TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-06-03, n. 201907123

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2019-06-03, n. 201907123
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201907123
Data del deposito : 3 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/06/2019

N. 07123/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00700/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 700 del 2013, proposto da
D S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati P T, L M e L M, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Panama, 58;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Unione Nazionale Consumatori, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento emesso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’adunanza del 31 ottobre 2012, ad esito del procedimento PS/7186, e comunicato alla ricorrente, al domicilio eletto, il successivo 21 novembre 2012, nonché di tutti gli atti ad esso preliminari e ad esso conseguenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con la relativa documentazione;

Visto il decreto presidenziale di questa Sezione n. 2634/2019 del 16.4.2019;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica dell’8 maggio 2019 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con rituale ricorso a questo Tribunale, la ricorrente D S.p.A. (“D”), società attiva nella produzione, distribuzione e commercio di prodotti alimentari e, in particolare, di prodotti lattiero caseari, ha impugnato il provvedimento n. 24027 del 31 ottobre 2012 con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Autorità” o “AGCM”) ha accertato che la predetta società ha posto in essere una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21, comma 1, lett. b), 22, comma 1, del Codice del Consumo (“Codice”), ne ha vietato l’ulteriore diffusione e ha irrogato al professionista una sanzione pecuniaria pari a € 180.000,00.

La pratica commerciale in questione era consistita nella diffusione di un’ampia campagna pubblicitaria - a mezzo “spot” televisivi, telepromozioni e sul sito internet “www.danaosdanone.it” - finalizzata a promuovere il prodotto “Danaos”, uno yogurt integrato da calcio e vitamina D.

In sintesi, con il provvedimento impugnato, l’Autorità rilevava come i materiali promo/pubblicitari relativi allo yogurt “Danaos” fossero idonei ad indurre in errore il consumatore sulla effettiva necessità di assumere il prodotto reclamizzato, sulle reali caratteristiche dello stesso e sulla natura della collaborazione vantata dalla società ricorrente con il “Policlinico Gemelli” di Roma.

Più in particolare, l’AGCM riportava il contenuto di quattro “spot” presi in considerazione, descriveva la telepromozione andata in onda all’interno di due note trasmissioni televisive di intrattenimento e indicava il contenuto di alcune pagine del “sito internet” con la descrizione del prodotto in questione.

Erano poi richiamati l’”iter” del procedimento, le evidenze acquisite, anche in relazione al fabbisogno individuale di calcio individuato da diversi studi scientifici, era focalizzata la modalità di collaborazione con il “Policlinico Gemelli” evidenziata da D, erano riassunte le argomentazioni difensive della Parte, era riportata la conclusione dell’Autorità per la garanzie nelle comunicazioni, intervenuta ai sensi dell’art. 27, comma 6, del Codice.

Nelle sue valutazioni conclusive, quindi, l’AGCM evidenziava che la condotta sanzionata si era incentrata sull’argomento relativo alla modalità con cui era stata illustrata l’assunzione di calcio in larga parte della popolazione femminile italiana e si soffermava sull’ingannevolezza del messaggio laddove evidenziava la prospettata carenza di calcio in “2 donne su 3”, rilevando che in realtà la documentazione acquisita faceva emergere un quadro di assoluta incertezza e di oggettiva difficoltà nel misurare il valore quantitativo di calcio assunto in media dalla popolazione italiana femminile e un unico studio in argomento a cui faceva riferimento D non poteva giustificare l’assertività e perentorietà dell’affermazione di cui al suddetto “claim” pubblicitario, da cui il consumatore poteva facilmente desumere che solo dall’assunzione del prodotto reclamizzato la carenza di calcio poteva essere compensata, quando invece tale carenza riguardava una parte marginale della popolazione, per fasce di età e collocazione geografica, e poteva essere colmata anche mediante una sana e regolare alimentazione.

Inoltre, lo studio preso in considerazione da D era diverso da quello normativamente riconosciuto come “RDA” e la decettività del messaggio pubblicitario era aumentata dall’aver preso a riferimento la fascia di età femminile matura, “over 50/60”.

Era poi ritenuto fuorviante altro messaggio pubblicitario, perché idoneo a suggerire l’insufficienza di una dieta equilibrata per assumere la dose necessaria di calcio, così come fuorviante era il richiamo alla collaborazione con il “Policlinico Gemelli”, che induceva a ritenere la sussistenza di una specifica procedura di validazione e controllo del prodotto reclamizzato da parte del nosocomio in questione, quando invece vi era stato solo un mero accordo commerciale orientato a incentivare possibili azioni di educazione e sensibilizzazione alle patologie cardiovascolari, prima, e all’osteoporosi successivamente, senza che di ciò fosse fatta menzione nella pubblicizzazione del prodotto e del c.d. “metodo Danaos”.

Ritenendo attuata la condotta contestata, l’Autorità provvedeva a quantificare la relativa sanzione, secondo i criteri di cui all’art. 11 l. n. 689/81, come richiamato dall’art. 27, comma 13, del Codice.

Con il suddetto ricorso, quindi, D lamentava, in sintesi, quanto segue.

I - Incompetenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ”.

L’esistenza di disposizioni specifiche sulla pubblicità relativa agli integratori alimentari e di norme speciali anche in tema di etichettature di tali integratori, tese alla tutela del consumatore e provviste di un autonomo corredo sanzionatorio, escludeva l’applicabilità della normativa generale contenuta nel Codice del Consumo e, conseguentemente, la competenza in materia dell’AGCM, che spetterebbe invece, ai sensi dell’art. 18, commi 1 e 4 del d.lgs. n. 109/1992, alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, oppure all’Ispettorato centrale repressioni frodi, con applicazione delle conclusioni giurisprudenziali sul rapporto fra disciplina generale e disciplina settoriale delle pratiche commerciali scorrette definito dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nn. 11-16/2012.

II- Travisamento delle risultanze istruttorie - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ”.

Parte ricorrente lamentava l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto l’Autorità avrebbe errato nel ritenere lo studio scientifico “D’Amicis” - citato negli “spot” Danaos come fonte del “claim” “2 donne su 3 non assumono abbastanza calcio” - come “isolato”, dal momento che i dati e le conclusioni in esso esposti risultavano confermati e congruenti con quelli riportati da altri e diversi studi scientifici, tra i quali l’indagine INRAN del 2010.

Gli effettivi quantitativi di calcio assunti in media dalla popolazione italiana erano infatti stati misurati e valutati anche da altri studiosi, che erano citati, e da tali misurazioni erano emersi dati assolutamente congruenti con quelli dello “studio D'Amicis” citato nella “pubblicità Danaos”.

Inoltre, nel “claim” in questione non si diceva che tutte (indistintamente) le donne italiane non assumono abbastanza calcio, ma - in aderenza ai risultati dello “studio D’Amicis” (ma anche di altri) - solo che due donne su tre non assumono abbastanza calcio.

Contraddittoria era poi l’asserzione dell’AGCM, laddove riconosceva che la carenza di calcio enunciata nella pubblicità effettivamente sussisteva, ma poi censurava tale pubblicità perché, esponendo tale situazione, induceva il consumatore “ a creare uno stato di bisogno rispetto al quale l'assunzione del prodotto sia non solo consigliata, ma anche necessaria per un corretto apporto di calcio ”.

Carente di motivazione, per la ricorrente, era la parte di provvedimento ove non era spiegato per quale motivo l'indicazione “in sovraimpressione” dello studio dal quale era tratto il dato enunciato non fosse sufficiente a far comprendere che si trattava di un dato derivante da un solo studio.

III- Travisamento delle risultanze istruttorie - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ”.

Parte ricorrente eccepiva come l’Autorità avesse errato nel ritenere che il “target” di riferimento del prodotto “Danaos” fosse rappresentato solamente da donne di età matura, vale a dire donne di età superiore ai 50/60 anni. In particolare, l’Autorità non avrebbe adeguatamente considerato la circostanza che in tutti gli “spot” censurati erano presenti, oltre alla nota attrice “testimonial” (donna di età matura), anche altre due donne di età visibilmente inferiore, il che costituiva, a detta di D, una chiara indicazione del fatto che il “target” di riferimento del prodotto reclamizzato era costituito, genericamente, da tutte le donne di età adulta.

Inoltre, la “campagna Danaos” non parlava mai di “debolezza” delle ossa, ma solo del contributo del prodotto, grazie al suo apporto in calcio, a rinforzare le ossa. Il creare le condizioni per cui le ossa siano in condizione di “forza” oppure di “debolezza” non è però, per la ricorrente, un problema tipico dei soggetti “over 50”, ma – come unanimemente riconosciuto dal mondo scientifico, e come ampiamente risultava dalla documentazione acquisita agli atti del procedimento – un problema che si pone lungo tutto il corso della vita.

La società ricorrente rappresentava altresì come la “RDA” (dose giornaliera raccomandata) di calcio sia sempre la stessa e non vari a seconda della fascia di età, contrariamente a quanto affermato dall’Autorità nel provvedimento impugnato.

Il “metodo Danaos” si indirizzava alle donne adulte di tutte le età, e quindi sia alle donne adulte che non si trovano in condizioni particolari, sia alle donne in gravidanza o allattamento, sia alle donne in menopausa. Esso era presentato in copertina come “Il metodo per raggiungere ogni giorno tutto il calcio di cui hai bisogno e aiutarti a mantenere ossa forti”, senza alcun riferimento all'osteoporosi o ad altre malattie delle ossa, per cui la premessa dalla quale partiva il provvedimento – secondo cui la pubblicità si era svolta all'interno di una campagna informativa per la malattia delle ossa e l'osteoporosi - era dunque il frutto di un travisamento delle risultanze istruttorie. Nello stesso tempo, il provvedimento non aveva tenuto minimamente conto - neppure per respingerle - delle considerazioni difensive svolte sul punto da D.

L'affermazione secondo cui “Danaos” contiene il “ 50% del calcio quotidiano raccomandato ” era pertanto assolutamente veritiera, contenendo tale prodotto 400 mg di calcio e riferendosi la pubblicità “al 50% RDA”, con l'avvertenza che “ le percentuali si riferiscono al fabbisogno giornaliero raccomandato di calcio (RDA)= 800 mg ”.

IV- Travisamento delle risultanze istruttorie - Illogicità manifesta - Violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost. - Violazione e falsa applicazione dell’art. 18, co. 1, lett. H), D.lgs. n. 206/2005, in relazione all’art. 20 comma 2 dello stesso - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ”.

D rappresentava come l’Autorità avesse errato nel ritenere che gli “spot” pubblicitari evidenziati suggerissero l’inidoneità di una dieta varia ed equilibrata al fine di raggiungere un’adeguata assunzione di calcio.

Invero parte ricorrente rimarcava che “Danaos” non era proposto come l’unica o necessaria fonte di calcio, bensì semplicemente come un mezzo per integrare un’alimentazione che potrebbe esserne carente, come desumibile dall’esame dello “spot” pubblicitario nella sua integralità, anche con le immagini di sfondo, e non solo nei dialoghi tra gli attori, ove si rilevava che il prodotto era proposto non come unica o necessaria fonte di calcio, ma semplicemente come mezzo per integrare l'alimentazione quotidiana.

La ricorrente estendeva poi tali considerazioni anche alle critiche al “sito internet” di cui al provvedimento impugnato e richiamava giurisprudenza precedente di questo Tribunale relativa alla pubblicizzazione di altro prodotto della D, pure oggetto di procedimento da parte dell’AGCM.

V- Travisamento delle risultanze istruttorie - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ”.

Parte ricorrente ribadiva come la collaborazione istituzionale con il “Policlinico Gemelli” fosse antecedente rispetto alla diffusione dei messaggi pubblicitari contestati e ribadiva altresì come l’Autorità avesse omesso di considerare la dichiarazione rilasciata dal Direttore amministrativo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che confermava l’esistenza effettiva della collaborazione relativa alla realizzazione del “Metodo Danaos”.

Inoltre, la comunicazione pubblicitaria D riferita alla collaborazione con il Policlinico in questione in nessun punto affermava, intendeva o suggeriva che “Danaos” era stato testato dal “Policlinico Gemelli” o dai suoi esperti, o che ne aveva ricevuto l'approvazione, ma solo che il “metodo Danaos”, che la ricorrente descriveva in dettaglio, era stato messo a punto con la collaborazione scientifica di tale Policlinico.

VI- Travisamento delle risultanze istruttorie - Violazione e falsa applicazione dell’art. 18, co. 1, lett. H), D.lgs. n. 206/2005, in relazione all’art. 20 comma 2 dello stesso - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione

L’Autorità non aveva considerato la circostanza che D aveva richiesto, prima di procedere alla diffusione dei telecomunicati pubblicitari, il parere preventivo del Comitato di controllo dell’autodisciplina pubblicitaria e che si era adeguata alle indicazioni espresse da detto organo, con conseguente conformità a diligenza professionale del comportamento dell'impresa che, prima di diffondere una determinata pubblicità, si era appunto premurata di verificare la conformità della stessa alle norme del codice di autodisciplina.

VII- Violazione e falsa applicazione dell’art. 27, comma 9, D.lgs. n. 206/2005, in relazione all’art. 11 Legge n. 689/1981 e al principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 co. 2 Cost. - Travisamento delle risultanze istruttorie - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione - Illogicità manifesta ”.

In via subordinata, la società ricorrente lamentava l’erroneità della sanzione irrogata in quanto l’Autorità non aveva considerato il richiamato parere favorevole del Comitato di controllo dell’autodisciplina pubblicitaria e aveva errato nell’individuazione della durata della pratica scorretta, quale indice di gravità della violazione stessa.

In particolare, nel determinare la durata dal 14 febbraio 2010 al 2 giugno 2012, l’AGCM non aveva considerato che la segnalazione dell’associazione di consumatori da cui aveva preso avvio l’indagine era del marzo 2011 mentre la comunicazione di avvio del procedimento era del giugno 2012, facendo trascorrere più di un anno, quindi, senza che D fosse messa sull’avviso di dare luogo a potenziale attività in violazione del Codice del Consumo, tramite un intervento di c.d. “moral suasion” da parte dell’Autorità.

La ricorrente concludeva la sua esposizione, chiedendo quindi la rideterminazione della sanzione, sulla base di tali considerazioni.

L’AGCM si costituiva in giudizio per resistere al gravame.

Con decreto presidenziale n. 2634/2019, l’Autorità resistente veniva autorizzata al deposito di un supporto informatico (DVD-R) contenente filmati di “spot” pubblicitari e telepromozioni.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito, le parti costituite depositavano memorie illustrative a sostegno delle rispettive argomentazioni difensive.

All’udienza pubblica dell’8 maggio 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Come anticipato nella parte in fatto, si controverte in ordine alla legittimità del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato indicato in epigrafe, che ha accertato come i materiali “promo/pubblicitari” relativi allo yogurt “Danaos” risultassero scorretti ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21, comma 1, lett. b), 22, comma 1, del Codice del Consumo, in quanto idonei a falsare in misura apprezzabile le scelte economiche dei consumatori. In particolare, l’Autorità segnalava come tali messaggi contenessero indicazioni idonee a indurre in errore i destinatari degli stessi rispetto alla effettiva necessità di assumere il prodotto reclamizzato, alle caratteristiche dello stesso, nonché rispetto alla natura della “partnership” esistente tra la società ricorrente ed il Policlinico Gemelli di Roma.

Prima di affrontare le singole doglianze sollevate dalla ricorrente, il Collegio ritiene utile un breve richiamo al quadro normativo di riferimento, al quale l’Autorità ha fatto rinvio nell’impugnato provvedimento, nonché ai principi, elaborati dalla giurisprudenza del giudice amministrativo, che regolano la materia “de qua”.

Ebbene, al riguardo, viene in immediato rilievo l’art. 20, comma 2, del Codice del Consumo, secondo cui: “ Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori ”.

A sua volta, l’art. 21, comma 1, lett. b), dello stesso Codice considera ingannevole “… una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso…:

b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;
….
”.

L’art. 22, comma 1, infine, stabilisce che “ E’ considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso ”.

Quanto poi ai principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa, la stessa ha chiarito che il sindacato del giudice, che ha carattere intrinseco, deve essere ritenuto comprensivo anche del riesame delle valutazioni tecniche operate dall’Autorità nonché dei principi economici e dei concetti giuridici indeterminati applicati (Cons. Stato, Sez. VI, 20.2.2008, n. 595 e 8.2.2007, n. 515) e deve essere condotto con il ricorso a regole e conoscenze tecniche appartenenti alle stesse discipline applicate dall’Amministrazione, anche con l’aiuto di periti (Cons. Stato, Sez. VI, 23.4.2002, n. 2199). È tuttavia incontestato che, ove la legittimità dell’azione amministrativa ed il corretto uso delle sottostanti regole tecniche siano stati accertati, il controllo giudiziale non può andare oltre, al fine di sostituire la valutazione del giudice a quella già effettuata dall’Amministrazione, la quale rimane l’unica attributaria del potere esercitato (Cons. Stato, Sez. VI, 29.9.2009, n. 5864 e 12.2.2007, n. 550;
TAR Lazio, Sez. I, 24.10.2010, n. 31278 e 30.3.2007, n. 2798).

Da tale premessa consegue che i motivi dedotti da D avverso il giudizio di “scorrettezza” della pratica contestata, per essere favorevolmente valutabili (e ammissibili), devono essere tali da far emergere vizi di manifesta irragionevolezza o di grave ingiustizia, finendo altrimenti inevitabilmente per impingere in valutazioni di merito rimesse all’Autorità, e non sindacabili da questo giudice senza invadere l’ambito della discrezionalità tecnica a essa riservato.

Tutto ciò chiarito, può ora passarsi all’esame del primo motivo di ricorso, con il quale l’odierna ricorrente sostanzialmente contestava l’applicabilità alla fattispecie in esame del Codice del Consumo e la conseguente competenza dell’AGCM a sanzionare le comunicazioni commerciali per cui è causa, atteso che il settore alimentare, ed in particolare la categoria degli alimenti integrati con vitamine e sali minerali, tra i quali rientra lo yogurt “Danaos”, è soggetto ad una specifica regolamentazione di settore - di derivazione comunitaria - caratterizzata da specificità, esaustività e completezza nonché assistita da poteri inibitori e sanzionatori attribuiti alle Regioni o Province autonome competenti per territorio, oppure all’Ispettorato centrale repressione frodi.

Il motivo però non è suscettibile di positiva valutazione.

La giurisprudenza amministrativa ha da tempo rilevato come la disciplina in materia di etichettature e di integratori alimentari e la disciplina in materia di tutela del consumatore sono tra di loro complementari e non alternative, così che sussiste la competenza dell’AGCM a valutare la scorrettezza di una pratica commerciale, anche alla luce dei criteri generali e delle specifiche prescrizioni di cui al regolamento “claim” (ex multis, TAR Lazio, Sez. I, 4.7.2013, n. 6596 e 3.7.2012, n. 6027).

Ciò in quanto il Regolamento CE n. 1924/2006 individua e disciplina indicazioni salutistiche diversificate, lasciando comunque salvo (agli artt. 3 e 9) il disposto della direttiva 450/84/CEE in materia di pubblicità ingannevole.

Né rileva il richiamo operato dalla ricorrente alle decisioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che hanno affermato la portata residuale della competenza dell’AGCM, subordinata alla inesistenza di norme di diritto comunitario di disciplina specifica di pratiche commerciali scorrette (decisioni 11, 12, 13, 15 e 16 dell’11 maggio 2012), atteso che l’orientamento giurisprudenziale richiamato in atti risulta superato delle successive pronunce dell’Adunanza Plenaria nn. 3 e 4 del 9 febbraio 2016 e, da ultimo, da quanto ribadito dalla Corte di Giustizia UE su remissione proprio sul punto da parte del massimo organo giurisdizionale amministrativo italiano (sentenza 13.9.2018, in C-54/17 e 55/17).

Si ricorda, peraltro, che il Consiglio di Stato - anche alla luce della lettera di costituzione in mora, inviata ai sensi dell’art. 258 TFUE e sulla cui base la Commissione europea aveva aperto una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica italiana per scorretta attuazione ed esecuzione della direttiva 2005/29/UE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e della direttiva sul servizio universale e i diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica - aveva rilevato come, nell’individuare l’Autorità competente all’emanazione di provvedimenti sanzionatori in materia di pratiche commerciali, deve essere seguito un criterio di specialità per fattispecie concreta e non per settori.

In sostanza, in presenza di più disposizioni, appartenenti a diversi corpi normativi che disciplinino il medesimo fatto, deve trovare applicazione la sola disposizione speciale individuata in base ai criteri noti nel nostro ordinamento e in modo compatibile con l’ordinamento comunitario nella specifica materia di pertinenza comunitaria.

Le sentenze hanno pure rilevato la natura di interpretazione autentica dell’art. 27, comma 1 bis, del codice del consumo - introdotto dall’art. 1, comma 6, lett. a), d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 - a norma del quale “ Anche nei settori regolati, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell'Autorità di regolazione competente. Resta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze ”.

Tutto ciò, pertanto, conferma la competenza dell’AGCM all’adozione del provvedimento impugnato.

Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente sostanzialmente eccepiva l’illegittimità del provvedimento impugnato per non aver l’Autorità correttamente valutato (o meglio, per aver “svalutato”) le risultanze istruttorie prodotte da D. In particolare, veniva contestato come l’Autorità avesse errato nel ritenere lo studio scientifico “D’Amicis”, fonte scientifica del “claim” “2 donne su 3 non assumono abbastanza calcio”, come “isolato”, dal momento che – sempre secondo la prospettazione di parte ricorrente - i dati e le conclusioni in esso esposti risultavano confermati e congruenti con quelli riportati da altri e diversi studi scientifici, tra i quali l’indagine INRAN del 2010.

Anche tale prospettazione non può essere condivisa.

Ed invero, contrariamente a quanto affermato dall’odierna ricorrente, l’Autorità, lungi dal contestare il contenuto, le risultanze o l’autorevolezza dello “studio D’Amicis”, indicato dalla ricorrente quale fonte scientifica del ricordato “claim”, ha chiaramente specificato che oggetto di censura era la scelta del professionista di veicolare le conclusioni di un unico e specifico studio alla stregua di un dato di fatto oggettivo e a carattere generale (cfr. par. 39 del provvedimento). In altri termini, la valutazione di scorrettezza dell’Autorità ha riguardato la decisione del professionista di diffondere - in modo assertivo - l’idea di una generalizzata carenza di calcio nella popolazione femminile (2 donne su 3), con l’obiettivo di indurre il consumatore medio, ed in particolare il consumatore che necessita di un apporto maggiore del minerale in virtù di particolari patologie e/o stati fisiologici dell’età, a ritenere che l’assunzione del prodotto reclamizzato fosse non solo consigliata, ma anche necessaria.

Al riguardo, osserva il Collegio come l’Autorità resistente abbia correttamente ritenuto che, a fronte dell’assertività con la quale è stato impiegato il “claim” “2 donne su 3 non assumono abbastanza calcio” ed è stata diffusa l’idea di una generalizzata carenza di calcio, non vi erano state adeguate precisazioni sulla reale complessità del tema a cui si riferiva il dato informativo presentato, così che il consumatore non era stato posto nella condizione di percepire e realizzare che il dato pubblicizzato era in realtà riferito a un determinato studio, condotto su un campione di soggetti che avevano necessità estremamente diverse in termini di mg di calcio da assumere giornalmente.

Ed invero, dalla documentazione presente agli atti, emerge in effetti il ricordato quadro di incertezza e di oggettiva difficoltà nel misurare gli effettivi quantitativi di calcio che dovrebbe assumere - e assume - in media la popolazione femminile italiana, con la conseguenza che il “claim” in questione risultava ingannevole ed omissivo nel senso evidenziato dall’AGCM.

Ed invero, esso si sostanziava in una informazione che, sebbene risultante da uno studio scientifico, quale lo “studio D’Amicis”, con l’assertività proposta era comunque idonea ad indurre in errore il consumatore medio portandolo a ritenere che vi sia costante e acclarata carenza di calcio su ampia parte della popolazione (2 donne su 3) e che, pertanto, l’assunzione dello yogurt “Danaos” fosse non solo consigliata, ma anche necessaria al fine di raggiungere il corretto apporto del minerale.

In realtà, come dimostrato da altri studi in materia esaminati dall’Autorità, tale carenza di calcio per alcune fasce di età è solo di portata lieve o lievissima e pacificamente colmabile già con una sana ed equilibrata alimentazione (cfr. par. 39-41 del provvedimento impugnato).

Al riguardo, occorre rilevare come l’Autorità abbia puntualmente riportato le risultanze degli studi scientifici in materia di assunzione di calcio nella popolazione italiana (studio EPIC;
“survey” INRAN-

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