TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2023-01-09, n. 202300291

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2023-01-09, n. 202300291
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202300291
Data del deposito : 9 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/01/2023

N. 00291/2023 REG.PROV.COLL.

N. 13188/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13188 del 2021, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato B V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto dirigenziale n. M_D GMIL REG2021 0410655, del 17 settembre 2021, notificato il 2 ottobre 2021, emesso dal Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Militare – I Reparto, 3^ Divisione disciplina, con cui l'Amministrazione ha inflitto al Ten. Col. Di Meo un provvedimento disciplinare di stato, nonché avverso e per l'annullamento degli atti dell'inchiesta formale ordinata con foglio n. M_D E24476 REG2021 0017330 del 29/03/2021 del Comando Militare della Capitale SM – Ufficio Documentale, notificato il 02/04/2021;

- di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e conseguente ivi com-presi tutti gli atti relativi al procedimento disciplinare in questione.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2022 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso depositato in data 16.12.2021 il soggetto in epigrafe generalizzato, Tenente Colonnello dell’Esercito Italiano fino all’8.2.2012, collocato in congedo assoluto a partire dal giorno 9.2.2012, ha adito questo TAR per ottenere l’annullamento del decreto dirigenziale del 17.9.2021, notificato il 2.10.2021, con il quale il Ministero della Difesa, all’esito del procedimento disciplinare instaurato nei suoi confronti, gli ha irrogato la sanzione disciplinare di stato della sospensione dalle funzioni del grado per mesi 12 (dodici), a decorrere dalla data di notifica del decreto, ai sensi degli articoli 885, 1-OMISSIS-e 1379 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (c.o.m.), con la seguente motivazione: “il Ten. Col. -OMISSIS-, Ufficiale dell’Esercito Italiano, in concorso con altri soggetti, abusando delle loro qualità e dei loro poteri, quali responsabili ed addetti all’affidamento diretto e all’espletamento delle gare di appalto di beni e servizi nell’ambito dell’ufficio di Amministrazione del Comando dei Supporti delle Forze Operative Terrestri: (1) costringeva a dare o promettere una percentuale dell’importo ricevuto dalle Ditte aggiudicatarie, in relazione al pagamento dei lavori aggiudicatisi fino all’anno 2006, minacciando l’esclusione dalle successive procedure di assegnazione di forniture e di appalti;
(2) indicava preventivamente, con allusioni e mezzi fraudolenti, all’imprenditore all’uopo invitato, la percentuale di sconto da praticare per risultare vincitore, ovvero, apponeva direttamente l’importo dell’offerta più vantaggiosa. Ciò stante, il Ten. Col. -OMISSIS- ha agito in palese e ripetuto dispregio delle normative che regolano i doveri attinenti al giuramento, al grado rivestito e al contegno del militare di cui agli artt. 712, 713, e 732 del D.P.R. n. 90 del 2010.”.

Il procedimento disciplinare era stata avviato a seguito della sentenza della Corte di Appello di Roma n. -OMISSIS- del 27.2.2020 (divenuta irrevocabile il-OMISSIS-.7.2020), che definiva il processo penale nel quale il ricorrente era stato imputato (e condannato in primo grado) in concorso con altri Ufficiali, tutti in servizio presso il Comando dei Supporti delle Forze Operative Terrestri presso la “Cecchignola” in Roma

2. La vicenda sottoposta all’attenzione di questo Giudice può essere riassunta nei termini che di seguito si espongono.

Per i medesimi fatti contestati in sede disciplinare, l’Ufficiale ricorrente era stato in precedenza rinviato a giudizio, in concorso con altri, nel procedimento penale n. R.G.N.R.-OMISSIS-, dinnanzi al Tribunale Penale di Roma che, con la sentenza n. -OMISSIS-:

- condannava l’Ufficiale alla pena di 4 anni e due mesi di reclusione in ordine al reato di “concussione” di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 317 c.p. (capo E1 del decreto del 26 maggio 2011 che aveva disposto il giudizio), per i fatti commessi fino al 2006;
- applicava nei confronti del medesimo la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e, visto l’art. 33 in relazione all’art. 28 c.p.m.p., applicava al predetto la pena militare accessoria della degradazione;
- lo condannava al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, subiti dalle parti civili costituite ;
- dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione, in ordine al reato di “turbata libertà degli incanti”, di cui agli artt. 61, 110 e 353 co. 2 c.p. (capi E2 ed E3 del citato decreto);
- lo assolveva per non aver commesso il fatto, in ordine al reato di “concussione”, di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 317 c.p. (capo E1 del predetto decreto che disponeva il giudizio), per i fatti commessi dal 2007.

Successivamente, a seguito dell’appello proposto dal ricorrente e da altri due coimputati condannati in primo grado, la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. -OMISSIS-, pronunciata il 27 febbraio 2020 (e divenuta irrevocabile il-OMISSIS-.7.2020), in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’odierno ricorrente per intervenuta prescrizione, in ordine al reato di cui all’art. 319 quater c.p. (così riqualificando come “induzione indebita a dare o promettere utilità” , quella che in precedenza era stata contestata come “concussione” al capo di imputazione E1);
revocava, per l’effetto, le pene accessorie comminate in sentenza;
lo condannava al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili e confermava nel resto.

Per quanto sopra, dopo avere ricevuto dalla Corte di Appello di Roma la suddetta sentenza, il Comandante del Comando Militare della Capitale disponeva una inchiesta formale, ritenendo che il comportamento dell’Ufficiale ricorrente potesse considerarsi lesivo del prestigio dell’Istituzione, contrario ai doveri attinenti al giuramento prestato, al grado rivestito, al senso di responsabilità e al contegno.

Al termine dell’inchiesta, l’Ufficiale inquirente riteneva fondati gli addebiti contestati, nella considerazione che “è emerso come l’imputato abbia operato, essendo responsabile dell’intera Unità organizzativa, in un contesto di illeciti ripetuti e continuati e dimostrati in maniera chiara dall’inchiesta giudiziaria (..) individuato da taluni collaboratori come l’ispiratore della condotta criminosa” (Relazione finale dell’Ufficiale inquirente, doc. 3 res.).

Pertanto, il Comando Militare della Capitale, preso atto delle risultanze dell’inchiesta, proponeva di definire la posizione disciplinare del Ten. Col. (ormai da diversi anni collocato in congedo assoluto), con la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado.

La Direzione Generale per il Personale Militare, quindi, adottava in data 17 settembre 2021 il provvedimento disciplinare in epigrafe impugnato, basato sui seguenti elementi:

a. l’incolpato è stato sottoposto a procedimento penale fino al secondo grado di giudizio, per reati commessi in danno dell’Amministrazione della Difesa;

b. il giudice di secondo grado: (1) “condivide in pieno il giudizio del primo giudice sul punto ed il tutto su quanto acquisito in istruttoria: in particolare il -OMISSIS- è smentito dal […] e dal […], che lo collocano al vertice dell’iniziativa”; (2) ha rilevato che “ il prevenuto protesta per la sua innocenza, dichiarandosi estraneo al sistema di tangenti (…) e chiedendo l’assoluzione nel merito. Così non è, anche ad avviso della Corte, risultando il -OMISSIS- l’iniziatore vero e proprio del sistema”;

c. non proponendo ricorso in Cassazione, il Ten. Col. -OMISSIS- ha precluso a sé stesso la possibilità di provare in giudizio la propria innocenza;

d. l’Ufficiale inquirente ha ritenuto fondati gli addebiti contestati all’inquisito, tenendo conto delle risultanze dell’attività probatoria posta in essere dall’Autorità Giudiziaria;

e. il Ten. Col. -OMISSIS- ha tenuto una condotta contraria a quanto sancito dal T.U.O.M. rispettivamente all’art.: (1) 712, perché non è stato fedele alle istituzioni che rappresenta, in quanto non vi è stato alcun risparmio morale ed intellettuale allorquando, il medesimo, abusando del potere legato al proprio ufficio, costringeva talune Ditte a versare denaro affinché queste ultime potessero ottenere la fornitura di beni e servizi a favore dell’Amministrazione della Difesa;
(2) 713, in ordine ai doveri attinenti al grado, perché non si è astenuto, in servizio, da comportamenti che hanno leso il prestigio dell’Istituzione cui appartiene, allorquando, come accertato dall’Autorità Giudiziaria, il medesimo oltre ad essere l’iniziatore del sistema delinquenziale è risultato al vertice dell’iniziativa delittuosa;
(3) 732, in ordine al contegno, per non essersi astenuto dal compiere azioni non confacenti alla dignità e al decoro di chi appartiene alle Forze Armate.

Quanto precede, ad avviso della Direzione Generale, è stato accertato dall’Autorità Giudiziaria, in quanto il fatto si sarebbe verificato con abuso, da parte dell’imputato, delle funzioni e del potere legati al proprio ufficio;
considerato, tra l’altro, come ispiratore della condotta criminosa, l’inquisito avrebbe operato in un contesto di illeciti ripetuti e continuati nel tempo.

Di qui la conclusiva decisione di accogliere la proposta del Comando Militare della Capitale di sospendere dalle funzioni del grado l’incolpato per mesi 12 (dodici)

3. Avverso tale determinazione e contro tutti gli atti del procedimento disciplinare che lo ha riguardato, l’odierno ricorrente ha adito questo TAR (con atto notificato al Ministero della Difesa il 19.11.2021 e depositato il 16.12.2021) per ottenere l’annullamento degli atti impugnati, ritenuti illegittimi per i motivi che si seguito si riassumono:

1) violazione di legge per mancato rispetto dei termini perentori fissati dall’art. 1392 d.lgs. n. 66/2010 (c.o.m.), per l’instaurazione e per la conclusione del procedimento disciplinare di stato;
termini, rispettivamente, di gg. 90 e di gg. 270, dalla conoscenza integrale, da parte dell’Amministrazione, della sentenza divenuta irrevocabile;

2) illegittimità delle sanzioni inflitte per falsa applicazione dell’art. 920, co. 1, d.lgs. n. 66/2010: deduce il ricorrente che la “pena accessoria”, applicata dall’Amministrazione ex art. 930 c.o.m., della decurtazione nella misura della metà degli importi stipendiali a carattere fisso e continuativo (oltre alla riduzione alla metà, agli effetti della pensione, del tempo trascorso in sospensione dal servizio, pari a dodici mesi), avrebbe potuto riguardare esclusivamente un militare in servizio, non certo un militare in congedo quale il ricorrente;

3) violazione dell’art. 1370 c.o.m. e del diritto di difesa: deduce il ricorrente che l’Autorità procedente non ha tenuto conto delle deduzioni difensive prodotte dall’incolpato nel corso del procedimento mediante due distinte memorie (la prima in data 10.4.2021 e la seconda in data 16.7.2021), alle quali non si fa cenno nel decreto impugnato;

4) eccesso di potere per travisamento dei fatti: si citano nel provvedimento impugnato elementi di fatto asseritamente desunti dalla sentenza di secondo grado che, in realtà, non risultano contenuti nella stessa;
si fa riferimento, inoltre, ad accertamenti compiuti dall’Autorità Giudiziaria, quando, in realtà, la vicenda giudiziaria che ha riguardato l’Ufficiale si è conclusa, con declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione e in parte con assoluzione con formula piena per il capo E1 dal 2007;
la prescrizione, eccepisce il ricorrente, non può essere posta sullo stesso piano di una condanna ai fini dell’accertamento dei fatti;

5) eccesso di potere per erronea valutazione della decisione della Corte d’Appello di Roma sopra citata: collegandosi a quanto appena riferito sub 4) in tema di prescrizione, parte ricorrente precisa, in punto di diritto, che il giudice dell’impugnazione penale, spogliatosi della cognizione della responsabilità penale dell’imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, si pronunciato sull’impugnazione ai soli effetti civili, riformando la condanna già emessa nel grado precedente, “sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell’illecito civile” e non assume alcuna rilevanza nell’accertamento della responsabilità penale;

6) eccesso di potere per difetto di istruttoria (omesso esame delle memoria difensive): parte ricorrente ritorna sulla censura relativa alla omessa valutazione delle memorie endo-procedimentali prodotte, per contestare l’inesatta e incompleta ricostruzione dei fatti eseguita, in sede disciplinare, da parte dell’Amministrazione;
senza esporre in modo puntuale e specifico, all’interno del motivo, le singole allegazioni svolte negli atti difensivi che sarebbero state pretermesse dall’Autorità, il ricorrente riepiloga i singoli “titoli” o “capitoli” articolati nelle memorie difensive, i quali non sarebbero stati esaminati (come dimostrerebbe la motivazione del provvedimento): “ impossibilità materiale dei fatti addebitati” ; “estraneità del ruolo del Capo Ufficio Amministrazione rispetto ai fatti”;
“unico accusatore: Andera Mocci”;
“impossibilità materiale dell’incontro del 2003”;
“ulteriori rilievi sulla inattendibilità di Berardo”
ecc..

4. Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa che ha affidato le sue difese ad apposita relazione redatta dalla Direzione Generale per il Personale Militare (datata 13.12.2021), corredata da numerosi documenti.

5. Con ordinanza n. -OMISSIS-del 20.1.2022 la Sezione ha accolto la domanda cautelare di sospensiva limitandosi a rilevare che nel bilanciamento di interessi fosse da “privilegiare quello privato, nelle more della definizione di merito”.

6. Con successiva ordinanza collegiale del 18.5.2022, la Sezione si è invece soffermata sulla censura (contenuta nel secondo motivo) afferente all’illegittimità della sanzione inflitta per falsa applicazione dell’art. 920, comma 1, c.o.m., rilevando come la seguente citazione, indicata a chiusura del Decreto Ministeriale oggetto del ricorso – laddove si afferma che “nel periodo di sospensione dall’impiego compete, ai sensi dell’articolo 920 comma 1 del citato Decreto Legislativo n. 66/2010, la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo” – per quanto ammesso dal Ministero resistente nella relazione in atti, costituirebbe un mero “errore di stampa” in quanto tale disposizione sarebbe riferibile solo al personale in servizio (e tale, come visto, non era il ricorrente).

Sul punto, pertanto, il Collegio ha richiesto ad entrambe le parti note di chiarimento.

7. Nulla, tuttavia, è stato depositato dal Ministero.

Parte ricorrente, viceversa, ha depositato memoria in data-OMISSIS-.6.2022, sottolineando, in particolare, la palese erroneità del provvedimento nel punto da ultimo evidenziato, non emendabile con una relazione difensiva quale quella prodotta dal Ministero in sede di costituzione in giudizio.

8. All’udienza del 16 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

9. Venendo alla disamina del primo motivo, sulla pretesa decadenza dall’azione disciplinare, il Collegio ritiene il medesimo infondato.

Come già puntualizzato dalla Sezione nell’ordinanza collegiale n. 6319 del 18.5.2022, si ricorda preliminarmente che l’art. 1392 C.O.M., in tema di “Termini del procedimento disciplinare e di stato”, invocato dallo stesso ricorrente, stabilisce, per quanto qui interessa, che “1. Il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale, (…) deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all'incolpato, entro 90 giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che lo concludono, ovvero del provvedimento di archiviazione. (…)”.

Secondo la tesi del ricorrente, nella fattispecie in disamina, il primo atto del procedimento disciplinare (che sarebbe intervenuto in data 22.3.2021, con l’ordine di inchiesta disciplinare) sarebbe tardivo, posto che il termine di gg. 90 andrebbe fatto decorrere dalla data in cui la sentenza penale è divenuta irrevocabile (14 luglio 2020).

Dalla medesima data sarebbe decorso anche il termine di gg. 270 per la definizione del procedimento.

Entrambi i termini sarebbero stati, pertanto, ampiamente superati.

Deduce al riguardo il ricorrente che il Ministero della Difesa avrebbe avuto conoscenza integrale della sentenza irrevocabile nell’immediatezza, avendo partecipato al giudizio penale “de quo” come parte civile.

La prospettazione, tuttavia, non può essere condivisa.

Rileva, invero, il Collegio che il Legislatore ha specificamente indicato che il termine per l’azione disciplinare decorre dalla conoscenza “integrale” del provvedimento definitivo, così intendendo porre l’accento sulla necessità di una effettiva e compiuta conoscenza – da parte dell’Amministrazione titolare del potere disciplinare – del contenuto del dictum giudiziale (il che è all’evidenza logico rispetto alle finalità perseguite, ove si consideri che è proprio sulla base del contenuto di tale dictum che la stessa Amministrazione deve valutare, innanzitutto, l’ an dell’intervento disciplinare).

Sul punto occorre dunque, più correttamente, fare riferimento alla data in cui la copia integrale della decisione è pervenuta all’Amministrazione, in linea con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “Il termine d'inizio dell'azione disciplinare di cui all'art. 1392 comma 1, del codice dell'ordinamento militare, approvato con d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 e recante per il militare la perdita del grado per rimozione, coincide con il momento in cui la Pubblica amministrazione ha avuto a disposizione il testo integrale della sentenza penale, come ufficialmente acquisita al protocollo dell'Ufficio competente” (Consiglio di Stato sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3652, che ha altresì evidenziato che ciò risponde “all'esigenza, posta peraltro anche nell'interesse dell'incolpato, di consentire all'Amministrazione di acquisire e valutare compiutamente gli elementi di interesse ai fini della sussistenza o meno dei presupposti per l'avvio del procedimento disciplinare” ).

Sul punto è da ultimo intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n.-OMISSIS- del 13.9.2022 la quale ha affermato che: “il procedimento disciplinare nei confronti del personale militare deve essere instaurato o ripreso, ai sensi dell’art. 1392, co. 3, e dell’art. 1393, co. 4, d. lgs. 15 marzo 2010 n. 66, a decorrere dalla data di intervenuta conoscenza della sentenza che conclude definitivamente e complessivamente il processo penale, non assumendo alcun rilievo, ai fini della determinazione del dies a quo, il passaggio in giudicato di precedenti sentenze con riferimento a singoli capi di imputazione.

La conoscenza della sentenza conclusiva del processo penale deve essere integrale, non essendo sufficiente la mera conoscenza del dispositivo o di estratti della stessa, e legalmente certa, dovendo la stessa irrevocabilità risultare formalmente, secondo le modalità previste dalla legge”.

Come documentato in atti (doc. 6 res.), l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale e formale (da parte dell’Ufficio Giudiziario) della sentenza irrevocabile della Corte d’Appello di Roma, soltanto in data 20 gennaio 2021. Pertanto il procedimento disciplinare di stato a seguito del giudizio penale è stato legittimamente instaurato con la contestazione degli addebiti al ricorrente in data 2 aprile 2021 (doc. 5 res.), vale a dire entro 90 giorni dalla data di formale ricezione della copia integrale della sentenza penale irrevocabile (il termine di gg. 90 sarebbe infatti spirato in data 9 aprile 2021).

Il procedimento disciplinare di stato è stato poi concluso entro 270 giorni dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della citata sentenza della Corte d’Appello, precisamente in data 17 settembre 2021, con l’emissione del Decreto Ministeriale oggetto del ricorso (il termine di 270 giorni, avente anch’esso come “dies a quo” la suddetta data del 20.1.2021, sarebbe infatti scaduto in data 17 ottobre 2021).

La censura sulla perenzione del potere disciplinare deve quindi essere respinta.

10. Rinviando alla parte conclusiva della presente pronuncia la disamina del secondo motivo, il Collegio passa ora all’esame congiunto dei motivi terzo, quarto e quinto;
con il primo di essi, come visto, si contesta il “mancato riscontro della pur copiosa documentazione difensiva” (ivi comprese le memorie difensive depositate dall’incolpato in data 10.4.2021 e in data 16.7.2021).

In realtà le deduzioni difensive endo-procedimentali risultano essere state sufficientemente vagliate dall’Autorità militare. Ciò si evince in particolare da quanto dichiarato dall’Ufficiale inquirente che, nella sua relazione finale (vedi, in particolare il punto C, doc. 3 res.), prende in esame proprio quanto dedotto dall’incolpato nelle proprie memorie difensive - laddove affermava che l’incarico di Capo Ufficio Amministrazione, da lui ricoperto nei periodi oggetto di incriminazione, non presupponeva contatti con le ditte né un ruolo operativo nella finalizzazione delle gare e dei contratti - confutando tali deduzioni con l’argomentazione seguente: “in tale quadro però, a parte le circostanze in cui lo stesso imputato si è trovato ad accentrare su di sé anche l’incarico di Capo Servizio Amministrativo a causa di ritardi nelle nomine dei predesignati, si omette di evidenziare il suo ruolo di Comando, e quindi di implicito controllo e responsabilità nei confronti dell’operato dell’Unità Organizzativa posta alle proprie dipendenze”.

Per quanto sopra, fatte le opportune valutazioni (poi condivise pienamente dalla Direzione Generale per il Personale Militare che ha emesso il provvedimento finale), l’Ufficiale inquirente ha concluso che gli addebiti contestati al -OMISSIS- sono risultati fondati, dal momento che “a prescindere dalle decisioni di colpevolezza, assoluzioni e prescrizione di reati ascritti, a seconda della fattispecie e della sostanziale carenza di prove materiali a carico del nominato, è emerso come l’imputato abbia operato, essendo comunque responsabile dell’intera Unità Organizzativa, in un contesto di illeciti ripetuti e continuati e, infine, dimostrati in maniera chiara dall’inchiesta giudiziaria, prendendone parte attiva in determinate occasioni, così come testimoniato da più soggetti, venendo individuato da taluni collaboratori come l’ispiratore della condotta criminosa”.

Sotto quest’ultimo aspetto, in effetti, la sentenza della Corte di Appello di Roma, per quanto abbia riqualificato il delitto più grave rispetto al titolo di reato originariamente ascritto all’Ufficiale (concussione) e dichiarato, anche rispetto al reato riqualificato (capo di imputazione E1), la sopravvenuta prescrizione, contiene, invero, molteplici riferimenti ad elementi di prova, già vagliati dal Giudice penale in primo grado e non superati da prove a discarico, idonei a configurare (al di là della ormai solo ipotetica responsabilità penale) una condotta senz’altro grave sul piano disciplinare, atteso che: uno degli imprenditori che aveva versato tangenti per ottenere delle commesse ha indicato anche il nome dell’Ufficiale oggi ricorrente;
uno dei militari coimputati ha indicato l’odierno ricorrente come uno degli ideatori del “sistema Cecchignola” (vedi pag. 44 della sentenza penale di secondo grado, doc. 4 ric.);
ulteriori dichiarazioni testimoniali a carico sono evidenziate in altri passaggi della sentenza e collocano il ricorrente “al vertice dell’iniziativa” (vedi pag. 45 e 60 della sentenza penale di secondo grado).

La sintesi conclusiva dell’Ufficiale inquirente, recepita in toto dal provvedimento disciplinare, risulta dunque suffragata da elementi di fatto emersi nel giudizio penale i quali corroborano l’assunto riassuntivo del decreto disciplinare secondo cui è emerso un “contesto di illeciti ripetuti e continuati e, infine, dimostrati in maniera chiara dall’inchiesta giudiziaria, prendendone (il ricorrente, ndr. ) parte attiva in determinate occasioni, così come testimoniato da più soggetti, venendo individuato da taluni collaboratori come l’ispiratore della condotta criminosa”.

E’ certamente vero l’assunto di parte ricorrete secondo cui la sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato non conduce ad un accertamento definitivo del fatto né all’affermazione di una responsabilità penale da parte dell’Autorità Giudiziaria;
tuttavia è altrettanto vero che le prove escusse e valutate dal Giudice penale e i fatti che, sulla base di dette prove, sono emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale non possono essere posti nel nulla da una pronuncia di non doversi procedere che, in ogni caso, non è assolutoria nel merito.

In tale situazione è alla motivazione della sentenza penale e ai vari passaggi di essa, specificamente afferenti alle condotte del soggetto interessato, che l’Autorità disciplinare poteva e doveva fare riferimento, essendo chiaro che la declaratoria di non diversi procedere in sede processuale (per intervenuta prescrizione) non può certamente condurre di per sé, in modo automatico, alla archiviazione del procedimento disciplinare.

Al contrario l’Amministrazione militare ha il potere/dovere di considerare e valutare, sia in positivo che in negativo, le emergenze processuali che possono certamente rilevarsi quando, al di là dell’esito del giudizio penale “in rito”, i fatti in imputazione siano stati approfonditamente valutati in sede processuale, dopo ampia attività di indagine e, in sede dibattimentale, con l’escussione di numerosi testimoni, le cui dichiarazioni, ovviamente, non possono ritenersi “tamquam non esset” in sede disciplinare.

Nel caso di specie, dunque, l’Amministrazione della Difesa non aveva l’obbligo di svolgere una autonoma attività istruttoria “ex novo” al fine di acquisire le prove del giudizio disciplinare, dal momento che disponeva già di elementi assai significativi acquisiti nel giudizio penale, fermo restando il suo obbligo di svolgere una propria autonoma valutazione dei fatti addebitati all’incolpato.

E’ in effetti sulla base di specifici e oggettivi passaggi della sentenza di secondo grado (che a suo volta richiama la complessa motivazione della sentenza di prime cure) che l’Autorità disciplinare ha ritenuto provati i seguenti fatti:

a. il ricorrente riferiva ad altri attori coinvolti quali fossero i sistemi illeciti da porre in essere e le conseguenti percentuali da chiedere alle ditte, in cambio di aggiudicazioni delle gare per la fornitura di beni e servizi in favore dell’Amministrazione;

b. uno specifico imprenditore ha testimoniato di aver subito pressioni dall’odierno ricorrete in persona, in merito alle percentuali delle tangenti da pagare e di avere avuto suggerimenti in ordine alla costituzione di nuove società per poter concorrere alle gare;

c. sebbene alcune dichiarazioni testimoniali abbiano lasciato intendere che il ricorrente non avesse rapporti diretti con le ditte, in realtà è ricorrente che, al contrario, racconta di aver avuto rapporti, specialmente, con una di esse.

Su tale quadro di oggettiva gravità e provato da dichiarazioni impegnative rese comunque nel corso del processo penale dinnanzi ad un Collegio giudicante, il Ministero della Difesa ha ritenuto legittima l’applicazione della sanzione della sospensione dalle funzioni per mesi dodici.

I motivi di impugnazione proposti dal ricorrente sono pertanto da ritenere, per questa parte, infondati.

11. Il sesto motivo va invece respinto per la sua evidente genericità.

La difesa di parte ricorrente, come visto, si limita a menzionare alcuni “titoli” o “capitoli” delle due memorie prodotte nel corso del procedimento disciplinare - dai quali emergerebbe una (possibile) diversa rappresentazione dei fatti e la sostanziale estraneità del ricorrente agli stessi - “ invitando il Lettore ad una più completa disamina di queste”.

E’ tuttavia evidente che il motivo doveva essere adeguatamente ed espressamente sviluppato in tutta la sua articoalzione difensiva, che è invece rimasta soltanto allo stato potenziale.

Il motivo di impugnazione, al contrario, deve essere autosufficiente nella sua portata e non può pretendere una sua integrazione “ab externo” rimessa ad una attività di ricerca e lettura da parte del Giudice del materiale documentale prodotto.

Senza contare che tale materiale non viene neanche indicato in modo specifico e puntuale dal ricorrente.

Al riguardo non sembra dunque che il motivo proposto si conformi all’obbligo di indicazione dei “motivi specifici su cui si fonda il ricorso” di cui all’art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a. e, in ogni caso, i suoi presupposti non sono stati provati in punto di fatto.

Esso è dunque da respingere.

12. Fondato, invece, è il secondo motivo di gravame, che comunque si riferisce ad un effetto accessorio e secondario della sanzione principale (costituita dalla sospensione per mesi dodici dalle funzioni del grado) la quale, per tutto quanto sopra esposto, resta ferma ed è da ritenere legittima.

Viceversa sulla “pena accessoria” è la stessa Amministrazione ad avere ammesso il proprio errore nella indicazione degli articoli del Codice dell’ordinamento militare menzionati nel provvedimento e nel riferimento agli effetti retributivi derivanti dall’applicazione di detti articoli.

Infatti nella relazione depositata dall’Amministrazione in data 8.1.2022 (ma non trasfusa in memoria difensiva dell’Avvocatura di Stato), la stessa osserva testualmente che:

In ordine all’illegittimità della sanzione inflitta per falsa applicazione dell’art. 920 comma 1 del C.O.M., giova rilevare che la seguente citazione, indicata a chiusura del Decreto Ministeriale oggetto del ricorso, “nel periodo di sospensione dall’impiego compete, ai sensi dell’articolo 920 comma 1 del citato Decreto Legislativo n. 66/2010, la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo” costituisce un mero errore di stampa in quanto tale disposizione è riferibile solo al personale in servizio.

Nella fattispecie, pertanto, a parere di questa Amministrazione, non sussistono i presupposti per una dichiarazione di annullabilità del provvedimento disciplinare a carico del Ten. Col. -OMISSIS-, atteso che, proprio per la natura del provvedimento di cui si parla, risulta palese che esso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 octies della Legge n. 241/1990 sull’annullabilità del provvedimento:

- non è stato adottato in violazione di legge o risulta viziato da eccesso di potere o da incompetenza (comma 1);

- vieppiù non è annullabile, ai sensi del comma 2, “il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Al riguardo, ad avviso del Collegio, risulta decisivo specificare quali sono le norme che nell'insieme generano la “sospensione disciplinare dalle funzioni del grado”

In tal senso si specifica che:

a) l’art.

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