Trib. Roma, sentenza 21/11/2024, n. 11773
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Testo completo
R.G. 25975/2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TERZA SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Silvia Antonioni, spirati i termini per le note ex art. 127 ter cpc, assegnati fino al 20.11.2024, ha pronunciato, mediante deposito telematico in data odierna, la seguente
SENTENZA nella causa promossa da
, elettivamente domiciliato in Roma, Parte_1
viale Gorizia 52, presso lo studio dell'avv. Marco Tavernese che lo rappresenta e difende per procura allegata al ricorso
RICORRENTE
CONTRO
, in persona del Ministro p.t., Controparte_1
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi uffici in Roma, Via dei Portoghesi 12
1
in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato CP_2
in Roma, presso l'Avvocatura Metropolitana dell'Istituto di Roma, via
Cesare Beccaria 29, rappresentato e difeso dall'avv. Alessia Faddili per procura generale alle liti
RESISTENTI
OGGETTO: differenze retributive
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso depositato in data 5 luglio 2024 e ritualmente notificato, la parte ricorrente in epigrafe indicata ha convenuto avanti l'intestato
Tribunale il , esponendo: Controparte_1
- di essere stato detenuto, dal mese di giugno 2017 sino al mese di febbraio 2019 presso l'Istituto Casa Circondariale “Raffaele Cinotti” di
Roma Rebibbia e dal mese di febbraio 2019 sino alla data del ricorso presso l'Istituto Casa Circondariale di Galati;
- di aver - dal mese di luglio 2017 sino al mese di gennaio 2019 - continuativamente prestato attività lavorativa alle dipendenze del
ai sensi dell'art. 20 et ss. della L. 354/1975, con Controparte_1
varie mansioni specificate in ricorso, presso i suddetti istituti penitenziari, precisando altresì che detto rapporto di lavoro deve ritenersi unico, sia pure con interruzioni e perché non cessata l'attività lavorativa.
- che, con riferimento al lavoro intramurario svolto nel periodo luglio/settembre 2017, si è visto corrispondere la mercede carceraria, come da cedolini paga allegati, inferiore a quanto previsto dagli artt. 20 e
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22 l. n. 354/1975 (in relazione all'adeguamento della mercede) in quanto parametrata ai livelli retributivi del CCNL applicabile vigenti al 1993 e non più adeguati da parte del . CP_1
Assumendo, quindi, di aver maturato un credito per differenze retributive
(per retribuzione, 13^ e 14^, indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute, lavoro straordinario, compenso aggiuntivo per lavoro festivo
e TFR) pari a € 835,06 calcolato mediante applicazione di una retribuzione oraria corrispondente alla misura non inferiore ai due terzi delle tariffe minime previste dalla contrattazione collettiva per i livelli di inquadramento corrispondenti alle mansioni svolte, secondo le determinazioni già individuate dal convenuto (come da nota CP_1
10.11.1993), ha chiesto la condanna del Controparte_1
al pagamento del detto ammontare, “con ogni conseguenza prevista CP_1
dalla legge in punto di regolarizzazione della posizione previdenziale ed assicurativa”, oltre interessi e rivalutazione monetaria e con vittoria di spese da distrarsi.
4. Il , tempestivamente costituitosi, ha eccepito in Controparte_1
via preliminare la prescrizione quinquennale del credito ex art. 2948 c.c. per il periodo anteriore al quinquennio alla data di notifica del ricorso. In relazione al quantum ha eccepito la non debenza della 14^ mensilità,
l'assenza di prova del lavoro straordinario svolto ed il difetto di compenso raddoppiato per il lavoro festivo perché non determinato dalla competente commissione prima del 2018.
5. L' costituendosi in giudizio, sottolineata l'assenza di qualsiasi CP_2
pretesa nei suoi confronti, chiedeva, in caso di accertamento di dovuta
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ricostruzione di posizione previdenziale, la condanna del datore di lavoro al versamento in proprio favore dei contributi previdenziali “con aggravio di somme aggiuntive dall'inadempimento al saldo” nei limiti della prescrizione ex lege.
6. All'odierna udienza, celebrata con le modalità della trattazione scritta, previo scambio di note ex art. 127 ter cpc, la causa, di natura documentale, è stata dunque decisa mediante deposito telematico della presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'eccezione di prescrizione è infondata.
Come noto in tema di lavoro carcerario la prescrizione non decorre durante lo svolgimento dell'attività lavorativa e tale sospensione permane fino alla cessazione del rapporto di lavoro non potendo estendersi all'intero periodo di detenzione ( cfr Ord. Cass sez lav n° 27340/2019,
Cass. 3925/2015, Cass. 3062/2015 ). Come ben chiarito dalla sentenza della Corte di Appello di Roma n° 726/2023 “ l'esistenza di fatti estintivi del
“rapporto di lavoro carcerario”, atti ad interrompere il regime di sospensione del termine prescrizionale, deve essere provata da chi l'adduce, e non può essere desunta dal fatto che l'attività sia stata svolta in diverse carceri, posto che il rapporto di lavoro si instaura con il e non con l'Istituto di pena - argomentando da Cass. n. CP_1
12205/2019 e Cass n. 18308/2009, sia pure riguardo all'applicazione dei criteri di competenza territoriale di cui all'art. 413 c.p.c. - sicchè il trasferimento del detenuto non comporta, di per sé, cessazione del rapporto, né, come pretende l'appellante, la
4 cessazione del rapporto può essere desunta dal mero mutamento di mansioni via via assegnate” .
Deve richiamarsi sul tema il condivisibile orientamento da ultimo ribadito dalla Corte di Appello di Roma con le recenti sentenze n° 677/2024 del
23/2/2024 e n° 680/2024 del 16/2/2024, secondo il quale “Invero, pur nella diversità delle mansioni (riconducibili tutte, comunque, alla figura di addetto ai servizi vari dell'Istituto di pena), e pur nella diversità dei luoghi di espletamento di tali mansioni (le varie Case circondariali), il rapporto de quo - lo si ripete - è caratterizzato dalla unicità e dalla continuità. In altri termini, appare dirimente sottolineare che non siamo in presenza di una pluralità di rapporti distinti, ma di un unico rapporto di lavoro, svoltosi continuativamente durante il periodo di detenzione, anche se non coincidente con la durata di quest'ultimo (tanto che qui il dies a quo si fa decorrere dalla “cessazione del rapporto di lavoro”, e non dal “fine pena”, ossia dalla scadenza dello stato di detenzione). Al riguardo - pur in difetto di idonea documentazione di supporto da parte del Ministero (v. supra) - potrebbe opinarsi che trattavasi di una pluralità di contratti a termine, ma privi della forma scritta, richiesta ad substantiam per il lavoro a tempo determinato. In realtà, va evidenziata la peculiarità del lavoro penitenziario che, innanzitutto, per i condannati, è obbligatorio, per cui non si costituisce per contratto, ma mediante provvedimenti di “assegnazione al lavoro” che, stante il carattere limitato dei posti disponibili, dipendono dall'utile collocazione in un'apposita graduatoria;
le stesse assegnazioni al lavoro sono, poi, del tutto precarie, e non danno luogo a rapporti stabili;
inoltre, nessuna disciplina sembra emergere quanto alla cessazione del “rapporto di lavoro” interno, potendo il lavoratore-detenuto essere
“escluso dall'attività lavorativa” se manifesta un sostanziale rifiuto ad espletarla o per
5 motivi disciplinari, che, peraltro, non si riferiscono specificamente al lavoro come tale (v, in proposito, legge n. 354/1975, d.P.R. n. 230/2000, e s.m.i.). Ne deriva che il lavoro penitenziario non dà luogo ad un rapporto giuridico obbligatorio simile, per struttura, a quello delineato dall'art. 2094 c.c., nel quale una parte assume stabilmente
l'obbligo di collaborare e l'altra quello di retribuire, potendo tali obblighi persistere fino
a quando una delle parti recede;
i detenuti hanno il diritto e l'obbligo di lavorare in quanto e per quanto ammessi al lavoro e per il tempo in cui, di volta in volta, sussiste disponibilità di lavoro carcerario (quindi, non sono ipotizzabili licenziamenti in senso stretto, tanto che, ai detenuti-lavoratori, non dovrebbe spettare l'indennità di disoccupazione per i periodi di inattività che si determinano in relazione ai meccanismi di rotazione di cui sopra). In quest'ordine di concetti, non risulta chiaro quando, in una condizione stabile di detenzione, cesserebbe il “rapporto di lavoro” svolto nelle more, non essendoci tra le parti alcun rapporto obbligatorio stabile in senso lavoristico, ma un rapporto vagamente assimilabile al lavoro intermittente cui le parti sono reciprocamente tenute se ed in quanto e fintanto che c'è lavoro da svolgere in carcere.
Trovano così conferma i rilievi secondo cui, in tema di
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