TAR Napoli, sez. III, sentenza 2015-09-22, n. 201504581

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2015-09-22, n. 201504581
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201504581
Data del deposito : 22 settembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01924/2014 REG.RIC.

N. 04581/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01924/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1924 del 2014, proposto da:
SOGEIP S.R.L., in persona del legale rappresentante, S C, rappresentata e difesa dagli Avv. ti M S, A A e L C, presso lo studio del secondo dei quali elettivamente domicilia in Napoli, alla Via G. Melisurgo, n. 4;

contro

COMUNE DI CERCOLA, in persona del legale pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. R D M, presso il quale elettivamente domicilia in Napoli, alla Via F. Caracciolo, n. 15;

- per l’accertamento

della responsabilità del Comune di C per il danno subito dalla società ricorrente a cagione della illegittimità degli atti con cui l’Ente si è rideterminato rispetto ai precedenti pareri favorevoli, opponendo il proprio diniego alla concessione edilizia della Sogeip S.r.l. n. 19/1987, alla stregua (anche) di quanto definitivamente accertato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 1789/2013 del 27.3.2013;

e per la condanna

conseguente dell’intimato Comune, in persona del legale rappresentante p.t.,

al risarcimento del danno ingiusto sofferto della ricorrente, secondo le voci e nella misura, come da ricorso, per un totale di euro 9.420.225,5, oltre interessi al tasso legale e rivalutazione monetaria.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato Comune;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti di causa;

Uditi - Relatore alla pubblica udienza del 21 maggio 2015 il dott. V C - i difensori delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue.


FATTO

Con ricorso - notificato il 7.3.2014 e depositato il 4.4.2014 - la società Sogeip s.r.l.”, in persona del legale rappresentante S C, adiva, ai sensi dell’art. 30, comma 5, c.p.a., questo Tribunale chiedendo - previo accertamento della responsabilità dell’intimato Comune di C a cagione della illegittimità degli atti con cui l’Ente si è rideterminato rispetto ai precedenti pareri favorevoli, opponendo il proprio diniego alla concessione edilizia della Sogeip S.r.l. n, 19/1987, alla stregua (anche) di quanto definitivamente accertato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 1789/2013 del 27.3.2013 - la condanna del predetto Comune, in persona del legale rappresentante p.t., al risarcimento del danno ingiusto sofferto, per un totale di euro 9.420.225,5, oltre interessi al tasso legale e rivalutazione monetaria.

All uopo, parte ricorrente, in fatto, esponeva che:

- in data 4.12.1987 presentava istanza di concessione edilizia al Comune di C per la realizzazione di un centro produttivo in località Masseria S. Giovanni, su un’area di cui aveva acquisito la piena disponibilità, giusta contratto preliminare di compravendita del 30 marzo 1985 tra il consorzio Cosveit e Laura e G M., con cui il Consorzio stesso aveva promesso l’acquisto, per sé o per sue consocie da nominare, dell’area ubicata nel comune di C in località Masseria San Giovanni, della superficie complessiva di mq. 200.000, per il prezzo unitario di euro/mq. 30.000;

- con delibera assembleare del Consorzio, in data 26.6.1986, il Consorzio aveva assegnato le aree di cui sopra alla consocia Sogeip s.r.l. per la realizzazione, sulle stesse aree, di un Centro Commerciale-produttivo;

- dopo aver ricevuto i pareri favorevoli degli uffici tecnici (parere favorevole C.E.C. del 5.2.1987, attestato sindacale di conformità prot. n. 1911/87, parere favorevole C.E.I. del 6.2.2987, decreto sindacale prot. n. 56/87), in data 13.5.1987, l’autorizzazione paesistica comunale era trasmessa al Ministero dei beni culturali ed ambientali per l’acquisizione del relativo nulla-osta, ma, non avendo il Ministero adottato alcun provvedimento ostativo nel termine normativamente previsto di sessanta giorni, la predetta autorizzazione doveva ritenersi definitivamente valida ed efficace;

- soltanto in data 3.11.1998, nelle more del definitivo rilascio della concessione, il Ministero, con nota n. 24832, pur nel riconoscimento dell’avvenuta decadenza dei termini di legge, invitava gli uffici comunali a provvedere ad un riesame dell’autorizzazione paesistica già rilasciata, al fine di giungere a situazioni compatibili con le esigenze di tutela, date le dimensioni dell’intervento e la natura di verde degradante dei luoghi;

- tuttavia, non avendo il Comune di C provveduto al suddetto riesame, la esponente - attuale ricorrente - in data 28.4.1992, richiedeva l’intervento sostitutivo della Provincia ai sensi della L.R. n. 11/83, ma, ciò malgrado, il medesimo Comune, con decreto n. 4/1992 riteneva di potere egualmente provvedere e revocava tout court l’autorizzazione concessa;

- avverso tale determinazione la società esponente proponeva impugnativa innanzi al T.A.R. Campania, Napoli, che, con le ordinanze n. 503 del 2.3.93 e n. 1318 del 15.6.93 della Sezione Terza, sospendeva l’efficacia del diniego ed intimava al Comune di effettuare il riesame in modo puntuale, sulla scorta dei rilievi della Soprintendenza;

- successivamente, nonostante, in esecuzione della suddetta richiesta di attivazione di potere sostitutivo, l’Amministrazione provinciale avesse nominato un Commissario ad acta, per provvedere agli adempimenti necessari relativi alle determinazioni definitive sulla domanda di concessione della esponente, il Comune di C riteneva nuovamente di agire in autonomia e, con decreto n. 10495 del 27.9.93, confermava l’integrale rigetto dell’istanza di concessione;

- avverso siffatto provvedimento, in data 3.12.93, la esponente proponeva una seconda impugnativa, seguito della quale il T.A.R. Campania, Napoli, Sezione Seconda, riuniti entrambi i ricorsi, dichiarava il primo ricorso improcedibile per carenza di interesse, mentre, con sentenza n. 835/2000, rigettava, nel merito, il secondo ricorso;

- a seguito di appello proposto dalla esponente avverso tale ultima sentenza, il Consiglio di Stato, Sezione Quinta, con decisione n. 1789 del 27.3.2013, ritenuta la fondatezza della prima censura con la quale Sogeip s.r.l. deduceva il difetto di competenza del Sindaco di C a pronunciarsi sulla originaria domanda di concessione edilizia, nonché anche della - pure scrutinata - quarta censura, con la quale si censurava il comportamento del Comune che, anziché <<
provvedere ad un riesame dell’intervento al fine di giungere a soluzioni compatibili con le esigenze di tutela >>, con il provvedimento comunale <<
si era limitato a ritenere la mancanza del parere del Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale e a rilevare che la volumetria dell’intervento era superiore a quella realizzabile sul lotto, vista l’avvenuta creazione di strade di scorrimento e, poi, soprattutto, a richiamare la necessità di attuare le costruzioni tramite un piano di intervento produttivo che però il Comune riconosce non previsto dal vigente strumento urbanistico >>, accoglieva l’appello ed, in accoglimento del secondo dei ricorsi in primo grado, annullava i provvedimenti con esso impugnati, <<
con i conseguenti obblighi della P.A. di provvedere definitivamente sulle domande di concessione edilizia >>.

Tanto premesso e preso atto che l’intervento, originariamente assentito non è, però, attualmente ipotizzabile nemmeno per quota parte, in quanto, secondo il vigente piano regolatore, il suolo in questione è classificato come Area di riqualificazione urbana, con indice di fabbricabilità di 0,15 mc/mq contro l’indice di 1,5 mc/mq. previsto dal previgente Programma di fabbricazione in forza del quale era stato presentato il progetto della società esponente (la sopravvenuta disciplina urbanistica prevedendo, tra l’altro, l’approvazione di un piano di dettaglio per l’edificazione in zona A.R.U. - art. 101 N.T.A., allo stato non ancora intervenuta), parte ricorrente, preso atto che la drastica diminuzione degli indici di edificabilità relativa all’area interessata escludeva la possibilità della realizzazione del progetto, affidava la sua domanda di risarcimento del danno per equivalente ai seguenti rilievi:

- il comportamento del Comune sarebbe contrassegnato da elementi di colpevolezza, in quanto, dopo un lungo periodo di inattività, per ben due volte, esso avrebbe ritenuto di pronunciarsi sull’istanza concessoria in senso negativo pur avendo il ricorrente attivato il potere sostitutivo provinciale, agendo altresì in violazione delle ordinanza cautelari pronunciate dal T.A.R.;

- nonostante la richiesta di ulteriori approfondimenti da parte del Ministero risalirebbe al 3.11.1998 (nota n. 24832), per ben quattro anni il Comune non avrebbe provveduto al suddetto riesame, al punto che la ricorrente, in data 28.4.1992, sarebbe stata indotta a chiedere l’intervento sostitutivo ai sensi della L.R. n. 11/83;

- in seguito, il Comune in due occasioni avrebbe annullato l’autorizzazione (decreto n. 4 del 16.9.92, decreto n. 10495 del 27.9.93) e, peraltro, l’ultima conferma sarebbe intervenuta a seguito della nomina di un commissario ad acta da parte della Provincia di Napoli, nonché a seguito delle ordinanze del T.A.R. (n. 503 del 2.3.93 e n. 1318 del 15.6.93), che avrebbero intimato al Comune di effettuare il riesame in modo puntuale, sulla scorta dei rilievi della Soprintendenza;

- infine, oltre ad avere agito in carenza di potere, il Comune avrebbe motivato illegittimamente la revoca della concessione, senza effettuare il calcolo delle eventuali volumetrie in eccesso ed adducendo per la prima volta un ulteriore impedimento di carattere procedurale, non avente alcuna connessione alla normativa di carattere paesistico;

- la fattibilità dell’intervento non sarebbe stata mai posta in discussione dal Ministero ed, al riguardo, già il giudice di I grado, con l’ordinanza n. 506/93, avrebbe intimato al Comune di “riesaminare la situazione e formulare alla Società ricorrente le indicazioni necessarie a modificare il progetto per renderlo compatibile con le osservazioni formulate dal Ministero peri beni Culturali ed ambientali”;

- infatti la citata nota del Min. BB.CC.AA. prot. n. 24832 del 7.11.88, peraltro intervenuta tardivamente (come il Consiglio di Stato non mancherebbe di sottolineare), avrebbe invitato il Comune a procedere, “previa verifica dello stato dei luoghi”, ad una nuova valutazione di compatibilità del progetto al fine di addivenire, “in collaborazione con quest’Ufficio”, a soluzioni compatibili con le esigenze di tutela;

- ne conseguirebbe che, in ossequio ad espresso ordine giurisdizionale, limitativo della discrezionalità dell’Amministrazione, il Comune giammai avrebbe potuto respingere il progetto tout court, ma avrebbe dovuto semmai prospettare all’odierna appellante le modifiche necessarie per rendere il progetto edilizio compatibile con la disciplina ambientale il progetto e, sul punto, dalla allegata perizia, si evincerebbe la piena fattibilità del progetto, in conformità alla normativa urbanistica vigente ratione temporis.

Quanto alla prova del danno ed alla sua quantificazione parte ricorrente allega documentazione comprovante le spese di progettazione sostenute dalla ricorrente, che dovrebbero essere certamente risarcite ed, in particolare, i danni patiti dalla Sogeip s.r.l. a seguito dell’illegittimo diniego dell’istanza di concessione edilizia potrebbero essere così sintetizzati: 1) costi e spese sostenute: lire 821.100.000 (pari ad euro 424.062,90);
2) mancato utile conseguente dalle vendite dal suolo: 7.239.000.000 (pari ad euro 3.738.631,49);
mancato utile conseguente all’appalto per la costruzione dl Centro Commerciale Produttivo: lire 10.180.000.000 (pari ad euro 5.257.531,23), per un importo totale di euro 9.420.225,5, maggiorato della rivalutazione monetaria e degli interessi al tasso legale, da calcolarsi in base agli indici I.s.t.a.t., dall’anno 1987 fino alla data di effettivo pagamento.

Resisteva in giudizio l’intimato Comune, preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva della ricorrente e, nel merito, chiedendo il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica del 21 maggio 2015 il ricorso era trattenuto in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente vanno condivise le obiezioni sollevate della difesa della Sogeip s.r.l., che in sede di udienza ha chiesto di non tenersi conto dei documenti prodotti fuori termine dall’Amministrazione resistente, opponendosi altresì alle contestazioni mosse tardivamente con la memoria di replica in quanto non correlate all’esigenza di rispondere a documenti e memorie depositate in vista dell’udienza.

Infatti, in base all’art. 73 c.p.a. nel processo amministrativo si può tener conto ai fini della decisione dei documenti prodotti dalle parti tempestivamente, fino a 40 giorni liberi prima dell’udienza, né sono ammissibili memorie di replica che introducano nuove questioni, che non derivano dalla necessità di controdedurre alle memorie conclusive delle controparti (cfr. Cons. Sta., sez. III, 28/1/2015, n. 390).

Comunque, per completezza di trattazione, la ricorrente prospetta il difetto di legittimazione attiva ed asserita irrituale sostituzione processuale, per essere stata presentata la domanda di concessione edilizia n. 19/1987 dalla società ricorrente “a seguito di autorizzazione dei proprietari dell’area sigg. G e L M.”;
sul punto, come affermato dalla Corte di Cassazione, ai sensi della L. 28 gennaio 1977 n. 10, art. 4, sulla edificabilità dei suoli, sarebbe legittimato a richiedere la concessione edilizia o il titolare del diritto reale di proprietà o chi, pur essendo titolare di altro diritto, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui si chiederebbe la concessione ed, in particolare tale legittimazione dovrebbe escludersi per il promissario acquirente che in base ad un contratto preliminare avrebbe avuto la promessa di futura vendita del terreno sul quale sarebbe dovuta sorgere la costruzione, con la conseguenza che la eventuale concessione da lui rilasciata sarebbe illegittima e quindi inesistente (Cfr. Cass. civ., sez. II, 5.8.2010, n. 18251 che richiama Cass. 10.10.1997, n. 9850 e Cass. 15.3.2007, n. 605).

Al riguardo si osserva che , come emerge dagli atti depositati con il ricorso introduttivo il Consorzio C. aveva stipulato un contratto preliminare con i proprietari, germani M., con cui si obbligava all’acquisto del suolo oggetto dell’istanza di concessione edilizia “per sé e/o per proprie consocie da nominare”;
successivamente con delibera assembleare del 26 giugno 1986 autenticata dal Notaio il predetto Consorzio assegnava l’iniziativa alla propria consocia Sogeip s.r.l., e di tanto ne dava comunicazione ai M. con nota del primo luglio 1986, con la quale si specificava, tra l’altro, che, per l’effetto di tale assegnazione, la Sogeip S.r.l. subentrava al Consorzio C. in “tutti” i diritti e gli obblighi derivanti dal citato contratto preliminare.

Si è depositata in giudizio, poi, copia conforme, rilasciata dall’U.T.C. di C, dell’atto autenticato dal Notaio, con cui G e L M. hanno autorizzato e legittimata la Sogeip S.r.l. alla proposizione dell’istanza di concessione edilizia ed, altresì, copia dell’originaria istanza di concessione edilizia, assunta al protocollo comunale con il numero di pratica 19/87, da cui si evince che la stessa era stata sottoscritta, oltre che dal legale rappresentante della Sogeip, anche dai proprietari del suolo, Laura e G M.) ed altresì prodotta la dichiarazione di G M. per sé e per conto della sorella Laura, debitamente autenticata ed allegata all’istanza di concessione edilizia, con cui si autorizzava la Sogeip a presentare l’istanza medesima.

Ne consegue che la ricorrente ha proposto l’azione risarcitoria in esame a fronte della lesione di un interesse legittimo rientrante nella propria sfera giuridica e non già come sostituto di altro soggetto titolare della situazione giuridica soggettiva.

Pertanto alcun dubbio può esservi sulla legittimazione ad agire della ricorrente.

Ciò premesso, nel merito, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Com’è noto, trova oggi pieno riconoscimento nell’ambito del diritto positivo (cfr. art. 7 della legge 1034/1971 e art. 35 del D.L. vo n. 80/1998) il principio della piena responsabilità della Pubblica Amministrazione anche per i danni cagionati nell’esercizio della propria attività funzionale, riconducibile ai canoni tradizionali dell’illecito aquiliano.

In proposito, ai suddetti fini, non è sufficiente la sola illegittimità dell’atto, ma occorre comprovare la concreta ricorrenza di tutti i requisiti costitutivi dell’illecito extracontrattuale, ivi compreso l'elemento psicologico quanto meno della colpa (C.d.S., sez. IV, 29 settembre 2005, n. 5204).

Inoltre, a sostegno della pretesa risarcitoria, l’interessato ha l’onere di dare puntuale e ragionevole dimostrazione anche del rapporto di causa ed effetto tra atto illegittimo ed il danno, da provare nella sua esistenza e consistenza (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 18 novembre 2002 , n. 6393;
C.di S., V sez. n° 3863 dell'11 luglio 2001).

Ne deriva che, di norma, almeno al di fuori della materia dei contratti pubblici, non è possibile costruire uno schema di automatica equivalenza giuridica tra annullamento di un atto amministrativo, comportamento illegittimo della pubblica amministrazione e risarcibilità del danno ingiusto ricevuto dal soggetto destinatario degli effetti lesivi dell'atto annullato, in quanto, nella materia de qua, il giudizio risarcitorio, pur traendo origine dall’illegittimità dell’atto lesivo, eventualmente all’esito del giudizio impugnatorio, risulta finalizzato ad individuare gli elementi costitutivi dell’illecito civile, non esclusa la possibilità di rivalutare, al fine di individuare eventuali elementi di colpevolezza in capo all’Amministrazione, l’illegittimità commessa dall’amministrazione e che aveva condotto all’emanazione del provvedimento annullato.

Ne consegue che la responsabilità della P.A. per eventuali danni di cui se ne chiede il risarcimento, non è una conseguenza diretta ed immancabile dell’illegittimità che ha condotto all’annullamento giurisdizionale dell’atto impugnato, da considerare, quindi, condizione non sempre sufficiente per coltivare con esito favorevole la successiva pretesa risarcitoria, basandosi la fattispecie di illecito extracontrattuale della P.A., alla stessa stregua di quello ascrivibile a qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento, sui seguenti autonomi e distinti presupposti da ricostruire: a) il nesso causale tra atto annullato e danno, b) la ragionevole quantificabilità del danno;
c) l'enucleazione di un elemento di colpa riferito al funzionamento complessivo dell'apparato pubblico allorquando l'errore commesso non sia scusabile.

Pertanto, così perimetrato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, in senso ostativo alle pretesa azionata in giudizio decisivo è il rilievo che il risarcimento del danno richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, anche del nesso di causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell’amministrazione, almeno nelle controversie nelle quali non trova applicazione il diritto comunitario.

Anche nella fattispecie all’esame del Collegio - a cui è demandato il vaglio della fondatezza (o meno) della proposta domanda risarcitoria - la necessità ma la non sufficienza dell’annullamento giurisdizionale disposto con la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, n. 1789/2013 del 27.3.2013, impone un giudizio che prende le mosse dalla sentenza di annullamento, e, passando per un’ammissibile indagine sulle ragioni delle violazioni censurate con la sentenza, attinge a tutto tondo al comportamento complessivo dell’Amministrazione al fine di accertare la sussistenza di eventuali elementi di colpa, anche - come nella specie - omissiva a carico del resistente Comune.

Al riguardo, iniziando dall’analisi dei motivi, già riconosciuti fondati dal Consiglio di Stato, Sezione Quinta con la sentenza n. 1789 del 27.3.2013, con cui è stato disposto annullamento della sentenza di I grado, nel pieno rispetto del giudicato racchiuso in siffatta sentenza, come si andrà esponendo, essi possono ricondursi ad errore scusabile del Comune.

A tal punto è opportuno riportare qui di seguito alcuni passaggi fondamentali in “diritto” della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta n. 1789 del 27.3.2013, con la quale è stata annullata del T.A.R. Campania, sez. II, n. 885/2000:

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In primo luogo è fondata la censura con la quale la s.r.l. Sogeip sostiene il difetto di competenza del Sindaco di C a pronunciarsi sull’originaria domanda di concessione edilizia e ciò in virtù dell’art. 8 quater legge regionale 39/1978, come integrato e modificato dalla legge reg. 11/1983.

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Infatti, nell’inerzia dell’Amministrazione comunale formatosi dopo l’intervento del Ministero BB.CC.AA., intervento tra l’altro inseritosi successivamente al ricorrere dei termini di legge di cui alla L. 431/86, il 28 aprile 1992 la Sogeip aveva chiesto al Presidente della Provincia di Napoli di pronunciarsi sulla domanda di concessione edilizia secondo quanto previsto in materia di poteri sostitutivi dall’art. 8 legge reg. 11/1983 ed attualmente non più vigente a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge reg. 28 novembre 2001, n. 19.

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Il Presidente della Provincia di Napoli, con proprio decreto n. 0025 del 30 giugno 1993, ha nominato un proprio funzionario nelle vesti di commissario ad acta per provvedere a tutti gli adempimenti necessari relativi alle determinazioni definitive sulla domanda di concessione dell’appellante per la costruzione del centro produttivo in questione e ciò dopo aver correttamente invitato il Sindaco a pronunciarsi entro i successivi 30 giorni, secondo il dettato dell’art. 8 quater co. 1 legge reg. n. 39/1978 successive modificazioni.

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Pur in presenza di tale passaggio il 27 settembre il Sindaco aveva definitivamente respinto la domanda di concessione edilizia, nonostante che il dettato di cui all’art. 8 quater co. 4 della legge reg. n. 39/1978 , così come modificato dalla legge reg. 11/1983, gli impedisse di esercitare i suoi poteri ordinari, rimettendoli in toto al commissario, ivi compresa la finalità di avvalersi degli uffici comunali.

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Non può sostenersi, per completezza, che il Comune si sia mosso in questo senso sulla base dell’ordinanza cautelare del T.A.R. Campania n. 1318 del 15 giugno 1993, poiché questa era palesemente antecedente all’attivazione dei poteri sostitutivi.

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La fondatezza del primo motivo sarebbe di per sé sufficiente per l’accoglimento dell’appello, ma appare opportuno rilevare altresì la fondatezza anche del quarto motivo, concernente il rigetto della concessione.

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La Soprintendenza per il beni ambientali ed architettonici di Napoli, pur nel riconoscimento dell’avvenuta decorrenza dei termini di legge, aveva invitato gli uffici comunali a rimuovere in via di autotutela l’autorizzazione paesaggistica già rilasciata ed a provvedere ad un riesame dell’intervento al fine di giungere a soluzioni compatibili con le esigenze di tutela, date le dimensioni dell’insediamento e la natura di verde degradante dei luoghi.

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Il provvedimento comunale si era limitato a ritenere la mancanza del parere del Consorzio per l’Area di sviluppo industriale e a rilevare che la volumetria dell’intervento era superiore a quella realizzabile sul lotto, vista l’avvenuta creazione di strade di scorrimento e poi, soprattutto, a richiamare la necessità di attuare le costruzioni tramite un piano di intervento produttivo che però lo stesso Comune riconosce non previsto dal vigente strumento urbanistico.

<<
E’ del tutto evidente come le esigenze di riesame da operarsi in via di autotutela siano state sostanzialmente inevase, che il provvedimento abbia del tutto improvvisamente evocato la necessità di uno strumento urbanistico non previsto in origine e che in ogni caso l’interessata, trattandosi, si ripete, di un provvedimento di secondo grado, avesse il diritto di ottenere un computo preciso sulle sostenute eccedenze di volumetria. (……) >>.

Deve subito evidenziarsi che la predetta sentenza non si è pronunciata sulla spettanza o meno del bene della vita (concessione edilizia) richiesto dalla ricorrente, avendo disposto l’annullamento del diniego di concessione esclusivamente per motivi formali afferenti alla incompetenza sindacale ed alla erronea motivazione del diniego di concessione, lasciando, però, integro il potere discrezionale dell’Amministrazione competente di valutare in prosieguo (ovviamente anche alla stregua della sopravvenuta normativa) la spettanza o meno del bene della vita, con la conseguenza che il Comune conserva il potere per eventualmente denegare la concessione edilizia, ovviamente con motivazioni diverse da quelle ritenute infondate dal Consiglio di Stato.

In particolare il giudice di appello ha peraltro rilevato che l’atto impugnato allora in esame era appunto illegittimo per non aver considerato le obiezioni sollevate dalla Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Napoli, che non erano evidentemente di certo favorevoli nel merito alla realizzazione dell’intervento progettato dalla ricorrente.

Inoltre parte ricorrente ponendo nel ricorso a fondamento della proposta azione risarcitoria in via del tutto preminente un presunto danno da ritardo ascrivibile a colpa o, comunque, a negligenza del Comune nel riesaminare l’autorizzazione paesaggistica in precedenza rilasciata ai sensi dell’art. 7, L. n.1497 del 1939 e, più in generale, nella conduzione del procedimento, mostra di dare per scontato la fattibilità dell’intervento con riferimento alla normativa urbanistico-edilizia vigente alla data del 4.2.1987 di presentazione dell’istanza di concessione edilizia.

Orbene il rapporto di causalità fra danno e condotta del Comune (la prova della cui esistenza, quale elemento costitutivo dell’illecito - giova ricordarlo - deve essere fornita dalla ricorrente), presuppone, all’evidenza, la fattibilità dell’intervento all’atto della proposizione della domanda di concessione edilizia, circostanza questa, nel caso di specie, allo stato, tutt’altro che dimostrata e pacifica, in tal modo smentendo l’assunto apodittico ed indimostrato della ricorrente secondo cui la fattibilità dell’intervento non sarebbe stata mai posta in discussione dal Ministero.

Parte ricorrente ha tentato di ovviare a tale deficit probatorio producendo una consulenza tecnica, ma il suo valore è quello di un mero giudizio prognostico che deve confrontarsi con l’univoco parere della C.E.I. che si esprimeva sfavorevolmente “viste le dimensioni e la natura del luogo, trattandosi di ampia distesa a verde degradante dal colle su cui sorge la Masseria San Giovanni;
visto che l’intervento per volumetria, disposizione planimetrica ed altimetria sconvolge totalmente l’orografia del sito” ed in prospettiva della nuova valutazione da parte dell’Amministrazione in occasione dell’eventuale riesercizio del potere discrezionale.

Su tale aspetto, la giurisprudenza ha affermato che: <<
In tema di risarcimento del danno conseguente all’annullamento di un provvedimento amministrativo, in via generale, che manca il rapporto di causalità tra l’illegittimità dell’atto ed il danno lamentato allorquando la pubblica amministrazione conserva integro l’ambito di apprezzamento discrezionale del provvedimento ampliativo richiesto e la possibilità di una legittima diversa determinazione >>
(C.d.S., sez. V, 7 ottobre 2008, n. 4868;
22 aprile 2004, n. 2994) ed, ancor più decisamente (C.d.S.,sez. IV, 15 luglio 2008, n. 3552), è stato precisato che: <<
In caso di annullamento di un atto per vizi formali, che non intaccano sostanzialmente la discrezionalità dell’agire della pubblica amministrazione, non v’è spazio per alcun risarcimento del danno, poiché la pretesa alla legittimità (formale) del provvedimento viene adeguatamente ristorata attraverso l’eliminazione del vizio formale stesso, non avendo l’impugnata sentenza deciso nulla in ordine alla spettanza o meno del bene della vita >>.

Con riferimento all’annullamento di un diniego di concessione edilizia, la giurisprudenza ha evidenziato che la nuova valutazione della domanda deve essere fatta con riferimento alla disciplina urbanistica vigente al momento in cui viene notificata al Comune interessato la sentenza di annullamento del diniego, venendo così in rilievo anche la nuova disciplina intervenuta nelle more del giudizio, e ferma restando la facoltà dell’interessato di chiedere all’Amministrazione comunale di valutare una eventuale variante alla nuova disciplina urbanistica per consentire il pieno soddisfacimento della propria situazione giuridica ingiustamente lesa (A.P. 8 gennaio 1986, n. 1).

Deve essere aggiunto, poi, che allorquando sussistano tutti i presupposti di legge ed, in particolare, la conformità del progetto presentato alla vigente normativa urbanistica, il Comune non può legittimamente denegare la concessione edilizia (Cfr. C.d.S., sez. IV, 24.12.2008, n. 6538).

Non sembra che ciò si sia avverato nella fattispecie in esame, non solo con riferimento alla situazione urbanistica esistente all’atto della sentenza del Consiglio di Stato (come, d’altronde, dimostra la proposizione del ricorso in esame di natura meramente risarcitoria) ma anche con riferimento alla situazione urbanistica esistente al tempo della presentazione della istanza di concessione edilizia laddove - come sopra rilevato - manca la prova del la sussistenza del nesso di causalità fra condotta del Comune ed il danno lamentato.

Pertanto in mancanza di tale prova viene in tal modo a cadere l’assunto di parte ricorrente secondo cui il mancato conseguimento della concessione edilizia sarebbe ascrivibile in via del tutto preminente alla colpevole condotta del Comune.

Ma nella fattispecie parte ricorrente non ha neanche fornito una prova adeguata della colpevolezza del Comune.

In particolare, iniziando dalle ragioni delle violazioni commesse e censurate con la sentenza si osserva:

a) riguardo al difetto di competenza sindacale, come leggesi nella citata sentenza del Consiglio di Stato: <<
Il Presidente della Provincia, con proprio decreto n. 0025 del 30 giugno 1993, ha nominato un proprio funzionario nelle vesti di commissario ad acta per provvedere a tutti gli adempimenti necessari relativi alle determinazioni definitive sulla domanda di concessione per la costruzione del centro produttivo in questione, ciò dopo aver correttamente invitato il Sindaco a pronunciarsi entro i successivi 30 giorni, secondo il dettato dell’art. 8 quater co. 1 legge reg. n.39/78 e successive modificazioni (…..) >>, tuttavia tale affermazione non considera che il commissario ad acta della Provincia era stato soltanto nominato, ma non si era mai insediato, e, nella vicenda in esame la Provincia, con la nota prot. n. 1191 del 4.6.1992, indirizzata al Sindaco del Comune di C - a riscontro della istanza del 28.4.92 fatta pervenire alla medesima Provincia dal legale rappresentante della Sogeip con cui si richiedeva al Presidente della Provincia un intervento sostitutivo ex L.R. 11/83 - si è limitata ad invitare il predetto Sindaco “a pronunciarsi in merito all’istanza entro 30 gg. dal ricevimento del presente invito ai sensi della legge regionale n. 11 del gennaio 1983”;
conseguentemente, in data 15.6.1992, con nota prot. 006673, entro il termine di legge, il Sindaco riscontrava la richiesta della Provincia.

b) relativamente all’ulteriore argomento addotto nella sentenza del Consiglio di Stato per il quale il provvedimento comunale si sarebbe limitato a <<
richiamare un piano di intervento produttivo che però lo stesso Comune riconosce non previsto dal vigente strumento urbanistico >>, per modo che <<
il provvedimento abbia del tutto improvvisamente evocato la necessità di uno strumento urbanistico non previsto in origine >>, a dimostrare la scusabilità dell’errore commesso dal Comune valga la considerazione che proprio con nota la suddetta prot. 00733 del 15.6.1992 il Comune rappresentava all’Amministrazione Provinciale che: “trattandosi, inoltre, di intervento produttivo ai sensi dell’art. 26 del regolamento edilizio occorre l’approvazione preventiva del progetto da parte del Consorzio A.s.i. che concerne l’idoneità, l’opportunità dell’intervento, la sua localizzazione ed armonizzazione con le previsioni del Pino A.s.i. ai sensi dell’art. 3 delle norme di attuazione del citato Piano. In aggiunta di quanto sopra, va rilevato, altresì, che il Consiglio Comunale in data 28.9.1990, con atto n. 125, ha limitato per la Zona Agricola “E”la sola costruzione di fabbricati agricoli, nonché con atto n. 58 del 28.5.1992 ha fatto voti affinché il Sindaco si astenga dal rilascio di concessioni edilizie in contrasto con il documento programmatico approvato dai capigruppo consiliari, ed inviato al Commissario ad Acta ai fini della realizzazione dl Piano Regolatore Generale (….)”.

Nell’indagine sulla presunta colpevolezza del Comune l’accento va posto particolarmente sulla necessità rilevata nella sentenza del Consiglio di Stato di <<
provvedere ad un riesame dell’intervento al fine di giungere a soluzioni compatibili con le esigenze di tutela, data la dimensione dell’insediamento e la natura di verde degradante dei luoghi (…..) >>”.

Le esigenze di riesame rappresentate dal Consiglio di Stato furono originariamente evidenziate dalla Soprintendenza per i BB.AA.AA. di Napoli e Provincia che, dopo avere preso atto che si trattava di un’ampia distesa di verde degradante dal colle su cui sorge la Masseria S. Giovanni, che dà il nome al luogo e che l’area interessata dall’intervento ricadeva in zona agricola, dove, ai sensi dell’art. 26 del Regolamento Edilizio è possibile prevedere interventi produttivi nei limiti del Piano Regolatore, mentre il progetto presentato da Sogeip riguardava una superficie complessiva di 202.000 mq. per un volume totale di 303.500 mq. e per esso con decreto sindacale n. 56 del 27.3.1987 era stata rilasciata autorizzazione paesaggistica ex art. 7, L. n. 1497/1939, comunicava al Sindaco di C, con nota del 3.11.1998 che: “Quest’ufficio con nota n. 14953 dell’1.8.1987, aveva chiesto l’annullamento del citato decreto, ritenendo inammissibile il progetto, date le dimensioni dell’insediamento e la natura del luogo.

Ma, essendo decorsi i termini di legge non è più possibile emettere il decreto di annullamento invita il Comune previa verifica dello stato attuale dei luoghi a provvedere al riesame in via di autotutela rilasciata, al fine di addivenire in collaborazione con quest’ufficio a valutazioni compatibili con le esigenze di tutela”.

Tuttavia da un’attenta e corretta analisi dello svolgimento della vicenda in esame, oltre ad emergere che nessuna colpa rilevante può ascriversi al comportamento del resistente Comune per un presunto ritardo nell’effettuazione del riesame ordinato dalla Soprintendenza che aveva sostanzialmente già valutato come inammissibile il progetto della Sogeip (al riguardo venendo in rilievo piuttosto il ritardo con cui la società ricorrente ha attivato i poteri sostitutivi da parte della Provincia ed il comportamento di altri soggetti pubblici: Soprintendenza, Regione e Provincia), e, più in generale nell’annullare, prima l’autorizzazione paesaggistica e, poi, la concessione edilizia, deve ritenersi che le esigenze di riesame sotto il profilo paesaggistico raccomandate dalla Soprintendenza ed intimate dal T.A.R. Campania, Sezione Terza, con le ordinanze cautelari n. 503 del 2.3.1993 e n. 1318 del 15.6.1993 sono state adeguatamente e sostanzialmente soddisfatte, fermo restando il diritto della ricorrente di ottenere <<
un computo preciso sulle sostenute eccedenze di volumetria (……) >>, raccomandata dalla sentenza del Consiglio di Stato che potrà essere soddisfatta in occasione dell’eventuale riesercizio del potere.

Infatti, con ordinanza del T.A.R. n. 503/1993 (senza sospendere l’efficacia del decreto sindacale n. 4/92) si invitava il Comune a riesaminare la situazione come da nota del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali n. 24832 dell’8.11.1988 ed, in data 15.4.1993, prot, n. 004220 comunicava al T.A.R, di avere già ottemperato a quanto richiesto dalla Soprintendenza e che nella seduta del 23.6.1992, verb 3/92 la pratica era stata riesaminata dalla C.E.I. che aveva espresso parere contrario ed, infine che era stato emesso il decreto sindacale n. 4/92 di rigetto della pratica presentata dalla Sogeip s.r.l.;
in ottemperanza alla successiva ordinanza n. 1318 del 15.6.1993, il Comune rappresentava che in data 27.9.1993 era adottato il provvedimento sindacale prot. 010495 con il quale si rigettava la domanda di concessione edilizia prot.19/97.

Esemplificando - come da documentazione depositata dal resistente Comune in data 9.4.2015 - ulteriori elementi a comprova dell’assenza di responsabilità da parte del Comune sono ravvisabili:

a) nell’assenza di approvazione preventiva del progetto da parte dell’A.s.i., necessaria ai sensi dell’art. 26 del R.E., tale da non potersi considerare impedimento di carattere procedurale non avente alcuna connessione alla normativa di carattere paesistico;

b) nel puntuale riscontro del Sindaco di C alla richiesta della Provincia di pronunciarsi sulla richiesta di intervento sostitutivo presentata da Sogeip s.r.l. in data 28.4.1992 e la non attivazione del potere sostitutivo da parte della Provincia in seguito alla comunicazione del Sindaco di essere nell’”impossibilità” di rilasciare la concessione edilizia e di avere inviato la pratica alla C.E.I. ai fini del riesame;

c) nell’assenza di rilievi da parte dei tre Enti, alla nota di riscontro del 16.3.1993 con la quale il Sindaco comunicava di avere emesso in data 16.9.1992 il decreto sindacale n. 4/92 di diniego dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 7, L. n. 1497/1939;

d) nell’inattività dell’organo commissariale nominato dalla Provincia in data 30.6.1993, ma mai insediatosi preso il Comune C il quale, nel periodo in considerazione era obbligato all’adempimento di quanto stabilito con le ordinanze del T.A.R. Campania, l’ultima delle quali, datata 15.6.1993, assegnava al Comune il termine per provvedere, fissando per il prosieguo la Camera di Consiglio del 28.9.1993.

Infine, non va sottaciuto che la presunta mancata collaborazione del Comune con la Soprintendenza - lamentata dalla ricorrente - per addivenire a “soluzioni compatibili con le esigenze di tutela” proponendo alla ricorrente modifiche del progetto per renderlo compatibile con le esigenze di tutela, è da ascrivere ad interferenze di terzi (non escluso la ricorrente) che, peraltro, hanno sempre avvallato il comportamento del Comune;
al riguardo e sempre esemplificando, l’autorizzazione ex art. 7 della legge 1497/1939 emessa dal Sindaco del Comune di C con decreto 56/1987, era tempestivamente trasmessa in data 13.5.1987 per il conclusivo nulla-osta al Ministero dei beni culturali ed ambientali che, però non adottava alcun provvedimento ostativo nel previsto termine di sessanta giorni (al punto che l’autorizzazione doveva ritenersi definitivamente valida ed efficace), mentre soltanto in data 3.11.1988, nella more del definitivo rilascio della concessione, il Ministero con nota n. 24832 invitava gli uffici comunali ad effettuare un riesame dell’autorizzazione paesistica già rilasciata al fine di giungere a soluzioni compatibili con le esigenze di tutela dei luoghi.

E’ inoltre da notare che l’originaria autorizzazione paesaggistica del 1987 aveva esaurito, anche per la concomitante inerzia della stessa ricorrente interessata, il termine di validità quinquennale dell'autorizzazione paesaggistica, come previsto dall'art. 16 del regio-decreto n. 1357 del 1940, recante il regolamento per l'applicazione della legge n. 1497 del 1939,

Da quanto si è andato esponendo si perviene alla conclusione della insussistenza, nel caso all’esame del Collegio, anche dell’ulteriore elemento costitutivo dell’illecito (peraltro logicamente prioritario rispetto agli altri elementi) costituito dell’ingiustizia del danno, escludendosi, così, ogni responsabilità a carico del resistente Comune.

In definitiva l’esito del giudizio determina l’infondatezza della pretesa risarcitoria azionata sotto forma di equivalente monetario.

Le spese giudiziali seguono, come di regola, la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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