TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2015-03-09, n. 201503912

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2015-03-09, n. 201503912
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201503912
Data del deposito : 9 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 13505/2014 REG.RIC.

N. 03912/2015 REG.PROV.COLL.

N. 13505/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13505 del 2014, proposto da O e O, rappresentate e difese dagli avv.ti M S M e M D C, con domicilio eletto presso M S M in Roma, Via A. Gramsci, 24;

contro

Ministero dell'Interno, Prefetto della Provincia di Roma, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Sindaco di Roma Capitale, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Comunale di Roma, domiciliato in Roma, Via Tempio di Giove, 21;

per la declaratoria di nullità o, in subordine, per l’annullamento, previa adozione di misure cautelari

del decreto 31 ottobre 2014, prot. n. 247747/2014, con il quale il Prefetto della Provincia di Roma ha "disposto" che "sono annullate e seguenti trascrizioni nel registro dello stato civile di Roma Capitale, Parte II, serie C10, anno 2014, atti dal n. 1 al n. 16, dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero ... -OMISSIS-: -OMISSIS- e -OMISSIS-- Matrimonio celebrato a Barcellona (Spagna) il 18.09.2010", della circolare n. 19/2014 prot. n. 227369 del Prefetto della Provincia di Roma, del decreto prefettizio prot. n. 0241669/2014, nonché di ogni altro atto a quello suindicato comunque connesso e coordinato, anteriore e conseguente ed, in particolare, della nota prot. n. 10863 del 07.10.2014 del Ministero dell'Interno .


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Prefetto della Provincia di Roma, della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e del Sindaco di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2015 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso introduttivo del giudizio è stato rappresentato che in data 18 ottobre 2014 il Sindaco del Comune di Roma ha provveduto alla trascrizione nel registro dei matrimoni presso l'ufficio di stato civile del Comune di Roma, del matrimonio contratto dalle ricorrenti a Barcellona (Spagna) il 18 settembre 2010.

Con decreto del 31 ottobre 2014, prot. n. 247747/2014, il Prefetto della Provincia di Roma ha "disposto" che: "sono annullate e seguenti trascrizioni nel registro dello stato civile di Roma Capitale, Parte II, serie C10, anno 2014, atti dal n. 1 al n. 16, dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero ... -OMISSIS-: -OMISSIS- e -OMISSIS-¬Matrimonio celebrato a Barcellona (Spagna) il 18.09.2010".

Il Prefetto, inoltre, ha ordinato "All'Ufficiale di stato civile di Roma Capitale, Sindaco o altro funzionario da questi delegato, di provvedere a tutti i conseguenti adempimenti materiali, compresa l'annotazione del presente provvedimento nei registri dello stato civile".

Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione resistente, le ricorrenti le hanno impugnate dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe e deducendo i seguenti motivi di ricorso.

I) - Nullità del decreto prefettizio per difetto assoluto di attribuzione ed incompetenza assoluta, rilevante ai sensi dell'art. 21 septies della l.n. 241/90 e dell'art. 31, comma 4, D.Lgs. 104/2010;
violazione dell'art. 453 c.c., dell'art. 95 D.P.R. 396/2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile);
violazione del D.P.R. 396/2000 negli artt. 12, comma 6;
11, comma 3;
5, comma 1, lettera a);
12, comma 1;
69, comma 1, lettera i);
100;
violazione del D.M. 5 aprile 2002 (Approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile).

1.1. Secondo quanto si legge nella motivazione del decreto prefettizio, l'annullamento in via gerarchica della trascrizione andrebbe effettuato ai sensi del combinato disposto degli artt. 9 D.P.R. n. 396/2000, 7, 21-octies e 21-nonies legge n. 241/1990, e 54, comma 11, D.Lgs. n. 267/2000 "rilevato che nel caso in questione la mancata osservanza delle direttive impartite dall'autorità di vigilanza configura l'ipotesi di inerzia di cui all'art. 54 comma 11 del d.lgs n. 267/2000 e, pertanto, ricorrono i presupposti per l'adozione del provvedimento del Prefetto ivi previsto".

A parere delle ricorrenti, invece, tale atto è viziato da difetto assoluto di attribuzione in quanto, in primo luogo, la possibilità di applicare l'art. 21-nonies della legge n. 241/90 appare preclusa dalla circostanza che la trascrizione dell'atto di matrimonio non è un provvedimento amministrativo bensì un atto pubblico formale con effetto dichiarativo e di certificazione, in quanto la trascrizione del matrimonio non ha "natura costitutiva ma meramente certificativa e di pubblicità", poiché gli effetti discendono dalla celebrazione del matrimonio e non dalla sua trascrizione.

Pertanto, la trascrizione nel registro degli atti di matrimonio non è da considerare un provvedimento amministrativo e non è soggetto alla disciplina della L.n. 241/90.

Conseguentemente, il "decreto di annullamento della trascrizione" emesso dal Prefetto, in quanto provvedimento e non atto pubblico formale, non costituisce contrarius actus della trascrizione ed è essenzialmente e strutturalmente diverso dall'atto che si vorrebbe annullare.

In secondo luogo, parte ricorrente ha rilevato che l'ordinamento dello stato civile costituisce un sistema chiuso e tassativo, ¬con puntuali strumenti ed istituti non derogabili dall'autorità prefettizia né in relazione al procedimento da seguire, né quanto alla competenza esclusiva a provvedere che è prevista in capo all'autorità giudiziaria, come stabilito dagli artt. 449 e ss. c.c. e dal D.P.R. n. 396/2000 ("Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile").

La presenza di uno specifico ordinamento settoriale e di una speciale e specifica disciplina relativa alla cancellazione delle trascrizioni, rende inapplicabile in via analogica gli istituti generali relativi al procedimento ed al provvedimento amministrativo, per il principio per cui lex specialis derogat legi generali (TAR Liguria, 16 dicembre 2010, n. 10874).

La disciplina applicabile alla fattispecie induce a ritenere che, una volta chiusa la trascrizione di un atto nel registro degli atti di matrimonio (ai sensi dell'art. 63 del Regolamento), tale trascrizione possa essere espunta dai medesimi registri esclusivamente in virtù di un provvedimento dell'autorità giudiziaria e non di un provvedimento amministrativo.

Ciò è tanto vero che perfino la sentenza che accerti la falsità del riconoscimento di paternità non può essere annotata sul relativo registro di stato civile in assenza di un decreto che su richiesta del PM ciò ordini (cfr. Cass. 2 ottobre 2009, n. 21094).

In tal senso è la prassi dell’Amministrazione dell'Interno, posto che nel Massimario per l'ufficiale di stato civile del Ministero dell'Interno, si legge, al par. 15.1.1 pag. 166: "Cancellazione di un atto. // Quando si voglia procedere alla "cancellazione di un atto indebitamente registrato" negli archivi dello stato civile, considerato che non può esserne effettuata la materiale cancellazione, la legge prescrive che si faccia ricorso a iniziativa del pubblico ministero (eventualmente su segnalazione dello stesso ufficiale di stato civile) alla procedura di rettificazione di cui agli artt. 95 e 96 del DPR 396/2000 rimettendo la competenza a decidere esclusivamente all'autorità giudiziaria. Il relativo decreto deve essere opportunamente annotato sui registri dello stato civile".

Allo stesso modo la circolare del Ministero dell'Interno prot. 5999 del 04/06/2008 precisa l'estensione del potere di correzione degli errori materiali e chiarisce che "l'ufficiale dello stato civile può provvedere ex art. 98 c. 1 a correggere l'errore rilevato solo nei casi in cui l'adeguamento del contenuto dell'atto alla realtà di fatto si renda possibile a seguito di una mera valutazione oggettiva e un riscontro documentale dell'errore materiale. Diversamente, sarà necessario seguire la procedura del ricorso all'autorità giudiziaria al procedimento giudiziale di fine della rettificazione, ai sensi dell'art. 95 del D.P.R. n. 396/2000. (....) la correzione non può mai modificare il contenuto sostanziale dell'atto".

In conclusione, spetta in via esclusiva all'autorità giudiziaria disporre la cancellazione di un atto che si assuma indebitamente trascritto nel registro degli atti di matrimonio.

2. Violazione e falsa interpretazione degli artt. 9 D.P.R. n. 396/2000, e 54, commi 3 e 11, D.Lgs. n. 267/2000.

Il decreto prefettizio è da considerare illegittimo perché non sussiste in capo al Prefetto una posizione di generale sovraordinazione al Sindaco quale Ufficiale di stato civile, che gli consenta di sostituirsi al titolare della funzione.

L'art. 9 del D.P.R. 396/2000 conferisce al Ministro il potere di indirizzo ed al Prefetto il potere di vigilanza.

Il potere di vigilanza è declinato dal medesimo decreto presidenziale indicando di quali atti si debba dare comunicazione al Prefetto e prevedendo al Titolo XIII, art. 104, le verificazioni che il Prefetto deve compiere presso gli uffici di stato civile;
verificazioni che per l'art. 105 del Regolamento si concludono con la redazione di un verbale e non con la manomissione dei registri di stato civile. Nessun potere di annullamento è invece conferito al Prefetto.

L'art. 54, commi 3 ed 11, del TUEL, richiamato dal decreto prefettizio, prevede il potere del Prefetto di sostituirsi al Sindaco in caso di inerzia di quest'ultimo nel sovrintendere agli uffici di stato civile.

Anche ove il Prefetto si sostituisse al Sindaco, non potrebbe avere più poteri di quanti non ne abbia il secondo. E poiché il Sindaco non può annullare le trascrizioni, non potrebbe farlo neanche il Prefetto.

Inoltre, l'art. 54, comma 11, del D.Lgs. 267/2000, attribuisce al Prefetto un potere sostitutivo generale "nel caso di inerzia del sindaco" e non nel caso di esercizio della funzione da parte del Sindaco stesso (come avvenuto nel caso di specie).

3. Illegittimità dell'ordine di annotare;
violazione dell'art. 453 c.c.;
violazione degli artt. 69, 11, comma 3, 12, comma 1, del D.P.R. 396/2000;
violazione del D.M. 5 aprile 2002.

L'ordine del Prefetto al Sindaco di annotare nel registro degli atti di matrimonio il decreto del 31 ottobre 2014 è viziato per l'illegittimità derivata dall’invalidità del decreto prefettizio impugnato.

Il Prefetto, infatti, ha compiuto un surrettizio sdoppiamento fra decreto ed annotazione dello stesso, per "creare" un atto da annotare (non previsto dal Regolamento).

Ma, all'Ufficiale di stato civile (e, quindi, al Prefetto che volesse sostituirsi a questi), non è attribuito il potere di adottare decreti di trascrizione.

L'attività dell'Ufficiale di stato civile, infatti, si esplica e si esaurisce nel compimento dell'iscrizione, o trascrizione, o annotazione, nel registro, unitamente alle connesse attività di documentazione. L'annotazione, però, in quanto atto tipico e tassativo, da qualificarsi come atto pubblico formale, non è suscettibile di essere "ordinata" in maniera creativa o anche solo mediante applicazione analogica.

L’ordine di annotazione impugnato, quindi, è da considerare viziato e non eseguibile.

4. Violazione del procedimento ed, in particolare, degli artt. 7 e 10 L.n. 241/90;
violazione del diritto di difesa e dell'art. 24 Cost.

Il decreto prefettizio dà atto che non è intervenuta comunicazione di avvio del procedimento alle parti interessate, "considerato che sussistono ragioni di celerità del procedimento derivanti dall'esigenza di evitare che le trascrizioni effettuate producano ulteriori effetti pregiudizievoli per l'unitarietà dell'ordinamento giuridico e che, in ogni caso, il presente provvedimento riveste natura vincolata e l'eventuale partecipazione degli interessati non potrebbe incidere sul suo contenuto dispositivo".

Tale circostanza induce a ritenere viziato il decreto prefettizio anche perché adottato senza sentire la parte privata, nell'assunto che si tratti di atto vincolato, posto che il Prefetto non può disporre dello status giuridico delle persone senza che le stesse siano neppure informate dell'avvio di un siffatto procedimento.

Sotto tale profilo, il procedimento seguito dal Prefetto ha violato il diritto alla difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione.

Con memoria da valere anche quale motivi aggiunti, le ricorrenti hanno impugnato – deducendo vizi di illegittimità derivata, in relazione agli atti contestati con il ricorso introduttivo del giudizio - il decreto del Prefetto di Roma del 4 dicembre 2014, con il quale è stato nominato un delegato per l’esecuzione dell’annotazione del decreto di annullamento della trascrizione de quo nonché, il relativo verbale di annotazione nei registri dello stato civile del 5 dicembre 2014 (prodotti in giudizio).

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

A sostegno delle proprie ragioni, l’Amministrazione ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l’infondatezza delle censure proposte dalle ricorrenti.

Le odierne ricorrenti, ritenendo di essere state lese dal provvedimento indicato e temendo che il Prefetto di Roma procedesse ad horas ad annullare le trascrizioni senza nemmeno attendere i tempi necessari per la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale, hanno notificato via fax e via pec (il 31 ottobre 2014) e successivamente depositato (il 3 novembre 2014) una istanza cautelare ai sensi dell'art. 61 c.p.a. chiedendo di inibire al Prefetto ed al Sindaco di procedere all'annotazione sul registro dello stato civile del decreto contestato nelle more del giudizio di impugnazione.

Con decreto presidenziale del 4 novembre 2014, n. 5554/2014, è stata respinta la richiesta di misure cautelari provvisorie ante causam, ritenendo carente il requisito del periculum in mora.

All’udienza del 27 novembre 2011 la parte ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare e la causa è stata rinviata all’udienza pubblica del 12 febbraio 2015, all’esito della quale è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Il Collegio, prima di procedere all’esame delle censure proposte dalla parte ricorrente, ritiene opportuno prendere in considerazione il quadro normativo e giurisprudenziale relativo alla celebrazione ed alla trascrizione dei matrimoni celebrati in Italia e all’estero.

L’art. 27, comma 1, della legge n. 218/1995 (recante la riforma del diritto internazionale privato), stabilisce che “la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio”.

Tale disposizione va letta in combinato disposto con l’art. 115 del codice civile, secondo cui “il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite”.

Da tali disposizioni deriva che – a prescindere della validità formale del matrimonio celebrato applicando una legge straniera -, all’ufficiale di stato civile italiano spetta, ai fini della trascrizione, il potere/dovere di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali necessari (avuto riguardo alla normativa nazionale) per celebrare un matrimonio che possa avere effetti giuridicamente rilevanti.

Sotto questo profilo, ai sensi del codice civile, la diversità di sesso dei nubendi costituisce un requisito sostanziale necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell’ordinamento interno, posto che, allo stato, l’istituto del matrimonio si fonda sulla diversità di sesso dei coniugi, come si evince dall’art. 107 c.c., il quale stabilisce che l’ufficiale dello stato civile “riceve da ciascuna delle parti personalmente, l'una dopo l'altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio”.

In linea con tale assunto si pongono gli articoli 108, 143 e 143 bis del codice civile, e l’art. 64, comma 1, lett. e) del d.P.R. n. 396/2000.

La normativa nazionale che non consente la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e la sua trascrizione nei registri dello stato civile, è stata ritenuta costituzionalmente legittima.

Con sentenza n. 138 del 2010 la Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che l’art. 29 Cost. si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato con un’interpretazione creativa né, peraltro, con specifico riferimento all’art. 3, comma 1, Cost., le unioni omosessuali possono essere ritenute tout court omogenee al matrimonio.

Con sentenza n. 170 dell’11 giugno 2014, la Consulta è intervenuta sulla normativa che prevede l’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio in caso di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due coniugi, affermando che “la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela l’art. 29 Cost.) è quella stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso (sentenza n. 138 del 2010”, (punto 5.2. del Considerato in diritto), e segnalando il requisito dell’eterosessualità del matrimonio (punto 5.1. del Considerato in diritto).

La Consulta ha stabilito che tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., in grado di favorire il pieno sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, rientra anche l’unione omosessuale ma, ha evidenziato che spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità politica, individuare con atto di rango legislativo le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, scegliendo, in particolare, se equiparare tout court il matrimonio omosessuale a quello eterosessuale, ovvero introdurre forme diverse di riconoscimento giuridico della stabile convivenza della coppia omosessuale.

In tale contesto, la Corte costituzionale ha ritenuto di poter intervenire solo per tutelare specifiche situazioni, come avvenuto con le sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988, in materia di locazioni e di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale per le convivenze more uxorio.

In sostanza, allo stato dell’attuale normativa nazionale italiana, il matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per procedere alla sua trascrizione, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 396/2000, come confermato dalla giurisprudenza, la quale ha affermato che “l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro inesistenza e neppure dalla invalidità, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 4184 del 2012, richiamata da entrambe le parti in causa, la quale ha ad oggetto una vicenda analoga a quella oggetto del presente giudizio, relativa ad una richiesta di trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da due cittadini italiani dello stesso sesso, rifiutata dall’ufficiale di stato civile del Comune di Latina. Sul punto, cfr. anche Corte di Cassazione, sentenze n. 1808 del 1976, n. 1304 del 1990, n. 1739 del 1999, n. 7877 del 2000).

A tale riguardo, come correttamente rilevato dall’Amministrazione resistente, non assume particolare rilievo, in senso contrario, l’art. 65 della legge n. 218/1995, considerato che l’atto di matrimonio celebrato all’estero, sebbene soggetto a determinate forme solenni che prevedono la ricezione della volontà dei nubendi da parte dei soggetti investiti di un pubblico ufficio, non risulta assimilabile ad un provvedimento proveniente dall’autorità amministrativa o giurisdizionale, costituendo un atto negoziale che non incide sull’individuazione della normativa che disciplina gli effetti del matrimonio nell’ordinamento interno (cfr. la richiamata sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012, che va condivisa a prescindere dall’isolato precedente contrario del Tribunale di Grosseto del 3-9 aprile 2014, annullato in sede di reclamo della Corte d’appello di Firenze con decreto del 19 settembre 2014).

La disciplina nazionale non risulta in aperto contrasto con la normativa europea, se si considera quanto stabilito dagli articoli 12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cd. “Carta di Nizza”).

L’articolo 12 della CEDU, infatti, stabilisce che “uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto”, e, quindi, fa riferimento alla nozione tradizionale di matrimonio fondato sulla diversità di sesso dei nubendi, rinviando alla legislazione dei singoli Stati per la disciplina delle condizioni che regolano l’esercizio del diritto.

L’articolo 9 della Carta di Nizza, invece, prevede che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”, omettendo il riferimento alla diversità di sesso dei nubendi e lasciando, così, al legislatore nazionale la possibilità di riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso.

In tale contesto normativo europeo, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con pronuncia del 24 giugno 2010 (Prima Sezione, caso Schalk e Kopf

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