TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2022-01-24, n. 202200756

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2022-01-24, n. 202200756
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202200756
Data del deposito : 24 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/01/2022

N. 00756/2022 REG.PROV.COLL.

N. 12922/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12922 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati S M, D D B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto n. 2827/18 posizione n. 333-H/13680 del Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione centrale per le risorse umane – Servizio trattamento di pensione e di Previdenza, Divisione III, a firma del Direttore della divisione, in data 21 agosto 2018, ricevuto in data 4 settembre 2018, che ha escluso la dipendenza da causa di servizio – ai fini della concessione dell'equo indennizzo – per l'infermità -OMISSIS-contratta in servizio dal signor-OMISSIS-ed ha dichiarato l'intempestività della domanda e pertanto ha respinto l'istanza presentata in data 29 dicembre 2014;

- di ogni altro atto antecedente, preordinato, consequenziale, e comunque connesso o collegato al relativo procedimento, in particolare:

- il parere del comitato di verifica per le cause di servizio, Ministero dell'Economia e delle Finanze nr. 83605/2017 reso nell'adunanza n. 661 del 20 ottobre 2017;

- la nota n. 333/H/13680 del Ministero dell'Interno Dipartimento della Pubblica, Sicurezza Direzione centrale per le risorse umane – Servizio trattamento di pensione e di previdenza, Divisione III, emessa l'11 ottobre 2018, consegnata il 12ottobre 18, che ha rigettato la richiesta di riesame del provvedimento;

nonché per la condanna

del Ministero dell'Interno al pagamento, in favore dell'istante, di quanto dovutogli per legge a titolo di equo indennizzo, oltre interessi e rivalutazione monetaria.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2022 il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso del 22 ottobre 2018, l’ispettore capo della Polizia di Stato -OMISSIS- ha impugnato il decreto Ministero dell’Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione centrale per le risorse umane, Servizio trattamento di pensione e di previdenza, Divisione III, n. 2827/18 posizione n. 333-H/13680 che ha escluso la dipendenza da causa di servizio – ai fini della concessione dell’equo indennizzo – per « l’infermità -OMISSIS-contratta in servizio », ha dichiarato l’intempestività della domanda e ha quindi respinto l’istanza presentata in data 29 dicembre 2014. Con lo stesso gravame, inoltre, il ricorrente ha impugnato « ogni altro atto antecedente, preordinato, consequenziale, e comunque connesso », ivi compresi il parere del Comitato di verifica per le cause di servizio n. 83605/2017 e la nota Ministero dell’Interno, n. 333/H/13680 che ha rigettato la richiesta di riesame.

A sostegno della propria pretesa il ricorrente ha innanzitutto osservato:

- di essere stato impegnato dal 9 gennaio 1983 al 10 settembre 1984, presso l’Ufficio Polizia di Frontiera di Fiumicino, dove aveva svolto servizi che lo avevano esposto a disagi di varia natura;

- di essere stato coinvolto in data 5 marzo 1985 – « mentre frequentava il corso di raffermato a Peschiera [ ] in servizio » – in un incidente stradale, con conseguente « -OMISSIS- »;

- di aver svolto dal 1986 al 2003 altre attività di servizio caratterizzate da turnazione diurna e notturna e frequente lavoro straordinario;

- che, a seguito di istanza presentata il 15 novembre 1996, la Commissione medico ospedaliera di Roma aveva riconosciuto in data 22 giugno 1998, l’infermità « -OMISSIS- », reputandola dipendente da causa di servizio;

- che a far data dal 2003, era stato impegnato in attività caratterizzate da « turnazioni anche imprevedibili [e] costante e continuo controllo di più monitor »;

- che in data 27 agosto 2014 gli era stata diagnosticata la « -OMISSIS- »;

- di aver proposto, a seguito di tale peggioramento delle sue condizioni di salute, in data 29 dicembre 2014, istanza per il « riconoscimento dell’aggravamento della propria infermità come dipendente da causa di servizio e la concessione dell’equo indennizzo »;

- che in data 14 giugno 2016, la Commissione medica ospedaliera di Roma aveva ritenuto aggravata la patologia riconosciuta nel 1998, considerandola ascrivibile alla « Tabella A, 7 categoria ».

Lo stesso ricorrente ha quindi osservato:

- che in data 22 febbraio 2017, il Ministero dell’Interno gli aveva comunicato che la pratica per la causa di servizio infermità « -OMISSIS- », di cui all’istanza del 15 novembre 1996, era stata trasmessa al Comitato di verifica per emissione del parere di competenza di quest’ultimo, specificando che entro 10 giorni « si può presentare, se non ancora provveduto, richiesta per la eventuale concessione dell’equo indennizzo per le infermità ascritte a categoria di compenso (art. 7 c. 2 D.P.R. 461/01) »;

- che il Comitato di Verifica aveva ritenuto non sussistente la causa di servizio, sulla base della seguente considerazione: « trattasi di -OMISSIS-per -OMISSIS-del -OMISSIS- [che] possono essere -OMISSIS-condizioni queste che non risultano provate come avvenute nel servizio prestato dall’interessato »;

- che il Ministero dell’Interno, con il decreto gravato, aveva rigettato l’istanza di riconoscimento per le ragioni illustrate dal Comitato, oltreché per l’intempestività della domanda;

- che lo stesso Ministero dell’Interno aveva rigettato l’istanza di riesame successivamente avanzata.

Sulla base delle superiori circostanze in fatto, il ricorrente ha innanzitutto lamentato, con il primo motivo di gravame, l’illegittimità del decreto impugnato per violazione dell’art. 10- bis , l. n. 241/1990, in ragione della mancata comunicazione da parte della p.a. del preavviso di diniego.

Con il secondo motivo ha sostenuto l’illegittimità degli atti gravati per violazione di legge ed eccesso di potere ( sub specie di difetto di istruttoria, difetto di motivazione e travisamento dei fatti), osservando che il parere Comitato di Verifica non ha tenuto in considerazione « il -OMISSIS- » e che, più in generale, tale organo « non ha correttamente indagato in ordine al rapporto eziologico delle infermità riscontrate con il lavoro svolto ».

Con il terzo motivo di ricorso, infine, ha lamentato l’illegittimità del diniego gravato – nella parte in cui ha giudicato intempestiva la domanda – per violazione di legge ed « eccesso di potere per ingiustizia grave e manifesta contraddittorietà ».

Per tali ragioni ha quindi chiesto a questo Tribunale di accogliere il ricorso – anche previa consulenza tecnica d’ufficio – e di condannare l’amministrazione « al pagamento di quanto dovutogli per legge a titolo di equo indennizzo, oltre interessi e rivalutazione monetaria ».

Con note depositate in giudizio il 19 dicembre 2018, le amministrazioni resistenti hanno insistito per il rigetto delle domande avanzate dal ricorrente, osservando innanzitutto che « il giudizio espresso dalla C.M.O. sulla dipendenza da causa di servizio prima dell’entrata in vigore del d.p.r. n. 461/2001, ai sensi dell’art.

5-bis della legge n. 472/1987 risultava definitivo solo a fini diversi dalla richiesta di equo indennizzo
».

Sotto altro profilo, hanno notato che « dalla documentazione [prodotta dal ricorrente a corredo dell’istanza] non è specificato -OMISSIS-(3 gg. di riposo medico nel 1985) sia stata riportata effettuando un servizio regolarmente comandato » (cfr. nota Ministero dell’Interno, 15 novembre 2018) e hanno ricordato che « l’onere della prova […] della dipendenza da causa di servizio di un’infermità, incombe sul ricorrente, ovvero sul soggetto che fa valere la pretesa, ai sensi dell’art. 2697 c.c., e […] che la mera coincidenza cronologica tra l’insorgere della infermità e la prestazione del servizio non è sufficiente ad integrare la prova della dipendenza in parola, non essendovi nella materia in esame presunzioni legali o semplici che lo consentano (cfr. Corte dei Conti, Sez. IV Pens. Mil., sentenza n. 71636 del 09/01/1988;
Corte dei Conti, Sez. IV Pens. Mil., sentenza n. 73721 del 23/11/1989;
Corte dei Conti, Sez. IV Pens. Mil., sentenza n. 75351 del 19/06/1990;
Corte dei Conti, Sez. IV Pens. Mil., sentenza n. 75696 del 22/09/1990)
» (cfr. nota Ministero dell’Economia, 6 novembre 2018).

Con riferimento all’asserita violazione dell’art. 10- bis , l. n. 241/1990, entrambe le p.a. hanno ricordato la giurisprudenza secondo cui che « la norma in questione non si applica al procedimento per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio ».

In data 7 dicembre 2020, il ricorrente ha prodotto ulteriore documentazione relativa all’incidente stradale del 1985.

Con istanza istruttoria depositata nella stessa data, lo stesso ricorrente ha inoltre richiesto al Collegio di « acquisire ai sensi dell’art. 63, c. 1, c.p.a. il fascicolo personale del sostituto commissario--OMISSIS-, con atti e documenti relativi al periodo 11 settembre 1984 - 25 marzo 1985 avendo indefettibile rilievo decisorio accertare se il trauma “-OMISSIS-” trascritto il 6 marzo 1985 nel foglio matricolare, sia stato causato da incidente stradale occorsogli mentre rientrava da permesso fruito alla scuola allievi di Peschiera del Garda con altri allievi agenti polizia di stato », oltreché di ammettere prova testimoniale sui medesimi fatti.

All’udienza del 14 gennaio 2022, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il provvedimento impugnato è illegittimo e va annullato per i motivi dedotti dal sig.-OMISSIS-nel secondo e nel terzo motivo di ricorso.

E, infatti, così come risulta testualmente dall’atto impugnato, l’amministrazione ha adottato il provvedimento di diniego sulla base di due distinte ragioni:

a) il fatto che il Comitato di Verifica – con parere n. 83605/2017 del 20 ottobre 2017 – ha ritenuto non sussistente la causa di servizio, osservando che la patologia da cui è affetto il ricorrente è una « -OMISSIS-per -OMISSIS-del -OMISSIS- [che] possono essere -OMISSIS-condizioni queste che non risultano provate come avvenute nel servizio prestato dall’interessato » e che quindi « in assenza di tali comprovati -OMISSIS-, talvolta precoce »;

b) l’intempestività dell’istanza di equo indennizzo ai sensi dell’art. 51, d.p.r. 3 maggio 1957, n. 686 richiamato dall’art. 3, l. 23 dicembre 1970, n. 1094 « poiché prodotta oltre il termine di sei mesi dal giorno 22 giugno 1998 in cui l’interessato ha sottoscritto per accettazione il P.V. n. 1154 del 22 giugno 1998 della C.M.O. di Roma di ascrivibilità a categoria ».

Nessuna delle due ragioni, tuttavia, è idonea a fondare il provvedimento di diniego.

2. In primo luogo deve evidenziarsi che il parere del Comitato di Verifica 20 ottobre 2017 – che ha ritenuto insussistente la causa di servizio (e sulla base del quale è stata adottata la decisione contestata) – e il conseguente provvedimento di diniego sono illegittimi per difetto di istruttoria e di motivazione, così come dedotto dal ricorrente nel secondo motivo di ricorso.

E, infatti, così come osservato dal ricorrente il parere del Comitato di Verifica ha rigettato la domanda del ricorrente rilevando che la patologia lamentata dallo stesso è una « -OMISSIS-per -OMISSIS-del -OMISSIS- [che] possono essere -OMISSIS-condizioni queste che non risultano provate come avvenute nel servizio prestato dall’interessato », affermando che « in assenza di tali comprovati -OMISSIS-, talvolta precoce ».

Epperò – così come risulta dalla stessa produzione documentale versata in atti dalla p.a. – lo stato matricolare del ricorrente riporta tra le « malattie sofferte durante il servizio di pubblica sicurezza » una « -OMISSIS- [per la quale il ricorrente] ha ottenuto gg. 15 di congedo straordinario per siti -OMISSIS- », nel periodo 6-8 marzo 1985.

Ciononostante, pur in presenza – all’interno dello stato matricolare del ricorrente – dell’indicazione di un trauma contusivo che, per stessa ammissione del Comitato di Verifica, poteva aver favorito l’insorgenza e/o l’evoluzione della patologia sofferta dal ricorrente, l’amministrazione ha ritenuto di rigettare la domanda di ricorrente, affermando che il suddetto trauma non risulta provat [o] come avvenut [o] nel servizio prestato dall’interessato ». Il tutto senza svolgere gli approfondimenti istruttori che – alla luce dello stato matricolare del ricorrente – apparivano necessari.

Il difetto di istruttoria che inficia il diniego impugnato è tanto più evidente, poi, se si considera che la stessa amministrazione ha osservato nelle proprie memorie che « qualora la documentazione a corredo non fosse stata ritenuta sufficiente, sia l’Amministrazione sia il Comitato avrebbero potuto richiedere un supplemento d’istruttoria » (cfr. nota Ministero dell’Interno, 15 novembre 2018, pos. N. 333G/13680, allegata al deposito del 19 dicembre 2018).

Nulla di tutto ciò, tuttavia, è stato fatto né dal Comitato di Verifica, né dalla p.a. resistente che – a fronte di una produzione documentale da cui emergevano elementi idonei a supportare un supplemento di istruttoria – si è limitata a rigettare l’istanza del ricorrente.

Quest’ultimo, peraltro, in sede giurisdizionale ha fornito ulteriori elementi di prova circa il fatto che l’evento traumatico del 6 marzo 1985 sia avvenuto in servizio (cfr. – oltre allo stato matricolare già richiamato – i docc. 1 e 2 allegati alla produzione documentale del 7 dicembre 2021), atteso che – secondo la giurisprudenza – « deve riconoscersi come dipendente da causa di servizio l’infortunio di cui rimane vittima il dipendente che si rechi alla sua abitazione al termine del servizio, essendo esso ascrivibile alla categoria del c.d. -OMISSIS- » (Tar Lazio, I- bis , 21 agosto 2017, n. 9332) e che « gli accadimenti che si verificano al momento dell’allontanamento dalla caserma (e quindi al militare che era da considerare per così dire accasermato) per usufruire della libera uscita concretizzano gli estremi dell'infortunio in itinere che sussiste quando il militare sia incorso in incidente stradale mentre stava raggiungendo il luogo di destinazione per fruire del permesso concessogli », cfr. ancora Tar Lazio, I- bis , n. 9332/2017.

Alla luce di quanto sopra, sia il parere del Comitato di Verifica che il provvedimento di diniego sono viziati per difetto di istruttoria.

3. Il provvedimento di diniego è altresì illegittimo nella parte in cui ha affermato l’intempestività della domanda di equo indennizzo avanzata dal ricorrente solo al momento della proposizione della domanda di aggravamento.

A tal riguardo, è necessario procedere ad una ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.

È utile, infatti, ricordare che l’art 51, d.p.r. n. 686/1957 – che disciplinava la materia nel 1996 al momento della proposizione dell’originaria istanza di riconoscimento della causa di servizio per la -OMISSIS-da parte del ricorrente – prevedeva che « per conseguire l’equo indennizzo l'impiegato deve presentare domanda all’amministrazione da cui dipende entro sei mesi dal giorno in cui gli è comunicato il decreto che riconosce la dipendenza della menomazione dell'integrità fisica da cause di servizio;
ovvero entro sei mesi dalla data in cui si è verificata la menomazione dell'integrità fisica in conseguenza dell’infermità già riconosciuta dipendente da causa di servizio
». Con riferimento al rapporto tra aggravamento della patologia ed equo indennizzo l’art. 56 dello stesso d.p.r. prevedeva che « entro cinque anni dalla data della comunicazione del decreto [di liquidazione] l’amministrazione, nel caso di aggravamento della menomazione della integrità fisica per la quale sia stato concesso un equo indennizzo, può provvedere, su richiesta dell'impiegato, e per una sola volta alla revisione dell'indennizzo già concesso ».

La normativa sopravvenuta, contenuta negli artt. 2 e 14 d.p.r. n. 461/2001, ricalca quella antecedente e prevede che « il dipendente che abbia subito lesioni o contratto infermità o subito aggravamenti di infermità o lesioni preesistenti, ovvero l'avente diritto in caso di morte del dipendente, per fare accertare l'eventuale dipendenza da causa di servizio, presenta domanda scritta entro sei mesi dalla data in cui si è verificato l'evento dannoso o da quella in cui ha avuto conoscenza dell'infermità o della lesione o dell'aggravamento » (art. 2, c. 1);
che « la presentazione della richiesta di equo indennizzo può essere successiva o contestuale alla domanda di riconoscimento di causa di servizio ovvero può essere prodotta nel corso del procedimento di riconoscimento di causa di servizio, entro il termine di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui agli articoli 7, comma 2, e 8, comma 2;
in quest'ultimo caso il procedimento si estende anche alla definizione della richiesta di equo indennizzo
(art. 2, c. 3);
che « la richiesta di equo indennizzo, fatto salvo quanto disposto dai commi precedenti e dall’articolo 14, comma 4, deve essere presentata non oltre il termine di sei mesi dalla data di notifica o comunicazione del provvedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità o lesione, da cui sia derivata una menomazione ascrivibile alle tabelle di cui al comma 7, ovvero da quando si è verificata la menomazione in conseguenza dell'infermità o lesione già riconosciuta dipendente da causa di servizio » (art. 2, c. 6);
e che « entro cinque anni dalla data di comunicazione del provvedimento di cui al comma 3, il dipendente, in caso di aggravamento della menomazione della integrità fisica, psichica o sensoriale per la quale è stato concesso l'equo indennizzo, può per una sola volta chiedere all'Amministrazione la revisione dell’equo indennizzo già concesso, secondo le procedure indicate dal presente regolamento » (art. 14, c. 4).

La giurisprudenza in materia ha quindi evidenziato la perentorietà del termine di sei mesi previsto, prima, dall’art. 51, d.p.r. n. 686/1957 (v. ex multis Tar Reggio Calabria, 28 novembre 1998, n. 1510) e, poi, dall’art. 2, c. 6, d.p.r. n. 461/2001(v. ex multis Tar Milano, I, 15 ottobre 2018, n. 2283) per la proposizione della domanda di equo indennizzo.

Ciò sia nell’ottica di garantire la certezza delle situazioni giuridiche, sia per consentire al Comitato di Verifica, in un periodo immediatamente successivo a quello in cui si è manifestata l’infermità, di accertare con la dovuta tempestività, e prima ancora che possano disperdersi le prove reperibili al momento, il nesso di dipendenza causale o concausale fra patologia e servizio.

È stato tuttavia specificato dalla giurisprudenza che « il soggetto interessato può presentare la domanda di attribuzione dell’equo indennizzo anche in epoca successiva all'originario riconoscimento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, purché sia rispettato il termine di sei mesi dalla conoscenza della menomazione conseguente all'infermità già riconosciuta dall’amministrazione », Consiglio di Stato, V, 20 marzo 2008, n. 1221.

Ciò nell’ottica di valorizzare, ai fini della decorrenza del termine, la piena conoscenza non solo della natura dell'infermità da parte del lavoratore, ma anche della gravità della menomazione che ne deriva.

Con specifico riferimento al rapporto tra aggravamento della patologia riconosciuta e concessione dell’equo indennizzo, la giurisprudenza maggioritaria ha adottato un’interpretazione tendenzialmente restrittiva delle disposizioni sopra richiamate affermando che « la disciplina dell’aggravamento della infermità dipendente da causa di servizio, prevista dall'art. 56, d.P.R. 3 maggio 1957 n. 686, è posta in correlazione con il provvedimento di concessione dell'equo indennizzo, distintamente ed anteriormente adottato, senza alcuna deroga ai termini decadenziali previsti per la richiesta di beneficio;
pertanto, una volta che il dipendente non abbia presentato la domanda di equo indennizzo nel termine decadenziale di sei mesi previsto dall'art. 51 d.P.R. n. 686 cit. non può successivamente proporre la domanda di revisione per aggravamento, anche ai soli fini di ottenere la differenza tra l'importo liquidabile a seguito dell'aggravamento e quello che sarebbe spettato al momento di insorgenza della menomazione
», Consiglio di Stato, IV , 28 ottobre 1992 , n. 939.

Nello stesso senso, sempre con riferimento alle regole dettate dal d.p.r. n. 686/1957, Tar Catania, III, 9 novembre 2011, n. 2660 ha ribadito che « l’intervenuto accertamento dell’aggravamento della infermità già riconosciuta dipendente da causa di servizio, non riapre i termini per la presentazione dell'istanza di concessione di equo indennizzo perentoriamente fissati dall'art. 51 d.p.r. 686/1957 in sei mesi ».

L’orientamento restrittivo è stato giustificato, tra l’altro, con la necessità di « evitare che in via surrettizia possa addivenirsi ad un aggiramento del termine decadenziale previsto … dall’art. 51 D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 », Tar Cagliari, 5 luglio 2004, n. 981.

Ancora di recente la giurisprudenza amministrativa – anche di questa sezione – ha confermato tale posizione con riferimento al quadro normativo definito dal d.p.r. n. 461/2001, cfr. Tar Lazio, I- quater , 3 maggio 2021, n. 5104.

In senso opposto, altre pronunce hanno ritenuto possibile la presentazione della domanda di equo indennizzo a seguito di un successivo aggravamento di patologia già certificata, evidenziando che « la legge prevede la possibilità di fare la domanda anche successivamente ad una prima diagnosi, qualora – come avviene tipicamente per le malattie di tipo cronico o evolutivo – l'interessato abbia conoscenza dell’aggravamento di una pregressa infermità già in essere;
in tali casi, il termine semestrale per la proposizione della domanda decorre dall'avvenuta conoscenza, da parte dell'interessato, non tanto della diagnosi medica della presenza di un'infermità, ma dall'entità invalidante della stessa, così come evidenziata dal suo aggravamento. non tanto della diagnosi medica della presenza di un'infermità, ma dall'entità invalidante della stessa, così come evidenziata dal suo aggravamento
», Tar Lecce, II, 29 dicembre 2020, n. 1466.

Ciò premesso, il Collegio pur condividendo, in linea generale, il principio secondo cui la presentazione di una domanda di aggravamento non riapra ex se il termine semestrale per la proposizione della domanda di equo indennizzo, ritiene che tale principio debba essere necessariamente specificato ( rectius , temperato) nei termini che seguono.

Il lavoratore che a seguito del riconoscimento da parte della C.M.O. di una patologia di lieve entità non abbia immediatamente presentato la domanda di equo indennizzo nel termine decadenziale di sei mesi dalla ricezione del verbale della C.M.O. non può poi presentare domanda di equo indennizzo in uno con una successiva domanda di aggravamento della patologia, salvo che l’aggravamento non sia tale da determinare nello stesso una menomazione sostanzialmente diversa – sotto il profilo qualitativo o quantitativo (ad. es. la trasformazione di un dolore lieve in un dolore invalidante) – da quella originariamente avvertita.

Il principio è rilevante nel caso oggetto della presente controversia.

Nel caso di specie, infatti, la p.a. si è limitata ad affermare l’intempestività della domanda di equo indennizzo – avanzata dal ricorrente in uno con la domanda di aggravamento del 2014 – « poiché prodotta oltre il termine di sei mesi dal giorno 22 giugno 1998 in cui l’interessato ha sottoscritto per accettazione il P.V. n. 1154 del 22 giugno 1998 della C.M.O. di Roma di ascrivibilità a categoria » senza verificare in alcun modo se il rilevato aggravamento della patologia – cui è conseguita la domanda di equo indennizzo – consista nel manifestarsi di una menomazione significativamente diversa (per qualità o quantità) da quella originariamente percepibile del ricorrente.

Dagli atti di causa, tuttavia, risulta che il ricorrente, in data 22 giugno 1998, si è vista riconosciuta come dipendente da causa di servizio l’infermità « -OMISSIS- », mentre il 27 agosto 2014 ha avuto consapevolezza di avere una « -OMISSIS- ». A seguito di ciò – ovvero al manifestarsi di una (più grave) menomazione derivante da patologia già riconosciuta – in data 29 dicembre 2014 ha presentato istanza per il « riconoscimento dell’aggravamento della propria infermità come dipendente da causa di servizio e la concessione dell’equo indennizzo ».

A fronte di tale circostanza, l’amministrazione non doveva limitarsi ad affermare automaticamente l’intempestività della domanda ma aveva il dovere di verificare se l’aggravamento della malattia lamentato dal ricorrente non era tale da determinare una menomazione sostanzialmente diversa da quella originariamente accertata (e quindi costituisse solamente un escamotage per aggirare in via surrettizia il termine semestrale previsto dalla normativa) o al contrario se l’aggravamento fosse tale da consentire al lavoratore di assumere una diversa (e piena) consapevolezza in ordine alla consistenza e alla gravità della patologia originata in servizio e delle relative conseguenze invalidanti della sua integrità fisica.

Nel primo caso, infatti, avrebbe dovuto senza dubbio procedere alla declaratoria di inammissibilità della domanda per intempestività;
nella seconda ipotesi, al contrario, avrebbe dovuto considerarla tempestiva.

Secondo il Collegio, infatti, in fattispecie in cui l’originario accertamento della causa di servizio da parte della C.M.O. riguardi una patologia di lieve entità – in seguito sensibilmente aggravata – la decorrenza del termine di sei mesi previsto, prima, dal d.p.r. n. 686/1957 e, poi, dal d.p.r. n. 461/2001, deve essere calcolata valorizzando il principio di ragionevolezza, e quindi ancorata al momento in cui il dipendente abbia acquisito contezza dell’effettiva gravità della patologia originata in servizio e delle relative conseguenze invalidanti della sua integrità fisica.

In altri termini, deve ritenersi che l’aggravamento di una patologia lievissima – già accertata come dipendente da causa di servizio – con conseguente emersione (anche dopo tempo) di una « menomazione della integrità fisica » diversa in modo significativo da quella originariamente percepibile al momento del primo accertamento consenta al lavoratore di inoltrare, in uno con la domanda di aggravamento, anche la domanda di corresponsione dell’equo indennizzo originariamente non richiesto (in tal senso cfr. – oltre alla già citata sentenza Tar Lecce, II, 29 dicembre 2020, n. 1466- anche Consiglio Stato, VI, 21 luglio 2010 n. 4780).

D’altronde, a ritenere diversamente, la disciplina di riferimento non sarebbe esente da dubbi di costituzionalità: la preclusione di inoltrare ex novo domanda di equo indennizzo (mai presentata o già rigettata) in caso di un tale aggravamento della patologia già accertata tale da rendere la menomazione che affligge il lavoratore quantitativamente (e quindi qualitativamente) diversa da quella di lieve entità precedentemente riscontrata risulterebbe, per un verso, lesiva del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e, per altro verso, irragionevole e discriminatoria (se si considera che l’istituto della revisione previsto dall’art. 14, comma 4, d.p.r. n. 461/2001 consente, in caso di aggravamento, la revisione dell’equo indennizzo già riconosciuto).

Anche sotto tale profilo, quindi, deve apprezzarsi l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui ha dichiarato – automaticamente e senza effettuare la verifica di cui sopra – l’intempestività dell’istanza del ricorrente.

4. Per tutte le superiori ragioni, il provvedimento di diniego deve essere annullato, fatto salvo il riesercizio del potere da parte dell’amministrazione.

5. Le spese legali possono essere compensate, sia in ragione dell’esistenza di contrasti giurisprudenziali in ordine alla questione scrutinata sub 3), sia in considerazione del fatto che – fermo restando il dovere della p.a. di condurre un’istruttoria completa e accurata in presenza di elementi che facciano presumere la sussistenza della causa di servizio – il ricorrente avrebbe potuto produrre in sede procedimentale gli ulteriori documenti versati in atti, utili ad accertare che l’incidente del 1985 era avvenuto « in servizio ».

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