TAR Milano, sez. IV, sentenza 2023-07-17, n. 202301848
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Pubblicato il 17/07/2023
N. 01848/2023 REG.PROV.COLL.
N. 01313/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1313 del 2021, proposto da Aicap, Anacs, Publi Citta' S.p.A., Gpo S.r.l., Sipe S.r.l., Sponsor Group S.r.l., ciascuna in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentate e difese dall'avvocato F L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Castellanza, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A C e M S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
del Regolamento per l'applicazione del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione di occupazione ed esposizione pubblicitaria – canone unico patrimoniale (delibera di C.C. n. 21 del 30 aprile 2021), nonché della delibera di Giunta n. 61 del 31 maggio 2021 con la quale sono state approvate le tariffe e i coefficienti moltiplicatori e relativi allegati, nonché di ogni ulteriore atto connesso, conseguente e/o presupposto, comunque lesivo della posizione dei ricorrenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2023 la dott.ssa K P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 21 del 30 aprile 2021 il Comune di Castellanza approvava il Regolamento per l’applicazione del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione di occupazione ed esposizione pubblicitaria – Canone unico patrimoniale (di seguito anche, breviter , CU) previsto dall’art. 52 D. Lgs. 446/1997, confermato dal comma 6 dell’art. 14 D. Lgs. 23/2011, e dall’art. 1 commi da 816 a 836 della Legge n. 160/2019, prevedendone l’efficacia a far data del 1° gennaio 2021.
Con la successiva Deliberazione di Giunta Comunale n. 61 del 31 maggio 2021 l’Amministrazione approvava invece le tariffe del canone unico patrimoniale per l’anno 2021.
2. Le associazioni AICAP e ANACS, rappresentative a livello nazionale degli esercenti attività di pubblicità esterna e preposte per Statuto alla tutela degli interessi delle imprese del settore, nonché le società Publi Città S.p.a., GPO S.r.l., SIPE S.r.l. e Sponsor Group S.r.l., attive nel medesimo settore (anche) nel Comune di Castellanza, con il ricorso introduttivo del presente giudizio impugnavano il Regolamento e le Tariffe approvati con i provvedimenti di cui al precedente punto 1, sollevando in sede preliminare questione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 commi 817, 819, lett. b), 821, 822, 825, 826, 827, della Legge 160/2019, in relazione all’articolo 23 della Costituzione e, nel merito, chiedendo l’annullamento degli atti impugnati per i motivi di seguito compendiati.
Con il primo motivo veniva dedotta la ritenuta incompetenza della Giunta comunale ad approvare nuove tariffe, in asserita violazione del combinato disposto di cui agli att. 42 e 48 D. Lgs. 267/2000.
Con il secondo motivo di gravame si contestava la lesione del principio di invarianza del gettito. In particolare, a parere della parte ricorrente, mentre il Canone Unico Patrimoniale avrebbe dovuto « assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone » (art. 1, c. 817, L. 160/2019), il Comune di Castellanza avrebbe invece di fatto incrementato le tariffe sui mezzi pubblicitari rispetto al 2020.
Mediante il terzo motivo di doglianza la parte ricorrente contestava la previsione dell’art. 16 del regolamento comunale che, accanto alla tariffa standard per unità di superficie, introduceva coefficienti di modulazione del canone non contemplati dalla legge, e dunque asseritamente illegittimi.
Nel quarto motivo di gravame si contestava l’art. 13 comma 3 del regolamento, il quale prevede che: « Costituiscono separati ed autonomi mezzi pubblicitari le insegne, le frecce segnaletiche e gli altri mezzi similari riguardanti soggetti diversi collocati su un unico supporto ». Si tratta della fattispecie delle cd. “preinsegne” (meglio descritta nella successiva trattazione in diritto), rispetto alla quale le ricorrenti ritengono sussistente un unico fatto impositivo, dunque chiederebbero il relativo assoggettamento a C.U. come se si trattasse di un unico cartellone pubblicitario;contestano, inoltre, che con il nuovo Regolamento si produrrebbe un incremento notevole del canone concretamente applicato alla specifica fattispecie in esame, con conseguente violazione del principio della necessaria invarianza del gettito di cui all’art. 1 comma 817 della Legge 160/2019.
3. Si costituiva in giudizio il Comune di Castellanza, instando per la reiezione del ricorso, e rilevando l’infondatezza della sollevata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 L. 160/2019.
4. All’udienza pubblica del 31 maggio 2023 la causa era trattenuta in decisione
DIRITTO
1. Il Collegio prende in esame, in primis , la questione di incostituzionalità sollevata dalle ricorrenti, e dunque la dedotta violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione con riferimento all’art. 1 comma 817 L. 160/2019, e di riflesso ai successivi commi 819, lett. b), 821, 822, 825, 826, 827 dello stesso art. 1 L. 160/2019.
1.1. La norma contestata riguarda il « Canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria », la cui istituzione da parte dei comuni, delle province e delle città metropolitane era prevista dall’art. 1 comma 816 L. 160/2019, a decorrere dall’anno 2021. Il nuovo canone patrimoniale, ancora in virtù del comma 816, sostituisce la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, l'imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari e il canone di cui all'articolo 27, commi 7 e 8, del codice della strada, di cui al D. Lgs. 285/1992, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province, ed è comunque comprensivo di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi.
Il comma 817 (di cui si eccepiva l’incostituzionalità), prevede che il canone venga disciplinato dagli enti locali che lo istituiscono « in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe ».
Nella misura in cui, nella parte conclusiva della disposizione, si attribuisce agli enti locali il potere di modificare le tariffe variando il gettito del canone, le ricorrenti ravvisano una lesione della riserva di legge prevista dall’art. 23 della Costituzione.
In funzione di giudice a quo, questo Tribunale dovrà pertanto valutare la sussistenza dei due presupposti di remissione della questione alla Corte Costituzionale, ovvero la non manifesta infondatezza e la rilevanza della norma censurata nella causa decidenda.
1.2. Il Collegio ravvisa, in primo luogo, la rilevanza dell’art. 1 commi 816 e ss. L. 160/2019 al fine della decisione della presente causa, posto che la disciplina fondamentale del canone unico, ivi compresa quella che attribuisce al Comune la potestà regolamentare esercitata mediante i provvedimenti impugnati, e i vari criteri e limiti fissati per il relativo esercizio, vengono introdotti proprio dalla norma de qua .
1.3. Occorre ora vagliare la sussistenza dell’ulteriore presupposto della non manifesta infondatezza della questione sollevata.
Il parametro costituzionale di riferimento è costituito, come già accennato, dalla riserva di legge prevista dall’art. 23 della Costituzione, in virtù del quale: « Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge ».
Il succitato art. 23, riguardante tutte le prestazioni imposte dallo Stato al cittadino, trova applicazione nella fattispecie di causa, in quanto il canone unico oggi in esame costituisce una prestazione patrimoniale imposta (« in ogni caso, non si tratta di un mero prezzo/corrispettivo per l'occupazione del suolo pubblico, ma di una prestazione patrimoniale imposta che "supera", sostituendole, tutte le precedenti forme di imposizione poste a carico dei soggetti che occupano il suolo pubblico ovvero pongono in essere atti di diffusione di messaggi pubblicitari » TAR Veneto, III, 29 novembre 2021 n. 1428), come tale assoggettata alla riserva di legge introdotta dalla disposizione costituzionale de qua.
Orbene, quella prevista dal riportato art. 23 della Costituzione costituisce indubbiamente una riserva di legge relativa, come reso evidente dal tenore letterale della dicitura «se non in base alla legge». Ciò significa che la materia interessata dalla disposizione costituzionale non deve essere integralmente disciplinata da una legge o con atto normativo avente forza di legge (come accadrebbe in presenza di una riserva assoluta), ma che i principi fondamentali posti alla base della disciplina della materia stessa devono essere individuati dalla legge (o atto avente pari forza), mentre i profili ulteriori possono essere regolamentati con atti normativi subordinati alla legge o mediante provvedimenti amministrativi, tra cui anche i regolamenti degli enti locali (art. 119 della Costituzione).
Tanto premesso, occorre ora indagare quale sia il contenuto fondamentale della disciplina delle prestazioni imposte che deve necessariamente essere recato da una fonte normativa di rango primario.
Sul punto, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare che la legge, o un atto avente pari forza, deve necessariamente individuare il presupposto applicativo della prestazione patrimoniale imposta, il soggetto che della stessa è gravato, i criteri generali necessari alla quantificazione del dovuto, nei termini che in seguito verranno precisati. La Corte, in particolare, ha affermato che: « la riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione è soddisfatta purché la legge (anche regionale: sentenze n. 64 del 1965, n. 148 del 1979, n. 180 del 1996, n. 269 del 1997) stabilisca gli elementi fondamentali dell'imposizione, anche se demanda a fonti secondarie o al potere dell'amministrazione la specificazione e l'integrazione di tale disciplina » (Corte Costituzionale, 28 dicembre 2001, n. 435);più specificamente, la legge dovrà necessariamente individuare compiutamente il soggetto e l’oggetto della prestazione imposta, « mentre l'intervento complementare ed integrativo da parte della pubblica amministrazione deve rimanere circoscritto alla specificazione quantitativa (e qualche volta, anche qualitativa) della prestazione medesima: senza che residui la possibilità di scelte del tutto libere e perciò eventualmente arbitrarie della stessa pubblica amministrazione, ma sussistano nella previsione legislativa - considerata nella complessiva disciplina della materia - razionali ed adeguati criteri per la concreta individuazione dell'onere imposto al soggetto nell'interesse generale. In tali sensi è costante l'orientamento della Corte (v. sentt. n. 4, 30 e 122 del 1957;70 del 1960, in motivazione;48 del 1961;72 e 129 del 1969;144 del 1972, in motivazione;257 del 1982;ordd. n. 31 e 139 del 1985) » (Corte Costituzionale, 5 febbraio 1986 n. 34);inoltre: « È bensì sufficiente, per rispettare la riserva di legge, che idonei criteri e limiti, di natura oggettiva o tecnica, atti a vincolare la determinazione quantitativa dell'imposizione, si desumano dall'insieme della disciplina considerata (cfr. sentenze n. 72 del 1969, n. 507 del 1988). Ciò può verificarsi, in particolare, quando la prestazione imposta costituisca il corrispettivo di un'attività il cui valore economico sia determinabile sulla base di criteri tecnici, e il corrispettivo debba per legge essere determinato in riferimento a tale valore » (Corte Costituzionale, 28 dicembre 2001 n. 435);« Se per l'osservanza dell'art. 23 Cost. non è certo sufficiente una norma primaria che sia soltanto attributiva di competenza agli organi esecutivi, d'altro canto, la delimitazione della potestà amministrativa non deve necessariamente risultare dalla formula della norma stessa, ma ben si può ricavare da tutto il contesto della disciplina relativa alla materia di cui essa fa parte. […] Ne discende che la natura tecnica dei suddetti criteri, come questa Corte ha ripetutamente affermato (vedansi ancora, le sentt. n. 122 del 1957;n. 48 del 1961;n. 72 del 1969;n. 257 del 1982;ord. n. 31 del 1985), esclude la sussistenza di un potere della pubblica amministrazione così ampio, da potere sconfinare nell'arbitrario;esso, per contro, risulta circoscritto nell'ambito della cosiddetta discrezionalità tecnica, che impone all'Amministrazione di adottare, previ i necessari accertamenti di fatto, soluzioni imposte dagli anzidetti criteri » (Corte Costituzionale, 5 febbraio 1986, n. 34). In sintesi, relativamente all’art. 23 della Costituzione si è affermato che: « tale parametro - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - prevede una riserva a carattere relativo, la quale non esige che la prestazione sia imposta "per legge" (da cui risultino espressamente individuati tutti i presupposti e gli elementi), ma richiede soltanto che essa sia istituita "in base alla legge" (v. sentenze nn. 236 e 90 del 1994). Sicché la norma costituzionale deve ritenersi rispettata anche in assenza di un'espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a circoscrivere l'àmbito di discrezionalità della pubblica amministrazione, purché gli stessi siano desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento degli organi competenti a determinarne la misura (v. sentenze n. 182 del 1994 e n. 507 del 1988), secondo un modulo procedimentale idoneo ad evitare possibili arbitri » (Corte Costituzionale, 31 maggio 1996 n. 180).
La legge impositiva della prestazione patrimoniale, in definitiva, può dirsi costituzionalmente legittima sotto il profilo della riserva di legge se reca, in modo compiuto, l’individuazione del presupposto applicativo della prestazione, e i soggetti che sono tenuti al relativo assolvimento. Quanto alla determinazione del quantum dovuto, invece, è sufficiente che la norma primaria individui criteri cui l’Amministrazione deve attenersi nella determinazione delle tariffe/aliquote, che ben possono ricavarsi dal complesso della disciplina legislativa, e che possono anche desumersi, in via teleologica, dalla funzione della prestazione stessa, purché siano idonei ad escludere con certezza un potere non solo discrezionale, ma addirittura arbitrario dell’Amministrazione.