TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2015-02-11, n. 201500988

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2015-02-11, n. 201500988
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201500988
Data del deposito : 11 febbraio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06388/2008 REG.RIC.

N. 00988/2015 REG.PROV.COLL.

N. 06388/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6388 del 2008, proposto da:
R R e V M, rappresentati e difesi dagli avv. G T e C F, con domicilio eletto presso G T in Napoli, Via Chiatamone n.

6 - Avv.F.Caia;

contro

Comune di Marcianise, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. G A, con domicilio eletto presso G A in Napoli, Via G.Porzio C. Dir. Isola G 8;

per l'annullamento

dell’ordinanze prot. n.n. 2796 e 2797 del 28.07.2008 con cui sono state respinte le domande di condono avanzate ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985 per la sanatoria dell’immobile sito in via Santella;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Marcianise;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2015 la dott.ssa R E I e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso iscritto al n. 6388/2008 i ricorrenti impugnavano i provvedimenti di cui in epigrafe, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi di diritto:

- Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001, violazione e falsa applicazione degli artt. 34 e 40 della legge n. 47/1985, violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della legge n. 724/1994, eccesso di potere per carenza di motivazione e di istruttoria;

L’atto impugnato non evidenzia l’esigenza di stretto ripristino della legalità violata e specifici e concreti interessi pubblici idonei a giustificare il sacrificio delle posizioni di vantaggio acquisite, a cagione dello stato di completamento e di utilizzazione dell’opera assentita.

Il Comune di Marcianise avrebbe dovuto rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’esame della specifica ed effettiva situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto permissivo. L’esercizio dell’autotutela presuppone difatti l’apprezzamento della situazione di fatto medio tempore determinatasi ed implica un’attenta valutazione degli interessi contrapposti, potendo giustificarsi solo in presenza di un prevalente interesse pubblico specifico consistente nell’effettiva utilità per la collettività di perseguire l’assetto urbanistico congegnato al momento della pianificazione.

Tali profili vengono di fatto obliterati nell’atto impugnato che si limita ad evidenziare un vizio di ordine meramente temporale, del tutto disancorato da un’analisi calibrata sulla peculiarità delle singole vicende edificatore e sul concreto impatto da esse determinato sugli equilibri urbanistici dell’area. Le avversate ordinanze di ritiro restano del tutto disancorate dal necessario apprezzamento di un’effettiva utilità pubblicistica al ripristino dello status quo ante;
del tutto mortificata appare altresì la rilevante esigenza di salvaguardia delle posizioni di vantaggio ad esso collegate. Appare indimostrata la concreta lesione di un effettivo interesse urbanistico, tenuto conto che, nella fattispecie, non vi è alcun effettivo contrasto con la vocazione urbanistica dell’area.

Tali considerazioni assumono rilievo specie avuto riguardo all’obbligo legislativamente imposto ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 di operare la rimozione dei vizi delle procedure amministrative.

Sulle domande di sanatoria in questione si è inoltre formato il silenzio assenso ai sensi della legge n. 47/1985 per effetto del decorso del termine perentorio di 34 mesi a far data dalla loro presentazione, avendo i ricorrenti provveduto al pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione e non potendo ravvisarsi nella specie un’ipotesi di richiesta dolosamente infedele.

V’è inoltre omessa diligenza e ritardo colpevole da parte del Comune, nonché negligenza nel rilascio in data 20.10.2003 e 14.09.2004 di autorizzazioni al cambio di destinazione del piano terra e per opere interne, nonché per non aver consentito la presentazione di una domanda di condono ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724/1994.

Concludevano quindi per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese di lite.

Il Comune di Marcianise si costituiva per opporsi al ricorso chiedendone l’accoglimento.

Alla pubblica udienza di discussione del 21.01.2015 il ricorso veniva introitato per la decisione.

2. Innanzitutto, il Collegio osserva che, come rilevato dall’amministrazione resistente nei provvedimenti impugnati e non contestato dal ricorrente, le domande di sanatoria del 30.03.1988 sono state presentate ben oltre il termine perentorio (30 giugno 1987) all’uopo previsto dall’art. 35, comma 1, della l. n. 47/1985. Ebbene, una simile perentorietà, giustificata dalla natura eccezionale dell’istituto cui si riferisce (a differenza della sanatoria ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2001: cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 giugno 2011, n. 5030), se rende inammissibili le domande di condono sostanzialmente modificate o integrate (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 17 gennaio 2007, n. 298;
TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 4 dicembre 2008, n. 1558), rende, vieppiù, inammissibili le domande di condono totalmente rassegnate – come, appunto, nel caso in esame – dopo lo spirare del termine anzidetto.

A fronte dell’evidenziata perentorietà, e, quindi, delle sottese ragioni preminenti di ordine pubblico nel senso della inestensibilità dell’eccezionale istituto sanante oltre i tassativi limiti temporali fissati dal legislatore, nonché nel senso del ripudio di attività edificatorie fraudolentemente poste in essere dopo l’emanazione della normativa di condono e in contrasto con la vigente disciplina urbanistica primaria e subprimaria, pur a fronte di atti di autotutela come quelli qui impugnati, si appalesa meramente recessiva l’argomentazione svolta dal ricorrente, che si appunta sull’affidamento ingenerato dal tempo trascorso a far data dalla presentazione delle domande di sanatoria e dal successivo rilascio del condono con atti prot. n.n.2280 e 2143 del 2003. Ed invero, legittimamente fondandosi – come si è visto – l’impugnato annullamento d’ufficio delle concessioni edilizie in sanatoria n.n.2143 e 2280/2003 sull’inosservanza del termine perentorio ex art. 35, comma 1, della l. n. 47/1985, il decorso di un certo arco temporale dalla presentazione delle istanze di condono al menzionato annullamento d’ufficio non implica alcuna particolare necessità di motivare ulteriormente quest’ultimo, poiché l'ordinamento tutela l'affidamento quando è incolpevole, mentre, nel caso di realizzazione di un immobile abusivo, vi è una volontaria attività del costruttore contra legem. Peraltro, chi ha commesso un illecito edilizio, così come chi ha presentato domanda di condono, non può, di certo, dolersi del fatto che l'amministrazione lo abbia avvantaggiato, eliminando l’abuso a notevole distanza di tempo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2012, n. 6072;
TAR Campania, Napoli, sez. VII, 8 febbraio 2013, n. 830). Neppure può essere accreditata la tesi secondo cui le istanze di sanatoria presentate dal ricorrente, ancorché tardive ai sensi dell’art. 35, comma 1, della l. n. 47/1985 (c.d. primo condono), avrebbero legittimato una rimessione in termini in rapporto al successivo condono di cui all’art. 39, comma 4, della l. n. 724/1994 (c.d. secondo condono edilizio). Al riguardo, occorre, in primis, obiettare che l’art. 39 della l. n. 724/1994 non ha introdotto una proroga dei termini del precedente, ma un vero e proprio nuovo condono, disciplinato con presupposti differenti rispetto al precedente. Occorre, altresì, obiettare che, l’eventuale tardività con cui l’amministrazione ha definito seppure illegittimamente le domande di sanatoria di cui alla legge n. 47/1985, non può certo ritenersi circostanza imputabile in via esclusiva all’amministrazione ben potendo il ricorrente azionare i rimedi previsti dall’ordinamento per ottenere la conclusione del procedimento con un provvedimento espresso e motivato entro i termini di legge. L’invocata tardività non può essere invocata per predicare una riapertura dei termini di cui alla sopravvenuta disciplina ex art. 39 della l. n. 724/1994, stante la già evidenziata perentorietà dei termini di presentazione delle domande, la natura eccezionale dell’istituto e l’inestensibilità della relativa disciplina al di là delle ipotesi e fattispecie ivi espressamente tipizzate. La perdita per il ricorrente dell’opportunità di avvalersi del secondo condono non vale, infatti, di per sé, ad elidere l’oggettività e la correttezza del rilievo di tardività della domanda di condono posto a base dell’autoannullamento delle concessioni edilizie in sanatoria n. 2143 e 2280 del 2003. Nessun dubbio può residuare sulla legittimità dell’esercizio dei poteri di autotutela attivati, sussistendo in re ipsa l’interesse pubblico attuale senza, infine, che possa ritenersi sussistente alcun affidamento in capo al beneficiario dell’atto concessorio illegittimamente rilasciato. Difatti, l’annullamento in sede di autotutela dei provvedimenti che consentono l'esercizio dello "ius aedificandi" illegittimamente rilasciati deve ritenersi congruamente motivato con la sola enunciazione del vizio che li inficia (Consiglio di Stato, Sez. V, 24 settembre 2003 n. 5445).

12. In conclusione, stante la ravvisata infondatezza delle censure proposte, così come dianzi scrutinate, il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

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