TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2022-10-07, n. 202212772

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2022-10-07, n. 202212772
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202212772
Data del deposito : 7 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/10/2022

N. 12772/2022 REG.PROV.COLL.

N. 06694/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6694 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F P, con domicilio eletto presso lo studio -OMISSIS- in Roma, via Flaminia, n. 259;

contro

Ministero della Giustizia – (D.A.P.), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per l'annullamento

del provvedimento PU- 0145616 del 29 aprile 2016 con cui è stata rigettata la richiesta di riammissione in servizio del ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia – (D.A.P.);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 giugno 2022 il dott. A G L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con sentenza 6 giugno 2012, n. -OMISSIS-, il Tribunale di -OMISSIS- ha assolto il sig. -OMISSIS- – già -OMISSIS- della Polizia Penitenziaria – dai reati di cui all’art. 61, n. 9, 609- bis , c. 1, 609- septies , c. 4, n. 3, « perché trattasi di persona non imputabile in quanto incapace di intendere e di volere, per infermità, al momento del fatto », disponendo nei suoi confronti l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata per un periodo non inferiore ad anni uno.

2. Con decreto 6 agosto 2013, il Ministero della Giustizia – all’esito del procedimento disciplinare avviato nei confronti del ricorrente per i fatti di cui al procedimento penale – ha adottato nei confronti del sig. -OMISSIS- la sanzione della destituzione dal servizio prevista dall’art. 6, d.lgs. n. 30 ottobre 1992, n. 449.

3. Tale provvedimento è stato impugnato dal ricorrente innanzi al Tar -OMISSIS- con ricorso iscritto al r.g. n. -OMISSIS-.

4. Con sentenza Tar -OMISSIS-, I, 7 novembre 2013D207286424AA93D::1990-02-13">3">3, n. -OMISSIS- – il Tribunale adito dal sig. -OMISSIS- ha rigettato il gravame, notando – tra l’altro – che « l’ordinamento colloca su diversi piani l'imputabilità e la connessa responsabilità penale rispetto alla rilevanza disciplinare di condotte di particolare gravità che, come tali, possono oggettivamente ledere il rapporto fiduciario tra dipendente ed amministrazione o rendere il primo incompatibile con lo svolgimento del servizio »;
che « il tipo di condotta addebitato al ricorrente, che per altro si inserisce in un quadro di plurime condotte di rilevanza penale tutte scaturite, e in un certo senso favorite, dal contesto lavorativo, risulta in palese contrasto con le delicate esigenze, anche di tutela dell'incolumità individuale altrui, intrinseche all'operatività nell'ambito dell'amministrazione penitenziaria »;
e che « dalla decisione penale in atti, si evince appunto che l'imputato ha commesso il fatto e che il medesimo “sussiste”, ferme restando le considerazioni già svolte circa il ragionevole diverso rilievo dato dall’ordinamento al vizio temporaneo di mente con riferimento alla responsabilità penale e a quella disciplinare nel cui ambito ugualmente meritevoli di tutela appaiono le ragioni del buon andamento del servizio e gli intrinseci rischi che l'inadeguatezza allo stesso sia causa di danni a terzi ».

5. Tale pronuncia è stata gravata con appello iscritto innanzi al Consiglio di Stato al r.g. -OMISSIS-, definito con sentenza Consiglio di Stato, IV, -OMISSIS-, che ha confermato la decisione assunta in primo grado, rilevando – tra l’altro – che « la formula di proscioglimento resa nei confronti dell'appellante è quella del difetto di imputabilità/fatto non costituente reato e che non si è assolutamente in presenza di un accertamento preclusivo alla intrapresa di azioni disciplinari (ed anzi, seppur incidentalmente, è certo che l'appellante commise materialmente i fatti ascrittigli) »;
e che « gli atti gravati sono esaurientemente motivati con il richiamo ai fatti storici commessi ed accertati »;
e che tali fatti « sono gravissimi, integrando insieme abuso e strumentalizzazione dell'Ufficio ricoperto ed aggressione alla libertà sessuale di terzi: la ponderazione affidata alla lata discrezionalità amministrativa non è stata né abnorme né illogica ».

6. Avverso la summenzionata decisione del giudice d’appello il sig. -OMISSIS- ha quindi proposto ricorso per revocazione che è stato dichiarato inammissibile con sentenza Consiglio di Stato, IV, -OMISSIS-.

7. Parallelamente, in data 23D::1990-02-13">349-8c77-6e5a7333f919a::LR8E903D207286424AA93D::1990-02-13" href="/norms/laws/itatext42xvsxit52sjbj6/articles/itaartawz8y7v139zroo?version=8b456d57-df1c-5349-8c77-6e5a733f919a::LR8E903D207286424AA93D::1990-02-13">3f919a::LR8E903D207286424AA93D::1990-02-13">3 marzo 2015, ha proposto istanza all’amministrazione per la riammissione in servizio ai sensi dell’art. 10, commi 2, 3 e 4, l. n. 19/1990 (così come emerge dal tenore letterale sentenza Tar Lazio, I- quater , -OMISSIS-) nonché « per la riapertura del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 21 e 22, d.lgs. n. 449/1992 » e per la riassunzione « in servizio con tutte le spettanze per legge ai sensi e per gli effetti di cui alla legge n. 19 del 1990 » (così come pare provare il documento prodotto agli atti del presente fascicolo).

8. A fronte del mancato riscontro da parte dell’amministrazione, il sig. -OMISSIS- ha proposto ricorso ex art. 117 c.p.a. « per l’annullamento del silenzio sulla richiesta di riammissione in servizio ai sensi dell'art. 10 commi 2, 3, 4 e ss. l. 19/1990 » iscritto innanzi a questo Tribunale al r.g. n.-OMISSIS-.

9. Con sentenza Tar Lazio, I- quater , -OMISSIS- questo Tribunale ha accolto la domanda del sig. -OMISSIS-, osservando « che l’istanza … trae fondamento da una previsione normativa (art. 10 della legge n. 19 del 1990) che disciplina i casi di riammissione in servizio dei pubblici dipendenti al verificarsi di determinati presupposti » e che « stante la citata previsione normativa, a fronte di un posizione giuridica soggettiva tutelabile in capo al dipendente che chieda la riammissione in servizio, deve ravvisarsi la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione pubblica ad adottare un provvedimento di assenso o di rigetto della predetta istanza, nel caso di specie non rinvenuto ».

10. In adempimento di quanto disposto da questo Tribunale con la sentenza appena richiamata, il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con nota 29 aprile 2016, n. 0145616 ha riscontrato l’istanza del ricorrente, rigettando la sua istanza di riammissione in servizio alla luce delle « ragioni poste a base del decreto di destituzione dal servizio del 6 agosto 2013 ».

11. Tale provvedimento è stato impugnato dal sig. -OMISSIS- con l’atto introduttivo del presente giudizio sulla base di quattro distinti motivi in diritto.

11.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato l’illegittimità dell’atto gravato per violazione degli artt. 21 e ss. d.lgs. n. 449/1992, lamentando, in primo luogo, la sussistenza di un vizio di manifesta incompetenza, sostenendo che « non spettava al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, bensì al Ministro della Giustizia, con proprio decreto adottato ai sensi dell’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 449/1992, provvedere circa il riesame dell’istanza di riammissione in servizio formulata dal ricorrente ».

Con lo stesso motivo, ha inoltre sostenuto l’illegittimità dell’atto gravato per carenza di istruttoria nonché per violazione di diverse disposizioni del d.lgs. n. 449/1992 e del d.p.r. n. 3/1957, osservando – tra l’altro – che nel provvedimento impugnato « non v’è traccia … della relazione del direttore dell’ufficio centrale del personale che, ai sensi dell’art. 22, comma 2, d.lgs. n. 449/1992 avrebbe dovuto precedere la riapertura del procedimento disciplinare richiesto dal ricorrente ».

11.2. Con il secondo motivo ha lamentato il difetto di motivazione dell’atto gravato, sottolineando – tra l’altro – che l’amministrazione non avrebbe considerato che « nel caso di specie è stata pronunciata sentenza di assoluzione del ricorrente ».

11.3. Con il terzo motivo ha contestato il provvedimento di destituzione del 6 agosto 2013 osservando che detta sanzione « deve non soltanto ritenersi sproporzionata, ma inapplicabile » tenuto conto dell’incapacità di intendere e di volere (temporanea) del ricorrente accertata in sede penale.

11.4. Con il quarto motivo ha contestato genericamente la sussistenza di un abuso del diritto da parte dell’amministrazione.

11.5. Per tutte le superiori ragioni, il ricorrente ha quindi chiesto l’annullamento del provvedimento gravato (e, in via cautelare, la sua sospensione) nonché « il risarcimento del danno morale e materiale » (cfr. ricorso sub V).

12. Il 2 luglio 2016, si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo di essere sentita in camera di consiglio.

13. Con ordinanza Tar Lazio, I- quater , -OMISSIS-, questo Tribunale – a un primo sommario esame – ha ritenuto non sprovvisto di fumus il ricorso « con riferimento al mancato rispetto delle regole procedurali fissate dal d.lgs. n. 449/1992, atteso che l’atto impugnato non risulta adottato dal direttore generale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, né risulta motivato in ordine alle ragioni per le quali non si è ritenuto di disporre la riapertura del procedimento, né è dato inferire se sia stato sentito il consiglio centrale di disciplina » e per tali ragioni ha accolto l’istanza cautelare avanzata dal ricorrente ordinando alla p.a. di « riprovvedere nel pieno rispetto delle regole fissate dagli artt. 21 ss. d.lgs. n. 449/1992, anche tenuto conto della pronuncia di questa Sezione n. -OMISSIS-, nel termine di giorni 90 dalla comunicazione o notificazione della presente ordinanza ».

14. Tale pronuncia è stata gravata dal Ministero della Giustizia con appello cautelare iscritto innanzi al Consiglio di Stato al r.g. n. -OMISSIS-.

15. Con ordinanza Consiglio di Stato, IV, -OMISSIS-, il giudice d’appello ha accolto l’impugnazione dell’amministrazione, ritenendo la stessa fornita di sufficiente fumus boni juris « anche con riferimento alla corretta qualificazione della domanda di avvio del procedimento, proposta dal -OMISSIS- all’Amministrazione della Giustizia ».

16. Con istanza di prelievo depositata il 10 febbraio 2017, il ricorrente – dopo aver affermato di non aver ricevuto la notifica dell’appello cautelare e di non aver potuto spiegare le proprie difese innanzi al Consiglio di Stato – ha insistito per la fissazione dell’udienza di merito.

Tale richiesta è stata ribadita dal ricorrente con diverse istanze e memorie di identico tenore depositate in atti dal 5 gennaio 2018 al 22 aprile 2021, con le quali il dott. -OMISSIS-, tra l’altro, ha introdotto alcune nuove censure avverso il provvedimento di destituzione ricevuto nel 2013, sostenendo che tale atto era stato adottato dalla p.a. in violazione dell’art. 32. d.p.r. n. 395/1995 che « imponeva un preciso obbligo di comunicare alla segreteria nazionale dell’organizzazione sindacale interessata l’avvio del procedimento disciplinare a carico dell’assistito » e che lo stesso era nullo per difetto di notifica.

17. All’esito dell’udienza pubblica del 14 dicembre 2021, con ordinanza Tar Lazio, I- quater , -OMISSIS-, questo Tar – considerato il mancato deposito di memorie da parte dell’amministrazione, nonché il mancato deposito nel fascicolo degli atti dell’appello cautelare – ha ordinato l’acquisizione da parte del Ministero di « una documentata relazione in ordine alle vicende relative alla posizione dell’odierno ricorrente » e ha onerato le parti del deposito degli « atti dell’appello cautelare iscritto innanzi al Consiglio di Stato, r.g. n. -OMISSIS- ».

18. In data 2 maggio 2022, il ricorrente – in parziale adempimento di quanto disposto con ordinanza – ha provveduto a depositare in giudizio copia dell’appello cautelare proposto dall’amministrazione.

19. Con memoria del 6 maggio 2022, parte ricorrente ha poi insistito nelle domande spiegate nel ricorso, evidenziando – tra l’altro – che la p.a. aveva disatteso le richieste avanzate da questo Tribunale con l’ordinanza -OMISSIS-.

20. All’udienza pubblica del 14 giugno 2022, il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni di seguito illustrate.

2. In via preliminare, va notato che con ricorso ex art. 117 c.p.a. iscritto innanzi a questo Tribunale al r.g. n. -OMISSIS-, il sig. -OMISSIS- – già destituito dal servizio con sanzione la cui legittimità è stata accertata con sentenza passata in giudicato – ha impugnato « il silenzio sulla richiesta di riammissione in servizio ai sensi dell'art. 10 commi 2, 3, 4 e ss. l. 19/1990 ».

Conseguentemente, con sentenza Tar Lazio, I- quater , n. -OMISSIS-, questo Tribunale ha accolto il ricorso ex art. 117 c.p.a. del sig. -OMISSIS- notando che « l’istanza del ricorrente trae fondamento da una previsione normativa (art. 10 della legge n. 19 del 1990) che disciplina i casi di riammissione in servizio dei pubblici dipendenti al verificarsi di determinati presupposti» e sottolineando che il gravame era meritevole di accoglimento solamente «nei limiti e nei sensi sopra indicati ».

Da ciò discende, inevitabilmente, che:

- o il 23 marzo 2015 il ricorrente ha inviato all’amministrazione due distinte istanze, e segnatamente a) un’ambigua richiesta di « riapertura del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 21 e 22, d.lgs. n. 449/1992 » e di riassunzione « in servizio con tutte le spettanze per legge ai sensi e per gli effetti di cui alla legge n. 19 del 1990 (prodotta agli atti del presente giudizio);
e b) una richiesta di « riammissione in servizio ai sensi dell'art. 10 commi 2, 3, 4 e ss. l. 19/1990 » (non presente agli del presente procedimento e oggetto della sentenza Tar Lazio, I- quater , n. -OMISSIS-);

- o il 23 marzo 2015 il ricorrente ha prodotto solo l’ambigua istanza versata in atti che in sede di giurisdizionale è stata qualificata (sia dal sig. -OMISSIS-, sia dal Tribunale) solamente come una « richiesta di riammissione in servizio ai sensi dell'art. 10 commi 2, 3, 4 e ss. l. 19/1990 ».

Non è necessario, tuttavia, che si proceda ad una puntuale verifica sul punto (mediante formale acquisizione degli atti del giudizio iscritto innanzi a questo Tribunale al r.g. n. -OMISSIS-) atteso che – in ogni caso – è evidente che alla pronuncia Tar Lazio, I- quater , n. -OMISSIS- (non impugnata e passata in giudicato) ha condannato la p.a. a pronunciarsi esclusivamente sulla « richiesta di riammissione in servizio ai sensi dell'art. 10 commi 2, 3, 4 e ss. l. 19/1990 » e non su una richiesta di « riapertura del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 21 e 22, d.lgs. n. 449/1992 ».

È evidente, allora, che anche nell’ipotesi che la sentenza Tar Lazio, I- quater , n. -OMISSIS- avesse ad oggetto il silenzio della p.a. sull’ambigua istanza prodotta in atti (e non su una diversa istanza presentata in pari data), questo Tribunale – con la sentenza invocata dal ricorrente – ha fatto propria la qualificazione dell’istanza offerta dal sig. -OMISSIS- nell’ambito del giudizio iscritto al r.g. n. -OMISSIS- (tenuto conto peraltro dell’evidente inammissibilità di un’istanza di riesame ex art. 21 d.lgs. n. 449/1992 e considerato che con la domanda non erano state prodotte prove nuove « tali da far ritenere che possa essere dichiarato il proscioglimento dagli addebiti ovvero irrogata una sanzione di minore gravità », così come richiesto dall’art. 22, d.lgs. n. 449/1992) e ha rilevato, quindi, la necessità che la p.a. fornisse al ricorrente solamente un riscontro alla sua domanda ex art. 10, l. n. 19/1990 (così come emerge incontestabilmente dalla motivazione della sentenza).

Il tutto, ovviamente, senza peraltro riconoscere l’applicabilità della disciplina appena richiamata al caso del sig. -OMISSIS-, ovvero senza pronunciarsi sulla sussistenza o meno dei presupposti indicati dall’art. 10, l. n. 19/1990, ovvero ancora senza accertare la fondatezza della richiesta del ricorrente (atteso che tali statuizioni sarebbero state evidentemente estranee al perimetro dell’azione introitata dal ricorrente).

3. Ciò chiarito, il Collegio ritiene che nessuno dei motivi di ricorso meriti di essere accolto.

3.1. È innanzitutto infondato il primo motivo di ricorso con cui parte ricorrente ha lamentato la violazione di diverse disposizioni del d.lgs. n. 449/1992 e del d.p.r. n. 3/1957, nonché il difetto di istruttoria, sostenendo in sintesi:

a) l’incompetenza del Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria in favore del Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 21, d.lgs. n. 449/1992;

b) la violazione delle disposizioni previste dall’art. 22 e ss., d.lgs. n. 449/1992 in materia di riapertura del procedimento disciplinare;

c) la violazione di alcune disposizioni che regolano la materia disciplinare contenute nel d.p.r. n. 3/1957.

3.1.1. Ora, con riferimento alla prima censura – in disparte ogni considerazione in ordine alla tacita abrogazione del sistema dei ricorsi gerarchici di cui al d.lgs. n. 449/1992 (cfr. Consiglio di Stato, II, 13 ottobre 2011, n. 3776) e al principio della separazione tra organi di indirizzo politico-amministrativo e organi di gestione (a tutt’evidenza ostativo all’affermazione di una competenza del Ministro in materia) – è sufficiente evidenziare che l’art. 21, d.lgs. n. 449/1992 è in ogni caso del tutto inapplicabile al caso di specie, atteso che – come si è detto – la sentenza Tar Lazio, I- quater , n. -OMISSIS- (non impugnata e quindi passata in giudicato) non ha condannato la p.a. a pronunciarsi su una (tardiva e inammissibile) istanza di riesame ex art. 21, d.lgs. n. 449/1992 (né su un’istanza di riapertura del procedimento disciplinare ex art 22, d.lgs. n. 449/1992, peraltro presentata in assenza di nuove prove) ma esclusivamente su un’istanza ex art. 10, commi 2, 3 e 4, l. n. 19/1990.

3.1.2. Per la stessa ragione non sono fondate tutte le censure avanzate nel primo motivo di ricorso e relative alla violazione delle disposizioni di cui agli artt. 22 e ss. d.lgs. n. 449/1992, nonché delle disposizioni di cui al d.p.r. n. 3/1957, atteso che nessuna delle disposizioni appena citate andava applicata dalla p.a. nel caso di specie (atteso che, come si è già detto, la sentenza Tar Lazio, I- quater , n. -OMISSIS-, ha condannato la p.a. a dare riscontro solamente all’istanza di riammissione in servizio ex art. 10, commi 2, 3 e 4, l. n. 19/1990).

3.2. È altresì infondato il secondo motivo di ricorso con cui il sig. -OMISSIS- ha insistito nell’affermare la sussistenza di un difetto di istruttoria e di motivazione del diniego gravato, osservando che la p.a. non avrebbe considerato che « nel caso di specie è stata pronunciata sentenza di assoluzione del ricorrente ».

A tal proposito – fermo restando quanto osservato supra sub 2 – non può non notarsi che il richiamo operato dall’amministrazione alle « ragioni poste a base del decreto di destituzione dal servizio del 6 agosto 2013 » consente di ritenere infondata la censura proposta dal ricorrente, atteso che con le sentenze Tar -OMISSIS-, I, n. -OMISSIS-/2013 e Consiglio di Stato, IV, n. -OMISSIS- è stato già accertato che l’amministrazione ha adottato il citato provvedimento di destituzione all’esito di un’istruttoria attenta e completa in cui sono stati considerati tutti gli elementi rilevanti.

Le stesse sentenze, inoltre, come si è già detto hanno evidenziato che « l’ordinamento colloca su diversi piani l'imputabilità e la connessa responsabilità penale rispetto alla rilevanza disciplinare di condotte di particolare gravità che, come tali, possono oggettivamente ledere il rapporto fiduciario tra dipendente ed amministrazione o rendere il primo incompatibile con lo svolgimento del servizio » e che « dalla decisione penale [adottata nei confronti del sig. -OMISSIS-] si evince appunto che [il ricorrente, nonostante sia stato assolto per difetto di imputabilità] ha commesso il fatto » (v. Tar -OMISSIS-, I, n. -OMISSIS-/2013);
nonché che i fatti « sono gravissimi, integrando insieme abuso e strumentalizzazione dell’ufficio ricoperto ed aggressione alla libertà sessuale di terzi » e che, alla luce di quanto sopra, « la ponderazione affidata alla lata discrezionalità amministrativa non è stata né abnorme né illogica » (v. Consiglio di Stato, IV, n. -OMISSIS-).

3.3. Irricevibile, inammissibile e comunque infondato è il terzo motivo di gravame, con cui il ricorrente ha contestato il provvedimento di destituzione dal servizio del 6 agosto 2013, sostenendo che la sanzione irrogata con lo stesso è « sproporzionata [e] inapplicabile » tenuto conto dell’incapacità di intendere e di volere accertata in sede penale.

A tal proposito non può non notarsi:

a) che tale censura è rivolta nei confronti di un atto ormai divenuto inoppugnabile;

b) che una doglianza di analogo tenore era già stata avanzata nel processo definito con sentenza Tar -OMISSIS-, I, n. -OMISSIS-/2013 (nella quale si legge che già in quel giudizio il dott. -OMISSIS- ha sostenuto che «l a riconosciuta incapacità del ricorrente al momento dei fatti non giustificherebbe la sanzione disciplinare »), con tutto ciò che ne consegue in termini di inammissibilità della censura per violazione del principio del ne bis in idem che vieta al giudice amministrativo di pronunciarsi due volte sulla medesima controversia (cfr. ex multis Consiglio di Stato, V, 23 marzo 2015, n. 1558 e Tar Lazio, I- quater , 26 agosto 2022, n. 11287);

c) che in ogni caso, la medesima censura era già stata dichiarata infondata dal Tar -OMISSIS-, I, n. -OMISSIS-/2013, che – come si è già ricordato – ha notato che « la normativa tipizza l'applicazione di una misura di sicurezza (che presuppone il vizio di mente) quale possibile presupposto normativo per la destituzione » e che « è quindi evidente che l'ordinamento colloca su diversi piani l’imputabilità e la connessa responsabilità penale rispetto alla rilevanza disciplinare di condotte di particolare gravità », come quelle commesse dal ricorrente.

3.4. Parimenti inammissibile – per assoluta genericità – è il quarto motivo di ricorso, atteso che il ricorrente non ha in alcun modo specificato (né nell’ atto introduttivo del giudizio, né nelle successive memorie ) in che modo la decisione della p.a. integrerebbe un’ipotesi di abuso del diritto.

È noto infatti che « i motivi di ricorso devono essere specifici, ai sensi dell’art. 40 del c.p.a., non potendo la parte ricorrente addurre censure assolutamente generiche, fidando in una sorta di inammissibile intervento correttivo del giudice … che sarebbe così chiamato ad una sostanziale integrazione delle lacune difensive, integrazione che si porrebbe però in contrasto con la necessaria terzietà dell'organo giudicante e con il principio della parità delle parti nel processo »;
che « è quindi necessario che il ricorrente, ai fini della ammissibilità del ricorso, adduca censure puntuali ed articolate in motivi contenenti la specificazione dei vizi da cui ritenga inficiata la legittimità dei provvedimenti impugnati » e che « al contrario, non possono trovare ingresso rilievi di contenuto generico che si risolverebbero in una inammissibile azione sollecitatoria di un esame degli stessi provvedimenti da parte del giudice amministrativo » (cfr. Consiglio di Stato, IV, 28 giugno 2022, n. 5368).

3.5. È appena il caso di precisare, infine, che non può tenersi conto delle ulteriori censure relative: a) alla presunta violazione dell’art. 32. d.p.r. n. 395/1995 compiuta dalla p.a. in sede di adozione del provvedimento di destituzione del 6 agosto 2013;
e b) alla nullità di tale provvedimento per difetto di notifica, atteso che – in disparte i profili di irricevibilità di censure avverso un provvedimento adottato tre anni prima della proposizione dell’atto introduttivo del presente giudizio – le stesse sono state avanzate da parte ricorrente solo in memorie non notificate.

È noto, infatti, che « nel giudizio amministrativo non può tenersi conto della censura con la quale il ricorrente introduce una doglianza nuova, non contenuta nel ricorso e irritualmente sollevata soltanto con una memoria depositata e nemmeno notificata » (v. Tar Milano, IV, 18 settembre 2020, n. 1670).

4. Per le ragioni sopra illustrate, la domanda di annullamento dell’atto impugnato va respinta in uno con la domanda di risarcimento del danno.

5. Tenuto conto del concreto andamento de giudizio e del contegno processuale tenuto dalla p.a., il Collegio ritiene che sussistano giuste ragioni per compensare le spese processuali tra le parti.

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