TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-11-13, n. 202303386

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. II, sentenza 2023-11-13, n. 202303386
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202303386
Data del deposito : 13 novembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/11/2023

N. 03386/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01535/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1535 del 2016, proposto da
Villa Sant'Antonio Associazione ONLUS, rappresentata e difesa dagli avvocati L M e A M R, con domicilio eletto presso lo studio A M R in Catania, Via Vecchia Ognina 142/B;

contro

Comune di Messina, non costituito in giudizio;

Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, Via Ognina 149;

per l’esecuzione

della sentenza n. 108/2016 resa dal TA.R. per la Sicilia, Sezione Staccata di Catania, in data 13 gennaio 2016.

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2023 il dott. D B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame l’associazione ricorrente ha chiesto la piena esecuzione della sentenza del T.A.R. di Catania n. 108/2016 in data 13 gennaio 2016.

La ricorrente ha anche chiesto la fissazione di una somma di denaro ai sensi dell’art. 114, secondo comma, lettera e), c.p.a.

Il Comune di Messina non si è costituito in giudizio.

L’Amministrazione Regionale ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva.

Con memoria in data 20 ottobre 2023 la ricorrente ha precisato le proprie difese.

Nella camera di consiglio in data odierna la causa è stata trattenuta in decisione.

Deve in primo luogo osservarsi che l’Amministrazione Regionale è stata evocata in giudizio in quanto l’art. 114, primo comma, c.p.a. impone la notifica del ricorso in ottemperanza alla Pubblica Amministrazione “e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta”.

Ciò nondimeno, posto che la sentenza portata in esecuzione non ha posto obblighi a carico dell’Amministrazione Regionale, deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro.

Ciò precisato, a giudizio del Collegio il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

Va chiarito innanzitutto quanto segue.

La ricorrente ha chiesto sulla somma complessivamente dovuta dall’Amministrazione la rivalutazione e gli interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza;
questi ultimi, ai sensi dell’art. 1284, quarto comma, c. c, con saggio “pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

La ricorrente ha anche chiesto gli interessi legali, nella stessa misura, sulla somma liquidata a titolo di spese del giudizio definito con la sentenza portata in esecuzione.

Infine, la ricorrente ha chiesto il pagamento delle spese sostenute successivamente alla pronuncia del Tribunale.

Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.

La sentenza portata in esecuzione fa riferimento agli interessi legali e non menziona il quarto comma dell’art. 1284, il quale dispone che, se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Ne consegue che non può modificarsi quanto statuito dal giudicato, il quale, non menzionando il quarto comma dell’art. 1284 c.c., fa implicito riferimento al primo comma di tale disposizione.

L’art. 112, terzo comma, c.p.a. prevede, tuttavia, che possa essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

Nel caso in esame, però, la rivalutazione e gli interessi, nella misura sopra indicata, sono già contemplati nel titolo portato in esecuzione, sicché la domanda che è stata formulata, se accolta, determinerebbe una duplicazione di un ristoro già riconosciuto alla parte ricorrente.

Ciò a meno di ritenere che la richiesta sia stata formulata quale “azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione” (art. 112, terzo comma, c.p.a.), ma in questo caso mancherebbe la prova del danno, che non può considerarsi in re ipsa, anche ipotizzando che la fattispecie potesse giustificare la condanna - in occasione della sentenza portata in esecuzione - dell’Amministrazione alla corresponsione degli interessi contemplati dal citato art. 1284, quarto comma (altrimenti ciò si tradurrebbe in un mero espediente per eludere la statuizione passata in giudicato, la quale, come è stato indicato, si limita a contemplare gli ordinari interessi legali di cui al primo comma dell’art. 1284 c.c.).

Può aggiungersi che l’art. 1284, quarto comma, si applica, comunque, alle obbligazioni che hanno fonte negoziale (anche nel caso di pretese restitutorie derivanti da nullità contrattuale: cfr. Cassazione Civile, III, ordinanza in data 3 gennaio 2023, n. 61).

E’ stata esclusa, ad esempio, l’applicazione della norma nel caso di indennizzo per irragionevole durata del processo (Cassazione Civile, II, 9 maggio 2022, n. 14512: il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, rappresenta una chiara eccezione prevista esclusivamente per l'ipotesi in cui gli interessi costituiscano accessorio di un debito nascente da un negozio giuridico, con la conseguenza che essa non si applica all'indennizzo per irragionevole durata del processo, che non ha fonte negoziale).

Nel caso di specie il risarcimento è stato riconosciuto dal Tribunale per il silenzio (ritardo) dell’Amministrazione in relazione ad un rapporto di tipo concessorio (per una struttura di ricovero), ovviamente regolato in parte da una convenzione accessiva al provvedimento, ma in ogni modo disciplinato e derivante da atti costituenti esercizio di potestà amministrativa e, in quanto tale, di dubbia riconducibilità ad una vera e propria fonte negoziale.

Per le considerazioni esposte, il Collegio ritiene che la domanda relativa alla corresponsione degli interessi ai sensi dell’art. 1284, quarto comma, c.p.a. dopo il passaggio in giudicato della decisione non possa essere accolta.

Devono, invece, essere corrisposti dall’Amministrazione gli interessi legali sulle somme dovute per le spese di giudizio, atteso che, ai sensi dell’art. 1282 c.c., i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge od il titolo stabiliscano diversamente.

Ciò, peraltro, con esclusione degli importi relativi alla Cassa Avvocati e all’IVA, in quanto tali somme vengono percepite solo per essere versate alla Cassa e all’Amministrazione Finanziaria e, pertanto, esse costituiscono una mera partita di giro.

All’interessata spettano anche le spese successive all’emanazione dei titoli portati in esecuzione, in quanto esse rientrano automaticamente tra quelle conseguenti alla decisione, senza che sia necessaria al riguardo un’espressa statuizione del giudice (sul punto, cfr. Cass. Civ., Sez. VI, n. 17689/2010, T.A.R. Catanzaro, I, n. 287/2011, T.A.R. Napoli, IV, n, 2162/2011).

Esse, pertanto, dovranno essere debitamente documentate dal ricorrente all’Amministrazione (o al commissario “ad acta”) affinché possano essere riconosciute come pertinenti

Poiché non risulta che l’Amministrazione intimata abbia adempiuto il residuo obbligo derivante dalla pronuncia in epigrafe, il ricorso merita di essere accolto e, per l’effetto, deve ordinarsi al Comune di Messina di dare piena esecuzione alla decisione indicata in epigrafe entro trenta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ovvero della sua notifica su istanza di parte se anteriore.

Non è, invece, necessario fissare una somma per successive violazioni o inosservanze del giudicato, in quanto la nomina del commissario “ad acta” già assicura il soddisfacimento del credito azionato in tempi ragionevoli.

Per l’ipotesi di ulteriore inadempienza dell’Amministrazione intimata, si nomina quale commissario “ad acta”, il Segretario Generale del Comune di Giardini Naxos, con facoltà di delega ad altro funzionario dell’ufficio, affinché provveda, in via sostitutiva, entro novanta giorni dalla scadenza del predetto termine a dare esecuzione al giudicato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenendo conto della particolare semplicità della controversia in esame.

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