TAR Milano, sez. IV, sentenza 2013-07-25, n. 201301970

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Milano, sez. IV, sentenza 2013-07-25, n. 201301970
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Milano
Numero : 201301970
Data del deposito : 25 luglio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02016/1998 REG.RIC.

N. 01970/2013 REG.PROV.COLL.

N. 02016/1998 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2016 del 1998, proposto da:
C G, rappresentato e difeso dall'avv. P B, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso Venezia, 35;

contro

Comune di Como, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv.ti M A M e C P, con domicilio eletto in Milano, presso la Segreteria T.A.R.;

nei confronti di

Ufficio di Disciplina e Servizi Ispettivi del Comune di Como;
non costituito in giudizio

per l'annullamento

del provvedimento disciplinare adottato dall’Ufficio di Disciplina e Servizi Ispettivi del Comune di Como, in data 7.5.1998, di licenziamento dal 1.6.1998, nonché della deliberazione della Giunta di Como n. 290 del 9.3.1998, nella parte in cui ha previsto che nelle more della costituzione del Collegio Arbitrale di cui all’art. 59 D.Lgs. n. 29/93, vi è la possibilità di consentire l’impugnazione delle sanzioni disciplinari davanti al Collegio d’appello o d’arbitrato di cui all’art. 7 c. 6 della L. n. 300/70, nonché avverso ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Como;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2013 il dott. M G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il presente ricorso, ritualmente notificato e depositato, si impugna la sanzione disciplinare in epigrafe indicata.

Il Comune resistente si è costituito in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 1629/98 è stata accolta la domanda cautelare.

In vista dell’udienza di merito il ricorrente ha dichiarato che, in esecuzione dell’ordinanza, il rapporto di lavoro con l’amministrazione è proseguito fino al 15.1.2011, data di collocamento in quiescenza, ma di avere ugualmente un interesse ad ottenere una pronuncia, sebbene ai soli fini risarcitori.

All’udienza pubblica del 4.7.2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, il Collegio prende atto delle dichiarazioni del ricorrente secondo cui, in considerazione dei fatti sopravvenuti sopra evidenziati, sarebbe venuto meno l’interesse ad ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato. Il ricorrente insiste per l’esame del ricorso, osservando che la dedotta improcedibilità dell'azione di annullamento non determina tuttavia, di per sé, quella di risarcimento del danno, atteso che, ai sensi dell'art. 34 comma 3 c.p.a., quando nel corso del giudizio l'annullamento del provvedimento non risulta più utile per il ricorrente, il giudice ne accerta l'illegittimità se sussiste l'interesse ai fini risarcitori (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II 10.12.2012 n. 10278), ciò che è stato espressamente evidenziato nel caso di specie.

Nondimeno il Collegio non ritiene che, nella specie, l’interesse all’annullamento dell‘atto impugnato sia cessato. Ciò in ragione della rilevanza meramente provvisoria degli atti adottati dall’amministrazione in doverosa esecuzione dell’ordinanza cautelare e permanendo quindi l’interesse a conferire definitiva stabilità al rapporto di lavoro (proseguito) con l’ente, mediante l’annullamento, con effetti retroattivi, dell’atto di licenziamento.

Le doglianze del ricorrente sono fondate.

Con il provvedimento impugnato nel presente giudizio, il Comune di Como ha licenziato l’odierno ricorrente, in considerazione dell’asserita prestazione di attività professionale, tuttavia svolta “non a titolo oneroso”, a favore di un privato cittadino, senza la prescritta autorizzazione.

A prescindere dalle documentate censure finalizzate a dimostrare di non aver svolto alcuna attività professionale (v. testimonianza del 4.5.2013 del maresciallo dei carabinieri di M, e della presunta committente Sig.ra Dell’Era), ritiene il Collegio sia dirimente, ai fini dell’accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato, la sproporzione della sanzione irrogata, alla luce, quantomeno, della pacifica gratuità dell’attività esperita dal ricorrente.

Infatti, il c. 60 dell’art. 1 L. 23.12.1996 n. 662 dispone che al personale ivi indicato è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato od autonomo, disponendosi, nel comma successivo, che la violazione di tale previsione costituisce giusta causa di recesso.

La specifica disciplina in tema di “incompatibilità” dei dipendenti pubblici era a sua volta dettata nell’art. 58 del D.Lgs. n. 29 del 3.2.93, oggi confluito nell’art. 53 del D.Lgs. 30.3.2001 n. 165.

L’art. 26 del D.Lgs 31.3.1998 n. 80, pubblicato sulla G.U. n. 82 del 8.4.1998, e pertanto applicabile rationae temporis alla fattispecie per cui è causa, ha tuttavia modificato la previgente versione del detto art. 58, vietando ai dipendenti delle p.a. con rapporto di lavoro a tempo pieno l'espletamento di incarichi “retribuiti”, anche occasionali, non compresi nei compiti e nei doveri d'ufficio, per i quali sia corrisposto, sotto qualunque forma, un compenso, salvo che lo svolgimento dell'incarico sia stato preventivamente autorizzato, ai sensi dell'art. 1, c. 60 cit. (Cass. Civ. Sez. Lav.

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