TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2014-10-08, n. 201405162

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2014-10-08, n. 201405162
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201405162
Data del deposito : 8 ottobre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00039/2008 REG.RIC.

N. 05162/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00039/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 39 del 2008, proposto da:
C A, rappresentato e difeso dagli avv. D B, V I, M R A, con domicilio eletto in Napoli, alla via Chiatamone, 23 presso lo studio legale Sgobbo;

contro

Comune di Anacapri, in persona del legale rappresentante pro – tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento n. 15085 del 12/10/2007 di rigetto istanza di concessione edilizia in sanatoria

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2014 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il gravame in epigrafe il ricorrente impugna il provvedimento (15085 del 12.10.2007) con cui il Comune di Anacapri ha respinto l’istanza di sanatoria, prot.llo 9372 del 21.6.2006, avente ad oggetto le seguenti opere abusivamente realizzate alla via Pero:

- corpo di fabbrica di superficie pari a m 53,70 e di volume pari a mc 154;

- area cortilizia di circa mq 12,80;

- viale di circa 15 mq;

- struttura in ferro sorreggente una copertura zincata di superficie pari a 18 mq, alta mt. 2,30;

- elementi in lamiera costituenti parte della baracca oggetto di autorizzazione temporanea prot. 2990/91 dell’8.4.91.

L’avversato provvedimento reiettivo riposa sulle seguenti circostanze ostative:

1) irricevibilità della domanda ai sensi dell’articolo 9 del locale regolamento edilizio, in quanto non supportata da conferente documentazione, sebbene richiesta;

2) non conformità dell’intervento con il regime urbanistico - zona P (area a verde agricolo) del PRG e zona P.I. (protezione integrale) del PTP - che non consente incrementi volumetrici.

Avverso tale atto, con il gravame in epigrafe, il ricorrente ha articolato le seguenti censure:

1) violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento;

2) mancata ricezione della richiesta di integrazione della documentazione;

3) mancata acquisizione dei pareri della CEI e della C.E.

Il Comune di Anacapri non si è costituito in giudizio.

All’udienza del 24.9.2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

L’ambito cognitivo del presente giudizio verte sulla legittimità del provvedimento con il quale Comune di Anacapri ha respinto l’istanza di sanatoria, prot.llo 9375 del 21.6.2007, avente ad oggetto le opere abusive sopra descritte nella narrativa in fatto.

Il suindicato atto reiettivo riposa su due distinte circostanze ritenute dal predetto Ente ostative alla concessione dell’invocata sanatoria:

1) l’irricevibilità della domanda ai sensi dell’articolo 9 del locale regolamento edilizio, in quanto non supportata da conferente documentazione, sebbene richiesta;

2) la non conformità dell’intervento con il regime urbanistico - zona P del PRG e zona P.I. del PTP - che non consente incrementi volumetrici.

Tanto premesso, mette conto evidenziare che, ad una piana lettura dell’atto impugnato, emerge, con particolare nitore, che il provvedimento di diniego qui gravato trae alimento, oltre che da ragioni di ordine formale, anche dal rilevato contrasto delle opere denunciate con il vigente regime urbanistico.

Il profilo suddetto – afferente cioè alla mancanza del presupposto della pur necessaria compatibilità urbanistica – non risulta fatto oggetto di contestazione da parte del ricorrente, che ha esaurito le proprie doglianze in relazione a profili di ordine meramente formale e, pertanto, recessivi rispetto all’affermata insanabilità dell’abuso, come di seguito meglio evidenziato.

Nella suddetta prospettiva deve, infatti, rilevarsi come non abbia, anzitutto, pregio la censura con cui parte ricorrente lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento.

L’infondatezza della censura in esame discende, come già ripetutamente affermato da questa Sezione (cfr., tra le tante, sentenze n. 1847 del 30 marzo 2011 e n. 8776 del 25 maggio 2010) e dal giudice d’appello (cfr. Cons. Stato, sezione quarta, 5 marzo 2010, n. 1277), dalla ineluttabilità delle determinazioni assunte con il provvedimento impugnato, anche a cagione dell’assenza – come già sopra anticipato - di specifici e rilevanti profili di contestazione in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che ne costituiscono il fondamento giustificativo, sicchè alcuna alternativa sul piano decisionale si poneva all’Amministrazione procedente.

Dirimente in senso ostativo alle pretese attoree si rivelano, pertanto, le previsioni di cui all’art. 21 octies della legge 241/1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Il divisato contrasto delle opere realizzate con il regime urbanistico dell’area assume, invero, rilievo assorbente.

E’ stato, infatti, opposta al ricorrente – con perspicue argomentazioni – la non conformità dell’intervento edilizio con il regime urbanistico di riferimento, zona P (area a verde agricolo) del PRG e zona P.I. (protezione integrale) del PTP, che non consente incrementi volumetrici.

In ragione dei rilievi suesposti – nemmeno fatti oggetto di contestazione nell’atto di gravame – l’avversato diniego s’imponeva, dunque, come atto dovuto, con conseguente dequotazione della mancata comunicazione del preavviso di rigetto a mera irregolarità.

L’immediata rilevabilità delle sopra evidenziate ragioni di contrasto rendeva poi del tutto superflua, contrariamente a quanto dedotto, l’acquisizione di pareri da parte di organi consultivi (nella specie quello della Commissione per il paesaggio) la cui preventiva ricezione si rende necessaria nei soli casi di ragioni di oggettiva complessità tecnica (cfr. Tar Napoli, Campania, sez. III, 07 settembre 2012, n. 3804, Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2012, n. 3969;
Tar Toscana, sez. III, 12 febbraio 2003, n. 277).

Di qui l’inconferenza anche delle argomentazioni difensive incentrate sulla pretesa necessità di designazione di un funzionario responsabile dell’istruttoria tecnica, di cui avrebbe dovuto essere acquisita la proposta, ben potendo il dirigente della relativa unità organizzativa svolgere anche tali funzioni (arg. ex articolo 5 della legge n. 241/1990).

Tanto è sufficiente ai fini della reiezione del proposto gravame, rivelandosi a questo punto superflua la disamina delle residue censure articolate avverso l’ulteriore statuizione con cui il Comune intimato aveva dichiarato l’istanza attorea (oltre che infondata anche) irricevibile ai sensi dell’articolo 9 del locale regolamento edilizio, in quanto non supportata da conferente documentazione, sebbene richiesta.

E’, infatti, ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui quando una determinazione amministrativa di segno negativo si fonda su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento (per tutte, fra le ultime, Cons. Stato, sezione quarta, 28 novembre 2013, n. 5704 e 26 novembre 2013, n. 5632;
Tar Campania, questa sesta sezione, 7 maggio 2014, n. 2495).

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto.

In ragione della mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata nulla è dovuto per le spese di giudizio.

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