TAR Napoli, sez. III, sentenza 2022-05-16, n. 202203286
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Pubblicato il 16/05/2022
N. 03286/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00661/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 661 del 2018, proposto da
C B, rappresentato e difeso dall’Avv. R M, con domicilio eletto in Napoli alla Piazza Municipio n. 84 presso lo studio dell’Avv. E A e con domicilio digitale presso la PEC Registri Giustizia del suo difensore;
contro
COMUNE DI TORRE DEL GRECO, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
a) della disposizione dirigenziale del Comune di Torre del Greco prot. n. 78080 del 17 novembre 2017, recante il diniego di condono edilizio per la sopraelevazione di un piano e per la trasformazione in residenza di un locale deposito al piano terra con riguardo ad un fabbricato sito nel territorio comunale alla Via S. Elena n. 18, nonché delle relazioni istruttorie del responsabile del procedimento del 31 gennaio 2006 e del 13 novembre 2017 in essa richiamate;
b) di ogni altro atto anteriore, connesso e conseguente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2022 il dott. Carlo Dell'Olio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Premesso che:
- il ricorrente impugna la disposizione dirigenziale del Comune di Torre del Greco prot. n. 78080 del 17 novembre 2017, recante diniego di condono edilizio, unitamente alle relazioni istruttorie in essa confluite, meglio in epigrafe individuate, adducendo una serie di vizi attinenti agli aspetti della violazione di legge e dell’eccesso di potere;
- l’avversato diniego di condono edilizio – che costituisce il provvedimento su cui si appuntano le critiche attoree e la cui istanza è stata presentata dal ricorrente ai sensi della normativa condonistica del 2003 (art. 32 del decreto legge n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003) per sanare alcuni abusi consistenti in una sopraelevazione e in un cambio di destinazione d’uso relativi ad un preesistente fabbricato sito in zona soggetta a vincolo paesaggistico – trova supporto nei seguenti quattro ordini di motivi, ognuno capace di sorreggere autonomamente la negativa determinazione comunale: i) l’art. 32, commi 27 e 43, del decreto legge n. 269/2003 non prevede la sanabilità di opere realizzate in aree sottoposte a vincolo paesaggistico che, come quelle di specie, rientrino nella categoria della nuova costruzione;ii) il predetto disposto normativo non consente la sanatoria di opere che, al pari di quelle di specie, non siano conformi agli strumenti urbanistici;iii) l’art. 3, comma 2, lett. d), della legge regionale n. 10/2004 impedisce la sanabilità di immobili a destinazione residenziale nei comuni, come quello di Torre del Greco, soggetti alla disciplina della legge regionale n. 21/2003 (“Norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area Vesuviana”);iv) come si evince dal confronto tra la documentazione fotografica acclusa all’istanza di condono e quella integrativa prodotta successivamente (nel dicembre 2005) dall’interessato, i lavori oggetto di sanatoria non potevano ritenersi ultimati entro il termine ultimo di legge del 31 marzo 2003, ma dovevano a quella data reputarsi ancora in corso;
Rilevato che le censure formulate in gravame avverso il suddetto provvedimento denegatorio possono essere così riassunte con riguardo al primo profilo motivazionale sopra descritto, inerente alla non sanabilità di opere di nuova costruzione realizzate in aree sottoposte a vincolo paesaggistico:
a) è erronea l’attribuzione della qualità di nuova costruzione all’intero intervento oggetto di sanatoria, posto che non può qualificarsi come tale il cambio di destinazione d’uso del piano terra da deposito ad abitazione;
b) la disposizione limitativa della condonabilità in caso di sussistenza di vincoli, contenuta nell’art. 32, comma 27 (lett. d), del decreto legge n. 269/2003, va applicata “unicamente ai cespiti su cui è imposto un vincolo individuo atteso che la medesima risulta riferita, in maniera espressa ed inequivoca, esclusivamente agli “immobili””, con la conseguenza che non può riguardare le bellezze di insieme, ossia le aree su cui è impresso un vincolo paesaggistico. Infatti, la suddetta prescrizione limitativa “deve essere necessariamente interpretata in combinato disposto con le previsioni dell’art. 136 del Decreto Legislativo n. 42/2004 (c.d. Codice Urbani) il quale opera distinzione tra “immobili ed aree di notevole interesse pubblico”, intendendo elettivamente quali “immobili” le bellezze oggetto di vincoli individui, e per “aree” le bellezze d’insieme (e dunque il territorio in senso ampio assoggettato a regime vincolistico)”;
c) l’intervento oggetto di sanatoria è stato realizzato nel 2000, prima dell’apposizione del vigente vincolo paesaggistico di inedificabilità assoluta intervenuta con il Piano Territoriale Paesistico (P.T.P.) dei Comuni Vesuviani approvato con decreto interministeriale del 4 luglio 2002, con la conseguenza che non può considerarsi in radice sottratto al regime di condonabilità introdotto nel 2003 per gli immobili soggetti a vincolo paesaggistico;
Considerato che le prefate censure non meritano condivisione per le ragioni di seguito esplicitate:
aa) l’intervento oggetto di sanatoria, comportando comunque una sopraelevazione con correlativo aumento di volumetria, deve essere valutato nel suo complesso e, quindi, va ricondotto per intero alla categoria della nuova costruzione, indipendentemente dal connesso cambio di destinazione d’uso afferente ad una parte del fabbricato. Ad ogni modo, è assorbente notare che nel caso di specie il mutamento di destinazione d’uso, comportando il passaggio tra categorie funzionali urbanisticamente rilevanti ai sensi dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001, ossia la trasformazione di un deposito (locale commerciale) in abitazione (unità residenziale), si configura come opera di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, pienamente rientrante nel concetto di nuova costruzione di cui all’art. 3, comma 1, lett. e), del citato d.P.R. Infatti, è ovvio che la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comprenda non solo le attività di edificazione, ma anche quelle consistenti nella modificazione di un determinato assetto territoriale attraverso l’alterazione della sua conformazione funzionale (ossia della destinazione d’uso degli immobili ivi insistenti) e del correlativo carico urbanistico, con conseguente ascrivibilità di tali ultime attività all’ambito proprio degli interventi di nuova costruzione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 giugno 2016 n. 2915;TAR Campania Napoli, Sez. IV, 7 gennaio 2021 n. 93;TAR Campania Napoli, Sez. VII, 5 dicembre 2014 n. 6374;TAR Lazio Roma, Sez. II, 7 novembre 2011 n. 8535);
bb) a prescindere dal rilievo che l’art. 136 del d.lgs. n. 42/2004, nella sua attuale formulazione (applicabile ratione temporis), non sembra introdurre alcuna distinzione fra “immobili” ed “aree”, richiamando unicamente termini come “cose immobili”, “complessi di cose immobili”, “ville, giardini, parchi” e “bellezze panoramiche”, è dirimente osservare che l’art. 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269/2003 fa riferimento alla generale espressione di “immobili soggetti a vincoli”, senza assolutamente specificare le caratteristiche di detti vincoli, ossia se debbano intendersi per tali solo quelli individui con esclusione di quelli relativi alle bellezze di insieme, come opinato dal ricorrente. Ne discende, non potendo l’interprete attribuire a tale espressione un significato meno ampio di quello evincibile dal suo chiaro tenore letterale, che nel novero degli “immobili soggetti a vincoli” vanno inclusi anche quelli che, come il fabbricato in questione, sono ubicati in zone sottoposte a vincoli paesaggistici;
cc) è giuridicamente irrilevante che l’intervento oggetto di sanatoria sia stato asseritamente realizzato prima dell’apposizione del vincolo paesaggistico di inedificabilità assoluta di cui al P.T.P. dei Comuni Vesuviani. Invero, nel caso specifico l’intera costruzione abusiva si profilava già in astratto non condonabile ai sensi del combinato disposto dei commi 26 e 27 dell’art. 32 del decreto legge n. 269/2003, trattandosi di opere non rientranti nelle tipologie di illecito di minore rilevanza di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato decreto legge (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), come correttamente evidenziato dall’amministrazione comunale attraverso il rinvio al concetto di nuova costruzione operato nel provvedimento di diniego. Difatti, per le opere più impattanti in area vincolata, implicanti aumento di superficie e/o di volume come le nuove costruzioni, la normativa condonistica del 2003 fissa una preclusione assoluta alla sanatoria in maniera più restrittiva rispetto a quanto stabilito dalla legge n. 47/1985 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 agosto 2017 n. 4007;Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 maggio 2016 n. 1664;TAR Campania Napoli, Sez. III, 6 novembre 2020 n. 5044);
Considerato, infine, che:
- quanto sopra esposto riveste carattere assorbente ed esime il Collegio dall’esaminare le rimanenti censure con cui parte ricorrente intende contestare il gravato diniego di condono in ordine ai profili motivazionali emarginati alle lettere ii), iii) e iv) della superiore premessa (con conseguente irrilevanza della connessa questione di legittimità costituzionale sollevata a pagina 10 del ricorso), dal momento che comunque l’impianto complessivo di tale atto risulta validamente sorretto dalla rilevata non sanabilità di interventi rientranti nella categoria della nuova costruzione. Soccorre, al riguardo, il condiviso principio secondo il quale, laddove una determinazione amministrativa di segno negativo tragga forza da una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali sia di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse passi indenne alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento (cfr. Consiglio di Stato, A.P., 29 febbraio 2016 n. 5;Consiglio di Stato, Sez. V, 6 marzo 2013 n. 1373 e 27 settembre 2004 n. 6301;Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 luglio 2010 n. 4243);
Ritenuto, in conclusione, che:
- resistendo gli atti impugnati alle prospettazioni attoree, anche in virtù del disposto assorbimento di censure, il ricorso deve essere respinto per infondatezza;
- non vi è luogo a pronuncia in ordine al regime delle spese processuali, attesa la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente.