TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2019-12-12, n. 201914300

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2019-12-12, n. 201914300
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201914300
Data del deposito : 12 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/12/2019

N. 14300/2019 REG.PROV.COLL.

N. 06245/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6245 del 2012, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., -OMISSIS-- -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Prof. C R, M R, N S e A S, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale Nazionale del Codacons in Roma, Viale Mazzini, 73;

contro

Ministero della Salute e Ministero dello Sviluppo Economico, in persona dei rispettivi Ministri p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, sono elettivamente domiciliati;

per la condanna

degli stessi Ministeri convenuti al risarcimento dei danni subiti dalle ricorrenti per l’omissione dei doveri di vigilanza di cui alle normative comunitarie e nazionali sulla circolazione, commercializzazione ed utilizzo delle protesi mammarie di gel di silicone della -OMISSIS- -OMISSIS--OMISSIS- (interventi di mastoplastica additiva), ai sensi dell’art. 30 c.p.a.;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Salute e del Ministero dello Sviluppo Economico;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2019 la dott.ssa Emanuela Traina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il mezzo di tutela all’esame le ricorrenti – costituite da due associazioni con finalità di tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini e da persone fisiche che si sono sottoposte, a far data dal -OMISSIS-, a interventi di mastoplastica additiva con utilizzo di protesi al silicone prodotte dall’azienda-OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS--OMISSIS- (d’ora in poi, per brevità -OMISSIS-o “produttore”) - espongono che:

- il -OMISSIS-l'Agenzia-OMISSIS-responsabile per i dispositivi medici (-OMISSIS-) comunicava al Ministero della Salute italiano, e a tutti le competenti autorità europee, di avere disposto la sospensione della commercializzazione, distribuzione, esportazione ed utilizzazione degli impianti per protesi mammarie riempiti con gel di silicone prodotti dalla -OMISSIS-. nonché il richiamo dei prodotti già presenti sul mercato -OMISSIS-, sulla scorta di una ispezione effettuata presso lo stabilimento di produzione tra il -OMISSIS-, originata dall'incremento delle segnalazioni di incidente, da cui era emerso che a far data dal -OMISSIS- le predette protesi erano state riempite con un gel di silicone differente rispetto a quello indicato nel procedimento di autorizzazione all’immissione in commercio;

- in conseguenza di tale comunicazione, il successivo -OMISSIS- il Ministero della Salute disponeva la sospensione della commercializzazione ed utilizzazione, nonché il ritiro di tutti i suddetti dispositivi medici, richiedendo altresì agli operatori sanitari di mettere in quarantena quelli ancora disponibili nonché di segnalare eventuali incidenti correlati all'uso degli stessi;
contestualmente invitava la -OMISSIS-, distributore del prodotto, a ritirare le protesi -OMISSIS-. dal mercato;

- il Consiglio Superiore di Sanità, richiesto dal Ministero della Salute di valutare la necessità di fornire indicazioni per la gestione delle pazienti portatrici di tali protesi, con parere reso in data -OMISSIS-, conformemente alle decisioni di altri paesi comunitari e no, riteneva necessario sensibilizzare i medici a contattare le proprie pazienti ed a sottoporle a follow up ravvicinato, al fine di diagnosticare precocemente eventuali rotture, effettuare i controlli tramite esami ecografici, più idonei ed economici, nonché invitare le stesse, attraverso opportune vie di divulgazione, a contattare medico e struttura presso cui l'impianto protesico era avvenuto, per verificare se le protesi usate fossero state prodotte dalla -OMISSIS-., nonché a sottoporsi a controlli routinari previsti per tutti i tipi di protesi;

- lo stesso organo riteneva comunque necessario disporre ulteriori accertamenti sul materiale contenuto nelle protesi, al fine di interfacciare i dati con quelli provenienti dalle altre autorità sanitarie, riservandosi di riesaminare la problematica nel caso in cui fossero emersi rischi al momento non ipotizzabili e si determinasse la necessità di promuovere un'eventuale campagna di richiamo e sostituzione delle protesi impiantate;

- il -OMISSIS-il Ministero della Salute emanava una comunicazione nella quale raccomandava quanto consigliato dal Consiglio Superiore di Sanità;

- a seguito di ulteriore istruttoria, in data -OMISSIS-il Ministero della Salute emanava una ordinanza di necessità ed urgenza con la quale stabiliva che solo alle portatrici di protesi a cui fossero state diagnosticate contrattura capsulare, sospetto di rottura, rottura intra ed extracapsulare, essudazione, infiammazione periprotesica andasse proposto l’espianto delle protesi (con onere a carico del SSN), mentre, in assenza di segni clinici diagnostici, qualora la persona portatrice presentasse una persistente preoccupazione relativa alla rottura delle protesi o alle conseguenze della rottura della stessa ed il medico ritenesse la preoccupazione ragionevole, anche in considerazione del tempo trascorso dall'impianto, veniva attribuita al medico la valutazione e proposta dell'espianto, anche per il solo benessere psichico della persona, garantendo comunque un supporto psicologico in caso di preoccupazione o convinzioni persistenti ritenute dal medico non ragionevoli e non risolvibili con l'espianto;

- tale provvedimento veniva impugnato dalle stesse associazioni odierne ricorrenti avanti questo TAR il quale, con ordinanza n. -OMISSIS-ordinava al Ministero della Salute il riesame delle proprie determinazioni e la valutazione della possibilità, per tutte le portatrici di protesi -OMISSIS-., di ottenere l'intervento di espianto a carico del SSN.

2. Ciò premesso in fatto, con il presente mezzo di tutela le ricorrenti persone fisiche, affermando di avere subito - per effetto sia del comportamento della società produttrice, sia in ragione dell’omissione, da parte dei Ministeri convenuti, i quali non avrebbero adempiuto ai propri obblighi di controllo, prima, e di intervento rapido ed efficace poi - ingenti danni di natura sia economica che non patrimoniale, hanno invocato la condanna degli stessi Ministeri al relativo risarcimento.

2.1. A supporto delle proprie ragioni, in diritto, espongono che le citate amministrazioni avrebbero violato gli obblighi previsti dal d.lgs. 46/1997 e dalla direttiva 93/42 CE del 14 giugno 1993, i quali regolamentano l'immissione in commercio dei dispositivi medici, considerato che le protesi mammarie sono state collocate nella classe III (cioè quella di massima pericolosità e di massimo controllo) dall'art. 1 della direttiva CE 2003/12 del 3 febbraio 2003.

2.2. Affermano, sul punto, che qualora le ispezioni sul prodotto fossero avvenute periodicamente, come previsto dalla normativa, già dal -OMISSIS- si sarebbe riusciti ad impedire la commercializzazione, la distribuzione e l'utilizzo delle protesi in questione.

2.3. Lamentano, peraltro, che le Amministrazioni conoscevano, o quanto meno avrebbero dovuto conoscere, essendo impossibile il contrario, la pericolosità e inidoneità delle protesi -OMISSIS-. e, dunque, procedere tempestivamente al relativo ritiro dal mercato.

2.3.1. Infatti il produttore delle protesi in questione aveva già ricevuto nel -OMISSIS-una warning letter da parte della Food and Drug Administration , per alcune irregolarità nella fabbricazione di protesi saline destinate al mercato statunitense, tanto che dal 1992 al 2006 non era ivi consentita la vendita delle protesi al silicone;
pertanto anche le autorità italiane avrebbero dovuto assumere provvedimenti analoghi.

2.4. Affermano inoltre che, a prescindere dalla normativa di settore inerente i dispositivi medici, comunque incombevano sulle PP.AA. resistenti obblighi di natura generale, per effetto del principio generale del neminem laedere e della disciplina fondamentale in tema di sanità, quale la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, che impone in ogni caso la tutela della salute dei cittadini.

2.5. Infine, anche il principio di precauzione di cui all’art 174 del Trattato CE imponeva alle amministrazioni convenute di intervenire tempestivamente ed evitare l’impianto delle protesi nocive per la salute umana.

3. Il danno subito, nella prospettazione di parte ricorrente, è in primo luogo di natura patrimoniale e consiste nella “ esigenza di essere sottoposte a nuovo intervento chirurgico per rimuovere le protesi, non potendo attendere l’esito di studi scientifici sui possibili effetti ” a carico del SSN.

3.1. Viene inoltre lamentato un danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza subita dalle ricorrenti in ragione della consapevolezza di avere nel proprio organismo una protesi costituita da materiale non idoneo per uso umano, la cui potenzialità nociva è sconosciuta, fondato, con richiamo a quanto disposto dall’art. 2059 cod.civ., sulla asserita sussistenza dei presupposti del reato di cui all’art. 441 c.p., nella forma del concorso omissivo, nonché, con riferimento alla giurisprudenza in materia, sul rilievo che la posizione giuridica soggettiva lesa avrebbe rango costituzionale, impattando sul diritto alla salute.

4. Si sono costituiti in giudizio, tramite l’Avvocatura dello Stato, per chiedere la reiezione della domanda i Ministeri convenuti.

5. In vista dell’udienza per la discussione del giudizio – fissata con ordinanza n. -OMISSIS-a seguito di accoglimento della proposta opposizione a decreto di perenzione – parte ricorrente ha depositato memoria difensiva in cui ha ulteriormente illustrato le proprie tesi.

6. Anche l’Avvocatura dello Stato ha depositato articolata memoria con la quale, invocata preliminarmente l’estromissione del Ministero dello Sviluppo Economico in ragione dell’eccepito difetto di legittimazione passiva, e rilevata altresì la carenza di legittimazione attiva delle Associazioni ricorrenti, ha con dovizia di argomenti insistito per la reiezione della domanda proposta evidenziando come siano state poste in essere tutte le attività prescritte dalla normativa vigente.

7. Va preliminarmente scrutinata l’eccezione inerente il difetto di legittimazione attiva delle due associazioni ricorrenti.

7.1. Come condivisibilmente osservato dalla giurisprudenza “ La legittimazione ad agire afferisce ad una posizione sostanziale, individuando un interesse sufficientemente differenziato e qualificato, di tensione verso un bene della vita, abbia essa la consistenza di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo e presuppone la titolarità di tale qualificata posizione sostanziale;
la personalità dell'interesse azionato, indi, costituisce la regola generale, in ossequio al principio generale che vieta la sostituzione processuale ‘fuori dei casi espressamente previsti dalla legge’ (art. 81 c.p.c.);
” (TAR Lombardia sez. I, 31 ottobre 2018, n. 2453).

7.2. Dovendo, dunque, la legittimazione essere valutata con riferimento alla specifica domanda proposta, occorre rilevare che l’odierna azione, come risulta dal tenore complessivo del ricorso e dalle conclusioni ivi spiegate, va inquadrata nell’ambito dell’art. 30 comma 2 c.p.a., avendo ad oggetto esclusivamente la richiesta di condanna dei Ministeri della Salute e dello Sviluppo Economico al risarcimento dei danni che le ricorrenti persone fisiche affermano di avere subito in conseguenza delle condotte omissive dagli stessi serbate;
è d’altra parte evidente che le ricorrenti persone giuridiche non possono essere state direttamente riguardate dagli interventi di protesi prodotte dalla -OMISSIS-.

7.3. In ricorso la legittimazione delle persone giuridiche viene così precisata:

- “-OMISSIS-” è una “associazione di associazioni” che opera a “ tutela tutti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, nei confronti di qualsiasi soggetto, promuovendo azioni giudiziarie, interviene nei giudizi civili, penali e amministrativi... per il risarcimento del danno derivante dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall'Associazione..”, la cui legittimazione alla proposizione anche di azioni risarcitorie sarebbe stata affermata anche dalla Corte di Cassazione;

- “-OMISSIS-coordinata dallo stesso -OMISSIS-, è invece Associazione senza fini di lucro, che ha per oggetto la tutela dei diritti civili e degli interessi degli associati e dei cittadini, operando su tutto il territorio nazionale, nei confronti del servizio di assistenza sanitaria pubblica e privata.

7.4. Osserva la Sezione che, con riferimento a quest’ultima, con la sentenza che ha definito il giudizio indicato al superiore punto 1), cioè la n. -OMISSIS-, non appellata, è stata già ritenuta la carenza di legittimazione attiva in ragione della mancanza di iscrizione della stessa nell’elenco delle associazioni di consumatori ed utenti istituito dall’art. 137, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, “ iscrizione che, secondo quanto chiarito sia dall’Adunanza plenaria 11 gennaio 2007, n. 1, che da questo Tribunale (sentenze nn. 2704 del 21 marzo 2012, 1620 dell’8 febbraio 2010 e 7868 del 5 agosto 2009), costituisce requisito essenziale perché, ai sensi dell’art. 139 dello stesso decreto, un’associazione possa ritenersi legittimata a ricorrere e a resistere ”.

Pertanto, non sussistendo ragioni per discostarsi da tale orientamento, lo stesso deve essere in questa sede confermato.

7.5. Con riferimento invece al -OMISSIS-, il Collegio non reputa che possano essere estesi alla presente sede i principi espressi dalla sezione III della Corte di Cassazione del 18 agosto 2011, n. 17351, richiamati dall’associazione in ricorso.

7.5.1. Ed infatti se è vero che la decisione citata ha riconosciuto la legittimazione dell’associazione alla proposizione di un’azione risarcitoria “in determinate ipotesi”, e ciò anche prima dell’introduzione dell’azione di classe di cui all’art. 140 bis del Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005), la quale ha innovativamente introdotto un’espressa previsione di legittimazione attiva delle associazioni con finalità di tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti anche “ per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni ”, tale rilievo è stato fatto con specifico ed esclusivo riferimento – citando, infatti, sul punto le indicazioni provenienti sia da Libro Verde del 2005 che dal Libro Bianco adottato dalla Commissione Europea il 2 aprile 2008 – alla materia della tutela dei consumatori dalle pratiche commerciali scorrette o dalle condotte anticoncorrenziali.

7.6. Poiché, dunque, l’eccezione alla regola generale di cui all’art. 81 c.p.c., operante nel processo amministrativo in forza del rinvio esterno previsto dall’art. 39 c.p.a., è ammissibile nelle sole ipotesi previste dalla legge, che sono pertanto di stretta interpretazione, reputa il Collegio che in assenza di una previsione normativa non possa essere riconosciuta nel caso di specie, inerente un’azione ex art. 30 del c.p.a., la legittimazione del -OMISSIS-.

7.7. Con riferimento a quest’ultimo, nonché-OMISSIS-, per quanto sopra detto, il ricorso, va, pertanto, dichiarato inammissibile.

8. Sempre in via preliminare va, invece, respinta la domanda di estromissione dal giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico;
rileva, infatti, in proposito il Collegio che l’art. 17 del d.lgs. 24 febbraio 1997, n. 46 demanda anche a quest’ultimo, oltre che al Ministero della Salute, il controllo sull'applicazione delle disposizioni da esso recate, nell'ambito delle rispettive competenze, direttamente o per il tramite di organismi autorizzati nelle fasi di commercializzazione e di impiego, così che lo stesso deve ritenersi legittimato passivo rispetto alla domanda proposta con il ricorso all’esame.

9. Nel merito, il Collegio reputa utile una preliminare breve disamina della normativa di origine comunitaria che le ricorrenti pongono a sostegno della domanda risarcitoria proposta, lamentando l’inadempimento delle amministrazioni convenute rispetto agli obblighi nella stessa prescritti.

9.1. Il d.lgs. 24 febbraio 1997, n.46 recante attuazione della direttiva 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici, prevede, all’art. 3 che questi ultimi “ possono essere immessi in commercio o messi in servizio unicamente se rispondono ai requisiti prescritti dal presente decreto, sono correttamente forniti e installati, sono oggetto di un'adeguata manutenzione e sono utilizzati in conformità della loro destinazione ”.

9.2. L’art. 5 comma 1 afferma, inoltre, che è consentita l'immissione in commercio e la messa in servizio, nel territorio italiano, dei dispositivi recanti la marcatura CE di cui all'articolo 16 e valutati in base all'articolo 11.

9.3. Quest’ultimo prevede una serie di procedure – diverse in relazione alla classe del dispositivo – che il fabbricante del prodotto deve seguire al fine di ottenere la marcatura;
mentre l’art. 16 precisa che i dispositivi, ad esclusione di quelli su misura e di quelli destinati ad indagini cliniche, che soddisfano i requisiti essenziali previsti all'articolo 3, devono recare al momento dell'immissione in commercio una marcatura di conformità CE, nel cui ambito è altresì previsto l'intervento di un “organismo notificato” (art. 15), accreditato nell’Unione Europea dalle autorità sanitarie dei Paesi membri.

9.4. Quanto alle protesi mammarie, le stesse sono regolamentate dal d.lgs. 2 dicembre 2004, n. 304, di recepimento della Direttiva 2003/12/CE, il quale ha previsto la relativa classificazione (dalla classe IIb) alla classe III (cioè quella contenente i dispositivi a più alto livello di rischio), al fine di garantire alle stesse il massimo standard di sicurezza, dovendosi applicare alla loro progettazione, realizzazione e commercializzazione una diversa e più rigorosa procedura di valutazione di conformità .

9.5. La normativa all’esame prevede altresì, all’art. 9, un sistema di vigilanza sugli incidenti verificatisi dopo l'immissione in commercio, intendendo per tali:

“a) qualsiasi malfunzionamento o alterazione delle caratteristiche e delle prestazioni di un dispositivo medico, nonché qualsiasi inadeguatezza nell'etichettatura o nelle istruzioni per l'uso che possono essere o essere stati causa di decesso o grave peggioramento delle condizioni di salute di un paziente o di un utilizzatore”;

“b) qualsiasi motivo di ordine tecnico o medico connesso alle caratteristiche o alle prestazioni di un dispositivo medico che, per le ragioni di cui alla lettera a), comporti il ritiro sistematico dei dispositivi dello stesso tipo da parte del fabbricante” .

9.6. Il sistema delineato dalla norma in esame si fonda essenzialmente sull’obbligo, attribuito agli operatori sanitari pubblici o privati che nell'esercizio della loro attività rilevino un incidente che coinvolga un dispositivo medico, di darne comunicazione al Ministero della Salute, nonché al fabbricante o al suo mandatario, anche per il tramite del fornitore del dispositivo medico.

9.6.1. È altresì previsto che gli operatori sanitari pubblici o privati comunichino al fabbricante o al mandatario, direttamente o tramite la struttura sanitaria di appartenenza e, quindi, anche per il tramite del fornitore del dispositivo medico, “ogni altro inconveniente che, pur non integrando le caratteristiche dell'incidente … possa consentire l'adozione delle misure atte a garantire la protezione e la salute dei pazienti e degli utilizzatori ”.

9.6.2. Analogo obbligo di segnalazione e/o denunzia incombe sullo stesso fabbricante, nonché sul suo mandatario relativamente agli incidenti di cui siano venuti a conoscenza, nonché delle “ azioni correttive di campo intraprese per ridurre i rischi di decesso o di grave peggioramento dello stato di salute associati all'utilizzo di un dispositivo medico ”.

9.6.3. Parimenti, l’organismo designato ad attestare la qualità (c.d. “notificato”) ha precisi obblighi di controllo anche nella fase successiva all’immissione in commercio, alla luce dell’art. 15 comma 5- ter il quale prescrive che: “Qualora un organismo notificato constati che i requisiti pertinenti della presente direttiva non sono stati o non sono più soddisfatti dal fabbricante oppure che un certificato non avrebbe dovuto essere rilasciato, esso sospende, ritira o sottopone a limitazioni il certificato rilasciato, tenendo conto del principio della proporzionalità, a meno che la conformità con tali requisiti non sia assicurata mediante l'applicazione di appropriate misure correttive da parte del fabbricante. L'organismo notificato informa il Ministero della salute in caso di sospensione, ritiro o limitazioni del certificato o nei casi in cui risulti necessario l'intervento del Ministero della salute. Il Ministero della salute informa gli altri Stati membri e la Commissione europea ”.

9.7. A chiusura del delineato sistema l’art. 17 del decreto in esame attribuisce, come già detto, la sorveglianza sull'applicazione delle disposizioni ivi previste al Ministero della Salute ed al Ministero dello Sviluppo Economico, nell'ambito delle rispettive competenze, direttamente o per il tramite di organismi autorizzati nelle fasi di commercializzazione e di impiego.

9.8. Pertanto, come correttamente evidenziato dall’avvocatura erariale, un dispositivo medico, purché marcato CE dal fabbricante e munito di certificato CE rilasciato, per le classi di rischio per le quali esso è previsto, da un organismo notificato, può liberamente circolare nel territorio dell'Unione Europea (articolo 5 d.lgs. citato), essendo soggetto solo all’eventuale controllo successivo da parte dell’Autorità Competente.

9.9. Inoltre, il sistema di verifica e controllo dell’idoneità dello stesso all’uso e del mantenimento delle caratteristiche originarie è, sostanzialmente, affidato alle segnalazioni provenienti dagli operatori sanitari, dal produttore e dagli organismi notificati.

I più volte citati Ministeri devono, dunque, allorché ricevano una segnalazione originata nei termini descritti, intervenire tempestivamente e porre in essere tutte le attività puntualmente previste dalla normativa esaminata, sia con riferimento ad accertamenti e provvedimenti inerenti il dispositivo che ne costituisce oggetto, sia provvedendo a diffondere l’informazione circa il pericolo dallo stesso proveniente.

Nulla è, tuttavia, specificamente prescritto con riferimento all’ipotesi di mancanza di segnalazioni, essendo solo genericamente attribuita alle citate amministrazioni, dal citato art. 17 comma 2, la “ facoltà ” di disporre verifiche e controlli.

10. Nel caso di specie è incontestato che il Ministero della Salute, avuta comunicazione da parte dell’Autorità-OMISSIS-responsabile per i dispositivi medici (-OMISSIS-) il -OMISSIS-in merito al disposto ritiro dal mercato delle protesi prodotte dalla -OMISSIS-., abbia immediatamente, e cioè il successivo -OMISSIS-, emanato un provvedimento di analogo tenore il quale ha impedito l’ulteriore diffusione degli impianti in questione sul territorio nazionale.

10.1. Non risulta peraltro, né la parte ricorrente lo ha dedotto, che prima di tale momento siano state effettuate delle segnalazioni di incidente o di altri inconvenienti che avrebbero potuto allertare gli organi ministeriali deputati alla vigilanza su tali dispositivi medici, né che in altro modo i Ministeri resistenti siano venuti a conoscenza della perdita, da parte delle protesi in questione, delle caratteristiche originarie che avevano determinato l’attribuzione del marchio CE e dunque l’immissione e circolazione nel mercato comune.

10.2. A tal fine, infatti, ad avviso del Collegio nessuna rilevanza può essere attribuita alla comunicazione di “ warning ” trasmessa nel -OMISSIS-dalla Food and Drug Administration alla -OMISSIS-. (doc. 105 di parte ricorrente).

Ed infatti, anche volendo ritenere detta produzione documentale - esclusivamente in lingua inglese - ammissibile, va osservato come la stessa abbia ad oggetto i dispositivi “ -OMISSIS- ”, del tutto diversi da quelli al silicone oggetto del presente giudizio.

Da essa, peraltro, può solo evincersi che l’agenzia statunitense abbia diffidato il produttore a porre in essere alcuni adempimenti necessari alla immissione in commercio del prodotto nel proprio territorio, circostanza non rilevante ai fini del presente giudizio.

In ogni caso non è provato che le amministrazioni fossero a conoscenza della (comunque, per quanto detto, non significativa) nota di richiamo, essendo a tal fine certamente insufficiente, considerato che nell’ambito dell’azione ex art. 30 c.p.a. vige il principio dell’onere della prova sancito dall’art. 2697 cod. civ., la mera allegazione di parte ricorrente secondo cui le stesse “ non potevano non sapere ”.

In proposito, infatti, la partecipazione dello Stato Italiano – rectius , dell’Unione Europea - a organizzazioni internazionali finalizzate allo scambio di informazioni sui dispositivi medici non consente, di per sé, di ritenere provati né la conoscenza di tale warning né degli effetti che dalla stessa si vorrebbero trarre in punto di responsabilità omissiva delle amministrazioni convenute.

11. Ciò posto, ritiene la Sezione che nessuna omissione delle attività prescritte dall’esaminata normativa in materia di controllo e vigilanza sui dispositivi medici possa essere contestata ai Ministeri della Salute e dello Sviluppo Economico, essendosi il primo tempestivamente ed efficacemente attivato allorché è stata acquisita quella che dagli atti risulta essere la prima segnalazione in merito alla non conformità delle protesi in parola rispetto all’autorizzazione ricevuta e non avendo, invece, il secondo alcuna specifica competenza in merito all’emerso profilo di violazione del più volte citato d.lgs. 46/1997.

12. In proposito, inoltre e per altro verso, risulta privo di rilevanza il richiamo, contenuto nella memoria difensiva di parte ricorrente, alla sentenza della Corte di Giustizia UE (Prima Sezione) del 16 febbraio 2017 nella causa C-219/15 in quanto la stessa - peraltro derivante da un’azione ben diversa dalla presente, infatti proposta da una persona fisica nei confronti di un organismo notificato per i danni patiti a causa dell’impianto di protesi mammarie difettose fabbricate a base di silicone - si riferisce, per l’appunto, alla responsabilità di tale soggetto al quale, come visto al punto 9 che precede, la normativa attribuisce un ruolo fondamentale sia nella procedura relativa alla dichiarazione di conformità CE, sia nella fase successiva alla loro immissione in commercio.

I principi ivi esposti non sono, dunque, mutuabili nel caso in esame.

In ogni caso la sentenza afferma che nemmeno l’organismo notificato è tenuto, in via generale, ad effettuare ispezioni impreviste, a controllare i dispositivi e/o ad esaminare la documentazione commerciale del fabbricante, essendo invece obbligato ad adottare le misure di propria competenza solo allorché emergano “ indizi atti a suggerire che un dispositivo medico può non essere conforme ai requisiti posti dalla direttiva 93/42 ”, indizi, per quanto detto, del tutto carenti nel caso di specie.

13. Parte ricorrente allega, inoltre, in via subordinata, che i Ministeri convenuti sarebbero comunque responsabili della violazione del principio “ neminen laedere ”, in combinato disposto con l’art. 1 della Legge 833/78 inerente i compiti del servizio sanitario nazionale, avendo omesso di porre in essere le attività necessarie ad evitare che le protesi venissero utilizzate sul territorio nazionale, e ciò facendo applicazione analogica dei principi declinati dalla giurisprudenza a proposito dei “danni da emotrasfusione”.

13.1. Nemmeno tale prospettazione è meritevole di condivisione, posto che la responsabilità extracontrattuale omissiva presuppone, in primo luogo, la prova della sussistenza di un preciso obbligo di agire che risulti essere stato violato, così che, non essendo quest’ultimo configurabile nel caso di specie, sia per quanto già detto con riferimento alla normativa sui dispositivi medici, sia in ragione della genericità delle deduzioni di parte ricorrente su quali fossero le attività doverose che sarebbero state omesse in violazione del principio di cui all’art. 2043 cod.civ., risulta carente l’elemento fondamentale della fattispecie invocata.

14. Quanto, infine, all’omessa applicazione del principio di precauzione di matrice comunitaria, parimenti posta da parte ricorrente a supporto della propria domanda, osserva la Sezione che la giurisprudenza, pur avendone affermato l’applicabilità alla materia della tutela della salute, ha anche precisato, sul punto richiamando la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che “ quando sussistono incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi (...), la valutazione del rischio non può fondarsi su considerazioni meramente ipotetiche", ancorché "(...) qualora risulti impossibile determinare con certezza l'esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura insufficiente, non concludente o imprecisa dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute nell'ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l'adozione di misure restrittive " (-OMISSIS-).

14.1. Poiché nel caso in esame, da quanto dedotto in ricorso, prima della segnalazione dell’autorità -OMISSIS-, come detto risalente al -OMISSIS-, non risulta essere emersa alcuna “probabilità di un danno reale per la salute” nella commercializzazione delle protesi in questione, regolarmente munite del marchio CE, nessuna applicazione del principio in esame i Ministeri resistenti erano tenuti a porre in essere, con conseguente infondatezza del rilievo.

15. Osserva, in ultima analisi, il Collegio che parte ricorrente non ha, comunque, provato la sussistenza dei danni di cui ha chiesto il risarcimento.

15.1. In primo luogo non risulta, ad avviso della Sezione, configurabile alcun danno patrimoniale, come detto individuato in ricorso nella necessità per le portatrici di protesi -OMISSIS-. di sottoporsi a nuovo intervento chirurgico per effettuarne la rimozione, considerato che con l’ordinanza di necessità ed urgenza emanata dal Ministero della salute del -OMISSIS-è già stato disposto che l’intervento di espianto, in caso di necessità terapeutica, sia a carico del SSN, così che nessuna lesione può in proposito essere lamentata dalle ricorrenti che versassero in tali condizioni.

15.1.2. Con riferimento agli ulteriori casi (cioè quelli in cui l’espianto non fosse stato dal medico curante ritenuto una necessità terapeutica) il Collegio deve invece richiamare quanto affermato nella sentenza di questa Sezione che ha definito, respingendolo, il già ricorso proposto dalle associazioni odierne ricorrenti avverso l’ordinanza ministeriale (la già citata n. -OMISSIS-):

Rientrano certamente nelle prestazioni coperte dal S.S.N. gli espianti di protesi che hanno provocato alla donna reazioni infiammatorie o che stanno per rompersi, e ciò indipendentemente dalla struttura (pubblica, privata accreditata o solo autorizzata) che aveva eseguito l’impianto. Rientrano altresì nelle prestazioni a carico del S.S.N. i reimpianti di protesi espiantate dopo operazioni di masterectomia, anche in questo caso indipendentemente dalla struttura (pubblica, privata accreditata o solo autorizzata) che aveva eseguito l’impianto.

Sono dunque esclusi i soli reimpianti afferenti a protesi -OMISSIS- impiantate per ragioni di carattere estetico (all. 2 A al d.P.C.M. 29 novembre -OMISSIS-), salvo che gli stessi non si rendano necessari per scongiurare un pericolo non necessariamente sicuro ma neppure solo ipotetico per la salute della donna, risultando irrilevante in questo caso che tale situazione sia da addebitare ad un’operazione eseguita per ragioni di carattere esclusivamente estetico, che l’interessata aveva ritenuto prioritarie rispetto ai pericoli che ogni intervento chirurgico presenta. Rientrano nelle prestazioni coperte dal S.S.N. anche le cure psicologiche (o psichiatriche) ….nel caso in esame, gli organi nazionali hanno immediatamente provveduto non appena informati che la protesi in questione era fonte di pericolo, facendo uso a questo fine dello strumento eccezionale costituito dall’ordinanza contingibile e urgente ed applicando la regola comunitaria secondo cui il principio di precauzione postula che “le esigenze collegate alla protezione della salute pubblica devono incontestabilmente vedersi riconoscere un carattere preponderante rispetto alle considerazioni economiche”… “Ma anche a prescindere da queste considerazioni, che hanno carattere assorbente, è contrastante con i principi fondamentali del vigente sistema sanitario il solo ipotizzare che il paziente possa imporre (anche se per il tramite del medico, che dovrebbe limitarsi a prescrivere quanto richiesto dalla paziente) all’Autorità amministrativa, ad esso preposto, un intervento economico sulla base di una diagnosi del proprio stato fisio-psichico da esso solo effettuata, nella veste di medico di se stesso, senza il riscontro dell’organo sanitario competente. Si tratta di pretesa che contrasta con la regola che riserva a soggetti in possesso di una specifica competenza professionale la cura della salute e l’individuazione dei rimedi a questo fine necessari, così come riserva tassativamente all’avvocato la cura, in sede giudiziaria, degli interessi violati .”

15.1.3. Non essendo configurabile, per quanto già statuito, un “diritto all’espianto” al di fuori dei casi di necessità terapeutica, nessuna lesione può dunque essere fatta valere da parte ricorrente sotto tale profilo.

15.2. Neppure il lamentato danno non patrimoniale può ritenersi nel caso di specie configurabile, atteso che, diversamente da quanto affermato da parte ricorrente, in primo luogo, secondo la giurisprudenza, non è ammissibile un concorso colposo nell’ipotizzato delitto doloso (cioè quello di cui all’art. 441 c.p., “Adulterazione o contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute”) in assenza di una espressa previsione normativa, non ravvisabile nell'art. 113 c.p. che contempla esclusivamente la cooperazione colposa nel delitto colposo (Cass. Pen. sez. IV, 19 luglio 2018, n.7032).

Inoltre, gli stati di ansia e disagio in cui lo stesso si sarebbe concretizzato non possono essere qualificati alla stregua di lesione di beni costituzionalmente protetti, così che deve trovare applicazione il consolidato principio secondo il quale “ Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale ” ( ex multis , Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008 n. 26973).

16. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato in parte inammissibile – con riferimento alle ricorrenti persone giuridiche - mentre va respinto, perché infondato, per le ricorrenti persone fisiche.

17. La delicatezza della materia costituisce, infine, giustificato motivo per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

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