TAR Venezia, sez. II, sentenza 2019-01-29, n. 201900115

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2019-01-29, n. 201900115
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201900115
Data del deposito : 29 gennaio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 29/01/2019

N. 00115/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00441/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso con motivi aggiunti numero di registro generale 441 del 2003, proposto dai sigg.ri
C G e C L, rappresentati e difesi dall’avv. Danni L L e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Bassano del Grappa, via Vittorelli, n. 57

contro

Comune di San Martino di Lupari (PD), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti A B e F S G e con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Venezia, Dorsoduro, n. 3593

a) con il ricorso principale:

per l’annullamento

del provvedimento del Comune di S. Martino di Lupari (PD) prot. n. 12292/02 – 15340/6.12.2002 del 29 novembre/2 dicembre 2002, ricevuto il 9 dicembre 2002, recante la comunicazione del parere non favorevole espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 19 ottobre 2002 sull’istanza di autorizzazione edilizia presentata il 4 ottobre 2002 per la realizzazione di una recinzione e, pertanto, il rigetto dell’istanza stessa


b) con i motivi aggiunti depositati il 13 dicembre 2006:

per l’annullamento

del provvedimento a firma del responsabile della III Area del Comune di S. Martino di Lupari prot. n. 069685 – 12446/18.8.06 del 16 agosto 2006, recante sospensione del procedimento avviato sulla richiesta di permesso di costruire in sanatoria ex l. n. 326/2003.


Visti il ricorso introduttivo ed i relativi allegati;

Visti il controricorso e i documenti del Comune di S. Martino di Lupari (PD);

Visti i motivi aggiunti depositati il 13 dicembre 2006;

Vista l’ordinanza presidenziale istruttoria n. 810/2017 del 4 dicembre 2017;

Vista la documentazione trasmessa dal Comune in ottemperanza alla precedente;

Visti le memorie, i documenti e le repliche delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato relatore nell’udienza di smaltimento del 22 gennaio 2019 il dott. P D B;

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue


FATTO

Con il ricorso originario indicato in epigrafe i sigg.ri G e L C hanno impugnato il provvedimento del Comune di S. Martino di Lupari (PD) prot. n. 12292/02 – 15340/6.12.2002 del 29 novembre/2 dicembre 2002, chiedendone l’annullamento.

Il provvedimento gravato reca la comunicazione del parere negativo espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 19 ottobre 2002 sull’istanza di autorizzazione edilizia presentata il 4 ottobre 2002 dai sigg.ri C (insieme ad altri soggetti) per la realizzazione di una recinzione e, pertanto, il rigetto di tale istanza.

In punto di fatto i ricorrenti espongono:

- di essere proprietari di un’area non edificata ricadente in Z.T.O. “A” del P.R.G., nell’ambito di un Piano di Recupero (P.d.R.) di iniziativa privata, approvato e vigente;

- che detta area sarebbe destinata, nell’ambito delle citate previsioni attuative, a “verde e/o parcheggi privati (“S.p. 2”)”;

- di aver presentato in data 4 ottobre 2002 istanza di autorizzazione edilizia per la recinzione dell’area in discorso;

- che, tuttavia, con il provvedimento impugnato il Comune ha respinto tale istanza, adducendo, quale motivazione del diniego, il fatto che la recinzione riguarderebbe un’area adibita a parcheggio, inserita all’interno di un comparto di Piano di Recupero già edificato e in merito al quale, per il calcolo della volumetria ammessa all’interno del comparto, si sarebbe tenuto conto pure di siffatta area, in maniera da consentire lo sfruttamento dell’indice territoriale massimo di 2 mc./mq., cosicché: a) l’area di fatto risulterebbe vincolata e a servizio dei volumi concessionati con il P.d.R., giusta convenzione del 28 gennaio 1999;
b) la recinzione di progetto, come da richiesta, escluderebbe il parcheggio dall’ambito del P.d.R., per renderlo pertinenza di un fabbricato esterno al comparto;
c) la recinzione non potrebbe essere autorizzata, in quanto andrebbe di fatto a ridurre i parcheggi al servizio dei fabbricati costruiti all’interno del P.d.R.;

- che il diniego impugnato avrebbe aggiunto ulteriori considerazioni inconferenti ed irrilevanti sulla viabilità circostante e sulla carenza di parcheggi.

A supporto del gravame i ricorrenti hanno dedotto i seguenti motivi:

1) violazione degli artt. 3, comma 1, e 10 della l. n. 241/1990, dell’art. 42 Cost. e dell’art. 4, comma 4, della l. n. 493/1993, eccesso di potere per genericità, illogicità ed assurdità manifeste, difetto di istruttoria ed insufficiente rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto, atteso che il diniego gravato: a) avrebbe omesso ogni valutazione delle argomentazioni svolte nel parere legale dimesso il 12 agosto 2002, in violazione dell’art. 10 della l. n. 241/1990;
b) non troverebbe il supporto in alcun disposto normativo, che, infatti, non verrebbe indicato, né individuerebbe le ragioni di fatto ostative all’accoglimento del progetto di recinzione;
c) qualificherebbe le aree interessate come vincolate ad uso pubblico, senza tener conto della loro destinazione a “verde e/o parcheggi privati”;

2) eccesso di potere per sviamento, giacché il fine effettivo del diniego impugnato sarebbe quello di rimediare, al di fuori di ogni previsione normativa, alla situazione di carenza di parcheggi pubblici nella zona.

Si è costituito in giudizio il Comune di S. Martino di Lupari, depositando controricorso con documenti sui fatti di causa ed eccependo l’infondatezza nel merito del ricorso.

Successivamente il sig. G C presentava istanza di condono edilizio ex l. n. 326/2003 e l.r. n. 21/2004, avente ad oggetto la recinzione. Sulla richiesta di condono, tuttavia, il Comune di S. Martino di Lupari adottava il provvedimento prot. n. 069685 – 12446/18.8.06 del 16 agosto 2006, a mezzo del quale disponeva la sospensione del procedimento di sanatoria sino all’esito del giudizio instaurato dinanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale.

Avverso la suddetta sospensione insorgeva nuovamente il solo sig. G C, impugnandola con ricorso per motivi aggiunti depositato il 13 dicembre 2006, con cui ne chiedeva l’annullamento, deducendo il seguente motivo aggiunto:

1) violazione del combinato disposto di cui all’art. 32, commi 25 e 26 della l. n. 326/2003 ed agli artt. 1 e 3 della l.r. n. 21/2004, violazione degli 105B27BE097CA1C72771" data-article-version-id="463d6cb9-dcd3-5f67-89db-7cd87fe6171c::LR105B27BE097CA1C72771::2005-02-21" href="/norms/laws/itatextzdiicn0qt10rfg/articles/itaartkdw0pa9h7sad06?version=463d6cb9-dcd3-5f67-89db-7cd87fe6171c::LR105B27BE097CA1C72771::2005-02-21">artt. 3, comma 1, 10 e 10-bis della l. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione dubbiosità e perplessità manifeste, poiché, da un lato, la determinazione di sospensione del procedimento di condono sarebbe immotivata ed errata, in quanto la recinzione rientrerebbe nella tipologia di abusi sanabili di cui al n. 6 dell’allegato 1 della l. n. 326/2003. Dall’altro lato, non si potrebbe ancorare il condono ai presupposti ordinari di rilascio dei titoli edilizi, avendo la disciplina del condono carattere derogatorio rispetto alla normativa locale, sia generale che attuativa: ciò, come segnalato nella memoria presentata dal privato il 22 giugno 2006, che il Comune avrebbe omesso di valutare.

Con ordinanza presidenziale n. 810/2017 del 4 ottobre 2017 si è disposto a carico del Comune di S. Martino di Lupari incombente istruttorio, cui il Comune ha ottemperato, depositando una relazione sullo stato attuale del Piano di Recupero per cui è causa (“PR/012”) ed aggiungendo che la recinzione (abusivamente) realizzata, oltre a contrastare con il predetto P.d.R., risulterebbe anche incompatibile con le N.T.A. del vigente Piano degli Interventi.

In vista dell’udienza pubblica, il Comune resistente ha depositato una memoria difensiva, ulteriori documenti ed una replica, eccependo l’inammissibilità dell’intero gravame, in quanto non notificato ad alcun controinteressato, nonché la tardività dei motivi aggiunti e, comunque, l’infondatezza delle censure di parte ricorrente.

Anche i sigg.ri C hanno depositato una memoria, documenti sui fatti di causa ed una replica, controdeducendo alle eccezioni processuali e di merito del Comune ed insistendo per l’accoglimento del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.

All’udienza pubblica “di smaltimento” del 22 gennaio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Formano oggetto di impugnativa: con l’atto introduttivo del giudizio, il provvedimento di rigetto della domanda di autorizzazione presentata dai ricorrenti (unitamente ad altri soggetti) per la realizzazione di una recinzione;
con i motivi aggiunti – proposti solo da G e non anche da L C – la sospensione del procedimento di condono relativo alla medesima recinzione.

In via pregiudiziale, va respinta l’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa comunale sulla base dell’omessa notificazione del gravame ad alcuno dei soggetti titolari di un interesse qualificato alla conservazione del diniego impugnato (società attuatrice del P.d.R., singoli acquirenti delle unità immobiliari): ciò – osserva la difesa comunale – nonostante l’avvenuta notificazione dell’impugnato diniego di autorizzazione anche al legale rappresentante della medesima società attuatrice (la “Segni d’Acqua” S.a.s.).

In contrario, tuttavia, è sufficiente richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, a fronte dell’impugnazione di un diniego di permesso di costruire (come di un ordinanza di demolizione) non sono normalmente configurabili controinteressati, nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contraddittorio (cfr. T.A.R. Marche, Sez. I, 11 dicembre 2015, n. 871, con i precedenti ivi elencati;
T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 17 aprile 2015, n. 346). E tale conclusione può certamente estendersi al caso, qui in esame, del diniego di autorizzazione edilizia.

Ad ogni modo, si osserva che il diniego impugnato: a) non menziona alcuno dei proprietari delle unità immobiliari comprese nel Piano di Recupero;
b) non menziona neppure la società attuatrice del Piano stesso. Né vale replicare che il provvedimento è stato indirizzato anche all’arch. L C, poiché di quest’ultimo non è stata specificata la veste di rappresentante della ridetta società attuatrice, addotta dal Comune solo nei suoi scritti difensivi e, peraltro, motivatamente contestata nella memoria di replica dai sigg.ri C, i quali evidenziano come si tratti, in realtà, del tecnico progettista della denegata recinzione.

Ne consegue che anche sotto tale profilo l’eccezione di inammissibilità del gravame è infondata e da respingere, poiché, a tutto voler concedere, si dovrebbe integrare il contraddittorio, ex art. 49, comma 1, c.p.a., nei riguardi dei soggetti indicati dal Comune nelle sue difese.

La difesa comunale ha eccepito, inoltre, la tardività dei motivi aggiunti, in quanto, pur avendo essi ad oggetto un provvedimento notificato al privato nell’agosto del 2006, sono stati notificati al difensore costituito solo il 29 dicembre 2006 e, quindi, ben oltre il termine decadenziale di impugnativa. Né in proposito rileverebbe la notifica dei motivi aggiunti al Comune, effettuata il 14 novembre 2006, vista la regola processuale, che impone di notificare i motivi aggiunti al domicilio del procuratore costituito (v. art. 43, comma 2, c.p.a., che richiama l’art. 170 c.p.c.).

L’eccezione, tuttavia, è palesemente destituita di fondamento, poiché la notifica dei motivi aggiunti è avvenuta in epoca ben anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) e, dunque, nel vigore della l. n. 1034/1971 (cd. legge T.A.R.).

O, durante la vigenza della cd. legge T.A.R., pur in mancanza di un indirizzo giurisprudenziale univoco, era ben presente l’orientamento secondo cui “è legittima e rituale la notificazione dei motivi aggiunti sia presso il domicilio eletto dalla parte intimata, che in quello reale risultante dalla relata di notifica dell’atto introduttivo del giudizio” (cfr. T.A.R. Piemonte, Sez. II, 26 giugno 2009, n. 1876). La notifica dei motivi aggiunti presso la sede reale dell’Amministrazione, anziché al domicilio eletto, era, quindi, senz’altro possibile, senza che questo incidesse sulla loro ammissibilità: e ciò, soprattutto quando la notifica avesse raggiunto il suo scopo con la costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 28 gennaio 2003, n. 68), circostanza che si è verificata nella fattispecie ora in esame.

Di qui, in conclusione, l’infondatezza anche della suesposta eccezione di tardività.

Venendo, adesso, al merito del gravame ed iniziando dalle censure dedotte con l’atto introduttivo del giudizio, osserva il Collegio come nessuna di esse sia suscettibile di condivisione.

Va premesso, sul punto, che esigenze di ordine logico rendono necessaria la trattazione congiunta dei due motivi in cui si articola il ricorso originario.

O, la relazione trasmessa dal Comune di S. Martino di Lupari in adempimento dell’ordinanza presidenziale istruttoria n. 810/2017 cit. contiene una dettagliata ricostruzione della vicenda, da cui emerge che:

- in data 23 settembre 1998 i sigg.ri G, L e C C e C G presentarono un’istanza di approvazione di un Piano di Recupero di iniziativa privata denominato “La Corte”, con lo scopo di realizzare un immobile condominiale. A questo fine sottoscrissero la relativa convenzione urbanistica in data 28 gennaio 1999;

- l’8 febbraio 1999 venne rilasciata la concessione edilizia alle ditte richiedenti per l’esecuzione dei lavori relativi al P.d.R. (“PR/012”). Successivamente, in data 15 luglio 1999, la concessione edilizia fu volturata alla società Segni d’Acqua Immobiliare S.a.s., a seguito dell’acquisizione della proprietà immobiliare con contratti di compravendita del 20 aprile 1999;

- l’area cui si riferisce la recinzione – denominata dal Comune area a parcheggio “S.p. 2” – è, tuttavia, rimasta in proprietà dei sigg.ri C e G. Aggiunge il Comune – e si tratta di circostanza già presente nel diniego impugnato e che non forma oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti – che detta area ha inciso sulle possibilità edificatorie dell’intero ambito di P.d.R., in termini volumetrici, avendo consentito il riconoscimento di un indice di edificabilità di 2 mc./mq.;

- dopo la realizzazione del complesso immobiliare condominiale, i sigg.ri C e G hanno inoltrato istanza al Comune per recintare l’area denominata “S.p. 2”, al fine di asservirla al fabbricato di loro proprietà collocato al di fuori del Piano di Recupero.

Tale essendo l’antefatto del diniego impugnato, quest’ultimo appare senz’altro legittimo e immune da mende, poiché la motivazione in esso contenuta dà pienamente conto della ragioni a supporto del rigetto dell’istanza di autorizzazione alla realizzazione della recinzione.

In particolare, è evidente che, essendo l’area da recintare ubicata all’interno del perimetro del Piano di Recupero ed essendo incontestato che la medesima abbia influito sulle potenzialità volumetriche ad esso riconosciute, qualunque modifica volta ad asservire l’area ad un fabbricato ubicato all’esterno del comparto del Piano si tradurrebbe, in sostanza, in una modifica del Piano stesso.

Più in dettaglio, da un lato la suddetta recinzione verrebbe a modificare, di fatto, l’ambito territoriale del P.d.R., violando la convenzione urbanistica del 28 gennaio 1999 (doc. 3 del Comune). Che l’area denominata “S.p. 2” rientri nell’ambito di intervento del P.d.R., del resto, emerge pacificamente dalla medesima documentazione allegata alla richiesta di autorizzazione edilizia per la realizzazione della recinzione (v. doc. 6 del Comune).

D’altro lato, la sottrazione dell’area al comparto del Piano renderebbe necessario un ricalcolo della volumetria di quest’ultimo, che è stato effettuato tenendo conto della superficie del lotto da escludere a seguito della recinzione, per detrarre dalla volumetria stessa le potenzialità derivanti dal computo di tale lotto. Ne consegue che anche per questa via si pretenderebbe di modificare il P.d.R., in aperta violazione degli impegni assunti con la convenzione del 28 gennaio 1999.

Da quanto detto si evince l’infondatezza delle doglianze di contenuto sostanziale dedotte dai sigg.ri C, sia con il primo che con il secondo motivo del ricorso originario.

Quanto al primo motivo, si osserva che l’asservimento del lotto alle esigenze del Piano di Recupero discende ex se dal suo inserimento all’interno del comparto di Piano: contrariamente alle conclusioni della perizia versata in atti dai ricorrenti (all. 17 al ricorso), non può dirsi che l’inserimento del lotto nella perimetrazione del P.d.R. non abbia influito sul suo utilizzo, vista la sua presa in considerazione al fine di determinare l’indice di edificabilità di 2 mc./mq..

Non colgono nel segno le repliche dei ricorrenti, secondo cui il ragionamento della P.A. condurrebbe ad abrogare l’istituto del trasferimento di cubatura, mentre nessuno ha mai dubitato della possibilità di recintare un’area, la cui cubatura sia stata trasferita ed utilizzata nell’area contermine, seppure in diversa proprietà. Nel caso all’esame, infatti, non vi è stato nessun trasferimento di cubatura, bensì l’assunzione, da parte dei proponenti il Piano di Recupero, dell’obbligo di dare esecuzione allo stesso secondo gli elaborati grafici di progetto depositati presso gli uffici comunali (art. 3 della convenzione del 28 gennaio 1999).

Non coglie nel segno nemmeno l’insistita argomentazione basata sul fatto che l’area “S.p. 2” non ha destinazione a parcheggio pubblico, poiché – come obietta il Comune – l’area in questione accoglie parcheggi di pertinenza del fabbricato condominiale oggetto del P.d.R. e non già parcheggi pubblici: e la stessa perizia asseverata prodotta dai ricorrenti sub all. 17 afferma che l’area di cui si discute “è destinata indicativamente a verde e/o parcheggio privato”.

I ricorrenti insistono, nella memoria conclusiva, sulla mancata indicazione, da parte della P.A., della specifica previsione di P.R.G. al cui rispetto i privati si sarebbero vincolati con la convenzione del 28 gennaio 1999, ma non si avvedono che è la stessa perizia di parte da essi prodotta a menzionare, nelle sue conclusioni, “la norma richiamata dal Piano Regolatore che disciplina il vincolo di pertinenza delle aree scoperte di edifici, ricadenti all’interno dei Piani Attuativi”.

Da ultimo, non convince neppure il richiamo, contenuto anch’esso nella memoria finale dei ricorrenti, al punto c) delle conclusioni della relazione alla variante al P.d.R. del 15 gennaio 2001 (v. all. 7 del II° elenco di documenti del 12 dicembre 2018), da cui emergerebbe l’ampliamento dell’area “S.p. 2” tale da “garantire una migliore fruibilità dell’area a servizio del contiguo complesso condominiale di proprietà della famiglia CECCATO”.

Invero, la deliberazione del Consiglio Comunale di S. Martino di Lupari n. 6 del 26 febbraio 2001 (v. doc. 2 del Comune) ha approvato la suddetta variante, intesa quale variante formale e non sostanziale, che: 1) non altera l’ambito di intervento del P.d.R.;
2) non altera i parametri urbanistici dimensionali, tra cui il volume massimo ammissibile;
3) non altera l’ammontare delle opere di urbanizzazione;
4) rispetta qualitativamente e quantitativamente tutto quanto previsto dalla convenzione sottoscritta il 27 (rectius: 28) gennaio 1999. È, però, evidente che, laddove la citata variante fosse intesa nel senso fatto proprio dai ricorrenti – cioè di aver “confermato” e legittimato l’asservimento dell’area “S.p. 2” al fabbricato ubicato al di fuori del comparto di Piano – ne seguirebbe che almeno gli obiettivi 1), 2) e 4) ora elencati non sarebbero rispettati e la variante si porrebbe, in parte qua, in termini di variante sostanziale, attesa l’alterazione sostanziale del P.d.R. “La Corte”: dunque, la lettura che i ricorrenti offrono della deliberazione consiliare n. 6/2001 non è condivisibile.

In altre parole, il provvedimento gravato individua in modo esaustivo le ragioni di fatto e di diritto a sostegno del diniego di recinzione: infatti, l’alterazione del perimetro e della volumetria del P.d.R., che deriverebbero dalla realizzazione della recinzione, integrano una motivazione di per sé idonea e sufficiente a giustificare il predetto diniego, mentre le ulteriori considerazioni in esso contenute (sulla viabilità circostante e la carenza di parcheggi per i negozi posti al piano terra del fabbricato dei privati) sono del tutto ultronee, tanto che esse vengono fatte – come si legge nello stesso provvedimento – “cogliendo l’occasione”.

Del resto, è orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui, ove un provvedimento amministrativo risulti sorretto da una pluralità di motivazioni, in base al cd. principio di resistenza, la validità anche di una sola delle argomentazioni autonomamente poste alla base di tale provvedimento è sufficiente, di per sé sola, a sorreggerne il contenuto, cosicché il venir meno di un’altra motivazione non può comunque portare all’annullamento del provvedimento impugnato (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 12;
T.A.R. Veneto, Sez. I, 27 giugno 2018, n. 706;
id., Sez. II, 27 febbraio 2018, n. 243;
T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 10 aprile 2017, n. 717;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 4 febbraio 2016, n. 1680).

Nel caso di specie, pertanto, le considerazioni ultronee concernenti la situazione della viabilità e la carenza di parcheggi per i negozi al piano terra del fabbricato dei privati non incidono sulla validità e adeguatezza delle altre – e reali – motivazioni addotte dal Comune a sostegno del diniego gravato, come sopra riferite. Non solo, ma dette considerazioni non bastano – al contrario di quanto lamentano i ricorrenti con il secondo motivo – a dare conto dello sviamento di potere da cui sarebbe affetto il diniego in questione.

Si richiama, sul punto, l’insegnamento della giurisprudenza costante (cfr. C.d.S., Sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 32;
T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 7 giugno 2013, n. 524), anche di questa Sezione (T.A.R. Veneto, Sez. I, 29 agosto 2017, n. 809;
id., 17 marzo 2017, n. 276), secondo cui lo sviamento consiste nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero quando il potere è stato esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dal Legislatore con la norma attributiva dello stesso e, in particolare, quando l’atto posto in essere sia stato determinato da un interesse diverso da quello pubblico. Inoltre, la censura di sviamento deve essere supportata da elementi di prova precisi e concordanti, idonei a dare conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non bastando mere supposizioni od indizi, che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità in concreto perseguita dalla P.A. (C.d.S., Sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3355;
T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 809/2017, cit.).

Donde, in definitiva, l’infondatezza anche del secondo motivo e, con esso, del ricorso originario nella sua interezza, tenuto conto che anche la censura di ordine procedimentale dedotta con il primo motivo di gravame è infondata e da respingere. Il parere legale del 12 agosto 2002, che la P.A. non avrebbe esaminato, è, infatti, atto del privato che ha addirittura preceduto la stessa proposizione dell’istanza di autorizzazione alla recinzione: come tale, esso non può configurarsi come memoria procedimentale ex art. 10 della l. n. 241/1990, con il corollario dell’inapplicabilità allo stesso della disciplina di cui al citato art. 10. Non è ravvisabile, perciò, alcuna violazione di tale norma.

Passando alla disamina dei motivi aggiunti, per ragioni di economia processuale e di scarsità della risorsa giustizia (cfr. C.d.S., A.P., 27 aprile 2015, n. 5) si prescinde dalla questione dell’ammissibilità di essi a causa della loro proposizione ad opera solo di uno degli originari soggetti ricorrenti in via collettiva (pur riconoscendosi come tale eccezione sia confortata da un’univoca giurisprudenza specie di primo grado: cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 8 marzo 2017, n. 236), essendo i ridetti motivi aggiunti privi di fondamento nel merito, come di seguito si espone.

Invero, attraverso la doglianza formulata con i motivi aggiunti si lamenta il mancato riconoscimento, da parte della P.A., della funzione del condono quale strumento che deroga a ogni presunto ostacolo derivante dalla disciplina urbanistica locale, sia generale, che attuativa.

In contrario, però, deve condividersi l’obiezione della difesa comunale, secondo la quale il condono edilizio non può essere utilizzato per modificare uno strumento urbanistico attuativo, qual è il Piano di Recupero.

Vero è che il condono, diversamente dall’accertamento di conformità, ammette la regolarizzazione, nella misura in cui le specifiche norme di legge lo consentano, di manufatti che, oltre a non essere formalmente autorizzati, risultino eventualmente anche in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 2 febbraio 2015, n. 466). Tuttavia, la concessione del condono non implica una modificazione dello strumento urbanistico, a meno che non venga adottata nelle forme previste dall’ordinamento un’apposita variante finalizzata al recupero degli insediamenti abusivi, e il condono, certamente, non ha gli effetti di una variante (T.A.R. Puglia. Bari, Sez. III, 6 dicembre 2017, n. 1248;
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4249).

Nella fattispecie all’esame, invece, attraverso il condono si realizzerebbe, di fatto e surrettiziamente, una modifica della disciplina urbanistica (in specie: del Piano di Recupero), perseguendosi uno scopo estraneo a quello della normativa condonistica e, per di più, al di fuori del procedimento di modifica dello strumento attuativo, che presupporrebbe che la relativa istanza venisse presentata dal soggetto legittimato ad attuare tale strumento.

Quanto, infine, alla pretesa mancata valutazione della memoria procedimentale del 22 giugno 2006, la stessa non è stata ignorata, bensì disattesa dall’Amministrazione comunale, la quale ha richiamato il “parere” (rectius: la comunicazione ex art. 10-bis della l. n. 241/1990) espresso in data 1° giugno 2006. Ne segue l’infondatezza della doglianza, avente, peraltro, carattere meramente formale (cfr. art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della l. n. 241/1990).

Se ne evince, per questa via, l’infondatezza anche del ricorso per motivi aggiunti.

In definitiva, pertanto, sia il ricorso originario, sia quello per motivi aggiunti, sono infondati e devono, per conseguenza, essere respinti.

Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese tra le parti, in ragione del carattere risalente della controversia e della complessità delle questioni trattate.

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