TAR Bologna, sez. I, sentenza 2019-01-25, n. 201900084
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Pubblicato il 25/01/2019
N. 00084/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00393/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOE DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 393 del 2017, proposto da
-O-, nella sua qualità di Presidente del C.d.A. e rappresentante legale p.t. della Società Cooperativa a r.l. -O-e proposto da -O-, rappresentati e difesi dagli avvocati F D A e F G S, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Ravenna, viale Berlinguer n.54;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, presso i cui Uffici, in Bologna, via Guido Reni n. 4 è domiciliato ex lege ;
per l'annullamento
dei seguenti provvedimenti: 1. Comunicazione di informazione Interdittiva Antimafia, emessa da U.T.G. – Prefettura di Ravenna in data 22/2/2017 ai sensi dell'art. 88, comma 3, D. Lgs. n. 159 del 2011;2. Comunicazione di informazione Interdittiva Antimafia, emessa dalla stessa Prefettura in pari data ai sensi dell'art. 88, comma 3, del D. Lgs. n. 159 del 2011;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno - Ufficio Territoriale del Governo Prefettura di Ravenna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2018, il dott. U G e uditi, per le parti, i difensori avv. F D A e avv. dello Stato Andrea Cecchieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente ricorso, la attuale legale rappresentante e due amministratori della Società cooperativa -O- s.c. a r.l. con sede legale in Lugo (Ra) impugnano i provvedimenti in data 22/2/2017, con i quali U.T.G. – Prefettura di Ravenna ha emesso n. 2 informazioni Interdittive Antimafia ex art. 88, comma 3, del D. Lgs. n. 159 del 2011, aventi quali destinatari, la prima: i signori -O--O-, quale precedente Presidente del C.d.A.;-O- -O-quale Vice Presidente e -O- -O- quale amministratrice della suddetta Cooperativa e la seconda informativa personalmente i sigg. -O- nelle loro rispettive cariche.
I ricorrenti deducono, a sostegno dell’impugnativa, motivi in diritto rilevanti: eccesso di potere per travisamento dei fatti, motivazione apparente e/o carente, illogicità;violazione di legge per carenza motiva (art. 3 L. n. 241 del 1990).
Il Ministero dell’Interno, costituitosi in resistenza, chiede la reiezione del ricorso, in quanto infondato.
Alla pubblica udienza del giorno 21 novembre 2018, la causa è stata chiamata ed è stata quindi trattenuta per la decisione, come indicato nel verbale.
Con i suddetti due articolati motivi, parte ricorrente – già amministratori di una società cooperativa destinataria di comunicazione interdittiva antimafia ex art. 88, comma 3, del D. Lgs. n. 159 del 2011- ritengono illegittima la misura imposta da U.T.G. - Prefettura di Ravenna, in quanto la valutazione di possibilità di infiltrazione mafiosa in essa società sarebbe incentrata su “…semplici sospetti o…mere congetture prive di riscontro fattuale…” (v. pag. 11 del ricorso), mancando, inoltre, in detta motivazione, alcun elemento atto a comprovare l’attualità del rischio di infiltrazione mafiosa nella compagine sociale della cooperativa da parte della famiglia di-O-”. Ciò soprattutto in relazione, sostiene parte ricorrente, all’elemento indiziario relativo all’autovettura Porsche Carrera asseritamente ceduta in uso al sig.-O- -O- dal sig. -O-, quale fatto risalente all’anno 2008 e, quindi, a ben nove anni addietro, nonché alle presunte frequentazioni del sig.-O--O- con soggetto “gravato di precedenti penali”.
Il Collegio ritiene che le suesposte considerazioni di parte ricorrente non possano essere condivise.
Innanzitutto, si ritiene opportuno richiamare i principi stabiliti dalla giurisprudenza amministrativa in tema di comunicazioni interdittive antimafia e dinieghi di iscrizione nelle white list provinciali (v. tra le più recenti: Cons. Stato, Sez. III, 14/4//2017 n. 670 3/5/2016, n. 1743), con particolare riguardo alla ratio di tali misure, volto alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione. In tale ambito, per l’adozione del provvedimento interdittivo rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento, che vanno letti sinergicamente, mentre una visione ‘parcellizzata’ di essi risulterebbe del tutto fuorviante. La giurisprudenza amministrativa ha più volte ribadito, infatti, che l’informativa antimafia non ha natura sanzionatoria e che il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è quello mafioso. Pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa – purché essi siano certi sotto il profilo fattuale - possono anche essere penalmente irrilevanti e persino oggetto di pronunce assolutorie, mantenendo, tuttavia, inalterata la loro valenza indiziaria a carico dell’imprenditore che si pone su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità idonea a legittimare l’adozione dei provvedimenti impugnati. Dalle considerazioni che precedono deriva necessariamente la constatazione che il Prefetto è dotato di ampia discrezionalità di apprezzamento in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa, con l’ulteriore conseguenza che tale valutazione è sindacabile, in sede giurisdizionale, solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, rimanendo quindi estraneo l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1/10/2010 n. 7260). Ciò premesso e passando all’esame dei riferiti motivi di ricorso alla luce di tali principi, si deve rilevare che le doglianze ivi rassegnate si palesano infondate. I provvedimenti interdittivi antimafia di cui in epigrafe si fondano, infatti, su plurimi indizi di evidente permeabilità della società cooperativa ricorrente, tutti correlati a fatti documentati. E’, infatti, incontroverso che: il sig.-O- -O-, già Presidente del C.d.A. della società cooperativa -O- annovera diverse condanne penali a suo carico, anche per gravi reati quali resistenza a P.U e lesione personale, furto aggravato in concorso, ricettazione e falsità in registrazioni soggette a ispezioni di P.S.;uso di sigilli contraffatti in concorso, violazione delle norme in materia di immigrazione e asilo. Inoltre, lo stesso è risultato frequentare persone gravate da seri pregiudizi penali, tra i quali V C, destinatario anche di analoga misura interdittiva e di cui è stata accertata la contiguità con la famiglia mafiosa dei Femia e i numerosi altri soggetti precisamente individuati alla pag. n. 4 del provvedimento impugnato. L’Autorità procedente ha inoltre accertato, dandone ampia spiegazione nella motivazione della interdittiva, che il sig. -O- ha collegamenti con esponenti della malavita organizzata calabrese facente capo alla “famiglia Femia”, come dimostrato dal fatto che nel 2008, il ricorrente aveva ricevuto in uso (locazione) da -O-, noto esponente della suddetta consorteria di tipo mafioso, tramite alcune società, un’autovettura di grande valore economico Porsche Carrera 911 (v. pagg. 4 e 5 interdittiva).
Anche a carico dell’altro amministratore della cooperativa -O- -O-risultano diversi elementi penalmente rilevanti e anch’esso risulta frequentare soggetti aventi gravi pregiudizi penali a proprio carico quali -O-elementi raccolti nel corso dell’istruttoria fanno emergere un solido e composito quadro indiziario univocamente convergente nel concludere che i riferiti odierni ricorrenti – già amministratori della società cooperativa -O- – siano contigui o quanto meno vicini “…alla realtà criminale gravitante nell’orbita di controllo del -O-appartenente al clan “ndranghetista” dei Mazzaferro…” (v. pag. 7 interdittiva), con conseguente oggettivo pericolo di condizionamento della cooperativa ricorrente da parte della malavita organizzata di stampo mafioso. A tale già di per sé consistente e rilevante quadro indiziario, va aggiunto quanto riportato nel verbale del Gruppo Interforze, ove si rileva che alcuni soci e familiari degli odierni ricorrenti abitano in un edificio di proprietà della famiglia dei “Femia” (v. doc. n. 6 Amm.ne).
Il Collegio ritiene che da tali più che significativi e probanti elementi emerga un solido quadro indiziario, soprattutto rivelatore dell’oggettiva esistenza di una fitta rete di intrecci, cointeressenze economiche e frequentazioni tra alcuni amministratori della cooperativa -O- s.c. a r.l. ed ambienti della malavita organizzata di stampo mafioso facenti capo alla famiglia di n’drangheta “Femia”.
Peraltro, a fronte di tali dati oggettivi, la ricorrente si limita a fornire una diversa lettura del quadro indiziario meramente alternativa a quella – razionale e coerente – formulata nel provvedimento impugnato, da un lato procedendo ad un esame parcellizzato e scollegato dei suddetti indizi e dall’altro sostenendo, in concreto, la risalenza nel tempo degli elementi indiziari raccolti dalle Autorità procedenti;circostanza che induce la difesa dei ricorrenti a denunciare la mancanza di attualità del quadro indiziario posto a base dell’informativa impugnata e, di conseguenza, l’asserita irrilevanza degli accertati collegamenti con ambienti della malavita organizzata. Su tale punto, il Collegio rileva l’infondatezza della censura, stante che, da un lato, i riferiti episodi e le accertate frequentazioni risultano essersi sviluppati in un arco temporale oggettivamente esteso che arriva anche ad anni recenti e, dall’altro lato, che gli elementi riferiti all’uso di un’autovettura di grande valore economico e all’abitazione di familiari dei ricorrenti in immobili rientranti nella piena disponibilità di una consorteria di tipo mafioso, risultano oggettivamente dimostrare l’esistenza di rapporti e interessenze economici non già episodici o sporadici, ma valutabili quali in corso di rafforzamento o, quanto meno, di consolidamento nel tempo. Ciò premesso, occorre in ogni caso rammentare che, secondo un principio ormai affermatosi e consolidatosi nella giurisprudenza amministrativa in subiecta materia - non è richiesta all’Autorità prefettizia la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi (come è stato accertato nel caso in esame) dai quali è deducibile – secondo il principio del «più probabile che non» - il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell'attualità e concretezza del rischio (Cons. Stato, Sez. III, 7//2016 n. 3012;5 settembre 2012, n. 4708).
Per i suesposti motivi, il ricorso è respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.