TAR Venezia, sez. III, sentenza 2023-02-15, n. 202300227
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Pubblicato il 15/02/2023
N. 00227/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01307/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1307 del 2021, proposto da
-OMISSIS- e -OMISSIS- S.S., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati M A e M G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura, non costituita in giudizio;
Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrett. Stato, domiciliataria
ex lege
in Venezia, piazza S. Marco, 63;
per l'annullamento
– della Cartella di pagamento n.-OMISSIS-, inviata al ricorrente a mezzo casella PEC, con la quale è stato richiesto il pagamento della somma di Euro 42.436,67 per “prelievi latte” relativi all’annata 1996/97, “interessi”, nonché “Oneri di Riscossione”;
- nonché di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguente, anche se non conosciuto al momento della notifica del presente ricorso, compreso il ruolo indicato nella cartella impugnata, nella parte in cui detti atti, anche se non conosciuti, incidono nella sfera giuridica dell’azienda agricola ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2023 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in esame, l’azienda agricola odierna ricorrente impugna la cartella con cui, l’Agenzia delle Entrate, ha richiesto il pagamento delle somme dovute a titolo di prelievo supplementare sulla produzione di latte relativa all’annata 1996/97, oltre ai relativi interessi ed oneri di riscossione.
A tale fine essa ha dedotto:
1. violazione e falsa applicazione degli artt. 3 bis , 6, 6 bis e 6 ter del D.Lgs. n. 82/05, dell’art. 16 ter del decreto-legge n. 179/2012 convertito in L. n. 221/12, dell’art. 28 del decreto-legge n. 76/2020, convertito in L. n. 120/2020, dell’art. 3 bis della L. n. 53/94 e degli artt. 26 e 50 del D.P.R. n. 602/73, dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/73, le quali avrebbero determinato la nullità della notifica;
2. nullità e/o comunque illegittimità, propria e derivata degli atti impugnati, per nullità e/o comunque illegittimità comunitaria derivata dei provvedimenti di compensazione nazionale e di imputazione di prelievo supplementare;
3. nullità parziale della cartella e del ruolo per esposizione a debito di interessi in violazione e/o elusione del giudicato – violazione dell’art. 21-septies L. n. 241/90;
4. eccesso di potere per intervenuta decadenza di Agea per il recupero delle somme iscritte nel registro nazionale ex art. 25 d.P.R. n. 602/1973 (obbligo di notifica della cartella di pagamento entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto esecutivo): la mancata indicazione (e la mancata notifica) dell’atto presupposto nonché l’illegittima duplicazione del ruolo, precluderebbero, inoltre, la determinazione del momento di accertamento da parte dell’Amministrazione del debito imputato;
5. violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, Reg. (CE) n. 2988/1995, degli artt. 2943 e segg., dell’art. 2946 e dell’art. 2948, n. 4, c.c., degli artt. 1308 e 1310 c.c. e degli artt. 1, 3 e 21 bis , L. n. 241/90 e conseguente eccesso di potere per intervenuta prescrizione delle pretese di Agea per decorrenza del termine quadriennale ex art. 3, comma 1, del Reg. (CE) n. 2988/1995. In ogni caso, decorrenza del termine di prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., ovvero, in subordine, decorrenza del termine decennale ex art. 2946 c.c. per tutti gli importi intimati fino alla data di notifica della cartella;
6. violazione e falsa applicazione degli artt. 8 ter , 8 quater e 8 quinquies della L. n. 33/2009, degli artt. 633 e segg. e degli artt. 474 e segg. del c.p.c., degli artt. 10 e segg. del D.P.R. n. 602/73 e dell’art. 67 del D.P.R. n. 600/73, degli artt. 1, 3 e 21 bis della L. n. 241/90, nonché degli artt. 2, 3, 24 e 97 della Costituzione - eccesso di potere per violazione di procedimento e difetto di istruttoria, sviamento dell’interesse pubblico, illegittimità manifesta e manifesta ingiustizia, carenza assoluta di motivazione, violazione dei principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità nonché dei principi di uguaglianza, del diritto di difesa, del giusto procedimento, di partecipazione, di imparzialità e di buon andamento e trasparenza dell’azione amministrativa di cui agli artt. 2, 3, 24 e 97 della Cost. a causa dell’illegittima duplicazione del ruolo;
7. violazione di legge (art. 5 ter , Reg. (CE) n. 885/06, introdotto dall’art. 1, Reg. (CE) 1034/08, degli artt. 8 ter , 8 quater e 8 quinquies , L. n. 33/2009, dell’art. 10, comma 34, L. n. 119/03) ed eccesso di potere e difetto di motivazione della cartella e del ruolo a causa della mancata indicazione dei recuperi PAC effettuati, per mancata corrispondenza tra gli importi indicati nelle cartelle e gli importi indicati nel registro SIAN e nei registri degli organismi pagatori locali, nonché errata quantificazione degli importi dovuti a titolo di prelievo supplementare e di interessi, inesigibilità e mancanza di certezza in ordine a quanto dovuto per effetto della mancata considerazione degli importi trattenuti a titolo di contributi PAC;
8. carenza di motivazione per mancanza degli elementi essenziali: illegittimità per mancata indicazione nella cartella di pagamento degli atti di accertamento presupposti e della relativa data di notifica, atti che avrebbero dovuto essere notificati all’odierno ricorrente e che, invece, non sarebbero mai stati notificati, rendendo impossibile non solo la verifica degli importi intimati con gli atti di accertamento, ma anche se da tali importi sono stati trattenuti -per quali annate e se sul capitale o sugli interessi - i premi Pac compensati a partire dal dicembre 2006, nonché stabilire se gli importi siano stati accertati come dovuti con sentenza passata in giudicato (ai sensi degli artt. 8 ter , 8 quater e 8 quinquies L. n. 33/09);
9. Illegittimità della procedura di recupero, la quale sarebbe avvenuta in violazione degli artt. 8 ter , 8 quater e 8 quinquies della legge n. 33/09. Errata indicazione degli interessi, anche di mora, non ricorrendo le condizioni di cui all’art. 30 del DPR 602/73 e difetto di motivazione in ordine al termine di decorrenza degli stessi e comunque alla pretesa;
10. illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 21- bis e 21- septies , L. n. 241/90, dell’art. 10, comma 34, L. n. 119/2003, degli artt. 8- ter , 8- quater e 8- quinquies , L. n. 33/09, dell’art. 1, L. n 5/98, degli art. 1, 3 e segg., L. n. 241/90, dell’art. 7, L. n. 212/00 nonché dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 24 e 97 della Cost.. Con tale doglianza parte ricorrente ripropone, in sintesi e di seguito le ragioni di invalidità della cartella di pagamento, emessa in esito a un’illegittima procedura di recupero, errando nella quantificazione sia di capitale che di interessi, applicando gli interessi di mora anche se l’atto di intimazione del prelievo non è notificato al ricorrente e, dunque, senza motivazione, chiedendo la corresponsione di oneri di riscossione non dovuti.
In esito all’istanza cautelare, questo Tribunale, ha accolto la richiesta di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, nelle more della definizione della controversia.
In vista della pubblica udienza solo parte ricorrente ha depositato una memoria, nella quale ha ribadito la fondatezza del ricorso, insistendo in particolare sulla parziale caducazione degli atti presupposti, sulla prescrizione del credito e sull’efficacia del giudicato formatosi innanzi alla Corte di Giustizia in relazione al contrasto con il diritto comunitario della normativa nazionale.
Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La controversia, rientrante nel novero delle complesse e articolate vicende giudiziarie che riguardano l’imputazione e la riscossione dei prelievi supplementari sulla produzione del latte, attiene alla legittimità dell’atto con cui ADER - Agenzia delegata alla riscossione di tutti gli importi dovuti in relazione all’operare del sistema delle c.d. “quote latte” sulla scorta dei ruoli predisposti da AGEA – ha sollecitato il pagamento degli importi già asseritamente contestati con atto ex legge 33/09 Prot. n. AGEA.AGA.2018.0025542 del 02 ottobre 2018.
2. Fatta tale premessa, la definizione della controversia richiede, in primo luogo, una precisazione in ordine al fatto che la comunicazione effettuata ai sensi della legge 33/2009, Prot. n. AGEA.AGA.2018.0025542 del 02 ottobre 2018, che rappresenta l’atto presupposto rispetto a quello impugnato, che ne sollecita il pagamento, è stata impugnata avanti il TAR del Veneto con ricorso sub R.G. n. 2/19, definito con la sentenza n. 1611/2022, che ne ha dichiarato l’inammissibilità in ragione della natura collettiva e cumulativa dello stesso.
Ciò produce una pluralità di effetti sul gravame oggetto della presente pronuncia.
3. In primo luogo, preclude di definire la controversia accogliendo, così come avvenuto in numerosi casi analoghi, la censura volta a far valere l’intervenuta prescrizione del debito. La intimazione di pagamento del 2018, infatti, costituisce atto interruttivo, con la conseguenza che la prescrizione non può essere fatta valere nel giudizio in esame.
4. Parimenti preclusa è la possibilità di pronunciarsi su tutte le questioni inerenti la formazione del credito, in quanto la sede per la loro rappresentazione non poteva che essere il giudizio avente a oggetto l’invito al pagamento delle somme risalente al 2018 che costituisce l’atto presupposto della cartella di pagamento in esame, con la conseguenza che i relativi motivi di ricorso debbono essere ritenute inammissibili, in quanto tardivamente proposti.
Ne deriva la necessità di limitare l’esame delle doglianze a quelle che hanno a oggetto vizi propri della cartella notificata, secondo il principio affermato dalla Corte di Cassazione ( ex multis , Cass. civ., sez. VI, ord. n. 3743 del 2020), recentemente richiamato nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3910/2022, in cui si legge che “un'intimazione di pagamento riferita ad una cartella di pagamento notificata e non impugnata può essere contestata solo per vizi propri e non già per vizi suscettibili di rendere nulla od annullabile la cartella di pagamento presupposta”. Lo stesso deve necessariamente ritenersi in relazione a una intimazione di pagamento notificata e impugnata.
Nel caso in esame, dunque, debbono essere dichiarate inammissibili le doglianze che hanno a oggetto le questioni attinenti la quantificazione del prelievo dovuto, effettuata, come già più volte ricordato, da ultimo con la comunicazione ex legge 33/2009, rimasta insoluta e cioè:
- la censura n. 2, in cui si deduce l’illegittimità derivata della cartella impugnata da quella della intimazione di pagamento del 2018, che ha formato oggetto del giudizio Rg. n. 2 del 2019 definito nel senso sopra ricordato;
- la censura n. 3, in quanto la lamentata violazione del giudicato avrebbe dovuto essere tempestivamente dedotta impugnando l’atto con cui, nel 2018, sono stati nuovamente calcolati gli interessi sul prelievo di cui è preteso il pagamento dopo l’annullamento della precedente cartella;
- la censura n.5 attinente alla pretesa prescrizione del credito, di cui già si è detto;
- la censura n. 6, nella parte in cui sono dedotte la violazione delle garanzie procedimentali e il difetto di motivazione nella quantificazione dell’importo dovuto;
- la censura n. 9, relativa all’asseritamente erroneo calcolo degli interessi, anche di mora, dovuti sull’atto di imputazione del prelievo.
Tutte tali doglianze, in quanto specificamente rivolte avverso la quantificazione del debito, risultano essere tardivamente proposte con riferimento all’atto in esame, che costituisce il sollecito del pagamento di un credito la cui liquidazione è già stata chiesta nel 2018.
5. Una riflessione a parte merita l’errata indicazione degli estremi della comunicazione posta a base della cartella impugnata segnalata nelle premesse del ricorso.
Ciò risulta essere irrilevante ai fini della presente decisione, sia in quanto parte ricorrente non ha formulato degli specifici motivi di impugnazione al riguardo, sia in quanto i suddetti errori avrebbero potuto ridondare in un vizio della cartella se e nella misura in cui avessero comportato un vulnus al diritto di difesa del ricorrente, impedendogli di avere contezza dell’effettivo titolo posto a fondamento della cartella.
Al contrario, nel caso di specie parte ricorrente ha chiaramente mostrato di comprendere a quali intimazioni presupposte facesse riferimento la cartella, tanto da rammentare di averle impugnate nel ricorso Rg. n. 2 del 2019.
6. Si può, quindi, passare all’esame dei vizi propri della cartella, prendendo le mosse dal quarto motivo di ricorso, inerente l’asserita decadenza nella quale sarebbero incorse le Amministrazioni resistenti. A tale proposito, per un verso occorre dar conto dell’orientamento giurisprudenziale che nega la applicabilità dei termini decadenziali previsti dall’art. 25, D.P.R. n. 602 del 1973 anche alla riscossione della tipologia di crediti per i quali è causa (si veda al riguardo TAR Brescia, sez. II, 07 novembre 2022, n. 1106);per altro verso, anche laddove si ritenga astrattamente applicabile alla fattispecie in esame l’art. 25, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 602 del 1973, il termine decadenziale non risulta essere decorso nel caso di specie, poiché l’atto di “accertamento” – nel caso di specie rappresentato dall’atto di intimazione ex art. 8 quinquies , l. n. 33 del 2009 – al momento della notifica della cartella non era ancora divenuto “definitivo” perché, come detto, impugnato con ricorso Rg. n. 2 del 2019.
Pertanto il motivo di ricorso deve essere respinto.
7. Per quanto concerne la doglianza (la sesta, di cui una parte è già stata dichiarata inammissibile) relativa alla asserita duplicazione del ruolo, va richiamato l’insegnamento del Consiglio di Stato secondo il quale ‹‹l’iscrizione nel Registro Nazionale dei debiti di cui all’art. 8 ter , comma 1, della L. n. 33/2009, istituito presso AGEA, è equiparata all’iscrizione a ruolo delle somme dovute, ex art. 8 ter , comma 2, L. n. 33/2009;ma ciò non comporta che il debito venga riscosso due volte, né è indicativo di tale possibilità il richiamo (erroneamente interpretato dal ricorrente) contenuto nella cartella di pagamento alla legge n. 33/2009›› (Cons. Stato, sez. III, 12 luglio 2021, n. 5281).
Attualmente è unica la procedura di riscossione in corso, attivata mediante la cartella di pagamento impugnata.
Pertanto, il motivo di ricorso deve essere respinto.
8. Una precisazione preliminare richiede l’esame delle doglianze di cui ai nn. 7 e 8, aventi a oggetto l’illegittimità della quantificazione del debito dovuto senza tenere conto delle compensazioni PAC effettuate nei confronti del ricorrente.
La mancata considerazione delle riscossioni effettuate di fatto, operando delle compensazioni con i crediti PAC, rappresenta un vizio che può essere autonomamente dedotto anche con riferimento alla cartella di pagamento in esame, in quanto, a prescindere dal fatto che la stessa sia già stata formulata in relazione al precedente invito al pagamento, il debitore ben può dedurla anche come autonomo vizio del nuovo atto di riscossione, che ben avrebbe potuto chiarire la posizione del ricorrente rispetto alle compensazioni PAC operate nei suoi confronti.
Tali censure possono, quindi, rappresentare dei vizi propri della cartella oggetto di impugnazione e poiché attengono all’esatta quantificazione del debito, che implica l’esercizio di potere discrezionale, deve ritenersi sussistere la giurisdizione di questo Tribunale.
Ciò chiarito, il Collegio non può che ritenere (in linea con l’orientamento delineato dal giudice di secondo grado: cfr, da ultimo, la sentenza del Consiglio di Stato n. 3910/2022) che la questione sia stata dedotta in maniera del tutto generica, senza far emergere alcuna ragione specifica di invalidità dell’atto esecutivo, nonostante sia ben noto o comunque conoscibile, da parte del produttore, il dato relativo ai contributi non percepiti per effetto delle compensazioni che sarebbero state operate. Quelle formulate non possono, quindi, essere qualificate come “specifiche censure” ai sensi dell’art. 101 c.p.a..
Ne deriva la loro inammissibilità.
9. In ordine, infine, l’articolato motivo di impugnazione indicato con il nr. 10, occorre rilevare quanto segue.
9.1. In primo luogo, esclusa ogni valutazione in ordine all’eventuale illegittima adozione degli atti di intimazione presupposti alla cartella per la quale è causa – trattandosi di censure, come detto, inammissibili in questo giudizio – non emergono elementi di illegittimità nella procedura di recupero esperita dalla P.a. resistente.
9.2. In secondo luogo, la censura relativa agli importi a titolo di capitale e interessi indicati in cartella è in parte inammissibile laddove si rivolge alle determinazioni contenute nell’atto di intimazione presupposto, e in parte è infondata, perché generica e non provata, laddove concerne gli interessi maturati successivamente alla notifica dell’atto di intimazione presupposto alla cartella.
9.3. Per quanto concerne la contestazione inerente gli interessi di mora, la cartella fa riferimento all’atto di intimazione presupposto, da cui sono desumibili tutti i dati relativi al debito imputato anche relativamente agli interessi.
Sarebbe, dunque, stato agevole per il ricorrente, applicando il tasso di interesse indicato, calcolare se l’importo richiesto con la cartella fosse o meno corretto.
Irrilevante è, peraltro, l’indicazione nella cartella dell’art. 30, D.P.R. n. 602 del 1973, in ogni caso essendo dovuti gli interessi ex artt. 1282 e 1224 c.c. e non avendo parte ricorrente dedotto alcunché in ordine alla quantificazione corretta degli interessi in questione.
Va richiamato infine, il principio recentemente espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo il quale qualora la cartella ‹‹segua un atto prodromico nel quale sono già stati computati gli interessi per il ritardato pagamento, giova sottolineare che in tale evenienza la cartella di pagamento svolge la funzione di avviare la fase di riscossione coattiva dei tributi e, laddove la stessa faccia riferimento ad un atto che abbia già determinato, in base alla normativa di riferimento, il quantum reclamato a titolo di interessi - atto divenuto definitivo vuoi perché non impugnato, vuoi perché definitivamente confermato quanto alla sua legittimità in sede giudiziale o comunque ivi rideterminato in maniera in tutto o in parte difforme rispetto all'originaria richiesta di interessi formulata dall'Ufficio-, l'accertamento formatosi con riguardo all'obbligazione relativa agli interessi dovuti dal contribuente troverà corrispondenza nel ruolo che la cartella ordinariamente riprodurrà. Per tali ragioni la motivazione in simili evenienze - alla stregua di quanto previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3 - non imporrà alcun onere aggiuntivo al soggetto emittente la cartella, se non il riferimento - diretto e specifico -, all'atto fiscale e/o alla sentenza che lo ha reso definitivo, trovando la quantificazione degli interessi, quanto a decorrenza e modalità di calcolo, la sua fonte nell'atto prodromico. Siffatto obbligo motivazionale risulterà, pertanto, circoscritto all'esposizione del ruolo, del titolo costitutivo della pretesa e dell'entità del debito fiscale di interessi….Ne consegue che, in assenza di una ulteriore specificazione di una diversa tipologia di interessi richiesti rispetto a quanto già indicato a titolo di interessi nell'atto prodromico, la cartella di pagamento non dovrà che limitarsi ad attualizzare il debito di interessi già individuato in modo dettagliato e completo nell'atto genetico›› (Cass. civ. sez. un., 14 luglio 2022, n. 22281).
Anche alla luce di tale insegnamento, applicabile alla fattispecie in esame in considerazione del suo valore di regola di principio trasversale, la censura relativa agli interessi di mora deve essere respinta.
9.4. Infondata, poi, è anche la censura in ordine alla non debenza, per il recupero dei prelievi latte, degli oneri di riscossione, in considerazione del fatto che questi ultimi sono dovuti a prescindere dalla natura della pretesa oggetto di riscossione.
9.5. Infine, infondata è la censura relativa all’asserito difetto di motivazione della cartella di pagamento.
Come precisato dalla Corte di Cassazione, ‹‹nella cartella esattoriale non è indispensabile l'indicazione degli estremi identificativi o della data di notifica dell'accertamento precedentemente emesso, al quale sia stato fatto riferimento, essendo sufficiente l'indicazione di circostanze univoche che consentano l'individuazione di quell'atto, al fine di tutelare il diritto di difesa del destinatario rispetto alla verifica della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti (cfr. Cass., 11/10/2018, n. 25343)›› (Cass. civ., sez. VI, 04 marzo 2022, n. 72349).
Nel caso di specie, come detto, la cartella reca l’indicazione degli atti di intimazione ex l. n. 33 del 2009 che parte ricorrente ha dato conto di aver chiaramente individuato sia nel numero di protocollo corretto che nella data di notifica, tanto da precisare di averli impugnati con ricorso Rg. n. 2 del 2019.
In tal senso, non può profilarsi alcun difetto di motivazione in ordine alle somme esposte a titolo di capitale e di interessi: la cartella indica, da un lato, gli importi indicati negli atti di intimazione presupposti e, dall’altro lato, gli interessi successivi (quale attualizzazione dei precedenti), unitamente agli oneri accessori.
9.6. Nessun difetto di motivazione della cartella può riguardare altresì la questione dei premi PAC, in quanto, fermo quanto detto circa l’impossibilità di valorizzare quelli già maturati prima dell’adozione e notifica dell’atto di intimazione ex l. n. 33 del 2009, per quelli successivamente maturati sarebbe stato piuttosto onere di parte ricorrente dedurre e provare la sussistenza dello specifico relativo credito eventualmente non computato.
Pertanto, anche tale motivo di impugnazione deve essere respinto.
10. Per tutte le ragioni sin qui rappresentate deve, quindi, essere rigettata l’ultima doglianza che ripropone sinteticamente tutti i motivi di illegittimità già singolarmente affrontati.
11. Infine, per l’operare del principio della concentrazione, questo Tribunale è altresì tenuto a pronunciarsi anche sulla censura n. 1, con cui è dedotta la questione, normalmente riservata alla competenza del giudice ordinario, della nullità della cartella quale conseguenza della nullità della sua notifica.
In linea generale, va premesso che è principio consolidato quello secondo il quale qualunque vizio della notificazione è da considerarsi sanato ove risulti provato che il contribuente/destinatario abbia avuto piena cognizione dell’atto, entrato nella propria sfera di conoscenza. La funzione dell’attività di notifica, infatti, è quella di portare a conoscenza del destinatario l’atto che lo riguarda, per cui alcuna conseguenza può derivare da un eventuale vizio, allorquando quest’ultimo risulti superato dal raggiungimento dello scopo. E’ innegabile che l’azienda agricola ricorrente abbia avuto piena conoscenza dell’atto in questione, considerato che non solo lo ha regolarmente impugnato, esercitando in pieno il diritto di difesa, ma ha anche correttamente evocato in giudizio l’ente che lo ha emesso.
Peraltro, ciascun dominio PEC è attribuibile unicamente ad un soggetto e quello assegnato attualmente ad Agenzia Entrate Riscossione reca esattamente la denominazione del mittente non lasciando, quindi, spazio a fraintendimenti circa il soggetto da cui l’atto promana;la piena conoscenza del soggetto che ha assunto l’atto, peraltro, è chiaramente dimostrata dal ricorrente, come sopra già evidenziato, il quale ha correttamente gravato la cartella di pagamento in questione.
Le modalità seguite da Ader per la notifica del provvedimento gravato, conseguentemente, non possono ritenersi inficianti il provvedimento medesimo.
Il ricorso deve, quindi, essere respinto, atteso che le censure dedotte risultano essere in parte inammissibili e in parte infondate.