TAR Napoli, sez. III, sentenza 2011-11-07, n. 201105158

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2011-11-07, n. 201105158
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201105158
Data del deposito : 7 novembre 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 11723/2004 REG.RIC.

N. 05158/2011 REG.PROV.COLL.

N. 11723/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11723 del 2004, proposto da:
società SO.FI.COOP. s.p.a., con sede in S. Anastasia, in persona del legale rapp.te p.t., arch. S N, rappresentata e difesa dagli avv. F L e F S, con domicilio eletto in Napoli, via Caracciolo n. 15;

contro

Il Comune di S. Anastasia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. A C, con domicilio eletto in Napoli, via A. Villari n. 44;

per l'annullamento

Quanto al ricorso introduttivo.

<<della disposizione dirigenziale prot. n. 11952 del 29.6.04 con cui il Comune di S. Anastasia ha respinto la richiesta dell’01.03.95, per la sanatoria edilizia della difformità consistente nella mancata realizzazione di opere idonee a ridurre l’altezza utile interna, con connesso mutamento di destinazione d’uso, in una unità immobiliare (lotto R7, edificio n. 1, corpo A, negozio 1, p.lla n. 469 del f. di mappa n. 10) sita al piano seminterrato di un fabbricato sito in S. Anastasia, nonché degli atti presupposti>>;

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti:

<<del provvedimento n. 66 del 09.09.04, notificato il 15.09.04, con il quale il Comune di S. Anastasia ha ingiunto alla ricorrente, ai sensi dell’art. 31 del T.U., di eseguire le opere di controsoffittatura atte a ridurre, adeguandole alle prescrizioni della concessione edilizia n. 148/1990), l’altezza utile interna dei locali siti al piano terra, entro 90 giorni e dietro comminatoria di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, tra le altre, anche del locale interno cui si riferiscono le difformità descritte nella richiesta di condono rigettata con il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo >>;

quanto al ricorso per motivi aggiunti notificato il 19 dicembre 2005 e depositato in segreteria il 23 dicembre 2005

<<dell’ordinanza n. 53 del 20.10.05, notificata il 24.10.05, in parte qua il responsabile del Settore Urbanistica del Comune ha dichiarato l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, tra le altre, della unità immobiliare in cui era stata realizzata l’opera in difformità oggetto della domanda di condono rigettata con il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo, nonché di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguente, ivi compreso il verbale di accertamento di inottemperanza in data 24.02.05 >>.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di S. Anastasia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2011 il dott. P C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in trattazione e i connessi atti di proposizione di motivi aggiunti la società SO.FI.COOP. s.p.a. ha impugnato il diniego di condono opposto dal Comune di S. Anastasia sulla sua domanda dell’1 marzo 1995 e i conseguenti atti di ordine di ripristino e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale a seguito dell’accertamento dell’inottemperanza.

La società ricorrente, in virtù di una convenzione (n. 102 del 4 giugno 1980) e in forza di concessioni edilizie (nn. 23 del 1981, 62 del 1987 e 148 del 1990), ha realizzato un complesso immobiliare costituito da 4 fabbricati nel Comune di S. Anastasia, località Madonna dell’Arco, nell’ambito di un intervento di edilizia residenziale pubblica. Nell’ultimazione dei lavori al piano terra aveva posto in essere talune difformità rispetto alla concessione edilizia in variante n. 148/1990, consistite nella realizzazione di una maggiore altezza utile interna (m. 2,70 anziché m. 2,50), con connesso mutamento di destinazione d’uso (da garage a uso commerciale), in unità immobiliari site al piano seminterrato dei fabbricati compresi nella lottizzazione. Con il provvedimento in data 9 settembre 2004, impugnato con i primi motivi aggiunti, l’amministrazione comunale ha ordinato la realizzazione di opere (controsoffittature) idonee a ridurre l’altezza utile interna dei locali suddetti e a riportare a conformità le opere realizzate;
con il terzo atto impugnato, assunto in data 20 ottobre 2005, l’amministrazione ha dunque disposto l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, stante l’inottemperanza accertata con verbale in data 24 febbraio 2005.

A sostegno delle proposte impugnative la società ricorrente ha dedotto una pluralità di motivi di violazione di legge e di eccesso di potere.

Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di S. Anastasia.

Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2011 la causa è stata chiamata e assegnata in decisione.

Il ricorso – e gli annessi atti di motivi aggiunti – sono in parte inammissibili, in parte infondati e vanno conseguentemente respinti.

Il ricorso introduttivo deduce motivi che risultano già giudicati e respinti con sentenze di questo TAR (n. 785 del 2001 e n. 2649 del 2009) su precedenti ricorsi proposti dalla medesima società odierna ricorrente avverso i pareri della Commissione edilizia contrari all’accoglimento della domanda di condono (cfr. sentenza della sez. IV n. 785 del 2001), nonché avverso i medesimi atti, anche qui impugnati - disposizione dirigenziale del 29 giugno 2004, impugnata pure con precedente ricorso, ordinanza di riduzione in pristino n. 66 del 9 settembre 2004, ivi impugnata con motivi aggiunti del 24 novembre 2004, e ordinanza di acquisizione gratuita n. 53 del 20 ottobre 2005, sempre ivi impugnata con ulteriori motivi aggiunti del 23 dicembre 2005 - tutti già giudicati con la citata sentenza di questa Sezione n. 2649 del 2009 (che, peraltro, non risulta appellata, giusta gli atti di causa).

Scaturisce evidente, dunque, l’inammissibilità di queste reiterate impugnative dei medesimi atti, per violazione del divieto di bis in idem .

In particolare, il raffronto tra la sentenza di questa Sezione, resa inter partes , n. 2649 del 2009 – cui per brevità si rinvia - e le censure proposte nell’atto introduttivo qui all’odierno esame del Collegio, nonché con i primi motivi aggiunti, rende evidente l’identità delle questioni sollevate, trattate e già decise da questo Tribunale in senso negativo alla parte ricorrente.

Resta di esaminare il secondo atto di proposizione di motivi aggiunti, notificato il 19 dicembre 2005 e depositato in segreteria il 23 dicembre 2005, con il quale la società ricorrente ha impugnato l’ordinanza n. 53 del 20 ottobre 2005, nella parte in cui ha dichiarato l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, tra le altre, della unità immobiliare in cui era stata realizzata l’opera in difformità oggetto della domanda di condono rigettata con il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo, nonché degli atti presupposti, ivi compreso il verbale di accertamento di inottemperanza in data 24 febbraio 2005.

In realtà questo medesimo atto (ordinanza di acquisizione gratuita n. 53 del 20 ottobre 2005) è stato già impugnato dalla società ricorrente con i secondi motivi aggiunti, in data 23 dicembre 2005, proposti nell’ambito del precedente giudizio, e sono stati anch’essi già decisi (respinti) con la citata sentenza di questa Sezione n. 2649 del 2009.

Per scrupolo di esame degli atti, il Collegio ritiene tuttavia di operare un raffronto tra i mezzi di censura già esaminati e respinti dalla predetta sentenza di questa Sezione n. 2649/2009 e i motivi di gravame dedotti con i motivi aggiunti presentati in questa sede.

Con il primo motivo la società ricorrente nega di non avere ottemperato alle prescrizioni comunali, “salve le oggettive difficoltà tecniche, tempestivamente rappresentate, che hanno ritardato e reso impossibile il completamento delle opere entro il termine di 90 giorni”. Questo motivo è stato già respinto dalla sentenza n. 2649/2009 (cfr. penultimo periodo del par. 3.2.1., pag. 5, della motivazione in diritto). Esso, pertanto, è inammissibile.

Ha aggiunto, la società ricorrente, che i ritardi nella realizzazione delle controsoffittature – peraltro in parte asseritamene completati e comunque quasi completati in tutti i locali, con abbassamento delle altezze, salvo lievissima difformità di 5 cm., strettamente indispensabile per motivi tecnici e, comunque, rientrante nel limite del 2% rispetto a quanto autorizzato - sarebbero dipesi del ritardo dell’ENEL nel fornire nuovamente l’energia elettrica per consentire la ripresa dell’attività di cantiere (avutasi solo il 18 febbraio 2005), nonché dalla necessità di attendere il dissequestro penale delle opere, nuovamente sequestrate con il verbale del 24 febbraio 2005, dissequestro intervenuto solo in data 18 marzo 2005;
che, inoltre, lo stato di abbandono in cui versavano da anni i locali interessati dall’abuso e la loro ampia estensione (2.500 mq.) non consentivano l’ultimazione dell’ottemperanza nel termine di 90 giorni;
che, in definitiva, il ritardo non era dovuto a causa imputabile ad essa società ricorrente, donde l’erroneo presupposto su cui si fonderebbe l’impugnata ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale.

Questo secondo motivo è stato in parte già deciso con la sentenza di questa Sezione n. 2649/2009 (cfr. ultimo periodo del par. 3.2.1., pag. 5, della motivazione in diritto), ed è pertanto, per tale parte, inammissibile in questa sede. In parte è infondato nel merito e va respinto, poiché, come da replica comunale, nessuna istanza volta ad ottenere una proroga dei termini è stata mai inoltrata all’Ufficio urbanistica.

Con un ulteriore motivo di ricorso parte ricorrente ha quindi lamentato la violazione delle garanzie partecipative poiché non sarebbe stata data la prescritta comunicazione di avvio del procedimento. La questione è inammissibile poiché è stata già decisa negativamente dalla sentenza di questa Sezione n. 2649/2009 (cfr. primo periodo del par. 3.2.1., pag. 4, della motivazione in diritto).

Con il quarto motivo di censura la società ricorrente ha dunque invocato la pendenza dei giudizi intentati dinanzi a questo TAR avverso il diniego di condono, ciò che avrebbe reso illegittimo l’ulteriore corso della procedura sanzionatoria. La questione è inammissibile poiché è stata già decisa negativamente dalla sentenza di questa Sezione n. 2649/2009 (cfr. primo periodo del par. 3.2.1., pag. 4, della motivazione in diritto, dove si esclude la “pregiudizialità del procedimento di condono”).

Con il quinto motivo parte ricorrente ha dunque dedotto la superficialità dell’istruttoria e la carenza della motivazione. Anche queste questioni sono inammissibili perché già decise negativamente nella sentenza di questa Sezione n. 2649/2009 (cfr. secondo periodo del par. 3.1., pag. 4, della motivazione in diritto).

Con il sesto motivo la società ricorrente ha rappresentato criticamente la perplessità dell’atto impugnato, nel quale non sarebbero state individuate con esattezza le parti dell’opera oggetto della misura acquisitoria, essendo omessa la indicazione dei necessari dati catastali. La questione è ammissibile – perché non risulta già decisa con la sentenza di questa Sezione n. 2649/2009 – ma è infondata nel merito. Come bene ha replicato la difesa comunale, la pluralità di atti che si sono succeduti in questo articolato e complesso procedimento ha dato modo più volte alla società ricorrente di avere esatta e precisa contezza di quali fossero i locali interessati dagli abusi e, quindi, coinvolti nei successivi atti esecutivi di acquisizione al patrimonio comunale. In ogni caso, l’ordinanza impugnata reca tutti i dati necessari e sufficienti all’esatta identificazione del cespite fatto oggetto di acquisizione.

Per tutti gli esposti motivi, il ricorso e i conseguenti atti di motivi aggiunti devono giudicarsi in larga parte inammissibili e, per la residua parte, infondati, e vanno come tali respinti, con spese a carico della parte ricorrente, nell’importo liquidato in dispositivo.

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