TAR Torino, sez. II, sentenza 2016-07-26, n. 201601069

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. II, sentenza 2016-07-26, n. 201601069
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 201601069
Data del deposito : 26 luglio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/07/2016

N. 01069/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01187/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1187 del 2015, proposto da:
Maria Assunta Fatigato, rappresentata e difesa dagli avvocati R P C.F. PCCRRT44A29F952X, M P C.F. PCCMCL76E21F952E, I P C.F. PGNGNZ63D28F952G, M F C.F. FRRMSM79E01B019D, con domicilio eletto presso M P in Torino, corso Re Umberto, 38;

contro

Azienda Sanitaria Locale "No" - Novara, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati P S C.F. SCPPLA41C27A479D, Carla Zucco C.F. ZCCCRL60C55I880V, con domicilio eletto presso l’avv.to P S in Torino, via S. Francesco D'Assisi, 14;
Comune di Mezzomerico, in persona del Sindaco pro tempore , non costituito in giudizio;

nei confronti di

Chiara Cesa, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Brambilla C.F. BRMCRL57H08F205F, Paolo Forno C.F. FRNPLA63P27L219R, Mariella Balbis C.F. BLBMLL55E62L750G, Simone Giuliani C.F. GLNSMN70D09E704O, Quintino Lombardo C.F. LMBQTN69M06D423H, Silvia Cosmo C.F. CSMSVS73A66F205W, con domicilio eletto presso Paolo Forno in Torino, corso Vittorio Emanuele II, 198;

per l'annullamento

- della determinazione n. 474, assunta il 3.8.2015 dal Direttore f.f. della S.C. Farmacia Territoriale dell'A.S.L. Novara, avente ad oggetto: "Farmacia Cesa dott.ssa Chiara - Riconoscimento titolarità farmacia sita in Vaprio d'Agogna e contestuale autorizzazione all'esercizio", limitatamente alla parte che estende tal riconoscimento anche al Dispensario Farmaceutico sito in Comune di Mezzomerico Via S. Maria n. 10, autorizzandone la gestione diretta in capo alla medesima dal 1 agosto 2015;

di ogni altro atto propedeutico, preparatorio, consequenziale o comunque connesso, con particolare riferimento:

- al verbale di sopralluogo, esperito dalla Commissione Ispezione e vigilanza sulle farmacie dell'ASL NO in data pari a quella dell'atto impugnato (3.8.2015), citato in parte motivazionale dell'atto gravato, mai comunicato o allegato;

- alla nota ASL NO 11.8.2015 prot. 40439/FT con la quale si respingono le osservazioni svolte dalla ricorrente con lettera del 4.8.2015;

e per la conseguente declaratoria, limitatamente alla cessione del Dispensario di Mezzomerico, di nullità e/o sopravvenuta inefficacia e/o caducazione automatica del contratto sottoscritto il 23.7.2015 a rogito Notaio Ferrara di Vercelli (Rep. 51913/racc. 13878).


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Locale "No" - Novara e di Chiara Cesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2016 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe con il quale la ASL ha riconosciuto la titolarità della farmacia di Vaprio d’Agogna e del connesso dispensario in capo alla controinteressata. Si contesta in particolare la gestione del dispensario.

Lamenta parte ricorrente la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 l. n. 221/1968 e dell’art. 1 l. n. 475/1968 oltre che della l.r. Piemonte 14.5.1991 e dell’art. 1418 c.c., l’eccesso e lo sviamento di potere.

Deduce in particolare parte ricorrente di essere titolare dal 1992 della farmacia corrente in Marano Ticino;
detta farmacia dista dal Comune di Mezzomerico, ove si trova un dispensario farmaceutico attualmente gestito dalla controinteressata, 2700 mt;
la farmacia attualmente gestita dalla controinteressata si trova per contro in Vaprio d’Agogna e dista dal dispensario 5600 mt;
il dispensario era stato affidato al titolare di tale ultima farmacia nel 1989, epoca in cui ancora non era stata istituita la farmacia della ricorrente.

Con atto in data 23.7.2015 la controinteressata ha acquistato la farmacia di Vaprio d’Agogna dalla precedente titolare;
nel contratto di cessione d’azienda le parti hanno incluso il dispensario.

Tuttavia il dispensario non sarebbe bene annesso alla farmacia e, come tale, non sarebbe cedibile unitamente alla stessa, con conseguente nullità del contratto privatistico intercorso tra le parti per la specifica parte.

La normativa prevede che il dispensario sia affidato, con preferenza, al titolare della farmacia più vicina, nel caso di specie la ricorrente. Venuta meno l’originaria titolare del dispensario l’amministrazione avrebbe quindi dovuto e potuto effettuare una nuova ponderazione di interessi pubblici, motivando sulle ragioni della propria scelta.

Si è costituita la ASL resistente deducendo che il dispensario deve essere qualificato quale unità locale della farmacia, appartenente al complesso aziendale;
quanto alla normativa in tema di riassegnazione del dispensario evidenzia come, secondo l’interpretazione avallata anche dalla Regione Piemonte, tanto si renderebbe necessario solo in caso di rinuncia o decadenza del titolare.

Si è costituita la controinteressata ugualmente contestando le tesi di parte ricorrente.

Con ordinanza n. 388/2015 l’istanza cautelare veniva respinta;
con ordinanza n. 1389/2016 il Consiglio di Stato accoglieva l’appello cautelare.

All’udienza del 6.7.2016 la causa veniva discussa e decisa nel merito.

DIRITTO

Ritiene il collegio di confermare l’orientamento già espresso in sede cautelare, pur nell’obiettiva complessità ed opinabilità della questione.

Strutturalmente le farmacie coniugano una disciplina civilistica e una pubblicistica, di cui si rendono necessari coordinamenti che non ingenerino effetti chiaramente incongruenti con l’una o l’altra delle discipline interessate.

Il farmacista, che pur rende un servizio pubblico, è indubbiamente anche un imprenditore titolare di una azienda commerciale, tant’è che lo stesso legislatore ne protegge le prerogative imprenditoriali, creando un nesso inscindibile tra il farmacista titolare e l’azienda farmaceutica;
recita infatti l’art. 12 della l. n. 475 del 1968 che: “il trasferimento della titolarità delle farmacie, a tutti gli effetti di legge, non è ritenuto valido se insieme col diritto di esercizio della farmacia non venga trasferita anche l'azienda commerciale che vi è connessa, pena la decadenza”;
recita ancora l’art. 110 del T.U. l. sanitarie: “L'autorizzazione all'esercizio di una farmacia, che non sia di nuova istituzione, importa l'obbligo del concessionario di rilevare dal precedente titolare o dagli eredi di esso gli arredi, le provviste e le dotazioni attinenti all'esercizio farmaceutico, contenuti nella farmacia e nei locali annessi, nonché di corrispondere allo stesso titolare o ai suoi eredi un'indennità di avviamento in misura corrispondente a tre annate del reddito medio imponibile della farmacia, accertato agli effetti dell'applicazione dell'imposta di ricchezza mobile nell'ultimo quinquennio.”

La giurisprudenza civilistica in materia di stima dell’avviamento farmaceutico realizza un coordinamento con i profili di rilevanza pubblicistica e pacificamente ritiene che: “l'indennità di avviamento della farmacia non deve essere determinata con i criteri di libero mercato, ma con quelli più restrittivi ex art. 110 del r.d. n. 1265 del 1934, trattandosi pur sempre di un'azienda soggetta a vincoli di diritto pubblico incidenti sul margine di profitto” (Cass. sez. II 22.10.2015, n. 21523).

In sostanza, secondo il giudice dell’impresa, i profili pubblicistici investono l’intero complesso aziendale e non certo sue singole componenti e si traducono in peculiari criteri di stima, non in ragioni di disarticolazione dell’azienda.

D’altro canto lo stesso legislatore, ammettendo la circolazione dell’azienda farmaceutica tra farmacisti, individua i limiti (di rilevanza pubblicistica) alla cessione di tali beni nell’art. 12 della l. n. 475 del 1968 che recita: “E' consentito il trasferimento della titolarità della farmacia decorsi 3 anni dalla conseguita titolarità. Il trasferimento può aver luogo solo a favore di farmacista che abbia conseguito la titolarità o che sia risultato idoneo in un precedente concorso. Il trasferimento del diritto di esercizio della farmacia deve essere riconosciuto con decreto del medico provinciale…..Il trasferimento di farmacia può aver luogo a favore di farmacista, iscritto all'albo professionale, che abbia conseguito l'idoneità o che abbia almeno due anni di pratica professionale, certificata dall'autorità sanitaria competente Ai fini della pratica professionale il titolare di farmacia deve comunicare all'autorità sanitaria competente le generalità del farmacista praticante, la data di effettivo inizio nonché di effettiva cessazione della stessa Le suddette comunicazioni devono essere trascritte in apposito registro tenuto dall'autorità sanitaria competente che è tenuta ad effettuare periodiche verifiche sull'effettivo svolgimento della pratica professionale”;
la stessa norma, come visto, impone che il complesso aziendale circoli con la titolarità dell’esercizio.

La disciplina si completa con l’art. 7 comma 4 quater del d.l. n. 192 del 2014 che prevede:

“A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad esclusione delle sedi oggetto del concorso straordinario di cui all'articolo 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e successive modificazioni, l'efficacia delle disposizioni in materia di requisiti per il trasferimento della titolarità della farmacia, di cui all'articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475, e successive modificazioni, è differita fino al 31 dicembre 2016. Fino a tale data, ai fini dell'acquisizione della titolarità di una farmacia, è richiesta esclusivamente l'iscrizione all'albo dei farmacisti.”

In sostanza nella (pacificamente ammessa) circolazione dell’azienda farmaceutica tra privati il legislatore si preoccupa dei requisiti soggettivi degli interessati dalla cessione e dell’esigenza che nessun complesso aziendale corrispondente ad una farmacia resti privo di un titolare in possesso di detti requisiti.

La farmacia circola anche mortis causa.

Nel caso di specie la ricorrente contesta che, cedendo la propria azienda, la dante causa della controinteressata abbia anche ceduto il dispensario di cui era titolare dal 1989.

Recita l’art. 1 della l. n. 221 del 1968: “Nei comuni, frazioni, o centri abitati di cui alla lettera b) del primo comma, ove non sia aperta la farmacia privata o pubblica prevista nella pianta organica, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano istituiscono dispensari farmaceutici. La gestione dei dispensari, disciplinata mediante provvedimento delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, è affidata alla responsabilità del titolare di una farmacia privata o pubblica della zona con preferenza per il titolare della farmacia più vicina. Nel caso di rinunzia il dispensario è gestito dal comune. I dispensari farmaceutici sono dotati di medicinali di uso comune e di pronto soccorso, già confezionati”.

Evidenzia la ricorrente innanzitutto che il dispensario non sarebbe parte dell’azienda farmaceutica. Può replicarsi sul punto che la ricorrente, salvo sostenere cosa il dispensario “non sarebbe” dal punto di vista civilistico (qualificazione pur necessaria per la già evidenziata natura duplice del servizio farmaceutico) in alcun modo chiarisce in positivo cosa sarebbe.

Seguendo la tesi della ricorrente si dovrebbe immaginare che il farmacista (pacificamente un imprenditore che ex lege gestisce una azienda) rispetto al solo dispensario perderebbe tale qualità;
nè si comprenderebbe quale qualifica dare ai beni facenti parte del dispensario, o peggio si dovrebbe immaginare che lo stesso farmacista, titolare di un complesso di beni pacificamente unitariamente organizzati e gestiti, sia titolare di due aziende (non, come nella fisiologia aziendale, di due unità locali).

Né ha alcuna utilità l’argomento di parte ricorrente secondo cui la previsione di cui all’art. 110 del T.U. leggi sanitarie, che sancisce l’obbligo di trasferire l’azienda farmaceutica con la titolarità della farmacia, non elencando tra i beni aziendali il dispensario, proverebbe che lo stesso non ne fa parte. Ribadito che l’esito pratico di tale lettura della norma sarebbe l’individuazione di una incomprensibile congerie di beni adespoti, il concetto di azienda è in sé dinamico e genericamente definito come insieme di beni e servizi organizzati;
non esiste, nella definizione generale di azienda, un catalogo dei beni che ne fanno parte, proprio perché essa deve adeguarsi alle varie realtà imprenditoriali. Se poi si dovesse leggere il t.u. in materia sanitaria come elenco dei possibili beni componenti l’azienda farmaceutica (gli arredi, le provviste e le dotazioni attinenti all'esercizio farmaceutico) non può che concludersi che il dispensario (che è un luogo e non un autonomo bene) si compone di arredi, provviste e dotazioni ed è organizzato unitamente alla propria sede farmaceutica principale dal farmacista che ne è titolare.

Né il fatto che i due distinti luoghi fisici di esercizio dell’attività siano soggetti ad autonomi e distinti atti autorizzativi di per sé rende le due componenti aziendali estranee;
è indubbio che ogni sede aziendale, in qualunque settore, sia soggetta a propri ed autonomi atti autorizzativi ove necessari per la singola sede e tanto, tuttavia, non disarticola l’azienda.

Non pare dunque al collegio seriamente dubitabile che il dispensario sia una componente dell’azienda farmaceutica.

Tanto premesso occorre valutare se sussistano norme di profilo pubblicistico che portino in emersione interessi generali tali da giustificare un’eventuale frattura del complesso aziendale all’atto della sua circolazione.

La circolazione dell’azienda farmaceutica è, nell’ordinamento, un evento assolutamente fisiologico che subisce specifici e individuati limiti legali (in termini di qualità dei soggetti tra i quali i beni possono circolare, obblighi sui medesimi gravanti e connessa incidenza sul valore economico del complesso aziendale);
altre e diverse disposizioni, come evidenziato dalle parti resistente e controinteressata, si occupano poi di disciplinare situazioni di patologia del servizio.

La circolazione del complesso aziendale inter vivos o mortis causa pacificamente, tuttavia, non è mai considerata dal legislatore come una patologia incidente sul servizio ed è anzi vista come una fisiologia.

Appare dunque innanzitutto improprio immaginare di sovrapporre disposizioni pensate per far fronte alla patologia del servizio (che per gli utenti, e quindi secondo il profilo pubblicistico, è reso nel suo insieme da tutti i titolari di esercizi farmaceutici in possesso dei requisiti di legge e non certo preferibilmente dall’uno o dall’altro) ad un evento, la circolazione d’azienda, che, salvo i limiti specifici già evidenziati, costituisce una fisiologia dell’attività farmaceutica.

Pertanto, ad esempio, non pare in alcun modo pertinente la norma che regolamenta il caso della rinuncia (evento patologico rispetto al servizio) al dispensario.

Ancora, come ampiamente evidenziato dalle parti resistente o controinteressata, ove si realizzi una cattiva gestione del dispensario, esattamente come per la gestione della sede farmaceutica, l’amministrazione dispone pur sempre della facoltà di pronunciare la decadenza;
la normativa (113 TT.UU.SS.), tra l’altro, prende in considerazione ai fini della decadenza anche specifiche vicende di carattere privatistico (quali il fallimento e la mancata corresponsione dell’avviamento) per renderle rilevanti sotto il profilo pubblicistico.

Tra queste certamente non vi è la cessione di azienda che anzi, come detto, è tra le legittime prerogative del farmacista.

Quale unica disposizione di carattere pubblicistico pertinente la ricorrente invoca il già riportato art. 1 della l. n. 221 del 1968 che si limita a prevedere una valutazione di carattere geografico in sede di prima assegnazione del dispensario espressa nei seguenti termini: il dispensario è affidato al titolare di una farmacia della zona (e la controiteressata pacificamente lo è) “con preferenza per la farmacia più vicina”.

La stessa norma in sostanza non pone alcun obbligo ma una semplice preferenza. Nel caso di specie, si tratta di farmacia limitrofe, con una differenza, in termini di distanze, di meno di tre chilometri tra la sede titolare e il dispensario.

Ancora è pacifico in giurisprudenza che la mera creazione di una nuova farmacia più vicina al dispensario non obbliga l’amministrazione a cambiarne la titolarità;
la stessa ricorrente (che della sua farmacia è titolare dal 1992 e mai sino alla cessione d’azienda ha preteso la riassegnazione del dispensario) non invoca un automatico obbligo di rivalutazione in capo all’amministrazione per il solo fatto che, nelle more, viene istituita una farmacia più vicina a quella che gestisce il dispensario;
d’altra parte ritenere che tanto basterebbe a modificare l’assegnazione del dispensario sulla base di mere minimali distanze chilometriche potrebbe indurre una sorta di perenne precarietà della gestione dei dispensari, in assenza di qualsivoglia incidenza sul servizio, potendo la situazione modificarsi per il solo fatto che una farmacia già esistente trasferisce la sede di qualche chilometro.

La ricorrente stessa ritiene dunque che una diversa specifica valutazione sia necessaria solo in virtù della cessione d’azienda

Ora premesso che ciò non è espressamente previsto da nessuna norma nemmeno una interpretazione sistematica può portare a tale risultato.

Non si vede infatti perché siffatto obbligo dovrebbe sorgere nella (fisiologica) ipotesi di cessione aziendale, in assenza di qualsivoglia disfunzione del servizio.

Non pare in definitiva al collegio che un parametro che la stessa disciplina pubblicistica non pone come imprescindibile ma come puramente eventuale (per altro da valutarsi solo in sede di prima assegnazione e non reiteratamente salvo che il servizio sia rinunciato) possa essere invocato per impattare in senso certamente limitativo (in assenza di qualsivoglia espressa disposizione normativa) sulle legittime prerogative dell’imprenditore-farmacista. I meri pochi chilometri di diversa distanza tra sede principale e dispensario non integrano né espressamente né sistematicamente un possibile prevalente interesse pubblico idoneo ad inibire la cessione.

La domanda di annullamento deve quindi essere respinta;
ne consegue che non può trovare accoglimento neppure la domanda di declaratoria di nullità/inefficacia del contratto sulla quale, non vertendosi in materia di evidenza pubblica, questo TAR sarebbe anche privo di giurisdizione.

Il ricorso deve quindi essere complessivamente respinto.

Stante gli alterni esiti del giudizio le spese di lite sono compensate.

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