TAR Napoli, sez. III, sentenza 2021-10-28, n. 202106777

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2021-10-28, n. 202106777
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202106777
Data del deposito : 28 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/10/2021

N. 06777/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01996/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1996 del 2017, proposto da Umberto D’Aponte, nella qualità di Amministratore dell’esercizio commerciale Escopazzo s.r.l., rappresentato e difeso dall’avv. P Z, con domicilio fisico eletto presso lo studio di quest’ultimo in Napoli, Viale A. Gramsci, n. 19 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Cercola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. G P, con domicilio fisico eletto presso lo studio di quest’ultimo in Napoli, via F. Fracanzano, n. 31 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

“- Della Ordinanza n. 69 del 22.09.2016 successivamente notificata il 22.02.2017, con la quale il Dirigente dell’UTC del Comune di Cercola ha ordinato il “ ripristino dello stato dei luoghi ” delle opere eseguite in assenza del titolo autorizzativo presso l’esercizio pubblico “Escopazzo srl” sito in Cercola (NA) al Viale delle Azalee n. 6-8;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente, ivi compresa la relazione tecnica dell’U.T.C. prot. n. 7786 del 28.06.2016 e la diffida prot. n. 71 del 04.07.2016, richiamati nel provvedimento impugnato.”


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cercola;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2021 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente ricorso, notificato il 19 aprile 2017 e depositato il 18 maggio 2017, Umberto D’Aponte, nella qualità di Amministratore dell’esercizio commerciale Escopazzo s.r.l., ha chiesto l’annullamento della ordinanza n. 69 del 22 settembre 2016, notificata il 22 febbraio 2017, con la quale il Comune di Cercola ha ordinato il “ ripristino dello stato dei luoghi ” delle opere eseguite in assenza del titolo autorizzativo presso l’esercizio pubblico “Escopazzo s.r.l.” sito in Cercola (NA) al Viale delle Azalee n. 6-8, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale se ed in quanto lesivo dei suoi interessi, ivi compresa la relazione tecnica dell’U.T.C. prot. n. 7786 del 28 giugno 2016 e la diffida prot. n. 71 del 4 luglio 2016, richiamati nel provvedimento impugnato.

Il suddetto Comune ha disposto nei suoi confronti il ripristino dello stato dei luoghi relativamente alle seguenti opere: “ un dehors con struttura in alluminio, chiusura perimetrale in PVC e pavimento interno in legno. La dimensione del dehors in pianta è di mq. 45,36 (ml. 8,40 X ml. 5,40) per l’altezza di ml. 3,10 ed una cubatura di circa mc. 140,62 ”.

A sostegno del gravame sono state dedotte censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di Cercola eccependo l’inammissibilità del ricorso per nullità della procura ad litem , per la mancata apposizione di firma digitale alla procura ad litem e per la mancanza di firma digitale alla attestazione di conformità della procura stessa;
ha comunque dedotto l’infondatezza nel merito del gravame e ne ha chiesto, pertanto, il rigetto. Ha in particolare rappresentato che dalla relazione tecnica di accertamento di abuso edilizio del 28 giugno 2016, contenente ampia descrizione tecnica delle opere realizzate e riproduzione fotografica delle stesse, si evincerebbe senza ombra di dubbio che la struttura rilevata avesse tutte le caratteristiche del “dehors”, con chiusura laterale in pvc, ed addirittura pavimentata in legno;
la stessa sarebbe caratterizzata da una struttura in alluminio, chiusura perimetrale in pvc e pavimento in legno.

Parte ricorrente in data 6 settembre 2021 ha provveduto a depositare il ricorso con in calce la procura e comprensivo della notifica del ricorso stesso con l’attestato di conformità, in osservanza alle norme del processo amministrativo telematico, e in data 10 settembre 2021 ha prodotto una memoria con la quale in via preliminare ha eccepito la inammissibilità della costituzione in giudizio del Comune di Cercola, in quanto nella memoria difensiva di costituzione non sarebbe richiamata - né vi sarebbe tra i documenti allegati - alcun mandato e/o delibera di incarico ed ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

All’udienza pubblica del 12 ottobre 2021 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.

Il Collegio deve innanzitutto esaminare l'eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio del Comune di Cercola, sollevata da parte ricorrente con la memoria del 10 settembre 2021, in quanto nella memoria difensiva di costituzione non sarebbe richiamata - né vi sarebbe tra i documenti allegati - alcun mandato e/o delibera di incarico.

L'eccezione è infondata in fatto ed in diritto.

Ed invero, alla luce della giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio deve ritenersi che “ai sensi dell'art. 50, comma 2, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che riproduce l'art. 36 comma 1, l.n. 142/1990, il Sindaco, quale rappresentante legale dell'ente locale, è l'organo che lo rappresenta in giudizio, ed è legittimato a rilasciare e sottoscrivere la procura ai difensori dell'ente, senza che occorra alcuna deliberazione di autorizzazione alla lite da parte della Giunta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 luglio 2013, n. 3934;
sez. IV, 26 marzo 2013 n. 1700;
sez. V, sentenza 11 novembre 2011, n. 5961;
18 ottobre 2011, n. 5584;
21 gennaio 2009, n. 280;
26 ottobre 2006, n. 6399). Ed infatti, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, compete al Sindaco, senza alcun necessità di delibera della Giunta Comunale, conferire la procura alle liti al difensore del Comune, essendo allo stesso attribuita la rappresentanza dell'Ente, salva espressa e diversa statuizione dello Statuto comunale (cfr. T.a.r. Molise, Campobasso, I 18 luglio 2007, n. 611;
Cass. civ., sez. I, 17 maggio 2007, n. 11516;
T.a.r. Sardegna, Cagliari, sez. I, 7 luglio 2008, n. 1342).” (T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 19 febbraio 2019, n. 56).

Al riguardo anche la Corte di Cassazione ha precisato che “Nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione: salva restando la possibilità per lo statuto comunale competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (L. n. 142 del 1990, "ex" art. 36 e 35;
D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 6, comma 2, testo unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali) - di prevedere l'autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia: Cass. sez. un. 12868/2005;
186/2001).” (Cassazione Civile, sez. I, 20 marzo 2014, n. 6555).

“Nel caso di specie, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l’autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco. Quest’ultimo, infatti, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo 5^ della Parte 2″ della Costituzione dalla Legge Costituzionale 3/2001 nonché di quelle introdotte dalla L. n. 131 del 2003 con ripercussioni anche sull’impianto del D.Lgs. n. 267 del 2000, il cui art. 50 indica il sindaco quale organo responsabile dell’amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza dell’ente (ex multis Corte di Cassazione sentenza n. 21330/06).” (Corte di Cassazione, Sezione V Civile, 11 dicembre 2015, n. 24996).

Passando ad esaminare il caso di specie alla luce della sopra richiamata giurisprudenza l’eccezione deve ritenersi infondata innanzitutto in fatto in quanto la procura alle liti del Comune di Cercola richiama espressamente la determinazione dirigenziale dell’Ufficio Affari Legali n. 431 del 14 giugno 2017, depositata in giudizio ed espressamente elencata nel foliario, con cui si determina di affidare l’incarico di rappresentare e difendere gli interessi del Comune di Cercola nel presente ricorso all’avv. G P “ VISTA - La deliberazione di Giunta Comunale n 20/2016 con la quale sono stati stabiliti gli indirizzi disciplinanti l'affidamento degli incarichi legali;
- La determinazione n. 491/2016 di approvazione della lista degli avvocati del Comune di Cercola;
- La deliberazione di Giunta Comunale n 55/2017 del 7/6/2017 che ha prorogato la vigente lista degli avvocati;
ATTESO che l'incarico è conferito nel pieno rispetto degli altri principi stabiliti dalla Giunta Municipale con proprio atto n 20/2016;
RITENUTO pertanto, di incantare l'avvocato Parisi Gennaro, inserito nella lista degli avvocati - Sez. amministrativa…….
”.

L'eccezione è altresì infondata nel merito per mancanza di prova, in quanto parte ricorrente non ha provato che la procura fosse stata adottata in violazione della suddetta deliberazione di Giunta Comunale n 20/2016 e/o che lo statuto del Comune di Cercola contenesse espressa e diversa statuizione, tale da far ritenere illegittima la procura speciale alle liti del difensore di parte resistente.

Nel merito il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 7 e 10 della L. n. 241/1990, violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 10, 22, 31, 33 del d.P.R. n. 380/2001, violazione dell’art. 97 Cost., irragionevolezza, inesistenza dei presupposti, sproporzione, eccesso di potere, difetto di istruttoria e di motivazione.

A) Parte ricorrente lamenta che il Comune di Cercola ha contestato una serie di opere che, lungi dal costituire opere “realizzate in assenza di titolo autorizzativo” si sostanzierebbero - come si evincerebbe chiaramente dalla documentazione tecnica-fotografica che assume di allegare - nella realizzazione di una “tenda avvolgibile” - e non di un dehors come erroneamente verbalizzato, in quanto la copertura sarebbe costituita da un telo avvolgibile priva di chiusure laterali che non crea nuovi volumi e/o aumenti di cubatura e rientra, per caratteristiche strutturali, nel novero delle cd. strutture precarie.

B) L’ordinanza impugnata sarebbe altresì illegittima perché viziata da un insanabile deficit motivazionale;
dalla sua disamina emergerebbe la totale assenza di indicazioni normative a supporto del provvedimento ablatorio. Non sarebbe dato comprendere, invero, quale norma urbanistica – nazionale e/o comunale – sarebbe stata violata con la realizzazione della struttura per cui è causa.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che parte resistente ha disposto nei confronti del ricorrente il ripristino dello stato dei luoghi relativamente alle seguenti opere: “ un dehors con struttura in alluminio, chiusura perimetrale in PVC e pavimento interno in legno. La dimensione del dehors in pianta è di mq. 45,36 (ml. 8,40 X ml. 5,40) per l’altezza di ml. 3,10 ed una cubatura di circa mc. 140,62 ”.

Quanto alla consistenza delle opere, parte ricorrente sostiene che essa si evincerebbe dalla documentazione tecnica-fotografica che, tuttavia, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, non risulta allegata. Di contro il Comune resistente ha depositato la relazione tecnica di accertamento di abuso edilizio prot. n. 7786 del 28 giugno 2016, contenente la descrizione tecnica delle opere realizzate e la riproduzione fotografica delle stesse. In particolare dalla documentazione fotografica si evince ictu oculi che la struttura ha chiusura perimetrale e risulta pavimentata e determina indubbiamente un incremento volumetrico e di superficie.

Né può comunque condividersi l’assunto del ricorrente in forza del quale si tratterebbe di struttura precaria che, in quanto tale, non richiederebbe il permesso di costruire.

Ed invero la condivisibile giurisprudenza ha evidenziato che, al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario, che è condizione per l'accertamento della non necessarietà del rilascio del relativo permesso di costruire, occorre verificare la destinazione funzionale e l’interesse finale al cui soddisfacimento essa è destinata;
pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea, destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale, possono dirsi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti il permesso di costruire. Infatti, la precarietà o non di un'opera edilizia va valutata con riferimento non alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata, con la conseguenza che non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante, ed è legittima l'ordinanza di demolizione di opere che, pur difettando del requisito dell'immobilizzazione rispetto al suolo (cd. case mobili), consistano in una struttura destinata a dare un'utilità prolungata nel tempo;
in tale caso, quindi, deve escludersi la precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto è destinato, sicché va valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell'opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione che vi è stata data dai proprietari (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5804, Consiglio di Stato, sez. III, 12 settembre 2012, n. 4850).

La realizzazione di tali opere senza titolo edilizio è sanzionabile con l'ordine di demolizione (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 19 aprile 2018, n. 2596 e 30 maggio 2017, n. 2870;
T.A.R. Firenze, sez. III, 28 febbraio 2017, n. 312) che, nel caso di specie, deve pertanto ritenersi legittimamente adottato non potendo qualificarsi l’intervento per cui è causa quale struttura precaria, essendo il manufatto destinato ad un uso prolungato nel tempo, in quanto realizzato presso l’esercizio pubblico “Escopazzo srl”.

Inoltre nell’ordinanza impugnata parte resistente ha disposto il ripristino dello stato dei luoghi delle suddette opere per aver “ realizzato in contrasto con il regolamento vigente in materia di dehors….. e in assenza di titolo autorizzativo ”.

Pertanto anche la censura relativa al dedotto deficit motivazionale deve ritenersi infondata in quanto, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, parte resistente ha indicato il contrasto dell'intervento realizzato con il regolamento vigente in materia di dehors e nella suddetta relazione prot. n. 7786 del 28 giugno 2016, richiamata per relationem nel provvedimento impugnato, è chiarito che il contrasto concerne le dimensioni dell’opera in quanto è espressamente rappresentato che “ Dalla verifica dimensionale l’opera non rispetta il Regolamento vigente in materia di dehors ”.

Al riguardo si precisa che parte ricorrente, anche dopo la produzione in giudizio della relazione stessa da parte del Comune resistente, non ha dedotto specifiche censure in merito.

Sul fronte motivazionale l’atto si palesa legittimo per costante condivisibile giurisprudenza, anche di questa Sezione, in quanto i provvedimenti di repressione degli abusi edilizi sono atti dovuti con carattere vincolato e privi di margini discrezionali. Pertanto, ai fini dell’adozione dell’ordine di demolizione è sufficiente la mera enunciazione dei presupposti di fatto e di diritto che consentono l’individuazione della fattispecie di illecito e dell’applicazione della corrispondente misura sanzionatoria prevista dalla legge (TAR Campania, Napoli, Sez. III, 22 agosto 2016, n. 4088).

In proposito l'esercizio del potere repressivo delle opere edilizie realizzate in assenza del titolo edilizio mediante l'applicazione della misura ripristinatoria può ritenersi sufficientemente motivato (oltre che con l’indicazione del referente normativo a fondamento del potere esercitato), per effetto della stessa descrizione dell'abuso (T.A.R. Napoli, Sez. VI, 3 agosto 2016, n. 4017), esplicitante in dettaglio la natura e consistenza delle opere abusive riscontrate, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 9 agosto 2021, n. 5474 e 7 maggio 2021, n. 3073), elementi questi di cui non difetta l’impugnata ordinanza.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 7 e 10 della L. n. 241/1990, violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 10, 22, 31, 33, 34 e 37 del d.P.R. n. 380/2001, violazione dell’art. 97 Cost., irragionevolezza, inesistenza dei presupposti, sproporzione, eccesso di potere, difetto di istruttoria e di motivazione. Ad avviso di parte ricorrente, come sarebbe stato documentalmente provato in atti, le opere sanzionate, non comportando incremento dei volumi e/o superfici, risulterebbero sottratte al regime sanzionatorio ex art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 e, pertanto, l'amministrazione avrebbe dovuto procedere nelle diverse forme e modalità di cui agli artt. 34 e 37 del suddetto d.P.R..

Il motivo è infondato per la risolutiva circostanza che, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, come detto, come si evince dalla documentazione fotografica allegata alla relazione tecnica di accertamento di abuso edilizio prot. n. 7786 del 28 giugno 2016, l’intervento realizzato ha determinato incremento di volume e superficie.

Quanto all’assenza del titolo edilizio, nella medesima relazione, dopo aver indicato la consistenza delle opere, come sopra riportate, è altresì rappresentato “ Più in generale, l’immobile occupato dall’attività commerciale “Escopazzo cafè” ricade su aree riportate in catasto al fg. 3 p.lle 959,1030,1094 ed è interessato da vincolo paesaggistico ai sensi del D. l.vo 42/04 art. 146. Esso risulta realizzato con concessione edilizia n. 12/91 del 01/08/1995, successiva variante n. 11/99 del 12/06/2000 ove non è prevista la struttura realizzata e rilevata in loco ”.”.

Nella fattispecie, come correttamente valutato nell’istruttoria esperita dall’amministrazione, si è integrata la realizzazione di nuovi volumi e superfici, da ricondurre agli “interventi di nuova costruzione”, ex art. 3, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001, implicanti una trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio (peraltro in zona vincolata), come tale soggetta ai sensi del successivo art. 10, al rilascio del permesso di costruire (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 9 agosto 2021, n. 5474 e 7 maggio 2021, n. 3073 cit.), in mancanza del quale va ordinata la demolizione.

Con il terzo motivo di ricorso sono state dedotte le seguenti ulteriori censure:

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 7 e 10 della L. n. 241/1990, violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 10, 22, 31, 33, 34 e 37 del d.P.R. n. 380/2001, violazione dell’art. 97 Cost., irragionevolezza, inesistenza dei presupposti, sproporzione, eccesso di potere, difetto di motivazione, violazione del legittimo affidamento del ricorrente.

Parte ricorrente lamenta che dalla lettura dell’ordinanza oggetto di gravame non sarebbe dato comprendere le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali l’amministrazione ha ritenuto necessario ingiungere il ripristino dei luoghi ex art. 33 ( rectius 31) del d.P.R. n. 380/2001. In particolare lamenta che qualora, come nella fattispecie, sia decorso un notevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso edilizio, l'amministrazione avrebbe dovuto specificare la sussistenza dell'interesse pubblico alla eliminazione dell'opera realizzata o addirittura indicare le ragioni della prolungata inerzia, atteso che si sarebbe ingenerato un legittimo affidamento in capo al privato, mentre il provvedimento, sostanziandosi in formule generiche e di mero stile, sarebbe inidoneo a spiegare puntualmente le ragioni che, a distanza di tanto tempo, giustificano l’adozione di un provvedimento sanzionatorio.

Anche tale motivo è infondato.

Il Collegio deve innanzitutto richiamare la condivisibile giurisprudenza fatta propria dalla Sezione e dalla quale non ha motivo di discostarsi, la luce della quale ““L’ordinanza di demolizione di un abuso edilizio non richiede alcuna specifica motivazione, in quanto l'abusività costituisce di per sé motivo sufficiente per l'adozione della misura repressiva” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 02/12/2020, n. 5741) - accertamento effettuato ed adeguatamente documentato nel caso di specie - con l’ulteriore conseguenza che “Ai fini dell'adozione di un'ordinanza di demolizione di immobile abusivo, non è necessaria una esplicita motivazione in merito alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata” (T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 23/11/2020, n. 3137).

In definitiva, secondo condiviso orientamento giurisprudenziale, “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino” (Cons. di St., sez. VI, 03/11/2020, n. 6771).” - T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 17 marzo 2021, n. 1768.

Quanto alla ritenuta illegittimità del provvedimento impugnato perché privo di adeguata motivazione in ragione della risalenza, deve riassuntivamente considerarsi che, per principio consolidato, non è “ configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto ” (sentenza della Sezione del 18/5/2020 n. 1826, tra le molteplici dello stesso tenore;
da ultimo si è ribadito, con riferimento alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 17/10/2017 n. 9, che “ l'illecito edilizio ha carattere permanente, che si protrae e che conserva nel tempo la sua natura, e l'interesse pubblico alla repressione dell'abuso è in re ipsa. Non sussiste alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento col quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto, quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l'epoca della commissione dell'abuso e la data dell'adozione dell'ingiunzione di demolizione, poiché l'ordinamento tutela l'affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione di un'opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore contra legem (Cons. Stato, IV, 28 febbraio 2017 n. 908) ” - sentenze della Sezione 29 aprile 2021, n. 2833 e 7 aprile 2021 n. 2305.

Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere respinto.

Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico di parte ricorrente, nell’importo liquidato nel dispositivo.

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