni da parte della Regione, il supporto tecnico-amministrativo agli enti cui sono trasferite le funzioni e l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte della Regione in caso di verificata inerzia nell'esercizio delle medesime” , e con una seconda disposizione contenuta nel medesimo comma, viene prevista una sanatoria in favore delle leggi regionali che, come accaduto nella Regione Veneto, prima dell’entrata in vigore del sopra citato decreto legge, avevano già provveduto in questo senso, prevedendo che “ Sono fatte salve le disposizioni regionali, vigenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, che hanno trasferito le funzioni amministrative predette ”.
È evidente che tale disciplina sopravvenuta si applica alla Regione Veneto che ha attribuito la competenza ad esercitare le funzioni amministrative in materia di bonifiche alle Province con l’art. 18 della legge regionale n. 20 del 2007, norma tutt’ora vigente perché successiva al D.lgs. n. 152 del 2006.
Conseguentemente non risulta attualmente prospettabile un contrasto con l’art. 117, comma 1, lett. s), della Costituzione alla luce della norma statale interposta, dettata in materia di competenza esclusiva statale, prevista dall’art. 22 del decreto legge n. 104 del 2023 convertito in legge n. 136 del 2023, che consente, sia per il futuro, sia con riguardo alle norme regionali vigenti alla data della sua entrata in vigore, il conferimento delle funzioni amministrative in materia di bonifiche alle Province.
Su tali premesse risulta manifestamente infondata anche la questione di illegittimità costituzionale L’eccepita questione di legittimità costituzionale è quindi manifestamente infondata.
5.4. Concludendo sul punto, ritiene quindi il Collegio che la Provincia di Treviso abbia adottato il provvedimento impugnato nell’ambito delle competenze affidatale dalla legge.
Di conseguenza, detto provvedimento non è da ritenersi nullo per difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’art. 21 -septies della L. n. 241/1990.
6.1. Passando ora allo scrutinio del ricorso introduttivo, prima di esaminare partitamente i motivi di cui esso si compone, pare opportuno dare conto dei consolidati indirizzi della giurisprudenza nazionale maturati in accordo con la giurisprudenza eurounitaria e condivisi dal Collegio, in materia di accertamento della responsabilità della contaminazione delle matrici ambientali.
6.2. Va innanzitutto ricordato che l’autorità amministrativa, nel condurre procedimenti riguardanti casi di inquinamento ambientale e dovendo quindi risolvere questioni tecniche di particolare complessità dispone di una discrezionalità tecnica molto ampia, sindacabile in sede giurisdizionale solo nel caso di risultati abnormi, o comunque manifestamente illogici (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. IV, 31 ottobre 2023 n. 1531, che richiama Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3424;Consiglio di Stato, Sez. II, 7 settembre 2020 n. 5379;Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36.)
6.3. Sotto ulteriore fondamentale profilo, la nozione di “causa” rilevante ai fini della concreta attuazione del principio secondo cui “chi inquina paga” rileva in termini di aumento del rischio, nel senso di contribuzione al rischio di verificarsi dell’inquinamento (C.G.U.E. in causa C-188/07).
È poi unanimemente condiviso l’indirizzo secondo cui “l’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti - accertamento che evidentemente rileva per decidere se determinati interventi per eliminarlo siano giustificati - si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione” (Cons. Stato, sez. IV, 18 dicembre 2023, n. 10964, che richiama Cons. Stato, Ad. plen. n. 10 del 2019 e Cons. Stato, sez. IV, 7 gennaio 2021 n.172).
In materia ambientale, nell’accertamento del nesso di causalità non sembra quindi trovare applicazione il criterio penalistico dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” .
Nel corso del procedimento di individuazione del soggetto responsabile - e in particolare nell’accertamento del nesso di causalità - il criterio del “più probabile che non” consente l’amministrazione di avvalersi delle presunzioni semplici ai sensi dell’art. 2727 C.C. (di recente, cfr. T.A.R. Brescia, sez. I, 14 giugno 2023, n.522).
Vale a dire che la prova della contaminazione può essere data anche in via indiretta.
Al riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che “ l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione ” (C.G.U.E., 4 marzo 2015, in causa C- 534/13).
6.4. Circa l’applicazione del D. Lgs. n. 152/2006 a fattispecie di inquinamento risalenti nel tempo (ipotesi alla quale si riferisce l’art. 242, comma 11), è consolidato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui “Anche in ipotesi di condotte lesive del bene ambiente antecedenti all'entrata in vigore del c.d. Codice dell'Ambiente, d.lgs. n. 152/2006, trovano comunque applicazione le norme in materia di obblighi di bonifica, di cui alla Parte IV del Codice medesimo e, in particolare, gli artt. 244 e 242 che, peraltro, menziona espressamente i casi di « contaminazioni storiche »;ciò, in quanto tali norme non sanzionano ora per allora la risalente condotta di inquinamento, ma pongono un attuale rimedio alla perdurante condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l'epoca di verificazione della contaminazione è del tutto indifferente. Ne consegue che il lasso di tempo tra la contaminazione e l'avvio del procedimento non inficia la validità dei provvedimenti de quibus, potendo, al massimo, incidere sull'intensità dell'onere motivazionale posto in capo all'Amministrazione procedente .” (T.A.R. Brescia, sez. I, 2 agosto 2022, n.776).
7.1. Prima di scrutinare i motivi di ricorso, il Collegio ritiene altresì necessario operare una ricostruzione della normativa della Parte VI del D. Lgs. n. 152/2006 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, per individuare le disposizioni che, distinguendo in quali casi sia ravvisabile un titolo di imputazione di tipo soggettivo o oggettivo, svolgono una funzione integrativa delle norme degli articoli 242 e 244, che si riferiscono genericamente al “ responsabile ” della contaminazione.
Sul punto, va infatti osservato che le operazioni materiali necessarie per la bonifica di un sito inquinato coincidono con gli interventi necessari al risarcimento in forma specifica del danno ambientale (anche se non li esauriscono nell’ipotesi in cui all’esito della bonifica permanga un danno. Infatti, l’art. 303, comma 1, lett. i), del D.lgs. n. 152/2016 prevedeva espressamente quale causa di esonero dalla responsabilità risarcitoria l’avvio delle attività di bonifica. Tale norma è stata abrogata per adeguarsi alla procedura di infrazione 2007/4679, con cui la Commissione europea aveva contestato, tra l’altro, che l’art. 4 della direttiva non considera la bonifica come fattispecie in grado di dispensare in via generale dagli obblighi di riparazione).
È pertanto evidente che i presupposti soggettivi che giustificano l’obbligo di bonifica debbano coincidere con i presupposti soggettivi che giustificano l’obbligo di risarcimento in forma specifica, tenuto conto della tendenziale sovrapponibilità tra il risarcimento in forma specifica e gli interventi di ripristino ambientale necessari ad ottenere il raggiungimento degli obiettivi della bonifica.
7.2. A livello eurounitario, la direttiva 2004/35/CE “ sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale ”:
- all’art. 3, paragrafo 1, lett. a), prevede una forma di responsabilità oggettiva per il danno ambientale causato dalle attività pericolose elencate nell’allegato III, tra le quali rientrano le operazioni di gestione di rifiuti e le attività di gestione dei siti di discarica;
- all’art. 3, paragrafo 1, lett. b), prevede, per il danno ambientale causato da attività non pericolose diverse da quelle pericolose dell’allegato III, che l’autore risponda solamente in caso di comportamento doloso o colposo.
L’art. 8 della direttiva prevede inoltre che la responsabilità oggettiva per il danno ambientale causato dalle attività pericolose, non abbia carattere assoluto.
L’art. 8 al paragrafo 3 prevede infatti che l’interessato possa provare l’esistenza di circostanze idonee ad escludere il nesso causale (il fatto del terzo) o che assumano valenza scriminante (l’ordine dell’autorità), e al paragrafo 4 consente agli Stati membri di prevedere delle forme di esonero dalla responsabilità se l’interessato, con un’inversione dell’onere della prova, sia in grado di provare che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e il danno ambientale sia stato causato in base ad un’autorizzazione legittima dell’autorità, o a seguito dell’impiego di un prodotto che, al momento in cui è stato utilizzato, non era considerato probabile causa di pregiudizi per l’ambiente.
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Corte, 9 marzo 2010, resa nella causa C-378/08, Raffinerie Mediterranee ERG s.p.a. , su rinvio del Consiglio di Stato per ottenere chiarimenti circa la corretta interpretazione del principio eurounitario “ chi inquina paga ” rispetto alla normativa nazionale da applicare ad un procedimento amministrativo di bonifica di un sito inquinato, ha chiarito:
- al paragrafo 63, che “ nel caso di attività professionali comprese nell’allegato III alla direttiva 2004/35, la responsabilità ambientale degli operatori attivi in questi ambiti è loro imputata in via oggettiva ”;
- al paragrafo 65 e al terzo punto del dispositivo, che occorre interpretare “ gli artt. 3, n. 1, 4, n. 5, e 11, n. 2, della direttiva 2004/35 nel senso che, quando decide di imporre misure di riparazione ad operatori le cui attività siano elencate nell’allegato III a detta direttiva, l’autorità competente non è tenuta a dimostrare né un comportamento doloso o colposo, né un intento doloso in capo agli operatori le cui attività siano ritenute all’origine del danno ambientale. Viceversa, spetta a questa autorità, da un lato, ricercare preventivamente l’origine dell’accertato inquinamento, attività riguardo alla quale detta autorità dispone di un potere discrezionale in merito alle procedure e ai mezzi cui fare ricorso, nonché alla durata di una ricerca siffatta. Dall’altro, questa autorità è tenuta a dimostrare, in osservanza delle norme nazionali in materia di prova, l’esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono dirette le misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi ”.
7.3. Il legislatore nazionale, nel recepire la direttiva comunitaria, inizialmente aveva previsto un criterio di imputazione di tipo soggettivo anche per le attività pericolose ai sensi dell’allegato III della direttiva.
Infatti il testo originario dell’art. 311 del D.lgs. n. 152/2006 prevedeva che “ chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato all’effettivo ripristino a sue spese della precedente situazione ”.
La Commissione ha avviato la menzionata procedura di infrazione 2007/4679 osservando che “ alcune norme della Direttiva 2004/35/CE, in materia di danno ambientale, non sono state correttamente recepite dal Decreto Legislativo n. 152/06, che ha attuato la Direttiva in oggetto. In particolare, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva suddetta, è previsto che l'autore di un danno ambientale, per aver esercitato le attività elencate all'allegato III, debba rispondere del pregiudizio causato all’ambiente in base ad una responsabilità di tipo "oggettivo", quindi a prescindere dalla sussistenza degli elementi psicologici del dolo o della colpa. Tale responsabilità, quindi, si affermerebbe automaticamente in virtù dell'esistenza di un nesso causale fra l'attività ed il danno. Viceversa, nel caso in cui il danno ambientale risulti imputabile all'esercizio di attività non menzionate nell'allegato III, la Direttiva stabilisce una limitazione di responsabilità, in quanto quest'ultima si determina non per il mero fatto oggettivo del danno e della sua riconducibilità all'attività pericolosa, (il "nesso causale" di cui sopra), ma a condizione che sussistano, altresì, gli estremi del dolo o della colpa dell'agente. Per converso, il predetto Decreto di attuazione dispone che, anche ove il danno sia riconducibile all'esercizio delle attività di cui all'allegato III, la responsabilità venga ammessa solo nei casi di dolo o colpa dell'operatore ”.
Il legislatore nazionale, per porre rimedio alla procedura di infrazione, ha quindi adeguato l’ordinamento nazionale a quello eurounitario con l’art. 25 (“ Modifiche alla parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente. Procedura di infrazione 2007/4679 ”) della L. 6 agosto 2013 n. 97, distinguendo il titolo di responsabilità di tipo oggettivo e soggettivo a seconda che il danno ambientale sia causato o meno da un’attività pericolosa.
Nella Parte VI del Lgs. n. 152/2006 è stato quindi inserito l’art. 298- bis , secondo cui la responsabilità in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente trova applicazione:
“ a) al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell'allegato 5 alla stessa parte sesta e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività;
b) al danno ambientale causato da un’attività diversa da quelle elencate nell'allegato 5 alla stessa parte sesta e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno derivante dalle suddette attività, in caso di comportamento doloso o colposo ”.
Inoltre, è stato modificato l’art. 311, comma 2, del D. Lgs. n. 152/2006, prevedendo che “ quando si verifica un danno ambientale cagionato dagli operatori le cui attività sono elencate nell'allegato 5 alla presente parte sesta, gli stessi sono obbligati all'adozione delle misure di riparazione di cui all'allegato 3 alla medesima parte sesta secondo i criteri ivi previsti, da effettuare entro il termine congruo di cui all'articolo 314, comma 2, del presente decreto. Ai medesimi obblighi è tenuto chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa ”.
In questo modo è stato recepito nell’ordinamento il principio di derivazione eurounitaria della responsabilità oggettiva per le attività pericolose, che costituiscono un numerus clausus , di cui all’allegato 5 del D.lgs. n. 152/2006, che corrisponde all’allegato III della direttiva 2004/35/CE.
Va anche sottolineato che il legislatore nazionale, nel dare attuazione alle disposizioni dell’art. 8 della direttiva, non ha configurato come assoluta tale responsabilità oggettiva per le attività pericolose, ma ha ammesso delle forme di esonero.
Infatti l’art. 308, comma 4, ha previsto che non sono a carico dell’operatore i costi di ripristino, qualora lo stesso possa “ provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno:
a) è stato causato da un terzo e si è verificato nonostante l'esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee;
b) è conseguenza dell'osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un'emissione o di un incidente imputabili all'operatore;in tal caso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio adotta le misure necessarie per consentire all'operatore il recupero dei costi sostenuti ”.
Al comma 5 del medesimo art. 308, il legislatore ha altresì previsto che non sono a carico dell’operatore i costi di ripristino, solamente qualora lo stesso sia in grado di dimostrare, con un’inversione dell’onere della prova, due distinti presupposti, ovvero “ che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l'intervento preventivo a tutela dell'ambiente è stato causato da:
a) un'emissione o un evento espressamente consentiti da un'autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunità europea di cui all'allegato 5 della parte sesta del presente decreto, applicabili alla data dell'emissione o dell'evento e in piena conformità alle condizioni ivi previste;
b) un'emissione o un'attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attività che l'operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell'emissione o dell'esecuzione dell'attività ”.
La giurisprudenza è concorde nell’ammettere l’esistenza di tali forme di responsabilità oggettiva negli obblighi di bonifica (oltre alla menzionata pronuncia C.G.U.E. Grande Corte, 9 marzo 2010, resa in causa C-378/08, Raffinerie Mediterranee ERG s.p.a., punto 65 della motivazione e terzo punto del dispositivo, cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen. ord. 25 settembre 2013, n. 21, punti 19, 20 e 25;Cass. Sez. Un. 1 febbraio 2023, n. 3077, punti 13 e 15 in diritto. Per una chiara distinzione del diverso titolo di imputazione per le attività pericolose cfr. T.A.R. Toscana, Sez. II, 13 marzo 2023, n. 270, punto 4.5 in diritto;cfr. altresì Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2023, n. 11208, punto 2.4 in diritto;T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 18 luglio 2023, n. 1879, punto 11.6 in diritto).
7.4. Pertanto gli articoli 242 e 244 del D.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui indicano il “ responsabile ” della contaminazione come soggetto obbligato alla bonifica, devono essere integrati con i criteri di imputazione di derivazione comunitaria, recepiti dalla Parte VI del D. Lgs. n. 152/2006, che implicano la necessaria distinzione tra attività pericolose ed attività non pericolose.
7.5. Alla luce di tali premesse, ai fini della legittima adozione di un ordine di bonifica di un sito inquinato, si può affermare che:
- in caso di attività pericolose, è sufficiente che l’Amministrazione accerti in termini oggettivi la responsabilità di un operatore nella contaminazione di un sito, provando l’evento della contaminazione e, secondo il principio del “ più probabile che non ”, l’esistenza di un nesso causale tra la condotta attiva o omissiva dell’operatore e l’inquinamento riscontrato, senza essere tenuta a dimostrare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa;
- l’operatore può dimostrare, fornendone la prova rigorosa, che sussistono le circostanze ed i presupposti che elidono il nesso causale o le esimenti contemplate dall’art. 308, commi 4 e 5, del D.lgs. n. 152/2006;
- poiché il giudizio che si svolge innanzi al giudice amministrativo ha carattere impugnatorio, dato che ha ad oggetto lo scrutinio di legittimità o meno dell’ordine di bonifica e non di un giudizio sul rapporto, come quello che si svolge innanzi al giudice ordinario sulla domanda di risarcimento, la prova delle circostanze che esonerano dalla responsabilità di cui all’art. 308, commi 4 e 5, del D.lgs. n. 152 del 2006, deve essere data dall’interessato in sede procedimentale e non in giudizio. Il giudice amministrativo può infatti solamente verificare se la mancata considerazione di tali circostanze da parte dell’Amministrazione possa o meno risultare sintomatica di un vizio di difetto di istruttoria e di motivazione, ferma restando la possibilità di un’eventuale riedizione dell’attività amministrativa alla luce degli elementi inizialmente non considerati in modo adeguato;
- solo nel caso di attività non pericolose, e quindi non comprese tra quelle contemplate dall’allegato 5 alla Parte VI del D.lgs. n. 152/2006, l’Amministrazione, nell’individuare il responsabile dell’inquinamento destinatario dell’ordine di bonifica, deve provare non solo in termini oggettivi l’evento della contaminazione e, secondo il principio del “ più probabile che non ”, l’esistenza di un nesso causale tra la condotta attiva o omissiva dell’operatore e l’inquinamento riscontrato, ma anche l’elemento soggettivo del dolo o della colpa.
8. Alla luce di tali premesse, è ora possibile trattare i singoli motivi del ricorso introduttivo.
9.1. Quanto al primo motivo di ricorso (a mezzo del quale la società Baran prospetta possibili interferenze tra l’acquifero e taluni scarichi civili della zona, valorizza gli esiti dei monitoraggi eseguiti nel corso del tempo dai soggetti gestori della discarica, e ipotizza che la contaminazione sia riconducibile ai lavori della superstrada) il Collegio osserva quanto segue.
9.2. Sotto un primo profilo, il quadro probatorio emerso dall’istruttoria conduce inequivocabilmente a ritenere che la contaminazione della falda dipenda dalla discarica, secondo il criterio del “più probabile che non” .
Lo si evince chiaramente dal parere di A.R.P.A.V. del 22 marzo 2021, il quale pure prospetta la possibile interferenza tra la falda acquifera e infrastrutture fognarie o pozzi perdenti, definendo tuttavia “remota” tale ipotesi.
Inoltre, il monitoraggio eseguito tra il marzo 2021 e il gennaio 2022 mediante i piezometri presenti sull’area della discarica, i cui esiti hanno confermato l’esistenza della contaminazione, ha rilevato la presenza di “macrocontaminanti e macrodescrittori tipici di contaminazioni delle acque di falda da percolati di discarica per rifiuti urbani come è la discarica in questione”.
In tale contesto, ritenere che la Provincia avrebbe dovuto svolgere ulteriori indagini sul sistema di smaltimento dei reflui delle abitazioni dei dintorni significherebbe accedere alla teorica dell’accertamento del nesso di causalità secondo il criterio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” che, come detto, non trova applicazione in questa specifica materia.
9.3. Sotto un secondo profilo, pare convincente la motivazione espressa nel provvedimento impugnato secondo cui, nel caso di specie, l’implementazione dei punti di monitoraggio, l’aumento della frequenza dei campionamenti e l’ampliamento degli analiti e dei parametri oggetto di indagine, hanno consentito di rilevare contaminazioni non individuate dai campionamenti eseguiti in precedenza.
Da questo punto di vista, il diverso posizionamento e la diversa profondità dei piezometri, così come la profondità e la direzione di deflusso della falda, sono elementi idonei ad incidere significativamente sulla capacità di rilevare la presenza della contaminazione.
È quindi plausibile, secondo il criterio del “ più probabile che non ” che le indagini precedentemente svolte siano state semplicemente inidonee ad intercettare l’inquinamento già esistente.
9.4. Sotto un terzo aspetto, i profili di responsabilità che la ricorrente attribuisce ai soggetti esecutori dell’infrastruttura stradale, e che - secondo la ricorrente - la Provincia avrebbe dovuto indagare, sono privi di riscontri probatori tali da fare emergere, alla luce del criterio del “più probabile che non” , un nesso di causalità tra la contaminazione e tali lavori, tanto più che l’una era stata accertata prima dell’inizio degli altri.
9.5. Concludendo l’esame del motivo, il Collegio non ravvisa sussistere elementi idonei a dimostrare la manifesta erroneità né la manifesta irragionevolezza del percorso istruttorio-motivazionale, né delle conclusioni, tali da fare dubitare del corretto esercizio della discrezionalità tecnica da parte della Provincia di Treviso.
Il motivo è quindi infondato.
10.1. Infondato è anche il secondo motivo, a mezzo del quale la società Baran deduce l’incompatibilità tra la contaminazione e i rifiuti trattati da So.eco.tre., esclude profili di colpa nella condotta di quest’ultima e lamenta la mancata attribuzione di responsabilità alla società A.M.N.I.U.P. di Padova.
10.2. Al Collegio pare verosimile che il processo causale che ha condotto alla contaminazione si sia declinato in tre fasi: il conferimento di rifiuti idonei a produrre percolato;il prodursi, nel corso del tempo, del percolato;il contatto tra il percolato e la falda.
Da questa prospettiva, nel corso del procedimento la ricorrente non ha provato che la produzione del percolato all’interno della discarica si era esaurita prima che So.eco.tre. ne iniziasse la gestione, né ha provato che, durante la gestione di So.eco.tre., non sussisteva il rischio di contatto tra il percolato e la falda.
10.3. Al riguardo, ritiene il Collegio che sul soggetto gestore di una discarica, il quale svolge un’attività da qualificarsi pericolosa ai sensi dell’art. 2050 cod. civ. e ai sensi dell’Allegato 5 alla Parte VI del D. Lgs. n. 152/2006, gravino specifici obblighi di controllo e vigilanza affinché la discarica non rappresenti un danno o un pericolo di danno per l’ambiente e affinché non si determini un aggravamento del danno già prodotto.
Da questo punto di vista, viene in rilievo l’obbligo di diligenza di cui all’art. 1176, comma 2, cod. civ., richiesto nell’esercizio di un’attività professionale.
Nel caso di specie, alla luce della “posizione di garanzia” derivante dallo svolgimento dell’attività pericolosa e alla luce della specifica diligenza professionale esigibile, il rispetto, da parte di So.eco.tre., del progetto di ricomposizione della discarica non era incompatibile con l’adozione di ulteriori misure suscettibili di impedire che il percolato continuasse a prodursi e a filtrare verso la falda acquifera.
Tanto più che tale rischio era percepibile già prima di dare esecuzione al progetto: infatti, la relazione tecnica redatta nel 1990 dall’Ing. Alberto Benedetti in vista dei lavori di ricomposizione della discarica eseguiti da So.eco.tre., alla pagina 16, pur non riscontrando contaminazioni della falda, dava atto che in una delle carotature eseguite nel mese di luglio del 1990 venne rinvenuto del percolato.
Nel corso del procedimento, la società ricorrente non ha dimostrato di essere stata impedita ad attuare misure idonee a fermare il processo di contaminazione, con la conseguenza che non può ritenersi integrata la prova rigorosa richiesta dall’art. 308, commi 4 e 5, del D. Lgs. n. 152/2006, necessaria ad elidere la responsabilità di tipo oggettivo prevista per lo svolgimento di un’attività pericolosa.
Sotto questo aspetto, l’argomentazione difensiva secondo cui lavori eseguiti da So.eco.tre. avrebbero contenuto il rischio di contaminazione della falda potrebbe astrattamente incidere sulla graduazione della responsabilità dell’inquinamento, ma non anche sull’attribuzione della stessa.
Sotto altro aspetto, il fatto che quando So.eco.tre aveva in gestione la discarica non vigeva ancora il D. Lgs. n. 152/2006 non rileva dal punto di vista della diligenza professionale esigibile, per quanto anticipato al paragrafo 6.4.
10.4. Tanto osservato in ordine all’accertamento del nesso di causalità, l’argomentazione difensiva secondo cui la condotta di So.eco.tre. sarebbe stata immune da colpa non assume rilievo, in ragione di quanto esposto ai precedenti paragrafi da 7.1 a 7.5.
Infatti, la responsabilità per il danno derivante dall’esercizio dell’attività di discarica prescinde dall’elemento soggettivo e integra l’ipotesi di responsabilità oggettiva prevista dall’art. 311, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. n. 152/2006.
10.5. Va ulteriormente aggiunto che, rispetto alla posizione del soggetto la cui condotta attiva od omissiva ha cagionato (o contribuito a cagionare) la contaminazione delle matrici ambientali, viene in rilievo anche l’avere beneficiato dei vantaggi economici frutto dell’anzidetta condotta, sotto il profilo del vantaggio economico derivante dallo svolgimento dell’attività economica dal cui processo produttivo è derivata, come esternalità negativa, la contaminazione, o anche sotto il profilo del risparmio delle spese necessarie per eliminare o, quanto meno, arginare l’immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2020 n. 2301).
Da questo punto di vista, non è contestato che So.eco.tre. abbia tratto profitto dalla gestione della discarica fonte di contaminazione.
10.6. Quanto alla doglianza riferita al mancato coinvolgimento di A.M.N.I.U.P., considerato che “Per il principio di causalità accolto nel nostro ordinamento (che esclude il regresso ad infinitum), la responsabilità della contaminazione si appunta in capo a chi quella discarica abbia gestito e controllato materialmente, non a chi di quella discarica, come utente, si sia semplicemente servito, conferendovi i rifiuti” (Cons. Stato, sez. IV, 2 dicembre 2021, n. 8032), rileva il Collegio che la ricorrente non ha dimostrato se la società A.M.N.I.U.P. avesse o meno poteri di gestione e di controllo della discarica.
Da questo punto di vista, non si ravvisano elementi tali da mettere in dubbio la correttezza dell’operato dell’Amministrazione.
11.1. Il terzo motivo di ricorso si concentra sulle perforazioni eseguite presso la discarica in vista dell’esecuzione dei lavori della Superstrada Pedemontana e sul ritrovamento di rifiuti al di fuori del perimetro della discarica.
11.2. Sotto un primo profilo, la società Baran afferma che la concentrazione di biogas accertata mediante tali perforazioni dimostrerebbe la presenza in discarica di materia organica, incompatibile con i rifiuti conferiti da So.eco.tre..
Anche da questo punto di vista, difetterebbe il nesso di causalità tra l’attività svolta da So.eco.tre. e la contaminazione della falda.
La doglianza, che riprende quella contenuta nel secondo motivo, è infondata, atteso che - come detto - difetta la prova che la produzione del percolato era cessata prima che So.eco.tre. assumesse la gestione dell’impianto.
11.3. Sotto un secondo profilo, la ricorrente sostiene che le perforazioni potrebbero avere veicolato in falda eventuali sacche di percolato dalla massa dei rifiuti.
Questa censura sviluppa sotto un altro aspetto quella analoga avanzata con il primo motivo di ricorso, che imputa la causa della contaminazione ai lavori per la superstrada.
Anche in questo caso, la doglianza è infondata, atteso che la ricorrente non giunge a dimostrare che la contaminazione deriva da un fattore diverso da quello individuato dalla Provincia.
In particolare la censura, formulata in modo generico e dubitativo, non è supportata da alcun elemento di fatto circa la possibilità che tali perforazioni siano state eseguite in modo non corretto, o che siano state l’unica causa della contaminazione
11.4. Sotto un terzo connesso profilo, la ricorrente non ha offerto nemmeno un principio di prova sul contributo causale alla contaminazione delle acque da parte dei rifiuti rinvenuti all’esterno della discarica.
Invero, difetta a monte la prova che si trattava di rifiuti suscettibili di produrre percolato.
In tale contesto, il Collegio non ravvisa elementi tali da mettere in dubbio, anche sotto questo specifico aspetto, la completezza dell’istruttoria della Provincia.
Anche il terzo motivo di ricorso è quindi infondato.
12. Infondato è anche il quarto motivo di ricorso, a mezzo del quale la ricorrente oppone l’intervenuta prescrizione sulle conseguenze della condotta attribuita a So.eco.tre.
Al riguardo, basti osservare che “le norme in materia di obblighi di bonifica non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi” (Cons. Stato sez. IV 28 gennaio 2022 n. 622).
Da questo punto di vista, l’azione amministrativa intrapresa dalla Provincia di Treviso non tende all’applicazione di sanzioni, quanto piuttosto alla cessazione di un illecito civile di natura permanente, qual è il danno all’ambiente (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2019 n. 10).
13. In conclusione, il ricorso va respinto alla luce dell’infondatezza dei motivi.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenendo conto del fatto che i controinteressati Superstrada Pedemontana Veneta S.p.A. e Consorzio Stabile SIS S.c.p.A., si sono difesi congiuntamente con il ministero del medesimo difensore.