TAR Bolzano, sez. I, sentenza 2018-10-18, n. 201800293

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bolzano, sez. I, sentenza 2018-10-18, n. 201800293
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bolzano
Numero : 201800293
Data del deposito : 18 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/10/2018

N. 00293/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00015/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa

Sezione Autonoma di Bolzano

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Confederazione Generale Italiana del Lavoro -

CGIL

Alto Adige in persona del Segretario provinciale p.t. signor A E e dell’Amministratore e legale rappresentante p.t. signora S O, rappresentata e difesa dall'avvocato F M, con domicilio eletto presso il suo studio in Bolzano, corso Italia 10;

contro

Comune di Bolzano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati L P, A M, B M G e G A, domiciliata presso l’Avvocatura comunale in Bolzano, vicolo Gumer, 7;

per l'annullamento

con il ricorso introduttivo e con “motivi aggiunti in via subordinata” dd. 19.1.2018



1. in parte qua, del provvedimento del Sindaco del Comune di Bolzano sub prot. n. 136380 dd. 16.11.2016, pervenuto in data 23.11.2016, avente ad oggetto “CGIL-AGB – Via Roma, 79 – pp.mm. 3, 4, 15, 16, 32 e 33 in p.ed. 2935 – C.C. Gries. Applicazione di sanzione pecuniaria art. 83, 2 comma della L.P. 13/1997”, nella parte in cui ingiunge la sanzione pecuniaria di euro 11.595,70 ex art. 83, comma 2 L.P. 13/1997 per un preteso aumento di cubatura non autorizzato;



2. in parte qua, del presupposto ma non conosciuto verbale n. 19 della Commissione edilizia dd. 31.08.2016, nella parte in cui ha “espresso parere favorevole all'applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva di cui al 2 comma dell'art. 83 per l'ampliamento verso l'esterno (Nord) dell'ufficio sito al primo piano sulla base della relazione tecnica a firma del Dott. Ing. Norbert Gruber”;

e di ogni ulteriore atto presupposto, infraprocedimentale, connesso, collegato e conseguente, nonché

per l'accertamento e la declaratoria

di non debenza da parte di CGIL/AGB della sanzione pecuniaria richiesta dal Comune di Bolzano con provvedimento del Sindaco del Comune di Bolzano sub prot. n. 136380 dd. 16.11.2016, con conseguente condanna del Comune alla restituzione in favore della ricorrente della somma pari ad € 11.595,70, pagata con espressa riserva, il tutto oltre gli interessi e rivalutazione monetaria se dovuta dal dì del pagamento dovuto sino al saldo effettivo;

in subordine, per l'accertamento dell'indebito arricchimento ex art. 2033 cc. da parte del Comune di Bolzano, con conseguente condanna del Comune di Bolzano al pagamento del risarcimento del danno / indennizzo pari ad € 11.595,70, più o meno secondo quanto ritenuto di giustizia, oltre agli interessi e rivalutazione monetaria e dovuta dal dì del pagamento sino al saldo effettivo.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2018 il Cons. T D G e uditi per le parti i difensori: avv. F M per la parte ricorrente;
avv. L P per il Comune di Bolzano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La Confederazione Generale Italiana del Lavoro

CGIL

Alto Adige impugna, in parte qua, il provvedimento prot. n. 136380 dd. 16.11.2016 a firma del Sindaco del Comune di Bolzano nella parte in cui ingiunge la sanzione pecuniaria di euro 11.595,70 ex art. 83, comma 2 della L.P. 13/1997 per un preteso aumento di cubatura non autorizzato nonché, sempre in parte qua, il presupposto parere positivo espresso dalla Commissione edilizia in data 31.08.2016, come da relativo verbale n. 19.

A sostegno del ricorso vengono dedotti i seguenti motivi d’impugnazione:



1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e ss. L.P. 13/1997, ed in particolare dell’art. 83, co. 1 e 2. Eccesso di potere per grave travisamento dei presupposti di fatto, per difetto d’istruttoria ed illogicità. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990 per omessa motivazione in punto di qualificazione della domanda di rettifica.



2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 218 R.D. 1265/1934 rationae temporis applicabile al caso di specie, nonché dell’artt. 4 e 5 L. n. 2248/1865. Eccesso di potere per violazione del principio di divieto di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21nonies L. 241/1990;

in subordine



3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 83 L.P. 13/1997 come integrato dall’art. 34, co.

2-ter DPR 38n. 0/2001, anche in relazione agli artt. 29, co.

2-ter L. 241/1990, 5, co. 1 e 2, D.L. 70/2011 e 117, co. 2, lett. e), l) ed m), Cost. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto. In subordine, questione di legittimità costituzionale per mancata trasposizione dell’art. 34, comma 2-ter D.P.R. 380/2001 in Provincia autonoma di Bolzano;

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 80 e ss. della L.P. 11.08.1997 n. 13. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990 e normativa locale di recepimento. Eccesso di potere per difetto di motivazione e per mancanza di un interesse pubblico alla pretesa sanzionatoria, nonché per carenza istruttoria. Eccesso di potere per violazione del principio di qualificato ed incolpevole affidamento.

5) Violazione e falsa applicazione dell’art. 41, co. 2 L. 17.8.1942, n. 1150 rationae temporis in vigore. Violazione dell’art. 83 L.P. 13/1997 e dell’art. 11 disp. prel. Cod. civ.. Eccesso di potere per violazione del principio di irretroattività delle sanzioni amministrative nonché per conseguente irragionevolezza.

Con motivi aggiunti dd. 19.1.2018

In subordine

6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 218 e 221 R.D. 1265/1934 rationae temporis applicabile al caso di specie, nonché degli artt. 4 e 5 L. 2248/1865. Eccesso di potere per violazione del principio di divieto di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21nonies L. 241/1990, anche in riferimento al permesso d’abitabilità dd. 16.10.1963 n. prot. 37103. Eccesso di potere per contraddittorietà tra atti emanati dalla stessa Amministrazione comunale (e dallo stesso Ufficio).

La ricorrente chiede inoltre l'accertamento e la declaratoria di non debenza da parte di CGIL/AGB della sanzione pecuniaria richiesta dal Comune di Bolzano e la conseguente condanna dell’amministrazione alla restituzione in favore della ricorrente della somma pari ad € 11.595,70, pagata con espressa riserva, il tutto oltre gli interessi e rivalutazione monetaria se dovuta dal dì del pagamento dovuto sino al saldo effettivo nonché, in subordine, l'accertamento dell'indebito arricchimento ex art. 2033 cc. da parte del Comune di Bolzano, con conseguente condanna del Comune di Bolzano al pagamento del risarcimento del danno / indennizzo pari ad € 11.595,70, più o meno secondo quanto ritenuto di giustizia, oltre agli interessi e rivalutazione monetaria e dovuta dal dì del pagamento sino al saldo effettivo.

Si è costituito in giudizio il Comune di Bolzano chiedendo il rigetto del ricorso, siccome infondato.

Alla pubblica udienza del 7.2.2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

La Confederazione Generale Italiana del Lavoro

CGIL

Alto Adige (di seguito

CGIL

Alto Adige) è proprietaria delle pp.mm. 1, 2, 3, 4, 13, 14, 15, 16 30, 31, 32 e 33, in p.ed. 2935 CC Gries, corrispondenti al primo e secondo piano dell’edificio sito in Bolzano in via Roma n. 79, dove svolge la propria attività istituzionale.

All’epoca del rilascio del titolo edilizio la p.ed. 2935 ricadeva in zona “B”, per la quale l’art. 11, lett. g), delle NTA prevedeva un indice di fabbricabilità di “mc./mq. 7,5”.

Si tratta di un edificio formato da 8 piani fuori terra, a suo tempo eretto in virtù della licenza edilizia n. 111/1962, rilasciata in data 12.5.1962 dal Comune di Bolzano.

La

CGIL

Alto Adige ha a suo tempo acquistato l’immobile dalla Provincia autonoma di Bolzano, giusta contratti di compravendita dd. 26.06.2001 Rep. n. 19565.7929/V e Rep. n. 19226 dd. 15.02.2000.

In data 1.7.2016 la ricorrente presentava al Comune di Bolzano istanza di concessione edilizia in sanatoria per la “ristrutturazione interna e cambiamento d’uso” degli uffici della p.ed. 2935, siti in via Roma 79.

Più specificamente,

CGIL

Alto Adige chiedeva:

1) di sanare alcune opere di ristrutturazione interna consistenti nella realizzata tramezzatura interna del primo piano con conseguente cambiamento d’uso dei locali da “abitativo” a “terziario”;

2) la “rettifica in sanatoria” (cfr. doc. n. 5 del Comune) di “mere incongruenze grafiche riguardanti la sagoma esterna di parte del primo piano sul lato nord dell’edificio” (cfr. pag. 4 del ricorso).

Per quanto attiene al punto 1), che non è oggetto del presente contenzioso, il Comune, previo parere favorevole della commissione edilizia, rilasciava la concessione edilizia in sanatoria n. 2016-251-0 dd. 25.10.2016, riferita alle opere interne ed alla variazione di destinazione d’uso realizzate al primo piano della p.ed. 2935.

Per quanto riguarda il punto 2), che è oggetto della presente causa, la commissione edilizia esprimeva “parere favorevole all’approvazione del progetto con applicazione della sanzione ai sensi dell’art. 83 della L.U.P. per il volume al primo piano realizzato difformemente alla concessione edilizia del 1962 e per il quale non esiste nessuna autorizzazione” (cfr. doc. n. 2 del Comune). Conseguentemente il Comune, ravvisando l’impossibilità di poter procedere alla demolizione dell’abuso senza arrecare pregiudizio alla parte dell’edificio eseguita in conformità, applicava alla ricorrente la previsione di cui al comma 2 dell'art. 83, ingiungendo il pagamento di euro 11.595,70 per sanare la cubatura realizzata in eccesso, pari a 16,15 m³.

La ricorrente censura in parte qua l’impugnato provvedimento, lamentando violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

Le censure non sono fondate.

L’interessata afferma di aver presentato una “semplice domanda di rettifica” in riferimento ad un “mero errore grafico e di dettaglio operato nel progetto degli anni ’60, laddove mentre per tutti i 7 piani superiori al primo era stata indicata una piccola sporgenza presso la facciata nord dell’edificio, solo per il primo piano questa non era stata debitamente riportata in alcune tavole, dove poteva trasparire un andamento continuo senza sporgenza” (cfr. pag. 10 del ricorso).

Trattando impropriamente la suddetta istanza di “rettifica” alla stregua di una domanda di sanatoria, il Comune avrebbe travisato l’oggetto della domanda stessa, omettendo per di più di effettuare qualsiasi verifica istruttoria sulla base della documentazione già agli atti della pratica relativa al rilascio della licenza edilizia n. 111/1962.

Le deduzioni non sono condivisibili.

Il “Progetto per ristrutturazione interna e cambiamento d’uso presso gli uffici in via Roma 79 nel Comune di Bolzano” dd. 6.6.2016, a firma dell’Ing. Norbert Gruber, reca l’intestazione “Progetto in sanatori(a)” (cfr. doc. n. 11 della ricorrente) e la “Relazione tecnica (integrazione)” ad esso allegata, sempre a firma del suddetto professionista, specifica che “Risulta che il volume in progetto non era conforme a quello in progetto. C’è un aumento di volume di 16,15 m³. L'edificio già in fase di costruzione nel 1962 è stato costruito in difformità e per questo si chiede la rettifica in sanatoria” (cfr. doc. n. 5 del Comune).

A loro volta, le Tavole progettuali nn. 02, 03 e 04 delimitano in rosso la sporgenza al primo piano della p.ed. 2935, che il Comune afferma costituire cubatura in eccesso rispetto a quella assentita dalla licenza edilizia n. 111/1962 e in riferimento alla quale la ricorrente ha presentato istanza di sanatoria (cfr. doc. n. 4 del Comune – Tavole).

Né ha pregio dedurre che la sporgenza del primo piano, di cui si controverte, sia stata indicata nelle planimetrie catastali dell’anno 1963, atteso che la conformità catastale non sempre comprova la conformità urbanistica dell’immobile.

Le argomentazioni con le quali la ricorrente vorrebbe ricondurre ad un mero errore grafico il “presunto” eccesso di cubatura di 16,15 m³ sono decisamente contestate dal Comune, le cui argomentazioni trovano sostanziale riscontro nella documentazione depositata in giudizio.

Si appalesa comunque risolutiva della questione la constatazione che negli allegati alla domanda di concessione edilizia in sanatoria sia la ricorrente stessa a rappresentare l’esistenza dell’abuso edilizio in argomento, consistente nella maggiore cubatura di 16,15 m³ rispetto a quella assentita dalla licenza edilizia n. 111/1962 dd. 12.5.1962.

Consegue che la domanda di “rettifica / sanatoria” presentata dalla ricorrente non poteva che essere trattata e valutata dal Comune quale istanza di concessione edilizia in sanatoria.

La ravvisata impossibilità di adottare un provvedimento demolitorio senza arrecare pregiudizio alla parte del fabbricato eseguita in conformità, giustifica l’applicazione della previsione di cui all’art. 83, comma 2, della L.U.P., che prevede la sanzione della pena pecuniaria pari al “doppio del costo di costruzione dell’opera eseguita in difformità”.

I dati relativi alla cubatura ed alla superficie indicati dalla ricorrente (cfr. pag. 4 del ricorso) sono decisamente contestati dal Comune, che, a tal riguardo, rappresenta che “oggetto della concessione oggetto della concessione edilizia n. 111/1962 era la realizzazione di nr. 2 edifici, di cui quello che riguarda il presente ricorso è l’edificio “A”, catastalmente contraddistinto sub p.ed. 2935 C.C. Gries (doc. 7). Come risulta dall’allegata planimetria di progetto e dal calcolo di cubatura, era stata prevista ed approvata per l’edificio “A” una cubatura pari a mc 14.642 (doc. 8). In punto, si contesta il calcolo della cubatura eseguito dalla ricorrente a pagina 4 del ricorso, ove si fa riferimento ad una non conosciuta cubatura pari a mc 24.290. Per lo stesso motivo si contesta la relazione di parte dd. 23.12.2016 depositata dalla ricorrente sub doc. 11) che riporta dati erronei non giustificati documentalmente. Altrettanto erroneo è il calcolo della superficie indicato a pagina 4 del ricorso (e nella relazione di parte dd. 23.12.2016) in mq 3.238, mentre la superficie della p.ed. 2935 risulta essere di mq 1.441 (doc. 11). Il progetto riguardante l’edificio “A” veniva approvato con licenza edilizia n. 111/1962 dd. 27.8.1962 e successiva variante dd. 6.11.1962 (doc.ti 9 e 10) e per esso veniva rilasciata in data 16.10.1963 (e non in data 9.2.1967 come si legge in ricorso) la relativa licenza d’uso (doc. 12). Il progetto riguardante l’edificio “B” veniva approvato con licenza edilizia n. 111/1962 dd. 12.5.1964 e, appunto, è per esso che veniva rilasciata in data 9.2.1967 la relativa licenza d’uso (doc. 13). Ora è vero che, dalla Tavola 7) di cui al primo progetto approvato in data 27.8.1962, si evince una sporgenza (peraltro non del tutto corrispondente a quella poi realizzata di fatto ed oggetto di sanatoria), ma tale sporgenza non si rinviene poi nella Tavola 9), dalla quale risulta che i piani aventi tale sporgenza sono appunto soltanto 7, rimanendo escluso il piano primo. Ma quello che più rileva è che tale volume in eccesso sparisce del tutto nella variante successivamente approvata in data 6.11.1962, variante che, essendo stata approvata in epoca successiva, è anche l’unica a dovere essere presa in considerazione in questa sede”.

Effettivamente, in base alla planimetria di progetto ed ai relativi calcoli progettuali, la cubatura prevista ed approvata per l’edificio “A” risulta computata in 14.642 m³ (cfr. doc. n. 8 del Comune) e non in 24.290, come indicato dalla ricorrente.

Dai dati forniti dall’interessata, che probabilmente ha preso in considerazione la cubatura complessiva sia dell’edificio “A” in questione che dell’edificio “B” (come già detto realizzato in epoca successiva) non possono dunque trarsi le invocate conseguenze, id est che la cubatura ritenuta in eccesso dal Comune rispetterebbe comunque l’indice di edificabilità, all’epoca fissato in 7,5 mc/mq.

Né, si aggiunge, in difetto del necessario presupposto della doppia conformità urbanistica, sussisteva la possibilità di ottenere una concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 85 della L.U.P.

Infatti, per l’edificio “A” risulta che è stata approvata una superficie di m² 1.441, sicché, moltiplicando tale valore per l’indice attuale di densità edilizia, che per zona B1 è di 4 mc/mq, si ha un totale di mc 5.764, sicché tale volume risulta ora ampiamente inferiore ai mc autorizzati per la realizzazione dell’intero edificio.

La ricorrente lamenta inoltre un “insanabile contrasto con la stessa licenza d’uso del 1967 (recte – per l’edificio “A” il 16.10.1963 – cfr. doc. n. 12 del Comune), rilasciata dall’Ufficio edilizia comunale a seguito di sopralluogo…” e deduce che poiché “al tempo il permesso d’uso poteva essere rilasciato solamente nel caso in cui la costruzione fosse stata eseguita in conformità al progetto approvato”, il Comune avrebbe dovuto determinarsi in autotutela stante sia l’evidente contraddittorietà tra atti, sia l’avvenuta disapplicazione, di fatto, del certificato di abitabilità.

Del resto, aggiunge parte ricorrente, il fatto che il controllo dovesse essere effettuato dall’Ufficiale Sanitario e dal Tecnico comunale e avesse espressamente ad oggetto la conformità del fabbricato alla normativa edilizia ed urbanistica e al progetto allegato al titolo edilizio (tanto che, in caso di riscontrata difformità, era ordinata la demolizione delle opere difformi) renderebbe evidente che esso era riferito anche alla conformità urbanistica ed edilizia delle opere.

Non sfugge di certo al Collegio che, per un verso, nella licenza d’uso dd. 16.10.1963 il tecnico comunale incaricato dà atto di “avere visitata la costruzione in oggetto e di averla trovata abitabile ai sensi degli artt. 218 e 221 del T.U. Legge Sanitaria” (cfr. doc. sub n. 12 del Comune), e che, per altro verso, il citato art. 221 all’epoca vigente prevedeva che “gli edifici o parti di essi indicati nell'articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità”.

Va tuttavia osservato che sulla portata della previsione dell’art. 221 del T.U. Leggi Sanitarie, applicabile al caso in esame ratione temporis (la disciplina relativa al certificato di abitabilità è ora regolata dall’art. 24 “Agibilità” del D.P.R. 6.6.2001, n. 380), la giurisprudenza si è manifestata non univoca.

In particolare, un prevalente orientamento, al quale il Collegio aderisce, ritiene che il certificato di agibilità rilasciato ai sensi del citato art. 221 attenga “esclusivamente agli aspetti igienico sanitari degli edifici, presupponendo l'accertamento dell'inesistenza di cause d'insalubrità ed il suo rilascio non è ricollegato, quindi, alla verifica di esatta rispondenza delle volumetrie realizzate con quelle assentite dal titolo concessorio” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 4 febbraio 2004, n. 365;
28 marzo 1980, n. 327;
id. 19 febbraio 1982, n. 118;
id. 28 gennaio 1993, n. 178;
TAR Puglia, Bari, Sez. II, 4.2.2003, n. 489).

Ad un tanto consegue, come corollario, che:

- “è illegittimo il provvedimento negativo del Sindaco (riferito al certificato di abitabilità – n.d.r.) fondato su motivi di ordine urbanistico” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19 febbraio 1982, n. 118);

- “è illegittima la revoca del certificato di abitabilità - previsto dall’art. 221, comma 1, T.U. 27 luglio 1934, n. 1265 e finalizzato esclusivamente a scopi igienico – sanitari – se motivata esclusivamente con la difformità dell’edificio realizzato dal progetto approvato con la licenza di costruzione, in quanto il controllo della corrispondenza della costruzione con quanto autorizzato è esercitato dal Sindaco mediante i poteri di cui all’art. 32, L. 17 agosto 1942, n. 1150” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 gennaio 1993, n. 178);

- “il rilascio di tale certificato (di abitabilità – n.d.r.) non incide sul potere del Sindaco di reprimere gli abusi edilizi eventualmente connessi nella realizzazione del fabbricato dichiarato abitabile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 marzo 1980, n. 327).

Anche la più recente giurisprudenza ha affermato che il certificato di agibilità all’epoca rilasciato ai sensi dell’art. 221 era finalizzato esclusivamente alla tutela dell'igienicità, salubrità e sicurezza dell'edificio e non fosse diretto anche a garantire la conformità urbanistico - edilizia del manufatto, precisando che un tanto “non esclude che la valutazione effettuata in sede di agibilità (come anzi sia l’art. 221 cit. che l’art. 20 del Regolamento comunale dell’epoca richiamato dalla ricorrente) presupponesse anche una verifica di conformità edilizia (il citato art. 221 parla di costruzione “eseguita in conformità del progetto approvato”);
ma si tratta di una verifica edilizia funzionale al rilascio della agibilità e svolta quindi nei limiti necessari a inferirne l’assentibilità della agibilità;
ben diverso e distinto è il profilo della piena conformità edilizia in quanto tale, sul piano dei titoli edilizi, che non appare ricavabile da un incidentale accertamento compiuto in sede di rilascio della licenza di agibilità. In altre parole, quando il verbale del 23 gennaio 1980 ….. afferma la corrispondenza ai progetti approvati del fabbricato realizzato, effettua una valutazione funzionale alla sola attestazione della agibilità, ma dalla quale non è ricavabile un riconoscimento della avvenuta sanatoria sul piano edilizio delle opere stesse” (Cfr. TAR Toscana, Sez. III, 28 gennaio 2014, n. 177).

Concludendo sul punto, la funzione della licenza di abitabilità attiene a profili igienici – sanitari e non attiene specificamente a profili urbanistici.

Passando ora ai motivi dedotti in subordine, sostiene la ricorrente che l’art. 83 della L.P. n. 13/1997 dovrebbe essere automaticamente integrato con l’art. 34, comma 2-ter del D.P.R. 380/2001, come introdotto dal D.L. 70/2011, secondo cui “non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali” e solleva, in subordine, la questione di legittimità costituzionale “per mancata trasposizione dell’art. 34, comma 2-ter DPR 380/2001 in Provincia autonoma di Bolzano”.

La censura non ha pregio.

La materia dell’urbanistica, alla quale è riconducile il potere repressivo degli abusi edilizi, rientra nella competenza primaria del legislatore provinciale, la quale soggiace soltanto ai limiti di cui all’art. 4 dello Statuto di autonomia.

Per quanto attiene alla riforma liberalizzatrice del mercato delle costruzioni private di cui al D.L. 13.5.2011, n. 70/2011, richiamato dalla ricorrente per invocare l’applicazione dell’art. 34, comma 2-ter del D.P.R. n. 380 del 2001, va evidenziato che le disposizioni in esso contenute e soggette alla diretta applicazione nella Provincia autonoma di Bolzano sono espressamente indicate all’art. 5 che statuisce che “Le disposizioni dei commi 9, 10 e 11 si applicano anche nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni degli statuti di autonomia e con le relative norme di attuazione”.

Fra esse non è ricompresa la previsione di cui al citato art. 34, comma 2-ter del D.P.R. n. 380 del 2001.

Ad un tanto si deve aggiungere che, in riferimento all’art. 83 della L.P. n. 13/1997, non è stata a suo tempo attivata la procedura d’impugnazione dinanzi alla Corte Costituzionale stabilita dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, avente ad oggetto “Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento”, che prevede che la legislazione provinciale debba essere adeguata ai principi e norme costituenti limiti indicati dall’art. 4 dello statuto speciale e recati da atto legislativo dello Stato, entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell'atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel più ampio termine da esso stabilito. Restano nel frattempo applicabili le disposizioni legislative regionali e provinciali preesistenti e che, decorso tale termine, le disposizioni legislative provinciali non adeguate, possono essere impugnate davanti alla Corte costituzionale entro i successivi novanta giorni.

La previsione di cui all’art. 34, comma 2-ter del DPR 380/2001 non può nemmeno essere considerata un c.d. livello essenziale della prestazione (LEA).

Essa, infatti, non è stata qualificata come tale dal legislatore statale e non è nemmeno riconducibile alle lettere e) l) o m) dell’art. 117, comma 2 della Costituzione, sicché si verte nell’ambito di una materia ricompresa nella competenza primaria della Provincia autonoma di Bolzano.

Da tutto quanto sopra esposto ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata per “mancata trasposizione dell’art. 34, comma 2-ter del DPR 380/2001”.

Sempre in via subordinata, nel premettere di non essere la responsabile dell’abuso edilizio in argomento e nel dedurre il proprio legittimo affidamento, la ricorrente lamenta che il Comune non abbia esplicitato nell’impugnato provvedimento le ragioni di pubblico interesse sottese all’adozione dello stesso a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso.

La censura non è fondata.

Pur volendo ammettere che un obbligo motivazionale fosse in precedenza previsto anche per i provvedimenti applicativi di una sanzione pecuniaria, la questione relativa ad un obbligo motivazionale in ordine al pubblico interesse alla repressione di un abuso edilizio risalente nel tempo - che effettivamente in passato ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali - è stata risolta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che ha sancito il principio per cui non sussiste l’obbligo di motivazione dell’ordinanza di demolizione adottata, a distanza di anni dall’abuso, nei confronti dell’attuale proprietario che non lo ha realizzato (cfr. Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 9).

Da ultimo, la ricorrente lamenta che il Comune avrebbe dovuto applicare l’art. 41, comma 2, della L. n. 1150/1942, in vigore all’epoca del commesso abuso, che prevede che “qualora non sia possibile procedere alla restituzione in pristino ovvero alla demolizione delle opere eseguite senza la licenza di costruzione e in contrasto con questa, si applica in via amministrativa una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'Ufficio tecnico erariale”.

In sostanza, la ricorrente censura, ancora una volta in via subordinata, l’applicazione al caso di specie dell’art. 83, comma 2 della L.P. n. 13 del 1997 che dispone, per opere realizzate abusivamente ed adibite ad usi diversi da quello residenziale, l’applicazione di una sanzione commisurata al doppio del valore venale anziché l’applicazione dell’art. 41, comma 2, della legge n. 1150/1942 che stabilisce che la sanzione pecuniaria è pari al (solo) valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite.

A tal riguardo richiama l’orientamento giurisprudenziale che afferma che “le sanzioni amministrative comminate dalla l. n. 47/1985 non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo e non possono perciò essere irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell’entrata in vigore della fonte stessa” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.10.2013, n. 5158).

Premesso che la pronuncia fa riferimento testuale alla legge n. 47 del 1985 e non alla legge urbanistica n. 13 del 1997 della Provincia autonoma di Bolzano, e premesso altresì che le sanzioni amministrative, a differenza delle sanzioni penali, non hanno un contenuto meramente afflittivo bensì ripristinatorio della situazione antecedente all’illecito, va osservato che le violazioni in materia edilizia (ed urbanistica in generale) hanno carattere di illeciti permanenti che non si esauriscono nel momento di esecuzione dei lavori ma si protraggono nel tempo finché la situazione antigiuridica perdura.

Il Collegio ritiene pertanto di condividere e far proprio il diverso e maggioritario orientamento giurisprudenziale secondo il quale “per determinare la sfera di applicabilità della disciplina sanzionatoria sopravvenuta in materia di illeciti edilizi, deve aversi riguardo non alla data della costruzione abusiva, ma al momento in cui l’amministrazione opera la scelta tra demolizione e sanzione alternativa” (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, n. 2544/2000;
id. n. 1060/2000;
id. n. 319/1998;
TAR Piemonte, Sez. I, n. 167/2003;
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV n. 963/2010;
TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, n. 1636/2005;
Cons. Stato, Sez. V, n. 614/1999;
id. n. 2544/2000;
TAR Piemonte, Sez. I, n. 762/2004).

In conclusione, il ricorso, come integrato con motivi aggiunti, è infondato e, pertanto, va rigettato unitamente alle domande ivi contenute.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

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