TAR Brescia, sez. II, sentenza 2010-12-17, n. 201004859

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Brescia, sez. II, sentenza 2010-12-17, n. 201004859
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Brescia
Numero : 201004859
Data del deposito : 17 dicembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00410/2010 REG.RIC.

N. 04859/2010 REG.SEN.

N. 00410/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 410 del 2010, proposto da:
A C ed E B, rappresentati e difesi dagli avv.ti Enzo Barila' e M N, con domicilio eletto presso M N in Brescia, via Solferino, 28;

contro

A.N.A.S. Spa, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6, presso gli Uffici della stessa;

Provincia di Brescia, rappresentata e difesa dagli avv.ti G D e M P, con domicilio eletto presso M P in Brescia, c.so Zanardelli, 38;

per la condanna

- in via principale, di A.N.A.S. s.p.a. al risarcimento per equivalente del danno subito da parte ricorrente per la occupazione illegittima, la trasformazione a strada e la perdita della proprietà del fondo agricolo sito in Comune di Rovato, mappali 7 e 8 del foglio n. 34 del N.C.T.;

- in subordine, di A.N.A.S. s.p.a. e della Provincia di Brescia alla restituzione, previa remissione in pristino stato, dei suddetti mappali, oltre al risarcimento del danno per l’illegittima occupazione dei medesimi sino all’effettivo adempimento.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Anas Spa e di Provincia di Brescia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2010 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I sig.ri Cavalli Angelo e Bertuzzi Erminia espongono di essere proprietari, per un mezzo indiviso, del mappale 7 del foglio 34 del N.C.T. di Rovato e, rispettivamente per una quota di 5/12 il sig. Cavalli Angelo e 7/12 la sig.ra Bertuzzi Erminia, del mappale 8 del medesimo foglio.

Tali fondi hanno formato oggetto (il mappale n. 7 per 1410 mq e il mappale 8 per 2040 mq) di una procedura espropriativa che, come previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità intervenuta il 7 maggio 1991, avrebbe dovuto concludersi entro il 10 aprile 1996. In conseguenza di ciò essi sono stati occupati e trasformati per la realizzazione di un tratto della nuova strada statale 11 – Padana Superiore, attraverso lavori che si sono stati ultimati il 28 aprile 1995, nonostante la strada sia stata poi aperta al pubblico solo il 13 maggio 2005.

La procedura espropriativa, invece, non è mai stata completata, né, secondo i proprietari dei fondi, sarebbero mai intervenute proroghe dell’occupazione d’urgenza e/o della dichiarazione di pubblica utilità.

Sul piano dell’indennità gli stessi avrebbero ricevuto la somma complessiva di 31.829.650 lire, pari a 16.438,64 Euro, ma, nonostante i numerosi solleciti effettuati dopo il 2000, il pagamento del saldo di quanto loro dovuto non sarebbe ancora avvenuto, a discapito delle numerose promesse fatte. In particolare il 26 settembre 2000, come documentato dal verbale dell’incontro avvenuto presso la Prefettura di Brescia, il Capo compartimento di Milano avrebbe promesso di procedere alla liquidazione delle indennità di esproprio ancora dovute e al risarcimento dei danni cagionati entro il 31 maggio 2001. Tale impegno non è stato però rispettato e così i proprietari inviavano apposita nota di sollecito sia in data 10 febbraio 2003, che in data 4 marzo 2004. Faceva seguito, il 22 marzo 2005, una nuova promessa di pagamento entro il mese successivo, anch’essa rimasta lettera morta, mentre la competenza sul tratto di strada statale in questione veniva trasferita alla Provincia di Brescia, per ciò solo evocata in giudizio.

A fronte del silenzio dell’amministrazione, quindi, i proprietari hanno ritenuto di chiedere, al giudice amministrativo, considerato che trattasi di comportamento illecito comunque generato da un esercizio del potere espropriativo mediante dichiarazione di pubblica utilità ed avvio di un procedimento ablatorio poi non conclusosi nei termini:

a) il risarcimento per equivalente del danno subito dai ricorrenti per la occupazione illegittima, la trasformazione a strada e la perdita della proprietà del fondo agricolo sito in Comune di Rovato e più precisamente dei mappali 7 e 8 del foglio n. 34 del N.C.T., per una superficie complessiva di mq 3450 ed un controvalore di 51.750,00 Euro (ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia per la perdita della proprietà), nonché per un importo pari a 4.312,50 Euro all’anno per l’occupazione illegittima protrattasi dall’11 aprile 1996 alla data del presente ricorso. Tutto ciò oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria sino al saldo effettivo;

b) in subordine, la condanna dell’A.N.A.S. s.p.a. e della Provincia che attualmente la detiene, alla restituzione dei fondi, previa loro rimessione in pristino stato, oltre ad un importo pari a 4312,50 Euro all’anno per l’occupazione illegittima protrattasi dall’11 aprile 1996 alla data del presente ricorso.

Il tutto previo, se ritenuto necessario, ordine imposto all’Amministrazione di adozione del provvedimento ex art. 43 del DPR 327/01, ai fini dell’acquisizione della porzione trasformata e di quella interclusa.

La Provincia, dopo una prima costituzione formale con correlato deposito di documenti, ha depositato una memoria difensiva, evidenziando come i ricorrenti, nel loro ricorso, abbiano manifestato espressamente la volontà di rinunciare alla restituzione del bene e come sia sopravvenuta l’impossibilità – per la Provincia stessa quale attuale titolare delle competenze trasferite sul tratto di strada in questione - di adottare un provvedimento ex art. 43 del DPR 327/10, attesa l’intervenuta dichiarazione di incostituzionalità di tale norma (sentenza Corte Costituzionale n. 293/2010 dell’8 ottobre 2010). Ne deriverebbe la carenza di legittimazione passiva della Provincia rispetto alle domande formulate dai ricorrenti, i quali solo in via subordinata hanno richiesto la restituzione dei beni occupati. Tale restituzione sarebbe, peraltro, secondo quanto eccepito dalla Provincia, impossibile, per effetto dell’irreversibile trasformazione dei fondi già accertata da questo Tribunale nelle sentenze n. 351/2008 e 1796/2008, in ragione della quale potrebbe essere disposto solo il risarcimento del danno per equivalente, la cui corresponsione dovrebbe, però, essere posta ad esclusivo carico dell’A.N.A.S. risultata inadempiente nell’esercizio del proprio potere ablatorio.

In vista della pubblica udienza parte ricorrente ha, quindi, provveduto, in primo luogo, a depositare copia delle sentenze con cui il Tribunale civile di Brescia ha definito le parallele controversie promosse nei casi di occupazioni usurpative che sono state poste in essere nella fase esecutiva dei lavori, ai fini di dimostrare la correttezza dei criteri risarcitori applicati nella formulazione della domanda in esame.

Nel dare atto dell’intervenuta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 del DPR 327/01, inoltre, i ricorrenti ribadiscono come tale circostanza si ponga in termini ancora più favorevoli rispetto all’accoglimento della domanda risarcitoria formulata in via principale.

L’A.N.A.S., invece, ha dapprima eccepito l’intervenuta prescrizione del danno ex art. 2947, primo comma del cod. civ.. Nel caso di specie, infatti, si sarebbe, secondo la difesa erariale, in un’ipotesi di occupazione acquisitiva, che si sarebbe perfezionata a seguito della scadenza dei termini per la conclusione del procedimento ablatorio già nel 1996.

La domanda risarcitoria sarebbe, inoltre, inammissibile, in quanto i ricorrenti avrebbero rinunciato a qualsivoglia pretesa in occasione della sottoscrizione del verbale di cessione volontaria e della successiva accettazione del pagamento della somma di lire 41.533.000 (di cui 36.468.000 per la proprietà e 5.065.000 per l’occupazione): pagamento che sarebbe avvenuto in due diversi momenti e cioè il 22 dicembre 1994 per quanto riguarda l’acconto (13.042.400 Bertuzzi Erminia e 9.316.000 Cavalli Angelo) e il 20 giugno 2001 (7.724.100 e 11.450.500, rispettivamente) per quanto attiene al saldo.

In ogni caso il risarcimento del danno, qualora dovuto, dovrebbe essere commisurato al valore che le aree avevano al momento della loro irreversibile trasformazione (e cioè al momento della scadenza dell’occupazione illegittima) e da tale importo dovrebbe essere detratto quanto già corrisposto a titolo di indennità (e cioè 36.468.000).

Del tutto escluso, inoltre, sarebbe l’accoglimento della domanda subordinata, poiché, trattandosi di procedura attivata antecedentemente all’entrata in vigore del Testo unico in materia di espropriazione, del tutto inconferente sarebbe l’intervenuta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 del DPR 327/01, essendo la fattispecie riconducibile ad una ipotesi di accessione invertita.

Alla pubblica udienza del 25 novembre 2010 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione, non prima di aver dato atto, a verbale, della tardività opposta dal procuratore di parte ricorrente al deposito dei documenti, da parte dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, oltre il termine di 40 giorni antecedenti la pubblica udienza fissato dal nuovo c.p.a. ed aver ascoltato la replica della difesa erariale.

DIRITTO

Deve essere preliminarmente rigettata l’eccezione della Provincia, seconda la quale essa sarebbe priva di legittimazione passiva. Ancorché in via subordinata, infatti, parte ricorrente ha chiesto la restituzione della proprietà dei terreni in questione, con la conseguenza che, essendo stata trasferita la competenza sul tratto di strada in questione in capo alla Provincia, l’eventuale destinatario dell’ordine in accoglimento della domanda subordinata non potrebbe che essere la Provincia medesima.

Solo l’eventuale accoglimento della domanda risarcitoria formulata in via principale, quindi, potrebbe escludere l’onere di adempimento della Provincia (posto che le specifiche modalità di trasferimento delle competenze concordate tra Stato e Provincia riservano a carico dell’ANAS l’eventuale responsabilità per il risarcimento del danno), così da farne un soggetto legittimato passivo, ancorché in via subordinata ed ipotetica.

Ciò premesso, il ricorso non può trovare accoglimento.

Per addivenire a questa conclusione, il Collegio ritiene, però, di dover prendere le mosse dalla eccepita tardività del deposito della documentazione prodotta il 18 ottobre 2010 dall’Amministrazione resistente.

L’art. 73 del d. lgs. 104/10 prevede, a tale proposito, che le parti possano produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e presentare repliche fino a venti giorni liberi.

Secondo la difesa erariale, che ha prodotto i documenti della cui ammissibilità si controverte solo il 13 novembre 2010 (e quindi ben oltre il termine sopra ricordato), tale disposizione non troverebbe applicazione nel caso di specie, trattandosi di un ricorso notificato e depositato prima dell’entrata in vigore del c.p.a.. Ne discenderebbe, secondo la tesi esposta dall’Avvocatura dello Stato nel corso della pubblica udienza, l’inapplicabilità al caso di specie del ricordato art. 73, in ragione della norma transitoria di cui all’art. 2 dell’allegato 3 del d. lgs. 104/10 - in ragione del quale “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti” - e la conseguente ammissibilità del deposito, intervenuto nel rispetto del termine precedentemente fissato in venti giorni liberi antecedenti la pubblica udienza.

Il Collegio ritiene preferibile a tale tesi quella secondo cui per il deposito di documenti e memorie in vista della pubblica udienza, i termini possono essere ritenuti in corso solo dopo che sia stata comunicata alle parti l’avvenuta fissazione dell’udienza, con la conseguenza che il discrimen non può essere rappresentato dal momento in cui il ricorso è stato incardinato.

Ciò premesso, ai sensi dell’art. 71 dello stesso c.p.a., il decreto di fissazione dell’udienza pubblica deve essere comunicato alle parti almeno sessanta giorni prima dell’udienza stessa, con la conseguenza che, per tutte le udienze fissate oltre il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore del d. lgs. 104/10, debbono ritenersi applicabili i nuovi termini di cui all’art. 73 del c.p.a., a prescindere dal fatto che la comunicazione sia (come nel caso di specie) in concreto avvenuta prima del 16 settembre 2010 (data di entrata in vigore del c.p.a.). Laddove l’avvenuta conoscenza della data di fissazione dell’udienza sia intervenuta più di sessanta giorni prima dell’udienza stessa e, quindi, nel rispetto del disposto dell’art. 71, i correlati termini per il deposito di documenti e memorie non possono che essere quelli di cui all’art. 73. Nessun effetto di introduzione di una norma derogatoria può, naturalmente, avere il fatto che l’avviso di segreteria sia stato trasmesso prima dell’entrata in vigore del codice, con la conseguenza che ciò non può in alcun modo mutare la circostanza per cui, in presenza di termini che debbono essere calcolati a ritroso, gli stessi non possono che essere ritenuti in corso, quando il diverso termine, più risalente nel tempo (come nel caso del termine di quaranta giorni antecedenti l’udienza, rispetto ai precedenti venti giorni) sia già decorso o sia eccessivamente oneroso da rispettare.

Nel caso di specie non ricorre nessuna delle due condizioni, posto che tra l’entrata in vigore del codice (16 settembre 2010) e la data fissata per l’udienza pubblica (25 novembre 2010), il termine di quaranta giorni antecedenti l’udienza poteva essere ancora ampiamente rispettato, anche in un’ottica di adeguatezza dei termini per “organizzare” la difesa, risultando rispettato anche il termine normalmente previsto a regime di sessanta giorni antecedenti l’udienza ed anzi, essendo stata, in concreto, la parte messa in condizione di conoscere dell’avvenuta fissazione dell’udienza in data ampiamente più risalente e comunque successiva all’avvenuta approvazione della novella processuale (2 luglio 2010) e sua pubblicazione.

Ciononostante, data la novità della questione e la complessità della individuazione della corretta interpretazione della scarna norma transitoria dettata dal legislatore, il Collegio ravvisa i presupposti per consentire la rimessione in termini, disponendo, pertanto, l’acquisizione dei documenti tardivamente depositati.

Tra questi ultimi ne spicca uno che la difesa erariale qualifica come documento essenziale, essendo, a parere della stessa, idoneo al trasferimento della proprietà a favore dell’ente espropriante e cioè il verbale di cessione volontaria.

Premesso che parte ricorrente non lo ha disconosciuto, si deve però precisare che il documento in questione rappresenta, invero, la mera sottoscrizione dell’accordo di cessione volontaria e non anche dell’atto di cessione volontaria, costituente titolo per il trasferimento della proprietà in capo allo Stato per il tramite dell’ANAS.

A tale proposito il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo cui presupposti indispensabili della stipula dell'atto di cessione volontaria sono la condivisione dell'indennità, il deposito della documentazione attestante la piena e libera proprietà del bene e il consenso del proprietario a stipulare l'atto dopo aver riscosso l'indennità, oltre al rispetto del principio della necessità della forma scritta richiesta ab substantiam. I contratti della p.a. debbono, infatti, essere redatti a pena di nullità per iscritto e;
l'atto scritto deve consistere in un documento unitario sottoscritto dal privato e dal rappresentante dell'ente legittimato ad esprimere la volontà all'esterno (cfr. Tar Puglia Sez. III Bari n.2023 del 17 agosto 2009;
Corte di Cass. Sez. I Civ. n.17686 del 29 luglio 2009;
Tar Sicilia Sez. II Catania n. 697 del 7 aprile 2009;
Tar Calabria Sez. Reggio Calabria n.696 del 15 dicembre 2008;
Cass. SS.UU. n. 26739 del 19 dicembre 2007).

Quello che risulta essere stato sottoscritto da parte ricorrente è un documento che senza dubbio risponde a buona parte dei requisiti ora individuati come necessari, ma poiché risulta essere privo della data di sottoscrizione e indica come condizione la successiva dimostrazione, da parte della ditta espropriata, della proprietà e libertà dei fondi, non può che rappresentare la manifestazione di volontà dei proprietari di addivenire alla cessione volontaria (ovvero l’accettazione della procedura espropriativa e dell’indennità e la manifestazione di disponibilità al trasferimento della proprietà) e non anche il contratto idoneo al trasferimento della proprietà.

Non è, quindi, possibile ravvisare l’eccepito, intervenuto, trasferimento della proprietà che escluderebbe in radice il diritto al risarcimento del danno, ma la sottoscrizione del verbale di cessione volontaria non è nemmeno priva di rilevanza, come ha sostenuto ricorrente nella propria difesa orale sullo specifico punto.

A tale proposito si rende in primo luogo opportuno precisare che, come è stato possibile accertare nel corso della pubblica udienza stessa, in ragione di quanto affermato dalla difesa erariale e non smentito da parte ricorrente, la sottoscrizione del suddetto verbale di cessione volontaria è senz’altro anteriore a quella, datata al 20 giugno 2001, delle successive dichiarazioni finalizzate ad ottenere il pagamento del saldo.

Da tale data, quindi, deve ritenersi che sia venuta meno l’illegittimità dell’occupazione protrattasi oltre la scadenza del decreto che la legittimava.

Ciò in considerazione del valore da attribuirsi al verbale in questione.

A tale proposito si deve anticipare come sia necessario, in materia di espropriazione per pubblica utilità, distinguere tra accordo sulla quantificazione dell’indennità (il cui valore permane solo se nel termine fissato sia stato tempestivamente adottato il decreto di esproprio) e accordo per la cessione volontaria, che farebbe venire meno la necessità dell’adozione del decreto di esproprio entro il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.

Secondo la sentenza del Consiglio di Stato n. 6245 del 23 settembre 2004, che il Collegio ritiene di poter condividere, si rende, quindi, necessario distinguere l’accordo sull’indennità “dalla ipotesi di un vero e proprio accordo, di natura transattiva (in effetti il richiamo alla valenza transattiva va limitato alle ipotesi nelle quali sussistano la res controversa e la res dubia, come nel caso della sentenza Cassazione n.6968/2002, nel quale si pone fine ad una lite, come non è nel caso in esame) o, preferibilmente, rinunziativa, con il quale il privato, nel ricevere ulteriori somme di danaro, dichiari di non avere null’altro a pretendere nei confronti dell’espropriante;
tale ultimo accordo non perde efficacia ove il procedimento espropriativo non si concluda nei termini, e, in caso di irreversibile e radicale trasformazione del bene per intervenuta realizzazione dell’opera pubblica, deve escludersi che il suddetto privato possa agire per ottenere il risarcimento del danno conseguente alla perdita della proprietà a seguito della intervenuta accessione invertita”.

Nel caso di specie il verbale sottoscritto ha un contenuto tale per cui appare in effetti difficile escludere la natura transattiva dello stesso: con la sua sottoscrizione i proprietari dichiarano, oltre che di accettare l’indennità di espropriazione fissata, di essere disponibili a trasferire la proprietà, di rinunciare a qualsivoglia ulteriore pretesa, anche in ragione del prolungarsi dell’occupazione dei suoli, nonostante il completamento dei lavori in data 28 aprile 1995 (come affermato nel ricorso stesso a pagina 2) e, quindi, ben prima della sottoscrizione dell’accordo sopravvenuta, senz’altro, anche all’intervenuta irreversibile trasformazione del suolo ad uso pubblico e, quindi, in un momento in cui erano già scaduti tutti i termini per la conclusione della procedura espropriativa e parte ricorrente ben avrebbe potuto già chiedere il risarcimento del danno subito.

Se, quindi, si ribadisce, al verbale sottoscritto dai proprietari ed approvato (con l’apposizione di specifici visti) dall’ANAS non può essere correlato l’effetto traslativo della proprietà, ben può attribuirsi allo stesso un valore transattivo che, esclusa sia la riduzione in pristino stato, che il diritto al risarcimento del danno in ragione dell’intervenuta rinuncia ad ogni ulteriore pretesa, legittima, da un lato, la pretesa di parte ricorrente alla liquidazione di quanto concordato e del cui integrale versamento non è stata data prova (atteso che il documento prodotto il 18 ottobre 2010 dall’Amministrazione sub n. 5 integra la dichiarazione dei dati dei proprietari necessari alla liquidazione, ma non comprova l’effettivo pagamento e non è, quindi, equiparabile ad una quietanza di pagamento) e dall’altro la possibilità, per l’Amministrazione, sulla scorta di tale accordo, di predisporre gli ulteriori adempimenti preordinati alla volturazione della proprietà a favore dello Stato e all’acquisizione al demanio stradale.

Ne discende l’integrale rigetto delle pretese di parte ricorrente, considerato che nel ricorso in esame non è stato in alcun modo richiesto il pagamento del saldo del prezzo della cessione concordato in sede di sottoscrizione del più volte citato verbale.

Le spese del giudizio possono, però - considerato il ritardo dell’ANAS nel definire la controversia, che ben può aver ingenerato una situazione di incertezza tale da giustificare la rimessione al giudice dell’accertamento della reale situazione di diritto, al fine di una sua chiara definizione - trovare compensazione tra le parti in causa.

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