TAR Catania, sez. V, sentenza 2024-05-27, n. 202401985
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Testo completo
Pubblicato il 27/05/2024
N. 01985/2024 REG.PROV.COLL.
N. 00336/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 336 del 2019, proposto da Palumbo S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Luca Gioacchino Barone in Catania, via Teocrito 27;
contro
Città Metropolitana di Messina, non costituita in giudizio;
nei confronti
Comune di Messina, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
a) della determinazione n. 97 del 25 febbraio 2019, di cui alla proposta n. 115 del 20 febbraio 2019, con la quale il Dirigente della IV direzione Ambiente della Città metropolitana di Messina ha revocato l’autorizzazione unica ambientale n. 3 del 2018 adottata con decreto dirigenziale del 30 gennaio 2018 in favore della Ditta Palumbo S.p.A.;
b) di ogni altro atto presupposto e/o connesso ancorché non conosciuto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 maggio 2024 il dott. Michele Di Martino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la società ricorrente, premesso di essere una primaria azienda di livello nazionale ed internazionale dedita alle riparazioni navali, ha allegato e dedotto che: nell’ambito della propria attività di riparazione di imbarcazioni, è titolare della concessione demaniale marittima n.02/06 del 18.2.2006, rilasciata dall’Autorità Portuale di Messina e della Convenzione rep. 47091 del 1.3.2006, stipulata con l’Ente Autonomo del Porto di Messina;la concessione ha ad oggetto una superficie di circa 74.495 mq., interamente dedicata alla cantieristica navale;essa dispone, inoltre, di una banchina della lunghezza di 195 mt per l’ormeggio di navi e di un bacino in muratura, per le riparazioni navali, della lunghezza di 268 mt, larghezza di 38 mt e profondità di 10 mt.;le gru su rotaie che servono il bacino sono tre con una portata fino a 40 tonnellate;il cantiere dispone anche di nr. 2 gru semoventi con una portata di 35 e 50 tonnellate ed ogni officina è attrezzata con carroponti aventi capacità fino a 30 tonnellate e impiega, mediamente e come risulta dalla visura storica alla camera di commercio, cinquanta unità lavorative di cui il 97-98% a tempo indeterminato ed a tempo pieno;in questo momento storico, ha tre navi in cantiere con un indotto prossimo alle centocinquanta unità lavorative;è, altresì, titolare di un’Autorizzazione Unica Ambientale adottata dalla Città Metropolitana di Messina n.3/2018 con determinazione n.79 del 30/01/2018;detta autorizzazione è poi confluita nel provvedimento autorizzativo unico, ex D.P.R. 59/2013, n. 2/2018 del 21/2/2018, rilasciato dal Municipio di Messina;in data 16/01/2019, è stata destinataria di una sentenza di condanna in primo grado, non esecutiva, con la quale, ai sensi degli artt.9 e 24 ter comma terzo del D.Lgs. 231/2001, è stata applicata la sanzione interdittiva di anni due dall’esercizio delle attività e della sospensione delle autorizzazioni in essere;in data 27 febbraio 2019, attraverso una consultazione dell’albo pretorio della Città Metropolitana di Messina, è emersa l’esistenza dell’atto oggi impugnato con il quale l’Ente resistente, vista la sanzione interdittiva a carico della società contenuta nella sentenza penale, ha disposto tout court la revoca dell’autorizzazione da essa concessa;l’atto, oltre ad essere palesemente illegittimo, è foriero di ingenti danni.
Tanto premesso in fatto, la ricorrente ha eccepito l’illegittimità ed erroneità dell’atto gravato, sulla scorta delle doglianze in diritto di seguito sintetizzate:
“ Violazione di legge – Violazione del Giusto Procedimento – Insussistenza dei presupposti per procedere alla revoca dell’AUA adottata”, in quanto la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Messina non sarebbe esecutiva.
ii) “ Incompetenza assoluta – Violazione di Legge ”, in quanto il potere di dare esecuzione alle sanzioni inflitte all’ente spetterebbe, in via esclusiva, all’Autorità Giudiziaria e non alla Pubblica Amministrazione.
Di conseguenza, il provvedimento di revoca fondato esclusivamente sulla sentenza di condanna sarebbe viziato da incompetenza assoluta.
iii) “V iolazione di legge – Violazione del giusto procedimento ”.
Invero, la Città metropolitana avrebbe omesso di comunicare alla ricorrente l’avvio del procedimento, non consentendole, così, di indicare che, da un lato, sin dall’anno 2013, la società non svolge più l’attività di cd. “sabbiatura” che aveva dato avvio al procedimento penale e, d’altro lato, che l’attuale Amministratore Unico, cui fa capo l’autorizzazione, è un soggetto estraneo a coloro che hanno ricevuto una condanna penale in primo grado.
iv) “V iolazione di legge – Violazione del giusto procedimento – Violazione del principio del contrarius actus ”.
La Città metropolitana, in ossequio al principio del contrarius actus , avrebbe dovuto far precedere il provvedimento di revoca dalla convocazione di una conferenza di servizi, analogamente a quanto accaduto nel procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione.
v) “V iolazione di legge – Violazione dell’art. 278 del D.lgs.152/2006 – Violazione dei principi generali in materia proporzionalità delle sanzioni ”
La Città metropolitana avrebbe dovuto revocare l’autorizzazione limitatamente all’attività rispetto alla quale l’A.G. ha rilevato l’avvenuto svolgimento in violazione delle prescrizioni.
vi) “V iolazione di legge – Violazione dell’art.10 n.1 lett. e) del d.m. Ministero ambiente del 5/2/1998 ”
La sentenza di condanna, in quanto non definitiva e non esecutiva, non determinerebbe la perdita del requisito soggettivo previsto dalla normativa regolamentare.
Sulla scorta delle descritte causali, ha invocato l’integrale accoglimento della domanda impugnatoria e chiesto il risarcimento dei danni patiti.
La Città metropolitana di Messina e il Comune di Messina, pur ritualmente evocati in giudizio, non si sono costituiti.
Con decreto monocratico cautelare n. 141, dell’01/03/2019, è stato sospeso il provvedimento di revoca fino alla data della camera di consiglio, sulla base della seguente motivazione: “ Valutati gli interessi in conflitto e tenuto conto che non sembra esservi un particolare pregiudizio per l’Amministrazione nel disporre la sospensione dell’impugnata determinazione dirigenziale n.97 del 25 febbraio 2019 sino alla celebrazione della camera di consiglio per la trattazione dell’istanza cautelare, che va fissata per la data del 27 marzo 2019”.
In data 05/03/2019, la ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare.
Indi, con atto depositato in data 28/09/2020, la ricorrente ha rappresentato che la Città metropolitana di Messina ha sospeso il provvedimento di revoca.
All’udienza straordinaria di smaltimento del 20.05.2024, tenuta da remoto, la causa è stata introitata a sentenza.
Il ricorso è fondato e, pertanto, deve trovare accoglimento, assumendo valore assorbente la prima censura posta a fondamento del ricorso, con cui è denunciato di motivazione e di istruttoria sotteso all’atto impugnato.
Come noto, l’art.34 del D. Lgs.231/2001 stabilisce che, per quanto riguarda gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, si osservano le norme del decreto n. 231/2001 e, in quanto compatibili, quelle del codice di procedura penale e delle relative disposizioni di attuazione.
Orbene, l’art. 35 del decreto citato prevede che per l’ente si applica la disciplina contenuta nel codice di procedura penale relativa all'imputato.
L’art. 650 del Codice di Procedura Penale stabilisce, infine, che le sentenze e i decreti penali hanno forza esecutiva quando sono divenuti irrevocabili.
Tanto premesso, le emergenze istruttorie documentali, acquisite agli atti di causa, hanno consentito di accertare che, nel caso di specie, la disposta la revoca dell’Autorizzazione Unica Ambientale n. 3/2018, adottata con D.D. del 30/01/2018, in favore della Ditta Palumbo S.p.A. è stata adottata giusta determinazione dirigenziale n. 97 del 25/2/2019 di cui alla proposta n115 del 20/02/2019 e, dunque, soltanto sulla scorta di un dispositivo di sentenza, rispetto al quale il termine per il deposito delle motivazioni sarebbe scaduto in data 16 aprile 2019.
Ne deriva che, al momento della emanazione dell’atto impugnato, la sentenza penale di condanna di primo grado non era ancora esecutiva, specie per quanto riguarda la sanzione interdittiva a carico della società.
Deve, pertanto, concludersi nel senso della fondatezza della censura e dell’insussistenza del presupposto della revoca.
Va, peraltro, rilevato che, nelle more del presente procedimento, è stato celebrato e definito il giudizio di appello che, dopo aver assolto il legale rappresentante della società per non aver commesso il fatto, nei confronti della società ricorrente ha così disposto: “Revoca le sanzioni interdittive applicate, ex artt. 9, s4 ter, comma terzo D.Lgs. 231/2001, nei confronti di Palumbo s.p.a. e la Futura Sud s.r.l.”.
Alla stregua di quanto sopra, la domanda impugnatoria deve essere accolta, con conseguente annullamento del gravato atto.
Deve ora essere esaminata l’istanza di risarcimento danni avanzata dal ricorrente che va rigettata in quanto gli effetti del provvedimento non si sono mai prodotti, poiché sospesi dapprima con decreto ex art. 56 c.p.a. e successivamente ad opera della stessa Amministrazione.
Va, peraltro, aggiunto che è assente qualsiasi elemento di prova in merito al danno realmente subito (ex multis, Tar Lazio Roma, sentenza n. 9788/2013).
Del resto, è noto che, ai fini dell'ammissibilità dell'azione di risarcimento del danno proposta dinanzi al Giudice amministrativo, non è sufficiente l'accertamento dell’illegittimità del provvedimento, ma occorre anche la prova dell’ingiustizia del danno e l'imputazione dell'elemento dannoso a titolo di dolo o colpa della pubblica amministrazione.
Alla luce delle superiori considerazioni, la dedotta fattispecie di responsabilità non può ritenersi perfezionata in tutti i suoi elementi costitutivi, difettando, come si è detto, la prova del danno.
Le spese di lite seguono la soccombenza della domanda impugnatoria e si pongono a carico della sola Città Metropolitana (in quanto ha licenziato il provvedimento gravato), laddove, invece, possono essere compensate nei confronti del Comune di Messina.