TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2020-10-20, n. 202010670

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2020-10-20, n. 202010670
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202010670
Data del deposito : 20 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/10/2020

N. 10670/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02909/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2909 del 2020, proposto da
M L, rappresentato e difeso dall'avvocato M L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Gregorio Xi n. 13;

contro

Ministero della Giustizia non costituito in giudizio;

per l’ottemperanza a decreto della Corte di Appello di Roma, depositato in data 6/9/2017 (R.G. 50892/12, Cron. 7162/17, Rep. 7000/17),


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2020 il dott. Fabio Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


FATTO e DIRITTO

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

- che nell’odierno giudizio parte ricorrente agisce per conseguire l’esecuzione del giudicato formatosi sul decreto emesso, ex L. n.89 del 2001 (c.d. “Legge P”), dalla Corte di Appello (di seguito anche: CdA) di Roma- sez. Equa Riparazione – meglio specificato in epigrafe, per ottenere il pagamento delle somme ivi indicate;

- che la citata legge 89/2001 è stata, nel tempo, modificata, nella sua originale versione, da più interventi normativi, fra i quali, vanno rammentati:

A)- il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha segnato il passaggio dal c.d. “vecchio rito” [ved. art. 3 nella versione in vigore sino al 25.6.2012, che disponeva che sulla domanda di equa riparazione ( da proporsi con ricorso depositato alla cancelleria della CdA corredato degli elementi di cui all’art.125 c.p.c e da notificarsi, unitamente al decreto di fissazione della camera di consiglio, a cura del ricorrente, all'amministrazione convenuta, presso l'Avvocatura dello Stato) decideva la CdA in composizione collegiale, entro quattro mesi dal deposito del ricorso, con decreto impugnabile per cassazione] al c.d. “nuovo rito” ( il medesimo art.3, nella versione successiva alle modifiche apportate dal d.l. n.83/2012, prevede che il ricorso è deciso dal Presidente della CdA o dal magistrato dallo stesso designato con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso e se il ricorso è in tutto o in parte respinto la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione a norma dell'articolo 5-ter).

Sempre lo stesso d.l. ha determinato, nel corpo della Legge n.86/2001 l’inserimento delle seguenti modificazioni:

- art.5 (articolo applicabile ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 83/2012 e cioè dall’11.9.2012): dispone che il ricorso, unitamente al decreto che accoglie la domanda di equa riparazione, è notificato per copia autentica al soggetto nei cui confronti la domanda è proposta (e cioè al Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario, al Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare;
e negli altri casi al Ministro dell'economia e delle finanze) con esplicita previsione che il decreto diviene inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento e la domanda di equa riparazione non può essere più proposta;

- art.5 ter (applicabile ai ricorsi depositati a decorrere dall’11.9.2012): regolamenta l’opposizione avverso il decreto che ha deciso sulla domanda di equa riparazione, accordando trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento (ove opponente è la parte privata) ovvero dalla sua notificazione (nel caso di opposizione promossa dalla p.a.);
l'opposizione si propone con ricorso davanti all'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto e la CdA, si pronuncia in composizione collegiale, entro quattro mesi dal deposito del ricorso con decreto impugnabile per cassazione;

B)- l’art.1 c. 777 della legge 28.12.2015 n. 208- ha previsto, con decorrenza 1.1.2016, l’inserimento nel corpo della legge n.89/2001 dell’art.5 sexies a mente del quale il creditore ex lege P della p.a., al fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate dalla CdA, rilascia all'amministrazione debitrice una dichiarazione, avente validità semestrale e rinnovabile a richiesta della p.a., attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l'esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l'ammontare degli importi che l'amministrazione è ancora tenuta a corrispondere;
e sempre al medesimo fine sopra specificato, il creditore è tenuto a trasmettere (anche via fax o telematica) all’amministrazione debitrice, a norma del d.m. 28.10.2016 (pubblicato nella G.U. 4.11.2016, n.258), lo specifico modello allegato al d.m. ( che ne prevede 4 diversi a seconda che il creditore sia “persona fisica”, “persona giuridica”, “antistatario” e “eredi”) al quale deve essere necessariamente allegata, a sua volta: a) copia fotostatica di un documento di identità in corso di validità del dichiarante;
b) copia del tesserino del codice fiscale o tesserino sanitario del dichiarante;
c) copia di ogni altro documento espressamente menzionato nei moduli come sopra approvati, altresì specificandosi (commi 3, 4, 5 e 7 dell’art.5 sexies) che “nel caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai commi precedenti, l'ordine di pagamento non può essere emesso” e non inizia neanche a decorrere il termine di sei mesi:

- entro il quale la p.a., una volta integralmente assolti gli obblighi sopra descritti, effettua il pagamento;

- prima del decorso del quale i creditori non possono procedere all'esecuzione forzata, alla notifica dell'atto di precetto, né proporre ricorso per l'ottemperanza (innanzi al T.a.r.) del provvedimento (sulla conformità a Costituzione nonché alla Cedu dei commi 4, 5 e 7, ved. C. C.le sent. n.135/2018);

- nel caso in cui venga ritualmente azionato quest’ultimo rimedio, il c.8 dispone che il Giudice amministrativo nomina, ove occorra, commissario ad acta un dirigente dell'amministrazione soccombente, con esclusione dei titolari di incarichi di Governo, dei capi dipartimento e di coloro che ricoprono incarichi dirigenziali generali, i compensi del quale rientrano nell'onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti (sulla conformità del c. 8 ai parametri costituzionali rivenienti dagli artt. 3, 24, 104 e 108 della Cost., ved. C.C.le sent. n. 225 del 2018);

- che va rilevata la sussistenza di tutti i presupposti per il giudizio di ottemperanza e che, conseguentemente, deve ordinarsi all'Amministrazione di provvedere al pagamento della somma dovuta nel termine di sessanta giorni, decorrente dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza, se anteriore, oltre ad interessi legali sino all’effettivo soddisfo;

- che, per il caso di ulteriore inottemperanza, si nomina sin d'ora il Commissario ad acta ai sensi dell'articolo 5-sexies, comma 8, della L. n. 89 del 2001, nella persona del responsabile p. t. dell'Ufficio I della Direzione generale degli affari giuridici e legali del Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della Giustizia, o un suo delegato, con la precisazione che, tenuto conto del fatto che le funzioni di commissario ad acta sono assegnate a un dipendente pubblico già inserito nella struttura competente per i pagamenti della "legge P", l'onere per le prestazioni svolte rimane interamente a carico del Ministero della Giustizia;

- che il Commissario così designato dovrà provvedere, entro il successivo termine di 90 giorni dalla scadenza del termine già assegnato al Ministero intimato, al pagamento delle somme ancora dovute, compiendo tutti gli atti necessari, secondo quanto previsto dal comma 6 dell'articolo 5-sexies, più volte richiamato;

-che riguardo alla domanda di liquidazione di una somma ex art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., il Collegio richiama i precedenti di questo Tribunale e del giudice di appello, secondo cui non è ammissibile la domanda di riconoscimento della astreinte per quanto riguarda le spese processuali liquidate dal giudice dell’equa riparazione in favore degli avvocati (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I Quater, 31 ottobre 2017, n. 10914;
Cons. Stato, Sez. IV, 13 aprile 2016, n. 1442);

-che tale obbligazione, invero, trova titolo nel solo provvedimento del giudice ordinario ed è qualificata come competenza di natura professionale per attività processuali poste in essere dai difensori della parte istante nel giudizio di equa riparazione;
ciò comporta che l’obbligazione di cui si chiede l’adempimento è legata solo occasionalmente al riconoscimento dell’equa riparazione;

-che come già rilevato, tale obbligazione è assistita da una serie di garanzie a tutela del credito vantato dal difensore, nonché dalla possibilità di rivalersi nei confronti del proprio rappresentato;

- che alla stregua del disposto dell’art. 114, comma 4, lett. e) c.p.a. il Collegio ritiene che per ragioni di equità sostanziale non sia applicabile la sanzione da ritardo nell’adempimento a tale tipo di obbligazione, posta a carico dell’Amministrazione intimata dal provvedimento del giudice ordinario di cui si chiede l’esecuzione;

- che non si rinvengono i presupposti per la trasmissione del fascicolo alla Corte dei Conti, non essendovi agli atti alcun elemento idoneo a riferire, anche latamente, l’aumento di oneri per l’Amministrazione derivante dal presente provvedimento a responsabilità individuali e giuridicamente rilevanti di dipendenti pubblici.

-che con riguardo alla richiesta delle ulteriori spese per diritti ed onorari (da distrarsi in favore del procuratore antistatario), che tale domanda è articolata richiedendo: a) le maggiorazioni di legge sui compensi di 1/3 per manifesta fondatezza delle sue tesi difensive, ex art. 4, 8 comma, D.M. 10 marzo 2014, n. 55;
b) il 30% per la redazione degli atti depositati mediante modalità telematiche con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione e la fruizione, ex art. 4, comma 1 bis, D.M. 10 marzo 2014, n. 55;
c) il 15% per spese generali, ex art. 2, 2 comma, D.M. 10 marzo 2014, n. 55, I.V.A. e C.A.;
e dato atto che detto capo di domanda così come articolato non è da accogliersi in quanto:

1) l’art.4 c.8 del d.m. citato prevede che il compenso da liquidare giudizialmente a carico del soccombente costituito “può” (e non “deve”) essere aumentato fino a un terzo rispetto a quello altrimenti liquidabile quando le difese della parte vittoriosa sono risultate manifestamente fondate;
e nel caso di specie la causa ha un carattere seriale ed è caratterizzata da una del tutto modesta complessità;

2) l’art.4 c. 1 bis del d.m. citato utilizza l'espressione "di regola" e dunque chiarisce in modo inequivoco, secondo gli ordinari criteri interpretativi delle norme giuridiche, come il riconoscimento di tale voce non sia obbligatorio da parte del Giudice (come sostenuto in gravame), ma sia frutto del suo prudente apprezzamento;
solo soggiungendosi che il riconoscimento della voce di cui all'art. 1 bis è da riconnettersi alla difficoltà del deposito di una mole di atti rilevante, elemento che certamente non si è verificato nel caso di specie;

3) la percentuale del 15%, fissata dall'art. 2, comma 2, del Regolamento di cui al d.m. n.55/2014 per il rimborso forfettario di spese generali costituisce l'entità massima riconoscibile a tale titolo, come si desume dalla previsione legislativa della fissazione di una "misura massima" da parte dell'art. 13 c.10 L. n.247/2012, espressamente richiamato nella relazione illustrativa al d.m. n.55 del 2014;
pertanto l'entità del rimborso forfettario può variare dall'1% al 15%;
la precisazione, contenuta nell'art. 2 c. 2 del d.m. citato, che il riconoscimento del rimborso forfettario per spese generali debba “di regola” aver luogo nella percentuale del 15% non vale ad individuare un limite vincolante - non previsto dalla legge - per il giudice che pertanto, in difetto (come rinvenibile nel caso di specie) di istanza adeguatamente motivata per l'applicazione della percentuale massima, può riconoscere, a titolo di rimborso spese generali in favore della parte vittoriosa, un valore medio e/o inferiore che, con riguardo al corrente contenzioso, è inglobato nell’importo forfetario delle spese di lite di seguito specificato;
per quanto concerne in particolare la misura delle spese, la giurisprudenza ( cfr. ad es. Cons. St. III Sez. n. 1262 del 2016) ha sin qui sostanzialmente avallato la prassi consolidata del giudice amministrativo di procedere alla liquidazione di spese e onorari in misura forfetaria, senza pedissequamente attenersi ai limiti minimi/massimi della tariffa professionale, in applicazione di criteri di equità non sempre esplicitati in sentenza (prassi cui si è solitamente adeguata anche quella degli avvocati di non allegare la nota degli onorari e delle spese con riferimento alle singole voci della tabella). In tale ottica i criteri di liquidazione vengono rinvenuti non tanto nel raffronto fra la tariffa professionale e il valore economico della causa, quanto piuttosto in circostanze eterogenee, intrinseche all'intero giudizio, variabili di volta in volta, quali la maggiore o minore complessità delle questioni affrontate, l'applicazione di precetti giurisprudenziali consolidati, la natura della pretesa di cui si chiede l'affermazione, il comportamento tenuto dall'amministrazione nel caso concreto, nonché - da ultimo - la notoria situazione di difficoltà in cui versa il bilancio erariale. ( cfr., in termini, Cons. St. sez. IV, 13/06/2017 n.2877;
ma ved. anche ad es. V Sez. n. 3587 del 2013);

Ritenuto pertanto, che - in considerazione dell’accoglimento parziale del presente contenzioso, sia del carattere seriale e del non elevato livello di complessità della causa anche in relazione ai numerosi analoghi precedenti di questo Tribunale - il Collegio ritiene congrua, a titolo di spese e competenze di causa, la determinazione dell’importo forfetario di €350,00.

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