TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2022-04-04, n. 202203889
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Pubblicato il 04/04/2022
N. 03889/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00577/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 577 del 2019, proposto da
L S C, rappresentato e difeso dall'avvocato Michela Reggio D'Aci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Scipioni 288;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco, legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato N S, dell’Avvocatura Capitolina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sua sede in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
per l’accertamento
dell'illegittimità del comportamento tenuto da Roma Capitale in relazione all'inerzia ed al ritardo nella definizione della procedura di approvazione del PRINT di Pietralata, con grave violazione da parte dell'amministrazione degli obblighi di conclusione del procedimento, nonché degli obblighi di buona fede e correttezza cui è tenuta nella relazione con i cittadini e con lesione del principio di affidamento e dell'interesse legittimo alla tempestiva conclusione del procedimento, da cui è derivato un grave pregiudizio della posizione giuridica e patrimoniale del ricorrente;
e per la condanna
dell'Amministrazione resistente, ex art. 30 c.p.a., al risarcimento del danno subito dall'odierno ricorrente in relazione al diritto di proprietà a causa del comportamento inerte dell'amministrazione e del ritardo nella conclusione del procedimento di PRINT avviato nell'anno 2006 e a tutt'oggi non ancora concluso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 febbraio 2022 il dott. S G C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Ricorre il sig. C il quale è stato sino al 1° maggio 2015 proprietario del 100% delle quote della società Immobiliare 148 S.r.l., persona giuridica titolare della proprietà di una vasta area a destinazione industriale nella periferia di Roma, al numero 148 di via di Pietralata e dei relativi fabbricati a destinazione artigianale.
L’area di proprietà - meglio catastalmente distinta come in atti - è ricompresa in quello che costituisce il Piano Urbanistico Integrato (c.d. PRINT) di cui alla Delibera GC 24.05.2006 n. 283 (Approvazione del Programma di assetto urbanistico preliminare del Programma integrato Città da ristrutturare – Ambito Pietralata).
Espone parte ricorrente che la procedura relativa al PRINT veniva avviata dal Comune di Roma in data 26 luglio 2006 con la pubblicazione dell’avviso di indizione della procedura per la selezione dei progetti e la comunicazione delle scadenze per la presentazione dei contributi partecipativi e delle proposte d’intervento (successivamente prorogate), in esito alla quale l’Ente riceveva varie proposte, inclusa quella della società dell’odierno ricorrente;i proponenti, al fine della realizzazione del più ampio progetto urbanistico, costituivano il Consorzio PRINT Pietralata.
Seguivano varie attività ed interlocuzioni, all’esito delle quali veniva adottato il PRINT con la deliberazione dell’Assemblea del Comune di Roma n. 18 del 4 aprile 2013, riservando al prosieguo l’acquisizione del parere paesaggistico e del parere geologico da parte delle amministrazioni competenti;l’avviso di intervenuta adozione del programma veniva ritualmente pubblicato ai sensi di legge su un quotidiano nazionale del 10 giugno 2013.
Evidenzia il ricorrente che, a tale stadio di avanzamento del procedimento, confidando nell’avvio della procedura del PRINT, procedeva a limitare l’utilizzo del bene, astenendosi dal locarlo a terzi o dal destinarlo ad attività che richiedessero una ubicazione stabile e precludessero il tempestivo avvio delle attività riconnesse al Piano.
Il mancato introito derivante dallo sfruttamento economico dell’immobile (capannoni ad uso artigianale ed aree circostanti) durante il corso degli anni trascorsi dalla pubblicazione dell’avviso alla cessione delle aree (che sarebbe avvenuta solo in data 1° luglio 2015) viene stimato dal ricorrente in una perdita della rendita (tra il 2006 ed il 1° luglio 2015), calcolata con i parametri OMI, pari ad euro 1.267.613,00 (come da perizia allegata sub 10).
Intanto proseguivano le altre procedure di legge ed, in particolare, quella attinente alla pubblicazione di cui all’art. 15 della legge n. 1150/1942, conclusasi in data 9 luglio 2013. Entro il termine dell’8 agosto 2013 pervenivano n. 12 osservazioni – opposizioni e successivamente altre 2 fuori termine. In seguito intervenivano i pareri dell’Autorità di Bacino Tevere e del Servizio Geologico e Sismico Regionale ai fini della compatibilità delle previsioni del PRINT con le condizioni geomorfiche del territorio, nonché il parere Regionale sullo Studio di Inserimento Paesaggistico.
Nel 2015, a causa della crisi economica, il ricorrente si vedeva costretto a cedere le proprie quote societarie, con un meccanismo contrattuale che, però, gli conservava un sovraprezzo sull’aumento di valore presumibile in vista dell’approvazione del PRINT.
Più precisamente, con atto di cessione delle quote del 1° luglio 2015 il signor L S C cedeva alla Fiumicino Costruzioni Srl il 100% delle quote della società Immobiliare 148 Srl, dietro il pagamento di un corrispettivo pari ad euro 1.100.062,00. Con l’art. 2 dell’accordo di cessione le parti prevedevano la “ modifica della determinazione del prezzo ”, statuendo quanto segue: “ A parziale modifica ed integrazione di quanto previsto al precedente articolo, il corrispettivo della cessione (tenuto conto della rilevante e peculiare attività posta da tempo in essere del programma denominato “Print” di Pietralata n. 6/6°, già adottato con delibera dell’Assemblea Capitolina n. 18 in data 4 aprile 2013 e, quindi del conseguente ed imminente incremento di valore che potrebbe avere la quota oggetto di cessione) viene incrementato dell’importo di euro 1.177.317,00 da corrispondersi in n. 12 rate mensili consecutive si cui undici da euro 100.000,00 ciascuna ed una da euro 77.317,00 con decorrenza dalla data di approvazione del PRINT che comunque dovrà avvenire entro e non oltre il termine del 31 marzo 2017. Nel caso in cui la delibera di approvazione del PRINT intervenisse dopo il 31 marzo 2017 e comunque entro il 31 dicembre 2017, e nel contempo la società non avesse ancora ottenuto l’autorizzazione del c.d. Piano Casa, Fiumicino si impegna a riconoscere a C una somma pari ad euro 350.000,00 a titolo di “earn out” ” (all. 11).
Del tutto inopinatamente, riferisce il ricorrente, in data 8 ottobre 2015 l’allora sindaco pro tempore di Roma Capitale si dimetteva ed il procedimento di completamento dell’approvazione del PRINT d’interesse si arrestava. Seguivano, con le amministrazioni che si succedevano alla guida dell’Ente, numerose interlocuzioni (che il ricorrente enumera dettagliatamente), senza tuttavia ottenere un nuovo avvio del procedimento, tanto che, nel 2018 il Consorzio PRINT presentava ricorso per l’accertamento della illegittimità dell’inerzia di Roma Capitale (RG 1834/2018).
Conclude chiedendo di accertare e dichiarare l’illegittimità del comportamento tenuto da Roma Capitale e dell’inerzia della Amministrazione resistente rispetto alla conclusione del PRINT nei termini di legge, con richiesta di pronuncia anche in merito alla fondatezza della pretesa del ricorrente in ordine alla corretta e tempestiva conclusione del procedimento;e di condannare l’amministrazione resistente al risarcimento del danno.
Si è costituita Roma Capitale che resiste al ricorso.
Nelle more del giudizio, il ricorrente ha dedotto che, con sentenza nr. 629/2019 del 17 gennaio 2019 veniva accolto il ricorso nr. RG 1834/2018, sancendosi l’obbligo di Roma Capitale di procedere all’approvazione del Programma Integrato della Città da Ristrutturare già denominato “Print 6 - 6a Pietralata” entro un termine che veniva fissato in novanta giorni.
Decorso anche questo termine inutilmente, con ulteriore sentenza (nr. 10824 del 10 settembre 2019), veniva nominato il Commissario ad acta.
Con deliberazione del 31 ottobre 2019, n. 81 l’Assemblea Capitolina approvava il PRINT
Sulla base di tali premesse, l’odierno ricorrente insiste nella domanda di risarcimento del danno che lamenta per il ritardo nell’approvazione del PRINT al quale aveva interesse per effetto dell’aumento di valore che, per effetto del predetto progetto, avrebbe ottenuto il proprio compendio immobiliare, lamentando i seguenti danni da ritardo.
1) - spese tecniche per la presentazione della proposta di adesione al PRINT pagate a Bioedil Progetti Srl per euro 19.032,00 nonché euro 60.298,37 per la parte pro quota delle spese sostenute da ISVEUR, incaricato delle attività tecnico amministrative correlate al PRINT (all 4 e 4 bis al ricorso introduttivo);
2) immobilizzazione del compendio immobiliare e dei capannoni ricompresi nel PRINT, tenuti a disposizione dell’amministrazione, con rinuncia a locarli e perdendo quindi nel periodo ricompreso tra l’avvio del procedimento (decorrente dalla data della Delibera GC 24.05.2006 n. 283, recante Approvazione del Programma di assetto urbanistico preliminare del Programma integrato Città da ristrutturare – Ambito Pietralata) e la vendita del compendio immobiliare (avvenuta in data 1 luglio 2015) la rendita presunta sulla base dei dati OMI pari ad euro 1.267.613,00 oltre interessi anno per anno e rivalutazione sino al pagamento (all. 10 al ricorso introduttivo);
3) perdita del sovrapprezzo di vendita: il ricorrente espone di essere stato suo malgrado costretto – per le difficoltà economiche della recessione iniziata nell’anno 2008 – a vendere il compendio immobiliare ricompreso nel PRINT con atto di compravendita del 1 luglio 2015, nel quale, in considerazione della prevista prossimità della conclusione del procedimento del PRINT, era prevista la corresponsione di un prezzo aggiuntivo se fosse intervenuta la relativa approvazione entro determinate scadenze successive, cioè euro 1.177.317,00 se il PRINT fosse stato approvato entro e non oltre il termine del 31 marzo 2017 ed euro 350.000,00 a titolo di “ earn out ” se il PRINT fosse stato approvato dopo il 31 marzo 2017 e comunque entro il 31 dicembre 2017 (all. 11 al ricorso introduttivo): la perdita della somma di euro 1.177.317,00 sarebbe diretta conseguenza dell’inopinato ed ingiustificato ritardo dell’amministrazione rispetto alla conclusione del PRINT.
In conclusione, a causa del comportamento gravemente illegittimo tenuto da Roma Capitale l’odierno ricorrente lamenta di aver subito un danno complessivo definito nella somma pari ad euro 2.524.260,00, ovvero nella diversa somma ritenuta di giustizia, da quantificarsi anche secondo equità, comunque oltre rivalutazione ed interessi, anche ai sensi dell’art. 1284, IV comma cc, decorrenti dalle diverse scadenze del contratto di cessione in atti.
Roma Capitale eccepisce quanto segue.
A) Mancanza di legittimazione a ricorrere del sig. C: in quanto quest’ultimo aveva venduto le quote della Società proprietaria dei terreni di interesse, quale soggetto aderente al Consorzio, sin dal 2015, non avrebbe titolo ad agire nel presente giudizio non essendo più il proprietario del compendio soggetto al PRINT;comunque, aveva delegato la partecipazione al Consorzio, con due conseguenti ed autonomi profili di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione.
B) Sul risarcimento del danno.
B1) Le spese di progettazione ed adesione al Consorzio non costituirebbero un danno perchè sono state spese utili (necessarie ad ottenere il PRINT) e dunque non costituiscono oggetto di lesione risarcibile.
B2) Quanto al mancato utilizzo del bene, mancherebbe ogni prova del valore dell’immobile, la dimostrazione circa lo stato degli immobili che si assumono locabili, circa l’eventuale presenza di precedenti conduttori (anzi la circostanza si può assumere come negativamente accertata) ed il pagamento di canoni (utile anche ai fini di una quantificazione del danno con una qualche forma di definizione);non è dimostrata l’eventuale presenza di richieste di locazione (e connesso canone offerto). Difetterebbe del tutto la prova di un qualsiasi danno risarcibile, del nesso causale, del relativo ammontare. In ogni caso, non si potrebbe fare decorrere dal 2006 il tempo del risarcimento, ma solo dal 2013, quando l’adozione del programma urbanistico rendeva approvabile in concreto il PRINT. Quest’ultimo dipendeva, invero, da una serie di assensi e pareri, l’ultimo dei quali “ parere paesaggistico favorevole con prescrizioni dalla Direzione Regionale Territorio, Urbanistica, mobilità e rifiuti - Area Urbanistica e Copianificazione Comunale: Roma Capitale - Progetti Speciali rilasciato ai sensi dell’art. 16 della L. 1150/1942 ” veniva conseguito solo con nota prot. QI/555/2016. Pertanto il lasso temporale del periodo risarcibile deriverebbe solo da questo momento, che è successivo alla cessione delle aree (2015).
B3) Evidenzia Roma Capitale che, nei dieci anni rivendicati con il ricorso poteva invece darsi locazione risolutivamente condizionata che avrebbe garantito gli (ipotetici) canoni e la possibilità di operare trasformazioni.
C) Infine viene eccepita, in subordine, la prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c. in relazione ai danni (a questo come ad altro titolo rivendicati) nel quinquennio antecedente al 28.12.2018.
D) Quanto al danno da mancata percezione del sovrapprezzo della vendita, l’Amministrazione eccepisce la non imputabilità del presupposto a colpa dell’Ente, evidenziando che:
D1) - sino al 2016 si dovevano attendere i N.O. e gli assensi da parte di Autorità esterne;
D2) - ancora nel 2017 pervenivano recessi dei proponenti (capoverso successivo) con conseguente necessità di riallineamento dell’intera manovra;
D3) - le polizze fideiussorie risultano depositate dai privati solamente nel periodo luglio-settembre del 2017 (pag. 14 del deliberato di approvazione);
D4) - a dicembre del 2017 perveniva una osservazione relativa all’avvio di procedimento per l’imposizione vincolo a contenuto espropriativo (pag. 17 deliberato);
D5) - a marzo del 2017 non erano ancora maturate (e non per responsabilità dell’Amministrazione) le condizioni dell’approvazione;
D6) sotto il profilo, subordinato, del quantum richiesto, non potrebbe riconoscersi ad accordi privatistici la capacità di quantificare l’importo di un danno a carico dell’Amministrazione (nei termini di cui alla previsione relativa al sovrapprezzo indicato nell’art. 2 del contratto);la libera contrattazione fra privati non potrebbe definire o quantificare il danno a carico di terzi. Inoltre, ex art. 1227 c.c. e 30 c.p.a., deve essere rilevata l’inerzia maturata dalla parte ricorrente nell’attivazione del giudizio ex art. 117 c.p.a., atteso che nell’avversa prospettiva, si matura una richiesta risarcitoria sin dal 2006: nel 2018, quando l’interessato (non l’odierno ricorrente, ma il Consorzio) ha attivato il ricorso, era già persa la possibilità di ottenere il sovraprezzo della vendita, qui rivendicata in forma risarcitoria.
Conclude per il rigetto del gravame.
Le parti hanno scambiato repliche e documenti.
Nella pubblica udienza del 18 febbraio 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Nell’odierno giudizio, le parti controvertono in ordine alla responsabilità di Roma Capitale per il ritardo nell’approvazione di uno strumento urbanistico, dal quale il ricorrente afferma di avere subito un pregiudizio, variamente articolato, di cui chiede di essere tenuto indenne.
Attesa la circostanza che, nelle more del giudizio, è intervenuta la conclusione del procedimento, va dato atto preliminarmente della cessazione della materia del contendere quanto al primo e principale capo di domanda.
Quanto alla domanda risarcitoria, dev’essere in primo luogo esaminata l’eccezione in rito di Roma Capitale circa la mancanza di legittimazione attiva del ricorrente, non più titolare della situazione giuridica alla quale è riferita l’utilità asseritamente pregiudicata dal ritardo provvedimentale della PA.
Invero, relativamente al danno da ritardo riferito alla mancata utilizzazione del bene immobile meglio descritto in atti, la lesione è riferibile soggettivamente alla società a responsabilità limitata che era proprietaria dell’area e che non è stata estinta, ma ceduta a terzi.
Sotto questo profilo, l’eccezione di Roma Capitale è corretta.
Quanto alla voce di danno riferita al mancato guadagno che si fonda sulla mancata percezione del sovrapprezzo della vendita delle quote della suddetta società a terzi, la legittimazione, invece, sussiste, proprio in quanto – secondo la prospettazione della parte ricorrente - il ritardo avrebbe comportato un minore introito in capo alla persona fisica che quelle quote cedeva, in relazione alla tempistica attesa di approvazione del PRINT.
Peraltro, il Collegio può prescindere dall’eccezione in rito, perché la domanda di risarcimento è infondata e come tale va respinta nel merito.
Sono sicuramente prive di ogni rilievo le voci di danno ricondotte dalla odierna parte ricorrente alle spese di progettazione, come puntualmente eccepito da Roma Capitale, essendo spese utili che sono state sostenute per la partecipazione al PRINT e non sono in alcun modo ricollegabili al ritardo nell’approvazione del piano.
Quanto alla perdita da valore (secondo le tabelle OMI) manca ogni prova della base di calcolo sulla quale è stata applicata la previsione delle richiamate tabelle, ovvero del valore effettivo di base dell’immobile, così come dedotto dall’Avvocatura, alle esposizioni puntuali della quale è sufficiente al Collegio rinviare, senza necessità di ulteriori approfondimenti.
Più complessa è l’analisi della voce di danno relativa al mancato introito del “sovraprezzo” di cessione delle quote societarie di cui al contratto del 1 luglio 2015.
La domanda introduce il tema della corretta selezione, tra gli antecedenti dell’evento, di quelli effettivamente riferibili alla responsabilità dell’agente, da individuarsi tenendo conto della più generale funzione dell’istituto dell’art. 2043 cod.civ. (al quale è riconducibile, per identità di natura e presupposti, la speciale responsabilità per il ritardo nell’emanazione di un provvedimento dovuto ex art. 2 bis della l. 241/90, cfr. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, decisione nr. 7/2021) ovvero sia la “ funzione dissuasiva, di matrice soggettiva e di più antica concezione, che, in coerenza con il precetto fondamentale del neminem laedere e il fondamento etico e di convivenza civile del rimedio risarcitorio, milita nel senso di addossare all’autore di condotte colpose ingiustamente lesive di altrui interessi patrimoniali le relative conseguenze ” che “ la più moderna funzione di equa ripartizione dei rischi connessi ad attività lecite ma potenzialmente pregiudizievoli per i terzi …, che invece giustifica sul piano oggettivo che le conseguenze economiche sfavorevoli per questi ultimi siano comunque accollate alle medesime attività, quale poste passive ad essa inerenti, secondo il principio cuius commoda eius et incommoda ” (cfr. ancora Adunanza Plenaria n. 7/2021), che giustificano l’“ applicazione dei criteri limitativi di cui al principio della consequenzialità immediata e diretta ex art. 2056 c.c., nonché dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, ex. artt. 1223 e 1227 c.c.” e non del criterio della prevedibilità del danno ex art. 1225 cod. civ.
Pertanto, saranno ascrivibili all’ambito del danno risarcibile per il ritardo provvedimentale della PA ex art. 2 bis della l. 241/90, secondo il parametro dell’illecito aquiliano, solo i danni che siano conseguenza immediata e diretta del ritardo stesso.
In linea di principio, secondo la giurisprudenza (v. ad es. Cassazione civile , sez. III , 27/03/2019 , n. 8461), in tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p. , per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano — ad una valutazione « ex ante » — del tutto inverosimili.
In ordine al tema dell’esatta definizione della causalità nell’ambito della disciplina delle obbligazioni risarcitorie per responsabilità aquiliana, la dottrina ha assoggettato ad approfondito dibattito gli orientamenti della giurisprudenza, evidenziandosi da più parti l’insufficienza del c.d. “doppio criterio” (appena descritto) della causalità, naturale e giuridica, in favore della necessità di elaborare un metodo selettivo più coerente con le premesse di tutela dell’istituto (funzione reintegrativa e non solo special preventiva della responsabilità) e regolare il decorso causale al fine di una corretta ripartizione dei rischi, così limitando l’applicazione rigorosa delle conseguenze “naturalistiche” dell’evento mediante una pluralità concorrente di parametri (che però non sono univocamente individuati, escludendosi ad esempio, da parte di alcuni il “rischio diffuso”, limitandosi da altri l’area risarcibile al “rischio tipico” o al “rischio vietato” e così via).
Tenuto conto del quadro giurisprudenziale e del dibattito dogmatico, devono ritenersi esclusi dall’ambito della risarcibilità ex art. 2043 cod.civ. ed art. 2 bis l. 241/90 a carico dell’Amministrazione, gli effetti del ritardo di quest’ultima nel provvedere, quando il ritardo stesso è assunto a presupposto esplicito di una pattuizione negoziale stipulata tra parti (diverse dalla PA procedente) rivolta a ripartirne reciprocamente il rischio di incidenza sulle prestazioni principali pure oggetto dell’accordo: in questi casi, infatti, l’effetto lesivo sarà la conseguenza del modo in cui le parti hanno regolato i loro accordi e quindi della clausola negoziale, non del ritardo nel provvedere che risulta causa solo mediata e indiretta dell’evento.
Invero, nel caso di specie, le parti hanno regolato l’acquisto delle quote della società dell’odierno ricorrente mediante una doppia clausola, l’una avente ad oggetto una condizione mista a termine e l’altra relativa ad un patto di “ earn out ”, che suddivide il prezzo di vendita in una parte fissa, che viene corrisposta immediatamente (c.d. “ closing ”) e che è parametrata al valore attuale del bene trasferito;ed una parte variabile, da corrispondersi in vista ed in funzione di un maggior rendimento futuro ed atteso (quindi in vista di una “chance” di incremento del valore del bene trasferito).
Anche la prima clausola, attesa la similarità di struttura, può ricondursi quoad effectum alla medesima funzione tipica della seconda (“ earn out ”): entrambe, infatti, assolvono all’esigenza delle stesse parti di valorizzare una utilità futura ed attesa del bene trasferito entro un (ragionevole) termine di tempo (la congruità del quale dipende dalle ragioni e dai presupposti del rendimento atteso) tale per cui essa è considerata come ancora riferibile alla iniziativa del cedente, quale prodotto di quest’ultimo.
Consumato il termine, cessa la riferibilità delle utilità a venire al patrimonio del dante causa, con la conseguenza che ogni incremento di valore del bene trasferito sarà interamente riferibile al patrimonio del nuovo titolare, tanto che quest’ultimo non è più tenuto a corrisponderne il prezzo al cedente.
Mediante la pattuizione le parti hanno quindi esaustivamente regolato non solo l’aspettativa, ma anche il rischio che l’approvazione del PRINT non si realizzasse, accettando, rispettivamente, la possibilità di un maggior prezzo (in ragione dell’aumento del valore del bene venduto ed a condizione che tale evenienza si verificasse entro un determinato termine);e la possibilità di definire la vendita al prezzo pattuito, senza sovrapprezzo (qualora l’auspicata conclusione del procedimento di PRINT non avvenisse entro il termine stimato o non avvenisse mai).
Non essendosi verificata, nei termini previsti, la condizione alla quale era subordinata la parte variabile dell’acquisto, sul piano naturalistico la mancata percezione del sovrapprezzo della cessione delle quote è certamente riferibile al ritardo dell’Amministrazione nel provvedere.
Tuttavia, una volta che l’evento dedotto in condizione non si è verificato nel termine fissato, è la regolazione degli interessi, diventata definitiva, a costituire il titolo che giustifica lo spostamento patrimoniale così come pattuito e già realizzato (cioè in maniera corrispondente all’effettivo assetto del valore del bene valutato dalle parti): quindi, l’evento del quale il ricorrente si duole è l’effetto giuridico immediato e diretto della pattuizione, mentre risulta conseguenza solo “mediata” (dalla negoziazione) e quindi indiretta del ritardo dell’Amministrazione nel provvedere.
In presenza di tali presupposti, l’azione volta ad ottenere dall’Amministrazione l’equivalente del maggior prezzo a suo tempo stimato a titolo di responsabilità aquiliana, equivale non già e non più ad assolvere alle funzioni dissuasiva e di equa ripartizione dei rischi rispetto all’Amministrazione, che sono proprie dell’istituto, ma, semplicemente, a neutralizzare l’effetto voluto della pattuizione, addossando ad un terzo (l’Amministrazione), il rischio del controvalore (supplementare) delle quote che è definitivamente uscito dal patrimonio del cedente al momento della consumazione del termine pattuito nel negozio.
Conclusivamente, la domanda di risarcimento del danno da ritardo è infondata e come tale va respinta, sebbene con giuste ragioni, rese evidenti dall’esposizione che precede, per compensare interamente le spese di lite tra le parti.