TAR Bari, sez. I, sentenza 2021-10-08, n. 202101456

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. I, sentenza 2021-10-08, n. 202101456
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 202101456
Data del deposito : 8 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/10/2021

N. 01456/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00884/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 884 del 2021, proposto da
Clemente Engineering Service s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati B F, C T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di San Severo, non costituito in giudizio;

nei confronti

P P, rappresentato e difeso dagli avvocati R R, P C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

dell’ordinanza prot. n. 77 emessa il 31.5.2021 dal Dirigente Area V del Comune di San Severo, con cui è stata ingiunta la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad “ una finestra lucifera (avente dimensioni mt 1,57 x mt 0,60) ” realizzata, giusta SCIA prot, n. 1737 del 16.4.2019, nel fronte retrostante del fabbricato sito alla via Filippo D’Alfonso n. 86;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, ancorché non conosciuto e, in particolare, del verbale di accertamento dei VV.UU del 23.2.2021;
dell’ordinanza di sospensione dei lavori n. 12 del 17.2.2021;
della nota prot. n. 11020 del 23.4.2021, nonché di tutti gli ulteriori atti in essi richiamati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del sig. P P;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2021 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente proposto la società Clemente Engineering Service s.r.l., ha impugnato e chiesto l’annullamento dell’ordinanza prot. n. 77 emessa il 31.5.2021 dal Dirigente Area V del Comune di San Severo, con cui è stata ingiunta la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad “ una finestra lucifera (avente dimensioni mt 1,57 x mt 0,60) ” realizzata, giusta SCIA prot, n. 1737 del 16.4.2019, nel fronte retrostante del fabbricato sito alla via Filippo D’Alfonso n. 86;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, ancorché non conosciuto;
del verbale di accertamento dei VV.UU del 23.2.2021;
dell’ordinanza di sospensione dei lavori n. 12 del 17.2.2021;
della nota prot. n. 11020 del 23.4.2021, nonché di tutti gli ulteriori atti in essi richiamati.

In particolare, la ricorrente ha esposto:

- di essere comproprietaria di un edificio destinato a civile abitazione sito nel Comune di San Severo n. 86, il cui fronte retrostante confina con un terrazzino sottostante di proprietà del sig. P P (condotto in locazione dal Commissariato di Polizia) ed il cui piano di calpestio è posto all’altezza di parte del primo piano del fabbricato de quo;

- che con permesso di costruire n. 205 del 28.12.2005 il Comune di San Severo ha autorizzato i lavori di ristrutturazione dell’immobile controverso, tecnicamente consistenti in uno “svuotamento” e parziale demolizione delle murature perimetrali nelle parti pericolanti;
e che, in tale occasione, sarebbe stato accertato da parte dei tecnici del Genio Civile di Foggia nel verbale di sopralluogo del 17.10.2006 che il fabbricato “ è distaccato dai fabbricati contigui con appositi giunti tecnici di misura superiore al minimo di legge (…) Al momento risultano realizzate le strutture portanti, non si evidenziano difformità rispetto ai progetti depositati ” come richiesto dalla normativa antisismica;

- che il 16.4.2019 ha presentato al Comune di San Severo una SCIA, acquisita al protocollo n. 1737, avente ad oggetto “ lavori di manutenzione straordinaria consistenti nella demolizione di un tramezzo al piano primo;
realizzazione di due finestre lucifere all’altezza di m. 2,00 dal piano calpestio di dimensioni 1,50m x 0,55m sul prospetto;
tinteggiatura delle pareti interne
” ed ha proceduto alla realizzazione dei lavori indicati tra i quali l’apertura di una finestra lucifera posta sul prospetto retrostante del fabbricato, prospiciente il terrazzino del sig. P;

- che in data 1.12.2020 i la Polizia locale ha effettuato un sopralluogo all’interno della predetta unità immobiliare, in occasione del quale ha accertato “ la realizzazione di una finestra lucifera in legno/vetro con apertura vasistass verso l’interno e dall’alto verso il basso con vetro satinato delle dimensioni di mt. 1,55 per mt. 0,55 con altezza di metri 2,00 dal piano di calpestio ” (cfr. verbale prot. n. 5964 del 1.12.2020);

- che, a seguito del predetto sopralluogo, con ordinanza n. 12 del 17.2.2021 il dirigente dell’Area tecnica ha disposto la sospensione dei lavori, ritenendo necessario “ procedere ad un ulteriore sopralluogo dal lato esterno dell’immobile al fine di attestare la corrispondenza allo stato dei luoghi a quanto dichiarato nella S.C.I.A. medesima nonché la titolarità della proprietà del muro di confine ”;

- che in data 22 febbraio 2022 i Vigili Urbani hanno proceduto ad un secondo sopralluogo, accertando che “ la finestra lucifera è posta ad una altezza di mt 1,15 rispetto al piano di calpestio del terrazzo del Commissariato di P.S. La stessa disposta orizzontalmente presenta le seguenti misure: mt 1,57 x mt 0,60, mentre dista mt 0,60 dal muro di accesso del terrazzo. La finestra si presenta con telaio in alluminio e fissata esternamente con tasselli ”;

- che con nota prot. n. 11020 del 23.4.2021 il dirigente dell’Area tecnica ha invitato la ricorrente a fornire nel termine di 10 giorni “ documentazione probante la titolarità del muro oggetto d’intervento ” preavvertendo che in difetto “ di tale adempimento o della dichiarazione di assenso dei terzi titolari di diritti reali sul bene oggetto dell’intervento, si provvederà all’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi ”;

- che con nota del 30.4.2021 la ricorrente ha chiesto al Comune un differimento, per la produzione delle osservazioni procedimentali, di 30 giorni a far data dal 3/5/2021, e ciò a causa dell’indisponibilità dei propri consulenti (legale della società e tecnico di fiducia), avendo questi contratto l’infezione da Covid-19 (documentata): ma che tale richiesta non sarebbe stata riscontrata;

- che con ordinanza n. 77 del 31.5.2021 il dirigente dell’Area tecnica ha disposto la demolizione e il ripristino dei luoghi, quindi la chiusura della finestra lucifera, dando atto che la ricorrente non aveva prodotto riscontro alla nota prot. n. 11020 del 24.4.2021, “ trascorsi anche i termini della richiesta di proroga ”;

- che nella stessa data del 31.5.2021, ricevuta la notifica a mezzo pec, ha prodotto le osservazioni, a firma del legale di fiducia “ rappresentando, preliminarmente, la violazione delle garanzie procedimentali nonché delle regole di correttezza e buona fede, non avendo il Comune atteso lo spirare del termine per produrre osservazioni, così come da proroga tacitamente accordata su richiesta motivata della deducente, presentata in data 30.4.2021, prima di adottare l’ordinanza ingiuntiva ” (cfr. pag. 5).

A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:

1) violazione ed erronea applicazione degli artt. 19, comma 3, 4 e 6-bis e art. 21-nonies della legge n. 241/1990, in relazione all’art. 22 del DPR n. 380/2001;
inefficacia del provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 3, comma 8-bis della legge n. 241/1990;
violazione del principio del legittimo affidamento;
eccesso di potere per erronea presupposizione, erronea motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, ingiustizia manifesta.

Con tale motivo la ricorrente ha censurato la legittimità del provvedimento gravato in quanto “ la finestra lucifera sul prospetto retrostante l’immobile di proprietà della deducente è stata realizzata in conformità al progetto allegato alla SCIA assunta al prot. n. 1737 del 16.4.2019, i cui effetti si sono consolidati – in assenza di provvedimenti inibitori da parte del Comune, ai sensi dell’art. 19, co. 3, l. n. 241/1990 – alla data del 16.6.2019 ” (cfr. pag. 7) e, pertanto, l’Amministrazione comunale, ai sensi dell’art. 19, comma 4 e 6-bis, avrebbe dovuto esercitare il potere di autotutela rimuovendo gli effetti prodotti dalla SCIA – il tutto secondo la procedura e nel rispetto delle garanzie partecipative del privato previste dall’art. 21 nonies – prima di adottare l’ordinanza ingiuntiva oggetto di impugnazione.

2) Violazione ed erronea applicazione dell’art. 10 bis della legge 241/1990, dei principi di buona fede e leale collaborazione;
del principio del legittimo affidamento;
del principio del giusto procedimento;
eccesso di potere per erronea presupposizione, erronea motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, ingiustizia manifesta.

Con tale motivo la ricorrente ha censurato la legittimità dell’impugnato provvedimento perché adottato in violazione delle garanzie partecipative;
in sostanza si è lamentata di aver ricevuto l’ordinanza di demolizione in data 31.5.2021 nonostante avesse chiesto il differimento del termine per produrre osservazioni, in ragione della indisponibilità dei propri consulenti a predisporre gli atti necessari a dare riscontro alle richieste dell’ufficio tecnico.

3) Violazione ed erronea applicazione dell’art. 3, anche in relazione all’art, 21 nonies della legge 241/1990;
omessa valutazione delle ragioni di pubblico interesse;
violazione degli artt. 874 e 877, 880 e 903 del codice civile in relazione alla legge n. 1684/1962 e n. 64/1974;
eccesso di potere per erronea presupposizione, erronea motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, ingiustizia manifesta.

Con tale motivo la ricorrente ha censurato, in particolare, il difetto di motivazione dell’ordinanza di demolizione sotto il profilo della omessa valutazione delle ragioni di interesse pubblico.

Nel dettaglio, la ricorrente ha premesso che il provvedimento impugnato sarebbe “ frutto di un palese fraintendimento della normativa di natura pubblicistica e civilistica applicabile al caso di specie, sotto i plurimi profili ” (cfr. pag.11), tenuto conto che all’Amministrazione sarebbe precluso di entrare nel merito dei rapporti di vicinato, rientrando la presenza di eventuali diritti ostativi o la supposta pretesa di lesioni di diritti soggettivi - quali quelli di luce e veduta - nell’ambito delle controversie tra privati di competenza del giudice ordinario e non incidendo, tali questioni, sulla legittimità degli atti autorizzatori dell’esercizio dello jus aedificandi .

La ricorrente ha, poi, soggiunto che non vi sarebbero di ragioni di pubblico interesse all’annullamento del titolo edilizio e alla rimozione dell’opera.

Infine, la ricorrente ha evidenziato che l’ordine di ripristino sarebbe il risultato “ di un’istruttoria lacunosa e assolutamente parziale, risoltasi nell’acritica adesione, da parte del Comune, alle rivendicazioni del vicino confinante, del tutto prive di idoneo supporto probatorio ” in quanto “ il sig. P si sarebbe limitato a depositare “documentazione fotografica” da cui il dirigente avrebbe tratto il convincimento che il fronte retrostante del fabbricato di proprietà della deducente avrebbe la natura di muro in comunione con il sig. P ” (cfr. pag. 14), mentre “ la comunione del muro deve risultare da prove documentali ovvero conseguire all’accertamento in sede giudiziaria, dinanzi al Giudice civile ” (cfr. pag. 14).

Al contrario, la ricorrente ha evidenziato che “ sussistono evidenze documentali che il Comune avrebbe potuto rinvenire agevolmente agli atti d’ufficio (ma ciononostante completamente disattese), dalle quali emerge in maniera inconfutabile che il prospetto retrostante l’immobile di proprietà della deducente ” e che “ le due costruzioni risultano separate, stante l’inserimento tra la proprietà della deducente e quella del sig. P dei giunti tecnici prescritti dalla normativa antisismica ” (cfr., ancora, pag. 14), come accertato in sede di sopralluogo del 17.10.2006 ad opera dei tecnici del Genio Civile – Sezione di Foggia e dei Vigili Urbani in merito alla pratica edilizia di cui al permesso di costruire n. 205/2005.

Conseguentemente, la ricorrente ha censurato il provvedimento in quanto basato su un “ assoluto travisamento dei presupposti rispetto alle norme civilistiche applicabili alla fattispecie, sotto distinto e autonomo profilo ”, poiché, non trattandosi di un muro in comunione, sarebbe evidente “ l’assoluta legittimità della finestra lucifera realizzata dalla ricorrente, posto che, ai sensi dell’art. 903, comma 1, c.c. le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui ” (cfr. pag. 15).

4) Violazione ed erronea applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990;
degli artt. 901, 902 e 903 c.c.;
eccesso di potere per erronea presupposizione, erronea motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, ingiustizia manifesta.

Con tale motivo la ricorrente ha contestato, nel merito, l’illegittimità del provvedimento impugnato, dal momento che la luce aperta nel muro in questione rispetterebbe le tre condizioni previste dalla disciplina contenuta nell’art. 901 del codice civile il quale prevede che “ le luci che si aprono sul fondo del vicino devono: 1) essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati;
2) avere il lato inferiore a un'altezza (…) non minore di due metri se sono ai piani superiori;
3) avere il lato inferiore a un'altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa
”.

Si è costituito in giudizio il sig. P P (17.09.2021), il quale ha opposto che “ il Comune ha fatto buon governo del dettato normativo avendo emesso i provvedimenti tipizzati dalla norma e quindi, dapprima un’ordinanza di sospensione dei lavori (divieto di prosecuzione delle attività) e una successiva ordinanza di demolizione e rimessione in pristino (ordine di eliminazione degli effetti dannosi prodotti) ” (cfr. pag. 10), e che, dunque, l’ordinanza gravata non sarebbe stata soggetta all’adozione di un preventivo atto di annullamento d’ufficio degli effetti della SCIA;
ha soggiunto che, sebbene il provvedimento gravato sia stato adottato dopo la scadenza del termine di cui all’art. 21 nonies della legge 241/1990, nella fattispecie ricorrerebbero le condizioni previste dal comma 2 bis della medesima norma, trattandosi di un titolo abilitativo (la SCIA) conseguito sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci;
ha evidenziato che “ nessuna violazione è da imputarsi al Comune di San Severo in quanto le garanzie partecipative sono state rispettate ed i termini indicati dall’art 10 bis della L. 241/1990 devono farsi decorrere dalla data del provvedimento di sospensione del 17 febbraio 2021 (…) e non da quello indicato nel ricorso introduttivo del 23 aprile 2021 per il quale la ricorrente ha richiesto un rinvio per motivi di salute ”(cfr. pag.15);
ha opposto che l’ordinanza è sorretta da ragioni di interesse pubblico che, nel caso di specie, “ è relativo alla veridicità della dichiarazione contenuta nella SCIA del 16 aprile 2019 ” , poiché questa “ reca una dichiarazione non vera in ordine alla titolarità del muro a confine sul quale avrebbero dovuto aprirsi le due finestre ” e “ contiene altro elemento non vero in ordine alla rappresentazione della situazione dei luoghi che viene esposta mediante la planimetria allegata nella quale volutamente si omette di esporre alla P.A. che le aperture dovranno essere effettuate su un terrazzo di proprietà altrui ” (cfr. pag. 17);
ha eccepito l’infondatezza dell’ultimo motivo di ricorso, evidenziando che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, nessuna delle tre condizioni previste dall’art. 901 c.c. risulterebbe soddisfatta.

All’udienza in Camera di Consiglio del 22 settembre 2021 il Collegio ha avvisato i difensori delle parti costituite della possibile definizione della controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo e, non avendo registrato opposizioni, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto, sebbene con le precisazioni contenute in motivazione.

Coglie nel segno, in particolare, il primo motivo di ricorso.

Secondo la disciplina edilizia l’Amministrazione procedente, nell’ambito del rapporto originato dalla presentazione della SCIA, dispone di un potere inibitorio esercitabile nel termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della segnalazione, e ciò nel caso in cui rilevi, nell’ambito della verifica che le compete, l’insussistenza dei requisiti normativi per la realizzazione dei lavori.

Spirato il termine per l’esercizio di tale potere, residua non solo il potere di vigilanza, prevenzione e controllo previsto dalla disciplina in materia di repressione degli abusi edilizi e non soggetto a limiti temporali, ma anche, ai sensi dell’art. 19, comma 4 della legge 241/1990, il potere di adottare “ i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21 nonies ”.

Sul punto, occorre rilevare che già il Consiglio di Stato, nell’esprimere un parere su tale norma (30 marzo 2016, n. 839), in origine prevista dallo schema del decreto legislativo di attuazione della delega di cui all’articolo 5 della legge n. 124/2015, ha chiarito che, sebbene l’art. 19, comma 4 della legge 241/1990 richiami l’art. 21 nonies, il potere disciplinato da tale norma in materia di SCIA “ non può più definirsi di ‘autotutela’ in senso tecnico poiché l’autotutela costituisce un provvedimento di secondo grado ed esso appare impossibile nel caso di specie, dove il provvedimento iniziale manca del tutto ”. E che, pertanto, l’art. 21 nonies detta per la SCIA la disciplina di riferimento per l’esercizio successivo del potere amministrativo: un potere inibitorio, repressivo o conformativo da esercitarsi solo “ in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies ” – e quindi soggetto a motivaizone circa le ragioni di interesse pubblico e gli interessi dei destinatari e dei controinteressati – oltre che, ovviamente, entro un “ termine ragionevole ”, che deve essere “ comunque non superiore a diciotto mesi ”, il tutto per adottare il relativo provvedimento definitivo. Ciò sembra trovare riscontro anche nella lettera del comma 4 dell’art. 19, che nella nuova versione non fa più riferimento a “ provvedimenti di autotutela ”, bensì ai “ provvedimenti previsti dal comma 3 ” (ovvero agli interventi inibitori, repressivi o confermativi): il richiamo al 21 nonies è operato per rimandare alle “ condizioni previste ” in quella sede, a conferma che si tratta di una disciplina generale di riferimento, non della combinazione di due modelli tra loro incompatibili.

Da ciò consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, nell’esercizio del potere di cui al predetto comma 4 l’Amministrazione non deve e non può procedere all’annullamento d’ufficio della SCIA, atteso il carattere non provvedimentale della stessa, ormai pacifico dopo che il legislatore, con il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, aderendo alla tesi della natura privatistica statuita dall’Adunanza Plenaria n. 15/2001, ha introdotto nell’art. 19 il comma 6 ter che sancisce che “ la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili ”.

L’amministrazione resistente, nell’esercizio del potere di cui al comma 4, ha quindi correttamente evitato di annullare d’ufficio la SCIA, ma ha, piuttosto, ritenuto di adottare i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21 nonies.

Difatti, l’art. 19, comma 3 l. 241/90 dispone che l’amministrazione “ adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l’attività si intende vietata ”.

Per questo, in forza di tale norma, la resistente ha prima disposto con ordinanza n. 12 del 17.2.2021 la sospensione dei lavori e, solo successivamente, con ordinanza n. 77 del 31.5.2021 ha ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi.

Ciò premesso, è necessario in ogni caso verificare che il provvedimento gravato sia stato adottato nel rispetto delle condizioni previste dall’art. 21 nonies per l’esercizio dei poteri di autotutela, poiché “ deve considerarsi illegittima l’adozione, da parte dell’Amministrazione comunale, del provvedimento repressivo-inibitorio di una S.C.I.A. già consolidatasi, oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della medesima e senza le garanzie e i presupposti previsti dall’ordinamento per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio ” (cfr., tra le tante, TAR Puglia – Bari, 9 marzo 2020, n. 371).

Occorre, cioè, verificare se il provvedimento sia stato motivato sulle ragioni di interesse pubblico e sugli interessi dei destinatari e dei controinteressati, oltre che entro un termine ragionevole, che deve essere “ comunque non superiore a diciotto mesi ”.

Per ciò che concerne il dies a quo , come disposto dall’art. 2, comma 4 del d.lgs. 222/2016, “ nei casi del regime amministrativo della Scia, il termine di diciotto mesi di cui all'articolo 21 nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990, decorre dalla data di scadenza del termine previsto dalla legge per l'esercizio del potere ordinario di verifica da parte dell'amministrazione competente ”.

Nel caso di specie il termine di trenta giorni prescritto dalla legge è spirato il 16.5.2019 e, conseguentemente, i diciotto mesi sono scaduti il 23.2.2021.

Peraltro, va ricordato che “ il termine va riferito alla compiuta adozione degli atti di autoannullamento o, nel caso della SCIA, degli atti inibitori, repressivi o conformativi ” (cfr. Consiglio di Stato, Comm. Sp., 30 marzo 2016, n. 839), dovendo l’Amministrazione aver emanato già l’atto inibitorio entro diciotto mesi e non essendo sufficiente la mera comunicazione di avvio del procedimento.

Ma il provvedimento impugnato è stato adottato il 31.5.2021 (quasi tre mesi dopo lo spirare del predetto termine);
è chiaro, dunque, che l’Amministrazione ha provveduto ben oltre il termine di diciotto mesi sull’esposto/diffida del controinteressato.

Sul punto va chiarito che sussiste pacificamente l’obbligo dell’Amministrazione comunale di provvedere sull’istanza formulata dal proprietario dell’immobile confinante, tuttavia tale obbligo di provvedere non la legittima all’esercizio dei poteri inibitori senza limiti temporali, dovendosi bilanciare la tutela dell’affidamento medio tempore ingenerato nel destinatario dell’azione amministrativa con esigenze di tutela giurisdizionale del terzo (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610;
TAR Campania – Salerno, 8 gennaio 2020 n. 18).

In sostanza, “ decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue ” (cfr. Corte Costituzionale, 13 marzo 2019, n. 45).

Dunque, sebbene il controinteressato abbia sollecitato entro i diciotto mesi l’esercizio del potere di cui all’art. 19, comma 4 della legge 241/1990, resta pacifico il ritardo da parte dell’Amministrazione nel provvedere.

Quanto all’applicabilità del comma 2 bis dell’art. 21 nonies al caso di specie, va chiarito che per consolidata giurisprudenza la norma in questione è applicabile “ a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l'accertamento definitivo in sede penale;
b) sia nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all'Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso – non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva – si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco (cfr. in termini Consiglio di Stato sez. V, 27/06/2018, n. 3940)
” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 4 febbraio 2019, n. 849).

Ma nel caso di specie la falsa dichiarazione, presuntivamente dedotta da parte del controinteressato, consisterebbe nella circostanza che nella SCIA del 16.4.2019 la ricorrente avrebbe dichiarato che le opere da realizzare non avrebbero riguardato parti comuni.

Ora, ad avviso del Collegio non può affatto rilevarsi una falsa dichiarazione della ricorrente, dal momento che è controversa la titolarità del muro sul quale l’opera è stata realizzata e, difatti, anche nella stessa ordinanza impugnata si è dato atto che “ lo stesso è stato indicato in procedimenti diversi sia in comproprietà che di proprietà esclusiva ”.

Pertanto, posto che per ottenere il riconoscimento della comproprietà del muro sul quale la finestra è stata aperta il controinteressato dovrebbe rivolgersi al giudice ordinario, non possono essere affermati, nella presente fattispecie, i presupposti per l’applicabilità dell’art. 21 nonies, comma 2-bis che consentirebbe di adottare i provvedimenti inibitori e repressivi di cui all’art. 19, comma 3 anche dopo il decorso dei diciotto mesi di cui all’art. 21 nonies, comma 1.

Peraltro, l’ordinanza gravata non può essere considerata espressione dei poteri di vigilanza e repressione degli abusi edilizi che, invece, non sono sottoposti ad alcun termine.

Difatti, il potere di vigilanza e sanzionatorio che spetta alla P.A. in base all’art. 27 TUED può esercitarsi nei casi in cui l’opera si presenti difforme dal progetto o il progetto sia inadeguato e non conforme.

Tuttavia, l’ordinanza impugnata non ha minimamente motivato in ordine alla difformità delle opere realizzate rispetto alle modalità esecutive fissate nella SCIA, ma solo in ordine alla circostanza che “ l’intervento è stato realizzato in assenza di assenso dei terzi titolari di diritti reali sul bene oggetto di intervento ” e riportando che il verbale di accertamento prot. n. 5964/2020 del 1.12.2020 e il successivo del 23.2.2021 avrebbero accertato che l’apertura praticata “ è posta ad un’altezza “MT 1,15 rispetto al piano di calpestio del terrazzo del commissariato di Pubblica sicurezza di altra proprietà ”.

Neppure risulta motivata, l’impugnata ordinanza, in merito alla comparazione tra le sussistenti ragioni di interesse pubblico che giustificherebbero il ripristino dello stato dei luoghi e l’interesse del privato coinvolto e sacrificato.

Il che, ulteriormente, denota l’illegittimità del provvedimento, che merita di essere annullato sull’assorbente primo motivo.

La complessità delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle spese processuali.

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