TAR Firenze, sez. II, sentenza 2011-04-01, n. 201100569
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N. 00569/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00376/2008 REG.RIC.
N. 00942/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
A) sul ricorso numero di registro generale 376 del 2008, proposto da:
WWF ITALIA-Associazione Italiana per il World Wild Fund For Nature Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. F Z, con domicilio eletto presso l’avv. M Bandini in Firenze, via Cavour, 85;
contro
Provincia di Arezzo, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. M M, con domicilio ex lege presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli, 40;
nei confronti di
Chimet S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Roberto Alboni e Domenico Iaria, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Firenze, via de’Rondinelli, 2;
B) sul ricorso numero di registro generale 942 del 2010, proposto da:
WWF ITALIA-Associazione Italiana per il World Wild Fund For Nature Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. F Z, con domicilio eletto presso l’avv. Lucia Aglietti in Firenze, via Gino Capponi, 30;
contro
Provincia di Arezzo, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. M M, con domicilio ex lege presso la Segreteria del T.A.R. Toscana in Firenze, via Ricasoli, 40;
nei confronti di
Chimet S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Roberto Alboni e Domenico Iaria, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Firenze, via de’Rondinelli, 2;
per l'annullamento
A) quanto al ricorso n. 376 del 2008:
del provvedimento dirigenziale n. 195/EC emesso il 6 dicembre 2007 dal Dirigente del Servizio ecologia della Provincia di Arezzo, affissa all'Albo Pretorio dal 6 dicembre 2007 per quindici giorni consecutivi, con il quale si rilascia alla Società CHIMET SPA l'autorizzazione integrata ambientale fino al 5 dicembre 2015 per le attività ivi indicate, limitatamente alle tre di seguito specificate, condotte nell'impianto medesimo,:1) di eliminazione o di recupero di rifiuti pericolosi,concernente l'eliminazione degli oli usati, con capacità di oltre 10 tonnellate al giorno;2) di discarica che riceve più di 10 tonnellate al giorno o con capacità totale di oltre 25000 tonnellate, ad esclusione delle discariche per i rifiuti inerti;3) impianto di fusione e lega di metalli non ferrosi, compresi i prodotti di recupero, di tutti gli ulteriori punti del provvedimento che abbiano attinenza con le attività specificate, in particolare i punti 2,5,6,7,8,9,10,12,20,24, e di ogni altro atto, anche non conosciuto dal ricorrente, presupposto connesso e conseguente..
B) quanto al ricorso n. 942 del 2010:
del provvedimento dirigenziale n.51/EC (servizio ecologia) emesso il 16 marzo 2010 dal Segretario Generale della Provincia di Arezzo, affissa all’Albo Pretorio per 15 consecutivi, conosciuto, quindi dal ricorrente non prima del 2 aprile 2010, con il quale si rilascia alla società CHIMET SPA, meglio indicata sopra, l’autorizzazione integrata ambientale fino al 5 dicembre 2012 per le attività ivi indicate, limitatamente alle tre di seguito specificate, condotte nell’impianto medesimo,: 1) di eliminazione o di recupero di rifiuti pericolosi (punto 5.1 dell’allegato I del D.lgs. 59/2005), della lista di cui all’art.1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE quali definiti negli allegati IIA e IIB (operazioni R1, R5, R6, R8 ed R9) della direttiva 75/442/CEE e nella direttiva 75/439/CEE del consiglio del 16 giugno 1975, concernente l’eliminazione degli oli usati, con capacità di oltre 10 tonnellate al giorno, 2) di discarica che riceve più di 10 tonnellate al giorno o con capacità totale di oltre 25.000 tonnellate, ad esclusione delle discariche per i rifiuti inerti (punto 5.4 dell’allegato I del D.lgs. 59/2005), 3) impianto di fusione e lega di metalli non ferrosi, compresi i prodotti di recupero, con una capacità di fusione superiore a 4 tonnellate/ giorno per il piombo ed il cadmio o a 20 tonnellate/giorno per tutti gli altri metalli (punto 2.5 b) dell’allegato I del D.lgs. 59/2005), di tutti gli ulteriori punti del provvedimento che abbiano attinenza con le attività specificate e di ogni altro atto, anche non conosciuto dal ricorrente, presupposto, connesso e conseguente, in particolare la deliberazione della Giunta provinciale 15 marzo 2010 n.146.
Visti i due ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione nei due giudizi della Provincia di Arezzo e della Chimet S.p.A., con la relativa documentazione;
Viste le memorie difensive delle parti;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nell'udienza pubblica del 22 dicembre 2010 il Primo Referendario I C e uditi per le parti i difensori come specificato nel relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con un primo ricorso a questo Tribunale, notificato il 18 febbraio 2008, depositato il successivo 29 febbraio ed iscritto al n. r.g. 376/2008, l’associazione Wwf Italia chiedeva l’annullamento del provvedimento dirigenziale della Provincia di Arezzo del 6 dicembre 2007 con il quale era rilasciata alla Chimet spa autorizzazione integrata ambientale fino al 5 dicembre 2015 per le attività ivi specificate.
Ricostruendo la successione dei provvedimenti amministrativi che avevano consentito fino ad allora la gestione dell’impianto in questione in località B a P, l’associazione ricorrente lamentava, in sintesi, quanto segue.
“ 1) Violazione e mancata applicazione dell’articolo 5 legge regionale Toscana 3 novembre 1998 n. 79 in relazione al punto c) dell’allegato A1 di detta legge, dell’articolo 1 dpcm 10 agosto 1988 n. 377, comma 1, lettera i), dell’articolo 4 comma I° in relazione all’allegato I numero 9 della dir. N. 85/337/CEE del 26 giugno 1985, dell’articolo 42 dlgs 152/2006, dell’articolo 34 del d.lgs. 152/2006, dell’articolo 1 e 5 dir. 24 settembre 1996 n. 96/61/CE, dell’articolo 5, comma 12, del dlgs 59/2005” .
Il progetto dell’inceneritore in questione doveva essere sottoposto a procedimento di valutazione di impatto ambientale, unico strumento di effettiva tutela ambientale, da porsi come condizione di procedibilità per chiedere ed ottenere l’autorizzazione all’esercizio, senza alcuna possibilità di sanatoria “postuma” e configurando tale assenza un vizio genetico, permanente e continuato delle eventuali autorizzazioni che si sono succedute e si succedono. Tale conclusione era avallata dalle norme comunitarie esistenti al momento dell’emanazione dell’atto e direttamente applicabili, secondo costante giurisprudenza sul punto, nonché anche dal d.lgs. n. 152/06 e dal d.lgs. n. 59/05, in quanto non risultava la v.i.a. integrata nella procedura di a.i.a., il cui provvedimento finale era stato rilasciato prima della conclusione della valutazione ambientale.
“2) Eccesso di potere per mancanza dei presupposti di legge per l’emissione dell’autorizzazione integrata ambientale con riferimento all’assenza di valutazione di impatto ambientale, carente istruttoria sul punto”.
Nel provvedimento impugnato nulla si diceva in ordine alla mancanza di v.i.a. né poteva valere la considerazione in ordine al momento della sua prima autorizzazione, comunque posteriore all’entrata in vigore della l.r. n. 79/98 che esentava da v.i.a. solo gli impianti già autorizzati, anche sotto il profilo ambientale.
“ 3) Violazione ed errata applicazione dell’articolo 197 del d.lgs 152/2006, dell’articolo 19 del dlgs 18 agosto 2000 n. 267 e dell’articolo 20 del dlgs 5 febbraio 1997 n. 22. Violazione ed errata applicazione dell’articolo 1 d.lgs. 18 febbraio 2005 n. 59 e dell’articolo 1 e 5 della dir. 96/61/CE. Eccesso di potere per carente istruttoria sul punto”.
Per la normativa europea, a differenza dell’impostazione di quella italiana, anche gli impianti già autorizzati dovevano adeguarsi alle norme introdotte in materia di verifica di impatto ambientale e l’autorizzazione impugnata doveva quantomeno essere sospesa in attesa di una pianificazione territoriale in relazione alla problematica dello smaltimento di rifiuti in ambito provinciale.
“ 4) Violazione e mancata applicazione dell’articolo 4 e 6 della direttiva 2000/76/CE del 4 dicembre 2000, dell’articolo 4, 5 e 8 d.lgs. 133/2005, dell’articolo 3 della direttiva 96/61/CE e dell’articolo 3 dell’abrogata direttiva 75/442/CEE. Eccesso di potere per carente istruttoria sul punto” .
Non risultava che l’inceneritore autorizzato producesse energia nonostante le norme richiamate in epigrafe impongano tale necessità.
“ 5) Violazione dell’art. 7 del d.lgs. 59/2005 in relazione alle prescrizioni del d.lgs. 334/1999. Eccesso di potere per mancata istruttoria sul punto” .
Nel provvedimento impugnato non vi era traccia della valutazione delle prescrizioni ai fini della sicurezza e della prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti, nonostante l’impianto dia luogo a produzione e stoccaggio di materiali tossici.
“6) Violazione e mancata applicazione dell’articolo 5 comma 11 del dlgs. 59/2005. Eccesso di potere per carente istruttoria sul punto” .
Non risultavano acquisite le prescrizioni del sindaco di cui agli artt. 216 e 217 r.d. 1265/1934, ulteriore strumento per valutare il rischio ambientale, unitamente alla procedura di v.i.a. e alla pianificazione territoriale, tutti nel caso di specie assenti.
“ 7) Violazione ed errata applicazione dell’articolo 5 comma 1 del dlgs. 59/2005. Eccesso di potere per carente e contraddittoria istruttoria”.
Risultava la modifica al forno dell’impianto denominato “Tecnitalia” nel corso del 2001 senza alcuna comunicazione all’Amministrazione e dando luogo a modifica sostanziale per la quale doveva essere rilasciata anche specifica a.i.a.
“ 8) Violazione e mancata applicazione dell’articolo 5 del d.lgs. 5972005 sotto altro profilo: la mancata acquisizione delle risultanze della conferenza dei servizi. Eccesso di potere per carente istruttoria e per assenza e difetto di motivazione in relazione agli accertamenti iniziati e non ancora terminati ed alle prescrizioni sindacali sollecitate e non acquisite”.
Non risultavano, dalle conferenze di servizi, le necessarie prescrizioni sindacali in materia sanitaria e risultavano ancora in corso le risultanze urbanistico-edilizie, secondo quanto affermato dai rappresentanti dello stesso Comune di Civitella Val di Chiana in quella sede.
“ 9) Eccesso di potere per carente motivazione e contraddittorietà in relazione alle modalità di controllo delle emissioni”.
Risultava individuata una nuova emissione, contraddistinta dalla sigla AC005, che non poteva che far considerare l’attuazione di una modifica sostanziale.
“ 10) Violazione dell’articolo 13 del d.lgs. 1 maggio 2005 n. 133. Eccesso di potere per carente istruttoria”.
In ordine alle ceneri residue della combustione, non risultavano specificate le modalità di stoccaggio e/o trasporto.
“ 11) Violazione e mancata applicazione dell’articolo 4 dlgs 59/2005 e 8 dlgs 133/2005”.
Non era specificato in dettaglio se l’impianto in questione utilizzava in concreto le migliori tecniche disponibili (BAT) di settore, non essendo sufficiente un generico richiamo alle stesse.
Si costituiva in giudizio la Provincia di Arezzo, chiedendo la reiezione del ricorso.
Dato che l’Associazione ricorrente, su sua specifica domanda, risultava ammessa al patrocinio a spese dello Stato, l’Agenzia delle Entrate proponeva richiesta di revoca alla competente Commissione presso questo Tribunale che l’aveva disposta, la quale revocava il beneficio in questione in considerazione del reddito per l’anno 2007 riconosciuto in possesso della ricorrente.
Ne conseguiva che la ricorrente proponeva in data 9 giugno 2010 istanza di riammissione.
Nel frattempo la medesima Associazione, con un secondo ricorso notificato il 27 maggio 2010, depositato il successivo 9 giugno e iscritto al r.g. 942/2010 chiedeva l’annullamento del provvedimento dirigenziale provinciale con il quale, revocando la precedente, era rilasciata nuova a.i.a. alla Chimet spa per le attività riportate in epigrafe.
Ricostruendo nuovamente le premesse del contenzioso, l’associazione ricorrente lamentava, in sintesi, quanto segue.
“ Primo Motivo: Violazione e mancata applicazione dell’articolo 2 e 4 della direttiva comunitaria 27 giugno 1985 n. 85/337/CEE” .
Il progetto dell’inceneritore in questione doveva essere sottoposto a procedimento di valutazione di impatto ambientale, da considerarsi come condizione di procedibilità di quello, successivo, di a.i.a., per cui la relativa assenza si configurava come un vizio “genetico, permanente e continuato” dei provvedimenti che si sono succeduti. Né l’art. 43, comma 6, l.r. n. 12/2010 nel frattempo entrato in vigore poteva essere invocato laddove escludeva la necessità di v.i.a. per le autorizzazioni integrate ambientali invece previste anche per i procedimenti di rinnovo di autorizzazioni o concessioni per cui all’epoca del rilascio non era stata effettuata alcuna valutazione ambientale, dato che tale esclusione collideva con la norma comunitaria richiamata in epigrafe e direttamente applicabile, che invece sempre la imponeva.
“ Secondo motivo: Violazione ed errata applicazione dell’articolo 43 legge regionale toscana 12 febbraio 2010 n. 10, dell’articolo 5 dir. 15 gennaio 2008 n. 2008/1/CE, dell’articolo 2, lettera d), comma 1, del dlgs. 18 febbraio 2005 n. 59”.
L’impianto della Chimet spa non poteva considerarsi comunque “esistente”, ai sensi dell’art. 5 direttiva 2008/1/CE, in quanto alla data del 10 novembre 1999, individuata come limite dall’art. 2, lett. d), d.lgs. n. 59/05, non aveva ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni ambientali. Ne conseguiva che lo stesso non poteva essere sottoposto a semplice rinnovo ma a nuova procedura di a.i.a., la quale a sua volta doveva essere preceduta da v.i.a.
“Terzo motivo: Violazione e mancata applicazione dell’articolo 182 e 199 del dlgs 3 aprile 2006 n. 152 e della nota 14 al punto R1 dell’allegato II della dir. 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE”. Violazione e mancata applicazione dell’art. 7 della direttiva 2000/12/CE.
Tra le operazioni che si svolgevano nell’impianto in questione non potevano rientrare quelle contraddistinte con la sigla R1 (recupero con utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia), dato che la sua efficienza energetica non era uguale o superiore a 0,65 (per gli impianti autorizzati dopo il 31 dicembre 2008) secondo la disciplina direttamente applicabile pur se non ancora trasposta in testo legislativo italiano, della direttiva 2008/98/CE: infatti, la mancata produzione di energia da parte dell’impianto lo rendeva con efficienza energetica pari a zero. Inoltre, la Provincia di Arezzo non aveva considerato se lo smaltimento dei rifiuti era effettuato in condizioni di sicurezza né aveva considerato che la specifica localizzazione non era prevista in alcun piano nazionale, regionale o provinciale.
“Quarto Motivo: Eccesso di potere per mancanza dei presupposti di legge per l’emissione dell’autorizzazione integrata ambientale con riferimento all’assenza di VIA. Carente istruttoria sul punto”.
Nell’autorizzazione impugnata nulla si diceva in ordine alla mancanza di v.i.a. nonostante la Provincia conoscesse lo osservazioni sul punto fatte pervenire da altra società concorrente con la Chimet spa né si esaminava la problematica in ordine all’applicabilità dell’art. 43, comma 6, l.r. n. 10/2010 sopra evidenziata.
“Quinto motivo: Violazione ed errata applicazione dell’articolo 197 del dlgs 152/2006, dell’articolo 19 del dlgs 18 agosto 2000 n. 267. Violazione ed errata applicazione dell’articolo 1 dlgs 18 febbraio 2005 n. 59 e dell’articolo 1 e 5 della dir. 2008/1/CE. Eccesso di potere per carente istruttoria sul punto”
Il Piano interprovinciale di gestione dei rifiuti (ATO 7 Toscana Sud) non aveva individuato la zona dell’inceneritore Chimet tra i siti, anche privati, di gestione dei rifiuti tramite smaltimento e ciò, senza neanche il supporto di una procedura di v.i.a., doveva comportare la sospensione dell’a.i.a. almeno fino all’approvazione del Piano provinciale.
“ Sesto motivo: Violazione e mancata applicazione del piano straordinario Area vasta ATO 7, ATO 8, ATO 9. Eccesso di potere per carente istruttoria, carenza di presupposto e di motivazione.” .
Nel Piano straordinario in epigrafe non era indicato l’impianto Chimet e ciò contrastava con la conclusione per cui lo stesso era da considerarsi già esistente.
“Settimo motivo: Violazione dell’art. 7 del d.lgs. 59/2005 in relazione alle prescrizioni del dlgs. 334/1999. Eccesso di potere per mancata istruttoria sul punto.”
La produzione e stoccaggio di ceneri altamente tossiche e pericolose imponeva di considerare l’impianto sottoposto alla normativa in materia di rischi da incidenti rilevanti, ai sensi del d.lgs. n. 334/99.
“Ottavo motivo: Violazione e mancata applicazione dell’art. 5 comma 11 del Dlgs. 59/2005. Eccesso di potere per carente istruttoria sul punto” .
L’associazione ricorrente riproponeva le doglianze in ordine alla modifica del 2001 riguardante il forno denominato “Tecnitalia” e alla necessità di acquisire le prescrizioni del sindaco di cui agli artt. 216 e 217 del RD n. 1265/1934, fondamentali per la valutazione del rischio ambientale, unitamente a v.i.a. e pianificazione territoriale, pure assenti, però.
“Nono motivo: Violazione ed errata applicazione dell’articolo 5 comma 1 del dlgs. 59/2005. Eccesso di potere per carente e contraddittoria istruttoria”.
Riprendendo carenze già a suo tempo evidenziate nella precedente a.i.a. del 2007 in ordine alla modifica essenziale all’impianto apportata in relazione al forno “Tecnitalia”, l’Associazione ricorrente insisteva nel rilavare che essa doveva comportare una procedura di valutazione ambientale, ancora una volta ignorata dall’Amministrazione che aveva dato luogo a semplice rinnovo invece di nuovo rilascio.
“Decimo motivo: Violazione e mancata applicazione dell’articolo 5 del dlgs. 59/2005 sotto altro profilo: la mancata acquisizione delle risultanze della conferenza dei servizi. Eccesso di potere per carente istruttoria e per assenza e difetto di motivazione in relazione agli accertamenti iniziati e non ancora terminati ed alle prescrizioni sindacali sollecitate e non acquisite”.
Ribadendo che le prescrizioni sindacali in materia sanitaria non risultavano considerate già nella precedente conferenza di servizi del 2007, non risultavano espresse le determinazioni del Comune in ordine al controllo delle risultanze edilizio urbanistiche pure emerse i quella sede.
“Undicesimo motivo: Eccesso di potere per carente motivazione e contraddittorietà in relazione alle modalità di controllo delle emissioni”.
Risultavano autorizzate modifiche in ordine alla emissione contraddistinta dalla sigla AC005, da considerarsi nuova emissione, a conferma delle modifiche sostanziali riportate in relazione al su indicato forno.
“Dodicesimo motivo: Violazione dell’articolo 13 del dlgs. 11 maggio 2005 n. 133. Eccesso di potere per carente istruttoria ”.
L’autorizzazione impugnata nulla disponeva in ordine al trasporto e stoccaggio delle ceneri residue della combustione, non essendo sufficiente quanto indicato nell’allegato tecnico al provvedimento.
“ Tredicesimo motivo: Violazione e mancata applicazione dell’articolo 4 dlgs. 59/2005 e 8 dlgs. 13372005. Eccesso di potere per carente istruttoria consistente nel mancato controllo sulla rispondenza della gestione dei rifiuti nell’inceneritore di B a P alle migliori tecniche disponibili”.
Non era sufficiente il mero richiamo alle c.d. BAT (Migliori Tecniche Disponibili) ma l’Amministrazione doveva verificare in concreto, secondo la specifica scansione per ciascuna sezione prevista nelle linee guida comunitarie.
“Quattordicesimo motivo: V iolazione e mancata applicazione della direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE ed in particolare dell’articolo 23. ”
La normativa richiamata nel provvedimento impugnato si arrestava al dlgs. n. 133/2005 di trasposizione di una direttiva comunitaria ormai abrogata da altra, la 2008/98/CE, che pur non ancora trasposta si applicava direttamente nell’ordinamento, se non altro in relazione alle misure precauzionali e di sicurezza da prendere.
Si costituivano anche in questo giudizio la Chimet spa e la Provincia di Arezzo, rilevando l’inammissibilità e infondatezza del ricorso.
Anche in questa sede, l’associazione ricorrente proponeva ricorso avverso la decisione della Commissione per il patrocinio a spese dello Stato che aveva respinto la relativa istanza sulla base della mancata comprova del reddito fissato dall’art. 76 T.U. n. 115/02.
In prossimità della pubblica udienza del 22 dicembre 2010, tutte le parti costituite depositavano memorie (uniche) ad illustrazione delle proprie tesi difensive.
In particolare la Provincia, evidenziava - in relazione al contenuto del primo ricorso n. 376/2008 - che la Giunta provinciale, con deliberazione n. 535/2009, aveva concluso positivamente un procedimento di v.i.a. riguardante anche la disamina dell’attuale situazione dello stabilimento, concordato con il Governo Italiano, la Regione Toscana e la Comunità europea in seguito all’apertura di una procedura di infrazione sul punto, soddisfacendo la pretesa collegata al ricorso in questione. Inoltre, in seguito alla disposta revoca e sostituzione del provvedimento ivi impugnato con quello n. 51/C del 2010, il ricorso stesso poteva dichiarasi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Alla pubblica udienza del 22 dicembre 2010, quindi, le cause erano trattenute in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, dispone la riunione dei due ricorsi, attesa l’evidente connessione soggettiva e sostanzialmente oggettiva dei medesimi, al fine di deciderli con un’unica sentenza.
In secondo luogo, il Collegio conferma la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato dell’associazione ricorrente, in relazione al ric. n. 376/2008, e il relativo rigetto della domanda, in relazione al ric. n. 942/10.
Sostiene sul punto la ricorrente di non seguire scopi di lucro e che non solo l’attività principale ma anche quella connessa eventualmente esercitata, funzionalmente destinata a supportare la prima, non concorre a formare il reddito imponibile di detta Onlus, ai sensi delle condizioni di cui all’art. 119 d.p.r. n. 115/2002, da considerarsi norma eccezionale in quanto il trattamento che già spetta alle associazioni non abbienti, ai sensi dell’art. 74 d.p.r. cit., in forza di tale norma spetta anche a quelle abbiente a condizioni che non perseguano scopi di lucro e non svolgano attività economica, in quanto – come la ricorrente – Onlus e O.n.g.
In proposito, quindi, il Collegio richiama le norme citate le quali, rispettivamente, prevedono:
“ È, altresì, assicurato il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate .” (art. 74, comma 2); “ Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.628,16 ” (art. 76, comma 1);“ Il trattamento previsto per il cittadino italiano è assicurato, altresì, allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare e all'apolide, nonché ad enti o associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica ” (art. 119).
L’associazione ricorrente, in sostanza, sostiene che quest’ultima, in quanto norma “eccezionale” è la sola ad applicarsi alle associazioni non perseguenti scopo di lucro o non esercitanti attività economiche, che non vedrebbero applicata nei propri confronti la norma di cui agli artt. 74 e 76 cit. che pongono un limite reddituale.
Il Collegio non concorda con tale ricostruzione di parte.
In primo luogo appare condivisibile la conclusione del Tribunale di Milano, Sez. III, 14.12.2004, n. 739 richiamata anche dalla ricorrente, nella parte in cui si sostiene che ben si comprende che l’azione delle associazioni “no profit” possa essere agevolata sotto il profilo fiscale ma non che il legislatore esenti lo Stato dal pagare le spese processuali a quelle associazioni che godono di introiti superiori al limite di legge, specie quando quegli introiti derivano da versamenti degli associati corrisposti anche allo specifico scopo di tutelare in giudizio interessi diffusi.
In secondo luogo, proprio esaminando la struttura del testo normativo di riferimento, si rileva che la Parte Terza, intitolata “Patrocinio a spese dello Stato”, contiene al Titolo I le “Disposizioni generali sul patrocinio a spesse dello Stato nel processo…amministrativo…”. In tale ambito generale, il Capo I prevede l’istituzione del patrocinio stesso (artt. 74, sopra riportato, e 75) e il Capo II illustra le condizioni per l’ammissione al patrocinio (artt. 76, pure sopra riportato, e 77).
Ad avviso del Collegio – per quel che rileva nella presente sede – sono queste le norme generali applicabili per tutte le ipotesi di patrocinio. Seguono, poi, le “Disposizioni particolari sul patrocinio nel processo penale (tra cui l’art. 90 che prevede l’equiparazione dello straniero e dell’apolide), di cui al Titolo II e III, e le “Disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario”, di cui al Titolo IV, il quale, all’art. 119 comma 1, prevede nuovamente l’equiparazione dello straniero e dell’apolide.
Ne consegue che le “Disposizioni generali” di cui al Titolo I – comprese quelle sul limite reddituale - si applicano a tutte le forme di patrocinio mentre le “Disposizioni particolari” di cui al Titolo II e al Titolo IV si applicano, in aggiunta, rispettivamente al processo penale e a quello amministrativo, per quel che rileva nella presente sede.
Ciò è confermato dalla circostanza per la quale il legislatore ha inserito la norma sulla equiparazione dello straniero e dell’apolide tanto nel Titolo II quanto nel Titolo IV, a testimonianza del fatto che tali disposizioni si aggiungano ciascuna all’impianto generale che prevede l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato solo per soggetti non abbienti ai sensi dell’art. 76, comma 1, cit.
La norma di cui all’art. 119 cit., quindi, non può essere considerata norma eccezionale, rectius speciale, nel senso che si estranea da quanto la precede per disciplinare direttamente le ipotesi ivi previste, richiamando invece le precedenti.
Infatti, laddove l’art. 119, prima parte, afferma che “ Il trattamento previsto per il cittadino italiano è assicurato, altresì, allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare e all'apolide ”, non può che logicamente fare riferimento al “trattamento” di ordine generale previsto dagli artt. 74-76 citt., non riscontrandosi altrimenti logica in una disposizione che, se interpretata come norma “speciale” estraniata dal contesto generale che la precede, consentirebbe a stranieri regolari e apolidi una condizione migliore rispetto agli altri cittadini ai fini del patrocinio in questione, non considerando detta norma il reddito massimo invece indicato dall’art. 76 cit. Di conseguenza, anche la seconda parte dell’art. 119 in questione non può che essere interpretata secondo la medesima logica, nel senso che il beneficio in esame è esteso anche ad enti ed associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica – così come a stranieri regolari e apolidi – purchè rientrino, però, nei parametri generali di cui all’art. 76 cit.
Il Collegio, quindi, all’interpretazione propugnata dalla ricorrente, che privilegia il profilo “soggettivo”, ritenendo la mera qualifica di ente o associazione che non persegue scopi di lucro o esercita attività economica come idonea a consentire il patrocinio come richiesto, ritiene preferibile quella “oggettiva” che lega il beneficio in questione comunque alla dimostrazione del possesso di un reddito non superiore a quello indicato dall’art. 76 cit. anche per i soggetti indicati nell’art. 119 cit.
Né tale conclusione può ritenersi portatrice di una conclusione definita dalla ricorrente, nel suo specifico gravame nel ric. n. 942/2010, “aberrante” in quanto il WWF verrebbe “scoraggiato” a svolgere il proprio compito istituzionale, dato che lo scopo del patrocinio a spese dello Stato non è quello di “incoraggiare” soggetti portatori di specifici interessi, anche se collettivi e diffusi, ma di sopperire, appunto sotto un profilo oggettivo, alle carenze reddituale che non consentirebbero di provvedere ad una efficace difesa in sede giurisdizionale, ai sensi dell’art. 24 Cost.
Passando all’esame dei ricorsi, il Collegio deve esaminare, ancora preliminarmente, le eccezioni sollevate della Provincia di Arezzo in relazione alla relativa improcedibilità.
Per fare questo, però, è necessario ricostruire sinteticamente la successione degli ultimi provvedimenti che hanno consentito all’impianto della Chimet spa di operare.
Con provvedimento dirigenziale provinciale n. 250/EC del 31 dicembre 2003 era rilasciata l’autorizzazione quinquennale per l’esercizio dell’impianto in questione, per determinati quantitativi;con determinazione dirigenziale n. 112/EC del 24 agosto 2006, l’autorizzazione in questione era integrata in relazione ad ulteriori quantitativi massimi di rifiuti da smaltire e recuperare, pericolosi e non pericolosi. Successivamente, con determinazione dirigenziale n. 119/EC del 21 agosto 2007, l’autorizzazione in questione era integrata per ulteriori quantitativi massimi di rifiuti, fino al 31 ottobre 2007.
In data 6 dicembre 2007 era rilasciato il provvedimento dirigenziale provinciale n. 195/EC concernente autorizzazione integrata ambientale richiesta dalla Chimet spa in data 29 luglio 2004.
Solo tale ultimo provvedimento era impugnato dall’associazione ricorrente, con il ric. n. 376/2008, la quale rappresentava gli undici motivi di ricorso riassunti in narrativa, fondati essenzialmente sull’assenza di previa v.i.a., sulla carenza di attenzione alla normativa sanitaria e sui rischi rilevanti e sul mancato approfondimento della problematica delle ceneri volanti residue di combustione e dell’effettivo rispetto delle BAT. Tale provvedimento era poi integrato da altra determinazione dirigenziale n. 148/EC del 19 settembre 2008.
Nel frattempo, però, l’Amministrazione provinciale proseguiva la sua attività e adottava la deliberazione di Giunta provinciale n. 535 del 6 ottobre 2009 con cui - a fronte del progetto di ampliamento dello stabilimento in questione presentato dalla Chimet spa, ex art. 14 l.r. Toscana n. 79/98, in data 14 giugno 2006 - approvando il relativo parere del Nucleo di Valutazione, esprimeva parere negativo in merito alla compatibilità ambientale del progetto di ampliamento in questione ma dava atto, con riferimento all’esercizio dell’attuale stabilimento, sulla base dei contenuti e delle motivazioni del giudizio conclusivo dell’inchiesta pubblica svolta e della documentazione presentata, che il procedimento compiuto in sede di v.i.a. sull’esistente consentiva di confermare le autorizzazioni ambientali esistenti relative agli attuali livelli produttivi e di trattamento.
La Provincia, infine, avviava il relativo procedimento di riesame dell’a.i.a. già rilasciata, comunicando l’avvio del procedimento in data 15 ottobre 2009, cui seguiva la pubblicazione da parte della Chimet spa del relativo avviso su un quotidiano locale in data 29 ottobre 2009, la relativa conferenza di servizi nelle sedute del 5 e 20 novembre 2009, 17 dicembre 2009, 19 gennaio 2010, 2 febbraio 2010, e rilasciava nuova autorizzazione integrata ambientale con determinate prescrizioni con provvedimento dirigenziale n. 51/EC del 16 marzo 2010, precisando che “…il rilascio del presente atto comporta la revoca e la sostituzione del Provvedimento dirigenziale n. 195/EC del 6 dicembre 2007 e del Provvedimento n. 148/EC del 19 settembre 2008.”.
Tale provvedimento era poi oggetto di gravame da parte dell’associazione ricorrente, con ric. n. 942/2010.
Alla luce di tali premesse, il Collegio ritiene di condividere l’eccezione di improcedibilità del ricorso n. 376/2008 per sopravvenuta carenza di interesse.
Con tale gravame, infatti, il Wwf Italia chiedeva l’annullamento dell’autorizzazione integrata ambientale di cui al provvedimento dirigenziale n. 195/EC del 6 dicembre 2007, il quale, però, nelle more della decisione, è stato esplicitamente revocato e sostituito dal successivo provvedimento dirigenziale provinciale n. 51/EC del 16 marzo 2010.
Ne consegue che lo stesso, oggetto dell’esercizio del potere di autotutela, non è più vigente nell’ordinamento e la ricorrente non ha più alcun interesse alla decisione del relativo ricorso, essendo stata disposta la “revoca” (ex tunc) e la “sostituzione” del medesimo.
Ai fini della formula estintiva del gravame, poi, il Collegio ricorda di aver precisato di recente (TAR Toscana, sez. II, 9.12.10, n. 6718) che il giudice deve dichiarare la cessazione della materia del contendere qualora sopravvenga un provvedimento, pur di secondo grado, idoneo a far conseguire al ricorrente il medesimo risultato che egli, con l’azione giurisdizionale, richiedeva mentre deve dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse quando un successivo provvedimento di secondo grado ovvero un diverso provvedimento, pur rivalutando il rapporto sostanziale, non soddisfa integralmente la pretesa del ricorrente medesimo (TAR Sicilia, Pa, Sez. III, 14.12.09, n. 1911;Cons. Stato, Sez. V, 12.12.09, n. 7800).
Nel caso di specie proprio tale fattispecie si è manifestata, in quanto l’a.i.a. alla Chimet spa non è stata semplicemente revocata – con conseguente soddisfacimento dell’interesse sostanziale della ricorrente a non vedere esercitato l’impianto al fine di tutela ambientale diffusa – ma è stata sostituita con altro provvedimento di analogo contenuto, dopo riesame dei presupposti sostanziali e nuova e approfondita fase istruttoria, che rilascia nuova a.i.a., non dando luogo, così, a soddisfare la pretesa della ricorrente, che infatti ripropone molti dei motivi di ricorso già evidenziati nel precedente gravame.
Ne consegue, quindi, che il ricorso n. 376/2008 deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.
Le relative spese di lite possono essere compensate integralmente, proprio in virtù del successivo riesame sostanziale del rapporto controverso, oggetto del successivo provvedimento n. 51/EC del 16 marzo 2010.
Per quel che riguarda il ric. n. 942/2010, il Collegio ritiene che anche in questo caso l’esame del medesimo non possa superare, per buona parte, il vaglio delle eccezioni preliminari.
Risulta, infatti, che principalmente il primo, il secondo e il quarto motivo lamentano l’assenza di una procedura di valutazione ambientale precedente al rilascio dell’a.i.a. di cui al relativo provvedimento impugnato.
Ebbene, come sopra accennato, risulta invece che tale valutazione ambientale sia stata effettuata precedentemente al rilascio dell’a.i.a. in questione, in occasione della specifica domanda avanzata ex art. 14 l.r. n. 79/98 dalla Chimet spa in relazione al progetto di ampliamento, risanamento ambientale e riqualificazione paesaggistica dello stabilimento in questione.
Che la valutazione ambientale riguardava l’intero impianto e non soltanto le parti già modificate o da modificare era chiarito nel verbale della riunione tenutasi presso il Ministero dell’Ambiente in seguito all’ apertura di una procedura da parte della Commissione europea sul punto, in seguito ad esposti pervenutili, e nella nota del 9 maggio 2008 in cui la Provincia di Arezzo comunicava alla Chimet spa che l’attività istruttoria sarebbe stata condotta sulla totalità degli impianti, sia esistenti che derivanti dalle modifiche sostanziali richieste, con conseguente richiesta di invio di specifica documentazione integrativa sull’esistente da parte della Chimet spa.
Su tale domanda l’Amministrazione provinciale promuoveva una formale inchiesta pubblica, ai sensi dell’art. 15 l.r. n. 79/98, conclusa con parere del costituito Comitato secondo cui, pur esprimendosi negativamente in ordine alla domanda di v.i.a. per l’ampliamento, non risultavano in relazione agli attuali livelli produttivi e di trattamento situazioni di contaminazione tali da richiedere la chiusura degli impianti o anche riduzioni dei livelli produttivi e di trattamento attualmente autorizzati. Lo stesso Nucleo di valutazione dell’Amministrazione provinciale si esprimeva, condividendo le conclusioni del Comitato, anche sul procedimento di v.i.a. svolto sull’impianto esistente. Il tutto, poi, confluiva nella deliberazione della Giunta provinciale n. 535 del 6 ottobre 2009 la quale – come sopra richiamato – dava atto, con riferimento all’esercizio dell’attuale stabilimento, sulla base dei contenuti e delle motivazioni del giudizio conclusivo dell’Inchiesta Pubblica, che il procedimento svolto in sede di v.i.a. su quello esistente consentiva di confermare le autorizzazioni ambientali relative agli attuali livelli produttivi e di trattamento, ferma restando la necessità di procedere all’aggiornamento dell’a.i.a. già rilasciata, come poi avvenuto con il riesame, revoca e sostituzione di cui al provvedimento dirigenziale n. 51/EC del 16 marzo 2010.
Il Collegio rileva che la deliberazione di Giunta provinciale n. 535/09 non risulta impugnata dal Wwf Italia che, quindi, non può dolersi in sede di rilascio della nuova a.i.a. dell’assenza di procedimento di valutazione ambientale, se invece questo risulta effettuato. Se le modalità e le condizioni di svolgimento di tale procedimento non erano ritenute conformi alle disposizioni normative vigenti, era circostanza questa da farsi valere nei termini di decadenza chiedendo eventualmente l’annullamento di tale deliberazione giuntale ma non al momento di chiedere l’annullamento del conseguente provvedimento di a.i.a.
Poiché tale deliberazione di Giunta provinciale, facendo richiamo al contenuto delle conclusioni della relativa Inchiesta Pubblica, rassicura sulla assenza di situazioni di contaminazione tali da richiedere chiusura dell’impianto o anche solo riduzioni dei livelli produttivi e di trattamento in opera, l’interesse diffuso alla tutela ambientale rappresentato dall’associazione ricorrente risultava quindi soddisfatto da tale conclusione se, evidentemente, la medesima non aveva ritenuto di proporre gravame avverso tale deliberazione.
Ne consegue, quindi, l’inammissibilità del ricorso n. 942/2010 nella parte in cui lamenta assenza di procedimento di v.i.a., in quanto lo stesso risulta invece eseguito ed attestato da specifico provvedimento provinciale la cui legittimità non può essere posta in discussione nella presente sede in quanto non impugnato.
In relazione agli altri motivi di ricorso, non strettamente legati alla lamentata assenza di previa valutazione di impatto ambientale, si osserva quanto segue.
Il terzo motivo di ricorso lamenta che tra le operazioni di recupero che si svolgono nell’impianto non possono essere ricomprese quelle di cui alla sigla R1 nella lista di cui all’art. 1, par. 4, della direttiva 91/689/CEE quali definiti negli allegati II a e II B della direttiva 75/442/CEE (oggi 2008/98/CE).
Come però osservato anche nelle difese della Chimet spa, la medesima non è stata autorizzata per le operazioni R1, come si evince dalla tabella D riportata a pag. 42 dell’a.i.a. impugnata, per cui non si comprende da quali elementi di fatto l’associazione ricorrente abbia desunto che la Chimet spa dia luogo a tale tipo di operazioni.
Da qui l’inammissibilità – e comunque l’infondatezza in fatto – del motivo di ricorso.
Sul quarto motivo di ricorso si richiama quanto sopra rilevato in ordine alla lamentata assenza di v.i.a., rilevando che non risulta che nel provvedimento impugnato nulla si dice in proposito della mancanza di v.i.a., in quanto risulta chiaramente richiamata la deliberazione di Giunta n. 535/09 sopra evidenziata e la successiva fase istruttoria con le relative conclusioni, a conferma dell’esistenza di un riferimento al procedimento di valutazione di impatto ambientale nel senso sopra prospettato.
Inammissibili e infondati si palesano il quinto e il sesto motivo di ricorso con il quale è contestata la mancata previsione dell’impianto in questione tra quelli considerati nel piano interprovinciale gestione rifiuti ATO 7 Toscana Sud.
In merito il Collegio osserva che il carattere meramente programmatorio di tale strumento non può incidere sulla localizzazione di impianti già esistenti né sul contenuto dell’a.i.a., rivolta esclusivamente all’esercizio dell’impianto, fermo restando che la valutazione sulla localizzazione e conformità ambientale è già contenuta nel procedimento di v.i.a., nel caso di specie – per quanto illustrato – già effettuato e non impugnato nelle sue determinazioni conclusive poste a fondamento del provvedimento dirigenziale in questa sede oggetto di gravame.
Infondato è anche il settimo motivo di ricorso con cui si lamenta l’assenza delle prescrizioni di cui al d.lgs. n. 334/99.
In merito il Collegio osserva che – in disparte l’argomento relativo all’effettiva applicabilità all’impianto in questione delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 334/99 - il medesimo art. 7, comma 8, d.lgs. n. 59/05 applicato al momento del rilascio del provvedimento specificava che: “ Per gli impianti assoggettati al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, l'autorità competente ai sensi di tale decreto trasmette all'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale i provvedimenti adottati, le cui prescrizioni ai fini della sicurezza e della prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti sono riportate nella autorizzazione. In caso di decorrenza del termine stabilito dall'articolo 5, comma 12, senza che le suddette prescrizioni siano pervenute, l'autorità competente rilascia l'autorizzazione integrata ambientale e provvede al suo successivo aggiornamento, una volta concluso il procedimento ai sensi del decreto legislativo del 17 agosto 1999, n. 334. ”.
E’ evidente, quindi, che pur in assenza di tali prescrizioni l’a.i.a. è rilasciata – salvo successivo aggiornamento – con la conseguenza che tale assenza non può essere considerata motivo di illegittimità dell’autorizzazione in questione. Lo stesso quadro prescrittivo dell’a.i.a considera poi tale aspetto anche al fine di un attento profilo di monitoraggio per cui, sotto questo aspetto, la tutela dell’interesse diffuso riconducibile alla ricorrente appare osservata.
Infondato è anche l’ottavo motivo di ricorso in cui si lamenta la sussistenza di valutazioni edilizio-urbanistiche ancora in atto e la mancata acquisizione delle prescrizioni sindacali di cui agli artt. 216 e 217 RD n. 1265/34.
Sul primo punto il Collegio osserva che gli accertamenti in ordine alla conformità edilizia-urbanistica non rilevano sulla legittimità dell’autorizzazione integrata ambientale in questione, legata unicamente alle modalità di esercizio dell’impianto, fatto salvo l’autonomo potere sindacale in materia di vigilanza edilizio-urbanistica.
Sul secondo punto, il Collegio anche in questa occasione richiama il testo normativo di riferimento, di cui all’art. 5, comma 11, d.lgs. n. 59/05, che dispone, in merito, quanto segue: “ L'autorità competente, ai fini del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, acquisisce, entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell'annuncio di cui al comma 7, trascorsi i quali l'autorità competente rilascia l'autorizzazione anche in assenza di tali espressioni, ovvero nell'ambito della conferenza di servizi di cui al comma 10, le prescrizioni del sindaco di cui agli articoli 216 e 217 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, nonchè il parere dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici per gli impianti di competenza statale o delle Agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente negli altri casi per quanto riguarda il monitoraggio ed il controllo degli impianti e delle emissioni nell'ambiente. In presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio dell'autorizzazione di cui al presente decreto, il sindaco, qualora lo ritenga necessario nell'interesse della salute pubblica, chiede all'autorità competente di verificare la necessità di riesaminare l'autorizzazione rilasciata, ai sensi dell'articolo 9, comma 4 ”.
Appare chiaro, quindi, secondo quanto osservato in relazione al motivo precedente, che l’assenza delle prescrizioni sindacali – evidentemente ritenute non necessarie dal sindaco del Comune interessato nel caso di specie - non comporta l’illegittimità dell’autorizzazione, che può essere rilasciata trascorso il termine di legge, ferma restando la possibilità per il sindaco stesso di chiedere successivamente la verifica dell’autorizzazione rilasciata qualora lo ritenga necessario per l’interesse della salute pubblica.
Se poi l’associazione resistente intendeva contestare la mancata pronuncia del sindaco, il motivo si palesa inammissibile in quanto il ricorso non risulta notificato al medesimo e al Comune di Civitella Val di Chiana.
Inammissibile è invece il nono motivo, nuovamente orientato a lamentare assenza di v.i.a. in relazione alla modifica al forno “Tecnitalia”, ritenuta essenziale, in quanto – come sopra evidenziato – una procedimento di valutazione ambientale riguardante tutto l’impianto esistente si è tenuto e le relative risultanze non risultano impugnate.
Il decimo motivo riprende la doglianza relativa all’assenza di prescrizioni sanitarie e determinazioni in ordine alle risultanze edilizio-urbanistiche e quindi, sul punto, il Collegio non può che rimarcarne l’infondatezza per quanto sopra illustrato
L’undicesimo motivo si sofferma su ritenute incongruità della precedente a.i.a. del 2007 e, di conseguenza, la doglianza è inammissibile per quanto chiarito in precedenza, dato che tale provvedimento risulta integralmente sostituito da quello di cui al provvedimento n. 51/EC del 16 marzo 2010.
Come dedotto dalla Chimet spa nelle sue difese, poi, l’emissione AC005 risulta segmentata in due elementi, identificati quali AC001 e AC005, con conseguente qualificazione più analitica di una medesima emissione e non introduzione di una nuova.
Con il dodicesimo motivo la ricorrente lamenta la mancata osservanza della disposizione di cui all’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 133/05, secondo la quale: “ Il trasporto e lo stoccaggio di residui secchi sotto forma di polvere devono essere effettuati in modo tale da evitare la dispersione nell'ambiente, ad esempio utilizzando contenitori chiusi ”.
Non risulterebbe indicato l’impianto esterno di conferimento né risulterebbero chieste delucidazioni sul punto nel corso dell’istruttoria.
Il Collegio osserva in merito che la norma si riferisce essenzialmente ai soggetti incaricati del trasporto e che nel corso dell’istruttoria risultano acquisite documentazioni in ordine al miglioramento del sistema di inquinanti presenti nei fumi provenienti dai forni a griglia del Settore A con conseguente quadro di prescrizioni ad esso legati.
Inammissibile per genericità è poi il tredicesimo motivo di ricorso, ove la ricorrente non specifica quali migliori tecniche disponibili non siano state seguite, limitandosi ad affermare come astrattamente dovrebbe intendersi il richiamo alle BAT di settore.
Infine si rileva l’inammissibilità dell’ultimo motivo di ricorso, in quanto non risulta specificato dalla ricorrente quali misure precauzionali e di sicurezza siano state nello specifico tralasciate in relazione all’affermazione di cui alla direttiva 2008/98/CE – il cui termine di trasposizione era comunque fissato al 12 dicembre 2010 dal relativo art. 40, quindi successivamente all’adozione del provvedimento impugnato - in considerazione della valutazione della fase istruttoria e del quadro prescrizionale contenuto nel provvedimento impugnato.
Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso n. 942/2010 deve in parte essere dichiarato inammissibile e in parte infondato.
Le spese di questo giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.