TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2011-04-14, n. 201103260
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N. 03260/2011 REG.PROV.COLL.
N. 08141/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8141 del 2009, proposto da:
M G E A R, Assunta Pisaniello, rappresentati e difesi dagli avv. F V, R D V, con domicilio eletto presso R D V in Roma, via Oslavia, 40;
contro
Comune di Albano Laziale, rappresentato e difeso dall'avv. Maria La Nardelli, con domicilio eletto presso Maria La Nardelli in Albano Laziale, via Aurelio Saffi, 68;
per il
- risarcimento danni per occupazione d'urgenza di aree per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria della zona industriale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Albano Laziale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2011 il dott. A T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
FATTO
Gli odierni ricorrenti sono proprietari di un fondo sito nel Comune di Albano Laziale.
Nel giugno 1999, una parte di tale terreno veniva fatto oggetto di occupazione da parte dell’Amministrazione comunale;in particolare l’Amministrazione occupava la fascia di terreno distinta nel NTC al foglio 17, parte 58 ed al foglio 15, parte 94.
L’autorizzazione all’occupazione d’urgenza era stata rilasciata dalla Giunta Comunale nella seduta del 25 marzo 1999;con detta delibera si era autorizzata l’Amministrazione ad occupare d’urgenza le aree di proprietà dei ricorrenti per un periodo massimo di tre anni dal momento della immissione in possesso che avveniva in data 18 giugno 1999.
Avvenuta in data 18 luglio 2000 l’irreversibile trasformazione del fondo senza che un atto formale di esproprio fosse mai stato emesso, nel presente giudizio, i ricorrenti chiedono la condanna del Comune al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima da commisurarsi al valore venale del bene, oltre interessi e rivalutazione.
Si è sostituita l’amministrazione, eccependo la prescrizione del diritto.
All’udienza del 10 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente deve osservarsi che anche a seguito della recente sentenza della Corte Costituzionale 8 ottobre 2010 n. 293 – che ha dichiarato la illegittimità dell’art. 43 D.P.R. n. 327/2001 – rimane ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.) in ipotesi di comportamento della Amministrazione riconducibile all’esercizio del pubblico potere che, come nella fattispecie in esame, si è manifestato per il tramite della dichiarazione di pubblica utilità della quale non risulta dimostrata la perdita d'efficacia.
Ancora in via preliminare deve respingersi l’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa della Amministrazione resistente.
Il comportamento tenuto dalla Amministrazione, la quale abbia emanato una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d'urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, deve essere, infatti, qualificato come "illecito permanente", nella cui vigenza non decorre la prescrizione;ciò perché in questo caso manca un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi.
Per questo motivo, salva restando la possibilità di optare per le differenti forme "risarcitorie" che l'ordinamento appresta (restituzione del bene ovvero risarcimento del danno per equivalente), il soggetto privato del possesso può agire nei confronti dell'ente pubblico senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene, con l’unico limite temporale rinvenibile nell’acquisto della proprietà, per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata dall’ente pubblico (si veda, in termini, TAR Palermo, 1 febbraio 2011, n. 175).
Nel merito il ricorso è fondato nei sensi di cui alla motivazione.
Rileva il Collegio come in nessun caso - neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica - è possibile giungere ad una condanna puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia presuppone in ogni caso l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata;esito, questo non consentito dal primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. Calabria-Catanzaro, Sez. I, 1 luglio 2010, n. 1418).
Da qui la necessità di un passaggio intermedio, finalizzato all’acquisto della proprietà del bene da parte dell’ente espropriante (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830;T.A.R. Campania-Napoli, Sez. V, 5 giugno 2009, n. 3124).
Tale passaggio, tuttavia, allo stato della legislazione vigente, non può più identificarsi nel rimedio “extra ordinem” dell’acquisizione sanante ex art. 43 T.U. sulle espropriazioni, del quale la sentenza della Corte costituzionale 8 ottobre 2010, n. 293 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, ma esclusivamente negli ordinari strumenti civilistici di acquisto immobiliare ovvero nell’istituto amministrativo dell’accordo, disciplinato dall’art. 11 della legge n. 241/1990 o nella speciale figura della cessione volontaria, di cui all’art. 45 dello stesso T.U. n. 327/2001.
Diversamente, in caso di mancato acquisto dell’area da parte dell’ente pubblico, si è in presenza di un’occupazione senza titolo, ossia di un illecito permanente, che consente in ogni momento al privato di chiedere, anche in via giudiziale, la restituzione del fondo e la riduzione in pristino di quanto ivi realizzato, salva la preclusione sostanziale di cui all’art. 936, comma 4 e 5, c.c., in materia di rimozione di opere eseguite dal terzo sul terreno altrui.
Tanto esposto, va precisato che, in questa sede, parte ricorrente si è limitata a chiedere la condanna dell’Amministrazione alla corresponsione di una somma di denaro commisurata al valore venale del bene, oltre interessi e rivalutazione, come risarcimento del danno per l’occupazione illegittima.
Nessuna domanda è stata invece avanzata ai fini della reintegra nel possesso del fondo, previa sua eventuale riduzione in pristino. Né, d’altro canto, risulta che l’Amministrazione intimata abbia mai manifestato, anche fuori dal processo, la propria volontà di restituire al legittimo titolare l’immobile occupato.
La rinuncia alla azione restitutoria, in ogni caso - formulata, peraltro, all’interno di un contesto normativo ben diverso da quello oggi conseguente alla caducazione del ricordato art. 43 (il ricorso introduttivo è stato notificato nel 2007) - non può in alcun modo determinare un effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, nr. 290).
Il potere giurisdizionale va quindi esercitato nel quadro delineato dalla domanda attorea, nel rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo, rappresentando tale regola l’espressione precipua del potere dispositivo delle parti, nel senso che al giudice è precluso pronunciarsi oltre i limiti della concreta ed effettiva questione che le stesse parti hanno sottoposto al suo esame e dunque oltre i limiti del petitum e della causa petendi , ulteriormente specificati dai motivi di ricorso (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 giugno 2007, n. 3437).
Orbene, sulla scorta delle considerazioni anzidette e ribadita l’inutilizzabilità dell’art. 43 T.U. 8 giugno 2001, n. 327, dichiarato incostituzionale nelle more del giudizio, osserva il Tribunale che al risarcimento del danno nella misura del valore venale del bene, oggetto della domanda, deve necessariamente corrispondere la definitiva cessione del fondo in favore dell’autorità espropriante.
Ne consegue che la domanda medesima può essere accolta solo subordinandola alla previa conclusione di un accordo per la cessione del bene in favore dell’Amministrazione.
Pertanto, resta fermo il dovere dell’Amministrazione di addivenire a un accordo transattivo con i ricorrenti che determini il definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile, accompagnandosi anche al doveroso risarcimento del danno da occupazione illegittima (come meglio appresso sarà precisato);del resto, una volta venuta meno la norma che attribuiva al soggetto pubblico il potere di determinare unilateralmente l’effetto traslativo, è chiaro che la produzione di quest’ultimo non può prescindere dal concorso della volontà dell’espropriato.
In questo senso, per vero, depone univocamente nella specie la condotta tenuta da entrambe le parti: da un lato, la parte privata – come detto – ha manifestato la propria disponibilità a rinunciare alla proprietà omettendo di chiedere la restituito in integrum ;per altro verso, appare evidente la volontà dell’Amministrazione non solo di conservare il possesso, ma anche di acquisire la proprietà dell’opera pubblica realizzata con l’irreversibile trasformazione dell’immobile de quo .
Quanto alla quantificazione del risarcimento del danno il Collegio ritiene di dover provvedere ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., non risultando al riguardo alcuna espressa opposizione delle parti.
In particolare, dovrà farsi riferimento al periodo di illegittima occupazione a decorrere dal 19 giugno 2002 e fino alla data dell’atto con il quale, nei sensi sopra precisati, si realizzerà l’effetto traslativo della proprietà in favore degli espropriati, mentre per quanto concerne i criteri per la fissazione della somma da corrispondere, occorre distinguere tra due diverse voci logicamente e concettualmente distinte: non solo il danno da occupazione illegittima, quello conseguente alla mancata utilizzazione dell’immobile per il periodo di illegittimo spossessamento, ma anche il corrispettivo che le parti dovranno concordare per la cessione della proprietà.
Sotto tale ultimo profilo, dovrà aversi riguardo al valore di mercato dell’immobile non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo più individuarsi in tale data, una volta venuto meno l’istituto della c.d. accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore dell’Amministrazione), e nemmeno a quella di proposizione del ricorso introduttivo (non potendo, come detto, ravvisarsi in tale atto un effetto abdicativo), bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l’effetto traslativo de quo .
Quanto al primo aspetto, i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale "capitale" di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato;le somme così calcolate andranno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso e fino alla data di deposito della presente sentenza.
In tal senso, e conclusivamente, l’Amministrazione – anche avendo quale riferimento i parametri indicati dalla svolta CTU – dovrà formulare un’offerta risarcitoria e addivenire a un accordo con la parte ricorrente per la determinazione del corrispettivo della cessione secondo il criterio innanzi indicato.
La Sezione si riserva, nella sede e con i poteri propri del giudizio di ottemperanza, non solo di provvedere alla liquidazione del danno risarcibile in caso di mancato accordo sul quantum di esso, ma anche, più in generale, nell’ipotesi in cui non si addivenga all’accordo transattivo sopra indicato, di valutare la condotta successivamente tenuta dalle parti ai fini dell’eventuale riconoscimento della risarcibilità dei nuovi danni cagionati dall’ulteriore protrarsi dell’illegittima occupazione.
Tenuto conto della novità delle questioni al riguardo esaminate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
Pone definitivamente a carico della Amministrazione resistente le spese della esperita CTU che si liquidano in complessivi Euro 1.500,00 oltre IVA