TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2024-07-04, n. 202413583

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2024-07-04, n. 202413583
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202413583
Data del deposito : 4 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/07/2024

N. 13583/2024 REG.PROV.COLL.

N. 11160/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11160 del 2023, proposto da
S A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, largo Generale Gonzaga del Vodice 4, come da procura in atti;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove 2, come da procura in atti;

per l'annullamento

1. del provvedimento prot. CA/2023/129906 del 04/07/2023 recante comunicazione di inefficacia della scia di esercizio di vicinato presentata dal ricorrente;

2. di ogni altro atto, parere o provvedimento non conosciuto che sia ostativo alla ricorrente


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il consigliere A S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con il ricorso in esame il sig. Augusto Simoncelli ha impugnato il provvedimento prot. CA/2023/129906 recante comunicazione di inefficacia della scia di esercizio di vicinato presentata dal ricorrente”, dovuto alla circostanza che i locali in cui l’attività avrebbe dovuto essere esercitata ricadono nel perimetro del sito UNESCO, “nel quale è vietata l’apertura di nuove attività di vendita “ai sensi dell’attualmente vigente DAC 109/2023, art. 16”.

2. – Il ricorso risulta affidato alle censure che seguono.

1)Violazione e falsa applicazione dell'art. 16 della d.a.c. 109/2023;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicita', abnormita', travisamento dei presupposti in fatto e diritto, ingiustizia manifesta, violazione del principio di tassativita'.

Il provvedimento gravato sarebbe illegittimo perchè la D.A.C. 109/2023 non sarebbe opponibile al ricorrente in quanto essa è stata pubblicata il 07/06/2023, è divenuta esecutiva 15 giorni dopo la pubblicazione in data 22/06/2023: si tratta di date successive a quella di presentazione della SCIA di cui è stata dichiarata l’inefficacia con il provvedimento gravato, che è l’8 giugno 2023.

Inoltre, la citata deliberazione non reca previsione di retroattività.

2. – Roma Capitale si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.

3. – L’istanza cautelare proposta in uno al ricorso è stata accolta.

4. – A seguito dello scambio di memorie di cui all’art. 73 c.p.a. il ricorso è passato in decisione alla pubblica udienza del 21 maggio 2024.

5. – Le censure proposte nel ricorso (solo illustrate nelle successive memorie, che non contengono motivi nuovi), che tendono a dimostrare l’inefficacia, al momento della presentazione della SCIA poi dichiarata inefficace, del divieto recato dalle previsioni regolamentari succedutesi nel tempo tendono ad evidenziare, sono fondate, e vanno accolte.

Il Collegio intende infatti dare continuità al precedente costituito dalla sentenza della Sezione n. 8179 del 2 maggio 2024, per cui le norme del Regolamento approvato con la DAC 109/2023, pubblicata il 7.6.2023, non possano essere opposte ad una SCIA presentata l’8 giugno 2023, in quanto non ancora entrate in vigore, a nulla rilevando, peraltro, che il Regolamento sia poi entrato in vigore entro il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990.

Ed invero, con riguardo a quest’ultimo profilo, va preliminarmente chiarito che, trattandosi di attività che per legge può essere avviata con segnalazione certificata, contrariamente a quanto prospettato da Roma Capitale nel provvedimento impugnato e nelle difese in giudizio, è irrilevante, ai fini che qui interessano, la circostanza che gli accertamenti istruttori siano stati conclusi “entro i termini previsti all’art. 19 c. 3) della L. 241/90”.

Invero, sebbene, come noto, ai sensi della disposizione ora citata, l’Amministrazione sia tenuta ad accertare la eventuale carenza dei requisiti e dei presupposti per l’esercizio dell’attività oggetto di Segnalazione Certificata “nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione”, secondo il precedente comma 1 dell’art. 19 citato, i “requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale” sono, comunque, quelli vigenti al momento della presentazione della segnalazione.

Ciò risulta chiaramente indicato, innanzitutto, nello stesso comma 1, laddove è stabilito che, “ove espressamente previsto dalla normativa [appunto] vigente”, la segnalazione è corredata “dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati (…) relative alla sussistenza [attuale, cioè al momento della presentazione] dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo”, vale a dire, come già riportato, i “requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale”.

Inoltre, di ciò si ha ulteriore conferma dalla disposizione di cui al successivo comma 2 dello stesso art. 19, secondo cui “L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata (…) dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente”, posto che in nessun caso potrebbe ipotizzarsi che il Legislatore abiliti il privato ad avviare un’attività (con tutto ciò che ne consegue, anche in termini di costi e oneri) sulla base di dichiarazioni sostitutive, attestazioni, asseverazioni e certificazioni, per poi pretenderne l’inibizione in virtù di normativa sopravvenuta.

D’altro canto, la lettura di cui sopra si impone, altresì, a garanzia della effettività della liberalizzazione delle attività economiche private disposta dalla normativa primaria ricordata, tenuto anche conto che l’avvio di ogni attività implica adempimenti propedeutici che il privato necessariamente compie sulla base della legislazione vigente, non potendo poi subire gli effetti pregiudizievoli dello ius superveniens (cfr. in materia, recentemente, Consiglio di Stato, sentenza n. 5404/2023, Tar Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 79/2016).

Pertanto, per quanto sia evidente che possano talvolta risultare delle “ipotesi limite” o “di scuola”, apparentemente ricadenti nel diritto “intertemporale”, il ruolo dell’interprete è quello di indicare una regola certa, onde non vanificare la ratio legis sottesa alla liberalizzazione, con la consapevolezza, peraltro, che, secondo l’id quod plerumque accidit, l’avvio di un’attività economica privata ai sensi dell’art. 19 della Legge n. 241/1990 è, in realtà, il risultato di un complesso percorso di cui la presentazione della segnalazione certificata con le formalità, sopra ricordate, previste dalla legge, costituisce soltanto l’ultimo adempimento.

Sulla scorta di tale premessa, nella fattispecie deve affermarsi che alla data dell’8.6.2023, di presentazione della segnalazione di inizio dell’attività, le disposizioni del Regolamento approvato con la D.A.C. 109/2023 non erano ancora entrate in vigore.

Invero, risulta in atti, dal “Referto di Pubblicazione” del 7.06.2023, che la Deliberazione citata, adottata dall’Assemblea Capitolina in data 30.05.2023, è stata “posta in pubblicazione all’Albo Pretorio on line di Roma Capitale dal 7 giugno 2023 e vi rimarrà per quindici giorni consecutivi fino al 21 giugno 2023” (ai sensi dell’art. 124 del T.U.E.L. D.Lgs. 267/2000).

Nel “Certificato di esecutività” del 19.07.2023 è poi specificato che “la presente deliberazione è divenuta esecutiva, ai sensi dell’art. 134, comma 3, del T.U.E.L. approvato con Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per decorrenza dei termini di legge, il 17 giugno 2023.”.

Infine, nella “Attestazione di entrata in vigore” del 17.07.2023, “Le norme regolamentari approvate con la presente deliberazione entrano in vigore, ai sensi dell’articolo 10 delle Disposizioni sulla legge in generale preliminari al Codice civile.”.

Quanto alla disciplina dell’entrata in vigore di detta delibera, il Collegio ritiene di richiamare quanto già ripetutamente affermato dalla Sezione in fattispecie del tutto analoghe (cfr. sentenze nn. 3179/2020, 544/2022, 11641/2022, alle quali si rinvia per le più ampie motivazioni) secondo cui, in sostanza, stante la natura regolamentare delle norme approvate con la Deliberazione dell’Assemblea Capitolina, debba correttamente farsi applicazione di due distinte discipline (come peraltro risulta anche dalla certificazione e dalla attestazione sopra riportate), riferite alle due diverse tipologie di provvedimento, per forma e natura, per individuare il momento della relativa entrata in vigore;
con la conseguenza che deve affermarsi che il Regolamento ha acquisito efficacia solo quindici giorni dopo l’esecutività della Deliberazione che lo ha approvato, per i motivi già chiariti dal Tribunale nei precedenti citati: “Invero, va premesso che la fase di pubblicazione di una deliberazione all’Albo è istituto diverso da quello disciplinato dall’art. 10, sebbene entrambi condividano la finalità di rendere legalmente conoscibile il contenuto di atti e provvedimenti autoritativi. Invero, la fase di “vacatio legis” di cui all’art. 10 delle preleggi assolve esclusivamente alla funzione di rendere conoscibile (e far presumere conosciuto) un testo normativo che concorre ad integrare le fonti del diritto, nel suo testo già definitivo e non suscettibile di ulteriori modifiche.

Invece la fase di pubblicazione della deliberazione è un istituto di partecipazione popolare (di antichissima origine) che insieme alla necessità di apprestare un meccanismo legale di presunzione di conoscenza nei confronti dei terzi (non direttamente incisi dai provvedimenti, mentre ai destinatari l’atto va comunque notificato) è rivolto anche a rendere possibile la presentazione di osservazioni oppure opposizioni da parte di chiunque vi abbia interesse;
opposizioni che, una volta presentate, generano l’obbligo per l’organo emanante di provvedere su di esse e che dunque potrebbero condurre anche ad una modifica della deliberazione stessa prima della sua entrata in vigore (per una applicazione del principio, vedasi TAR Reggio Calabria, 5 aprile 2012, nr. 269/2012, secondo la quale “Nell’istituzione dell’Albo Pretorio si concretizza …quella più lata e risalente funzione partecipativa che è insita nella pubblicità degli atti e che ha costituito uno storico antesignano del sistema che poi è stato nel tempo costruito fino ad essere consacrato nella l. 241/90: essa risponde ad una delle più antiche forme di diffusione e conoscenza legale degli atti rivolti alla collettività, che, traendo le origini dalle istituzioni romane, ha trovato ininterrotta disciplina, nell’ ordinamento nazionale, sin dall’ articolo 62 del Testo unico della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, poi confluito con varie modifiche di regime nell’odierno art. 124 del Dlgs 267/2000 e che ha ricevuto nuovo vigore dall’ evoluzione della tecnologia che ne ha consentito una importante riedizione ed attualizzazione nella nuova veste dell’Albo Pretorio informatico (art. 32, L. nr. 69/2009). Nella prassi e nella giurisprudenza formatesi nel vigore delle normative poi susseguitesi, la pubblicazione all’Albo della deliberazione è stata sempre intesa come una fase integrativa dell’efficacia, che non incide sulla validità dell’atto, bensì solo sulla presunzione della sua conoscenza in capo ai terzi, tanto che la decorrenza dei termini dell’impugnazione dell’atto si computa a far data dalla scadenza dei termini di pubblicazione (si veda ex multis TAR Lazio, II, 4 febbraio 1985, nr. 141, TAR Palermo, 22 dicembre 1982, n. 877, Cons. Stato, Sez. V, 4 febbraio 1998. n. 127), senza che rilevi l’eventuale dichiarazione di immediata esecutività, che soltanto anticipa - in via provvisoria e condizionata all’avvenuta pubblicazione - l’efficacia dell’atto”).

Ne deriva che la data di esecutività della delibera è quella dalla quale quest’ultima acquista efficacia e può essere portata ad esecuzione (decimo giorno dall’inizio della pubblicazione oppure data di adozione nel caso di delibere dichiarate immediatamente eseguibili, ex art. 134 TUEL);
nel caso di una deliberazione approvativa di un regolamento, l’esecuzione della deliberazione implica l’affissione del regolamento al pubblico e la relativa decorrenza della “vacatio legis” di cui all’art. 10 delle preleggi perché tale adempimento scaturisce dal regime in sé dell’atto approvato di cui è parte integrante (nell’assenza di una diversa previsione dello Statuto) che va tenuto distinto dal regime dell’atto di approvazione (così Tar Lazio, Sezione II Ter, sentenza n. 3179/2020).

Pertanto, anche laddove il Regolamento stesso indichi in maniera non proprio chiarissima (come nel caso di specie) decorrenze “dalla data di esecutività del presente provvedimento” (cfr. art. 16, comma 1, lettera a), sul divieto di apertura, esse dovranno intendersi come correlate alla entrata in vigore, secondo la natura regolamentare delle stesse, alla luce della disciplina sopra indicata.

Nella fattispecie, infine, non è necessario verificare se i quindici giorni della pubblicazione del Regolamento ex art. 10 preleggi decorrano dal compimento integrale della pubblicazione della Deliberazione all’Albo Pretorio (art. 124 TUEL), che implica la decorrenza dei termini di impugnazione, oppure dal giorno di esecutività della stessa (dieci giorni dall’inizio della pubblicazione, ex art. 134 TUEL), in quanto, in entrambi i casi, la SCIA dell’8.6.2023 è stata presentata prima della entrata in vigore delle norme del Regolamento, nei sensi anzidetti.

Si tratta di un lasso temporale in cui la regolamentazione di Roma Capitale in materia non presentava –almeno sotto il profilo considerato negli atti qui gravati” divieto alcuno.

Infatti, come pure sottolineato nei motivi di doglianza, con sentenza n. 5345 del 2023, pubblicata il 28 marzo 2023, questa Sezione aveva annullato la precedente norma ostativa all’apertura nel sito UNESCO, avendo come segue pronunziato: “In numerose pronunce, cautelari e di merito, la Sezione – alla luce delle peculiari finalità perseguite dalla delibera, enunciate nelle premesse della stessa e sintetizzabili nella limitazione della concentrazione di locali e attività in zone di pregio del territorio capitolino, al fine di tutelare la sostenibilità ambientale – ha ritenuto non fondata la tesi dell’automatica inefficacia della deliberazione dell’A.C. n. 49\2018 alla scadenza del termine triennale (13 maggio 2021), ritenendo che l’efficacia della previsione di divieto permanesse fino all’adozione di un nuovo provvedimento della medesima amministrazione, da adottarsi sulla base di una nuova istruttoria (cfr., ex multis, Tar Lazio, Roma, sez. II ter, sentenze 9 maggio 2022, n. 5727/2022 e 16 maggio 2022, n. 6087).

Tale ricostruzione non è stata condivisa dal Consiglio di Stato, che ha invece ritenuto, con orientamento univoco, che l’ambito triennale di cui all’art. 14 enuclei un termine di decadenza automatica, il cui compimento comportava il venire meno del divieto di apertura delle considerate attività (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, sentenze 13 febbraio 2023, n. 1502 e 27 febbraio 2023, n. 1988, e ordinanze nn. 2736/2022, 1845/2022;
1269/2022;
6770/2021).

Il Collegio, alla luce di una rimeditazione della questione, ritiene di aderire all’orientamento del giudice di appello, l’opzione ermeneutica prescelta dal quale appare più aderente al tenore letterale della disposizione.

Ne discende che, essendo scaduta il 13 maggio 2021 l’efficacia del divieto di nuove aperture posta dall’art. 14 della DAC n. 47/2018, come modificata dalla D.A.C. n. 49/2019, l’Amministrazione capitolina non poteva, il 24 maggio 2022 e dunque in un momento successivo alla scadenza del termine, disporre la proroga della previsione di divieto.

E’ infatti consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “Ai fini della proroga dei termini di efficacia di un atto amministrativo è necessario che il termine da prorogare non sia ancora scaduto, dovendo considerare tale principio applicabile in relazione ad ogni provvedimento amministrativo che sia sottoposto a un termine finale di efficacia.” (cfr., ex multis, Tar Lombardia, Milano, sez. II, 3 dicembre 2018, n.2717).”

9. - Per quanto detto, il ricorso è fondato e va accolto, con annullamento del provvedimento di inefficacia impugnato e assorbimento di ogni altra censura.

Le spese seguono la soccombenza e, tenuto conto anche della serialità delle questioni poste con analoghi ricorsi decisi nella odierna udienza, sono liquidate come nel dispositivo..

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