Trib. Lecce, sentenza 29/07/2024, n. 2701
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N. 6404/2023 R.G.
TRIBUNALE DI LECCE SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL'UNIONE EUROPEA
Il Tribunale di Lecce, in composizione collegiale, riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: dr. M C Presidente dr.ssa A C Giudice dr.ssa E G G Relatore in nome del popolo italiano, ha emesso la seguente:
SENTENZA
nella procedura iscritta al n. 6404/2023 R.G. promossa
DAL
Sig. (cognome) (nome), nato il 17/11/1988 in MAROCCO, Pt_1 Pt_2 rappresentato e difeso dall'avv. GARRISI LETIZIA, presso il cui studio ha eletto domicilio
RICORRENTE CONTRO
, in persona del Ministro pro Controparte_1 tempore, rappresentato e difeso nel presente giudizio dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di
CP_1
- RESITENTE -
Con ricorso depositato in data 27/09/2023, il Sig cognome (nome), nato Pt_1 Pt_2 il 17/11/1988 in MAROCCO, ha chiesto, previa sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato di rifiuto di rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale emesso in data 30.06.2023 e notificato al ricorrente in data 7/09/2023, annullare/revocare
l'impugnato provvedimento e in riforma dello stesso, accertare il diritto dell'odierno ricorrente di cui all'art.19, co.1.1 TUI come novellato dal D.L. 130/2020 conv. Con L.173/2020 e, per l'effetto, ordinare alla competente questura il rilascio del permesso di soggiorno per Protezione Speciale.
Il si costituiva con memoria del 22/12/2023, chiedendo il rigetto del ricorso Controparte_1 con vittoria di spese di lite.
Sono stati acquisiti in atti certificati del casellario giudiziario e dei carichi pendenti dai quali risultano delitti commessi in Italia dal ricorrente durante il suo periodo di permanenza.
Dall'informativa aggiornata dalla Questura di si evince che il ricorrente è gravato da CP_1
precedenti penali e di polizia per i reati di: “il medesimo è gravato da precedenti penali e di polizia per i reati di: MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA O VERSO I FANCIULLI, , PORTO DI Per_1
OD OGGETTI ATTI AD OFFENDERE, EVASIONE, INOSSERVANZA DEI Pt_3
PROVVEDIMENTI DELL'AUTORITA', VIOLENZA PRIVATA, DANNEGGIAMENTO,
PERCOSSE, LESIONI PERSONALI, VIOLAZIONE DI DOMICILIO, RAPINA AGGRAVATA
PERCHE' COMMESSA CON ARMI O DA PERSONA TRAVISATA, STUPEFACENTI,
RESISTENZA A P.U.. In suo pregiudizio risultano frequentazioni negative con altri soggetti gravati da precedenti di polizia per i reati di: “ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI CON
VIOLENZA SULLE PERSONE, STUPEFACENTI, LESIONI PERSONALI, GUIDA IN STATO DI
ALTERAZIONE PSICO-FISICA PER SOSTANZE STUPEFACENTI/PSICOTROPE, PORTO DI
ARMI OD OGGETTI ATTI AD OFFENDERE, RESISTENZA A UN PUBBLICO UFFICIALE”.
All'udienza del 12.07.2024, previa discussione della causa innanzi al Collegio e a seguito di termine concesso alle parti per il deposito di note scritte, il fascicolo veniva rimesso in decisione per la sentenza.
OSSERVA
In data 22.10.2020 è entrato in vigore il D.L. 21 ottobre 2020 n.130 recante, tra l'altro,
“Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare…” convertito con modificazioni (aventi efficacia dal 20.12.2020) nella L. n.173 del 18 dicembre 2020, pubblicata nella GU n.314 del 19.12.2020.
Con espressa disposizione transitoria l'art.15 comma 1 di detto decreto prevede: “Le disposizioni di cui all'articolo 1 comma 1, lettere a), e) ed f) si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto avanti alle commissioni territoriali, al questore ed allesezioni specializzate dei tribunali, con esclusione dell'ipotesi prevista dall'art 384, secondo comma del codice di procedura civile”.
Occorre, quindi, riportare le aggiunte e modifiche, di cui alle lettere a) ed e) del predetto decreto come convertito nella legge di cui innanzi, apportate al decreto legislativo 25 luglio 1998 n.286 (T.U. sull'immigrazione).
La lett. a) dell'art.1 comma 1 ha apportato al testo unico la seguente modifica:
“all'art. 5 al comma 6: dopo le parole “Stati contraenti” sono aggiunte le seguenti: “ fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano”.
La lett.e) ha sostituito il comma 1.1. dell' art. 19 del predetto T.U. col seguente:
“1.1.Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all'art 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni
2 di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica, nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n.722 e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine” (le parti in grassetto sono le aggiunte e modifiche apportate al TUI dal D.L. n.130/2020 aggiornato con le modifiche apportate dalla legge di conversione).
Sempre la lett. e) dopo il comma 1.1. del predetto art. 19 ha inserito il seguente:
“ 1.2. Nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale. Ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1., la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. Nel caso in cui sia presentata una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1, il Questore, previo parere della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, rilascia un permesso di soggiorno per protezione speciale”.
Ancora, la lett.e) al comma 2 lettera d-bis: (3.1) al primo periodo dell'art. 19, ha sostituito le parole
“condizioni di salute di particolare gravità” con quelle: “gravi condizioni psico-fisiche o derivanti da gravi patologie” e al secondo periodo (3.2) ha sostituito le parole “condizioni di salute di particolare gravità” con quelle “di cui al periodo precedente” con l'aggiunta, infine, “e convertibile in premesso di soggiorno per motivi di lavoro”.
Il decreto in esame - occorre precisare - non ha abrogato le disposizioni del D. L. n.113 /2018 (convertito nella legge n.132/2018) con il quale, espungendo qualsiasi riferimento letterale all'istituto della protezione umanitaria, sono stati tipizzati (nell'espresso intento di conferire maggiore determinatezza al dato normativo) i “casi speciali” di permesso di soggiorno (per motivi di protezione sociale;per vittime di violenza domestica;per particolare sfruttamento lavorativo, rispettivamente ex art. 18, 18 bis e 22 comma 12 quater T.U. Immigrazione), nonché il permesso di soggiorno per cure mediche di particolare gravità (art 19 comma 2 lett. d.bis T.U.I.;“per contingente ed eccezionale calamità naturale” (nuovo art. 20 bis T.U.I.), “per atti di particolare valore civile” (nuovo art 42 bis T.U.I.) ed, infine, il “permesso di soggiorno per protezione speciale” (novellato art. 32 comma 3 e art.19, commi 1. e 1.1. del T.U.I. nel rispetto del principio di non refoulement per rischio di persecuzione e tortura.
Va però detto che nel sistema della previgente protezione umanitaria, riconducibile al combinato disposto dell'art. 32 comma 3 del d.lgs. n. 25/2008 e degli art. 5, comma 6 e 19 del D. lgs. n.286/1998, la cui disciplina è stata ritenuta applicabile ratione temporis (cfr. SS.UU n.29459/2019), a tutte le domande proposte prima dell'entrata in vigore (5 ottobre 2018) del D.L.n.113/2018 - pur nell'assenza di una definizione legislativa dei "gravi motivi di carattere umanitario" - il riconoscimento della relativa forma di protezione è stata invariabilmente collegata al rispetto dei diritti umani fondamentali riconosciuti dalle convenzioni internazionali e dalla Costituzione italiana (Cass. Sez. un., ord. n. 19393/2009), posti ad indefettibile presupposto.
In particolare, i gravi motivi di carattere umanitario, o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali che impediscono il rientro del richiedente nel suo paese di origine sono stati
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ricondotti a significativi fattori soggettivi di vulnerabilità (ad es. particolari motivi di salute o ragioni di età, o ancora rilevanti traumi subiti), ovvero a fattori oggettivi di vulnerabilità (ad es. guerre civili, conflitti interni, rivolgimenti violenti di regime, catastrofi naturali, rischi di tortura o di trattamenti degradanti ed altre gravi e reiterate violazioni dei diritti umani subite dal richiedente che hanno lasciato traumi persistenti sulla sua persona).
Fondamentale in tal senso la sentenza della Suprema Corte n. 4455 del 2018 nella quale, si legge:“…I seri motivi di carattere umanitario oppure risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (art. 5 comma 6 cit) alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivoal rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass. sez.un. n. 19393/2009 e Cass. sez.un. n.5059/2017) non vengono tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore, cosicché costituiscono un catalogo aperto (Cass.n.26566/2013). Con la precisazione che ai fini della relativa individuazione non deve necessariamente ricorrere il fumus persecutionis dovendosi ravvisare l'unico limite imposto, nella differenza della legittimazione rispetto alle altre forme di protezione maggiori con requisiti di accesso ben tipizzati (cfr. Cassaz. n.13079/2019;n.23604/2017;21903/2015),
Sicché si è giunti alla conclusione della natura residuale ed atipica di tale forma di protezione:
“Secondo il diritto vivente, la protezione umanitaria ha natura residuale e atipica nell'ambito del sistema pluralistico della protezione internazionale di derivazione europea” (cfr. n.8571/2020, n.21123/2019;13079/2019, n.13088/2019;n.13079/2019) sottolineando come proprio “l'apertura e la residualità” di tale misura di protezione non risultino compatibili con “tipizzazioni” di alcun genere (cfr. Cassaz., n.13079/2019, n.13096/2019).
Ed è stato, altresì, affermato il rilievo centrale che assume il c.d. giudizio di comparazione, ossia la valutazione comparativa tra il grado di integrazione sociale effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente nel Paese di origine;tanto, al fine di verificare se la “compressione” della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani possa essere ritenuta al di sotto del nucleo minimo dei diritti della persona il quale connota la condizione di vulnerabilità.
Con la precisazione che la condizione di vulnerabilità va verificata di volta in volta all'esito di una valutazione individuale della vita privata e familiare del richiedente, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza alla stregua di “un più generale principio di comparazione attenuata, concettualmente caratterizzato da una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti” nel senso che “quanto più risulti accertata in giudizio (con valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità se scevra da vizi logico-giuridici che ne inficino la motivazione conducendola al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalle stesse sezioni unite con la sentenza 8053/2014) una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri rappresentati dalla privazione della titolarità dell'esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”. (cfr. Cassaz., n. 8819/2020 che richiama i principio affermato in Cass., n.1104/2020).
Quanto innanzi per porre in evidenza come la nuova disciplina, in particolare, con il ripristino nel comma 6 dell'art. 5 del D. Lgs. 1998 dell'inciso: “ fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali dello Stato Italiano” e la sostituzione del comma 1.1. dell'articolo 19 del medesimo decreto legislativo, abbia in sostanza operato una sorta di reviviscenza della
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vecchia protezione umanitaria, potenziandone l'applicazione e chiarendo i relativi presupposti, sulle orme del percorso tracciato dai principi affermati nel corso dell'ultimo decennio dalla gran parte dei giudici di merito con l'avallo della Suprema Corte.
Non altra lettura può esser data infatti alla esplicita codificazione in quest'ultima norma del
“diritto al rispetto della propria vita privata e familiare” del richiedente ed alla valutazione dei fondati motivi, al vertice dei quali è posta “la violazione sistematica e grave di diritti umani” con l'indicazione specifica dei quattro criteri di valutazione ai quali deve attenersi l'interprete:
a) natura ed effettività dei vincoli familiari dell'interessato;
b) il suo effettivo inserimento sociale;
c) la durata del suo soggiorno sul territorio nazionale;
d) l'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d'origine”.
Non v'è dubbio alcuno che la significativa rivisitazione, in particolare delle due norme di cui innanzi, operata dal legislatore con il decreto legge in esame, oltre alla resurrezione di fatto della protezione umanitaria (previgente al D.L.n.113/2018), integri un' emblematica sintesi dei principii andati via via affermandosi nel corso degli ultimi anni nella giurisprudenza più sensibile ed attenta alle problematiche connesse alla grave tragedia umanitaria contemporanea costituita dell'inarrestabile fenomeno migratorio.
Alla stregua di tali principi va dunque esaminata la domanda del ricorrente, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno con la nuova dicitura “per protezione speciale”, in base, appunto, alle novellate disposizioni, applicabili al presente giudizio ai sensi della chiara disposizione transitoria dell'art. 15 del D. l. n.130/2020.
Ciò premesso in punto di fatto e di diritto, ritiene questo Tribunale che il ricorso introduttivo non possa trovare accoglimento.
Infatti, andando a valutare la situazione personale del ricorrente ed in applicazione del principio della proporzionalità degli interessi sottesi, si può affermare che da tutta la documentazione depositata ed acquisita in atti si evince che il ricorrente ha a suo carico dei precedenti penali e delle criticità ancora in fase di accertamento (v. in atti certificato dei carichi pendenti) che non possono certamente prescindere da una comparazione con altri fattori in ossequio al principio di cooperazione istruttoria cui è tenuto il Giudice. Occorre tenere conto, infatti, della durata del soggiorno in Italia che nel caso di specie si prolunga dal 2011;dell'integrazione sociale e culturale nel territorio italiano: nel caso che ci occupa, infatti, il ricorrente non ha un'attività lavorativa stabile. Non risulta, infatti, documentata alcuna integrazione sul territorio dello Stato italiano, né ha fornito la prova di svolgere, o aver mai svolto, alcuna attività lavorativa regolare dalla quale possa trarre il proprio sostentamento (nessun modello unilav è stato prodotto in atti). Ha prodotto una mera autorizzazione per l'esercizio dell'attività di commercio su area pubblica tipo B emessa dalla
in data 03/04/2015 e una dichiarazione di avvenuta consegna modello 730 del Controparte_2
24/06/2022, senza tuttavia allegare ulteriore documentazione di carattere retributivo e fiscale, idonea a comprovare un sufficiente, continuativo, stabile ed effettivo inserimento nel tessuto produttivo italiano e la concreta sussistenza di idonei mezzi per il proprio sostentamento. Pertanto,
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considerando l'età del ricorrente ed il fatto che si trovi stabilmente in Italia da diversi anni, non emerge che egli, dal suo arrivo, abbia profuso alcuno sforzo di integrazione lavorativa.
Non vi è prova di alcuna attività stabile lavorativa e non vi è prova di alcuna patologia da cui sarebbe affetto l'istante.
La situazione, quindi, complessivamente valutata fa propendere per un comportamento sintomatico di una mancanza di volontà di integrazione sul T.N. anche alla luce dell'assenza totale di un percorso integrativo finalizzato alla ricerca di una occupazione che possa garantire al ricorrente un'esistenza onesta e dignitosa, quale per esempio l'iscrizione dello stesso nelle liste del collocamento al lavoro presso il centro per l'impiego competente.
Il ricorrente non ha poi dedotto, né allegato, alcun profilo di personale ed ulteriore vulnerabilità da rapportare alla situazione generale del Paese d'origine. Infatti, dalle uniche informazioni relative all'istante, non emergono specifiche ricadute individuali causate dall'instabile situazione del Paese, da distinguersi da quelle destinate a prodursi sulla generalità delle persone provenienti dal medesimo ambito territoriale. Come, di recente ribadito dalla Corte di Cassazione "il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, quale misura atipica e residuale, è il frutto della valutazione della specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente;ne consegue che a tal fine non è sufficiente la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine a cui non si accompagni l'indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità" (v. Cass. ord. nn. 5929/21 e 5923/21). Come poi riaffermato dalla Corte di Cassazione, ai fini del riconoscimento della misura invocata, "non può essere in nessun caso elusa la verifica della sussistenza di una condizione personale di vulnerabilità, occorrendo dunque una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio: i seri motivi di carattere umanitario possono allora positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all'esito di tale giudizio comparativo, risulti non soltanto un'effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, ma siano individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d'origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al cit. D.Ls. n. 286, art. 5, comma 6" (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, conf. Cass. sent. n. 29460/19 e SU 29459/19)”. Principi di diritto cui ha, anche di recente, dato continuità la S.C. la quale ha ricordato che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (v. già Cass. 17072/18), "si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria" (v. SS.UU. n. 244131/21). E comunque da tale giudizio comparativo non sono risultati, anche dalle ultime informazioni sulla situazione attuale in Marocco, situazioni di privazioni di diritti umani tali da giustificare il riconoscimento della protezione speciale, atteso peraltro l'inserimento del Paese d'origine del richiedente, il Marocco, tra i Paesi di origine sicuri ai sensi dell'art 1 del Decreto del Ministro degli
Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale del 17 marzo 2023, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 72 del 25/03/2023 ai sensi dell'art.2 bis del decreto legislativo 28/01/2008 nr.25.
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Sul punto, si confrontino altresì le COI USDOS – US Department of State: 2022 Country Report on Human Rights Practices: Gambia, Settembre 2023 https://www.ecoi.net/en/document/2071172.html (accessed on Settembre 2023);Freedom House: Freedom in the World 2023 - Marocco, Settembre 2023 https://www.ecoi.net/en/document/2068829.html.
Per di più, sono emerse delle criticità dall'informativa della Questura competente (cfr allegati in atti), riportate nella parte iniziale del presente provvedimento, che senza dubbio fanno propendere per un giudizio negativo circa l'integrazione dell'istante nel tessuto socio culturale del territorio statuale, tanto da non meritare riconoscimento e protezione, non solo alla luce dell'art. 8 CEDU, indicativa di un effettivo radicamento in Italia, ma anche dell'art. 35 della Costituzione, che tutela il diritto al lavoro come posizione soggettiva assoluta del singolo. Ha assunto nel Paese d'accoglienza un comportamento penalmente rilevante, risultando agli atti sentenze divenute ormai irrevocabili per i reati di cui all'art. 73 DPR 309/1990 (circ. art. 73 c. 4 DPR 309/1990), 81 CP, 73 c. 5 DPR 309/1990, 628 c. 1 (circ. 628 c. 3 n.1 CP) e periodi di detenzione presso strutture circondariali (cfr documentazione in atti), circostanze ostative al beneficio richiesto e che non dimostrano la corretta ed effettiva integrazione dell'interessato nel tessuto sociale del Paese di accoglienza. D'altronde, la condotta criminale del cittadino straniero, come in caso di reati in materia di stupefacenti, può essere considerata intollerabile per lo Stato ospitante, rendendo ineludibile il diniego alla sua permanenza o al rinnovo del permesso di soggiorno, anche in presenza di legami familiari sul territorio nazionale italiano (cfr. Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenza 6709 del 27/07/2022), da egli pur documentati, avendo allegato i certificati di nascita della figlia e di convivenza con la medesima e la compagna (cfr. documentazione allegata in atti).
Il ricorrente, inoltre, risulta destinatario di numerosi procedimenti di polizia e deferimenti all'autorità giudiziaria per reati anch'essi di massimo allarme sociale quali maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, minaccia, porto di armi od oggetti atti ad offendere, evasione, inosservanza dei provvedimenti dell'autorità, violenza privata, danneggiamento, percosse, lesioni personali, violazione di domicilio, rapina aggravata perché' commessa con armi o da persona travisata, stupefacenti, resistenza a p.u. Peraltro, alla luce di quanto innanzi riportato, non può trovare accoglimento nemmeno il rilievo formulato dall'istante in merito alla presenza sul territorio del proprio nucleo familiare, composto dalla moglie e dalla figlia, nata nel 2022, sia in considerazione del fatto che il ricorrente è stato raggiunto anche da notizie di reato per reati commessi in ambito domestico a danno dei propri familiari, sia in quanto nel giudizio di bilanciamento tra interessi contrapposti, ossia quello alla tutela dell'unità familiare e quello alla salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, richiamato dall'art. 5 c. 5 del T.u.i., è ben possibile che il secondo venga ritenuto prevalente rispetto al primo alla luce delle circostanze del caso concreto. Significativo al riguardo risulta essere, in particolare, il consolidato orientamento giurisprudenziale ai sensi del quale “la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano, esistendo comunque una soglia di gravità, oggettivamente percepibile secondo l'id quod plerumque accidit, oltre la quale il comportamento criminale diviene intollerabile per lo Stato che offre ospitalità, in guisa da rendere, in concreto, vincolato il diniego di permanenza” (v. Cons. di Stato sez. III, 27/11/2018, n. 6700;Sez. III 05.06.2020 n. 3204).
Alcuna valenza dirimente può inoltre riconoscersi alla lunga durata della permanenza dello straniero sul territorio nazionale atteso che l'istante, è risultato da subito, ed in modo protratto negli anni, dedito allo svolgimento di attività delittuose, talune delle quali definitivamente accertate
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in sede giudiziaria, dimostrando così di non aver portato a termine alcun percorso di effettiva integrazione nel tessuto socioculturale dello Stato ospitante, verso le cui regole, al contrario, si è da sempre dimostrato non rispettoso.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, si deve concludere che la mancata deduzione e prova di condizioni di vulnerabilità e l'assenza di un apprezzabile percorso integrativo unitamente ai precedenti penali ed alla presenza di pendenze di carattere penale sia pure ancora in corso, sono elementi che considerati unitamente alla situazione oggettiva del paese d'origine, fanno propendere per il rigetto integrale del ricorso.
Sulle spese del giudizio Con riferimento, infine, alle spese di giudizio, poiché per il la costituzione in giudizio CP_1 della Commissione territoriale è avvenuta a mezzo di un suo funzionario autorizzato (il Presidente della Commissione), si osserva che “nell'ipotesi in cui l'Amministrazione (…) si sia difesa a mezzo di un proprio funzionario e non a mezzo di procuratore mandatario, spettano alla parte pubblica vincente esclusivamente le spese vive, debitamente documentate con apposita nota” (Cass. Civ. Sez. 1, 2/9/2004 n. 17674, in relazione a giudizio di opposizione a sanzioni amministrative, ma con motivazioni valide anche per i giudizi quali il presente). Di conseguenza, nonostante la soccombenza del ricorrente, non essendo stato documentato alcun esborso da parte della Commissione, non vi è pronuncia sulle spese.
TRIBUNALE DI LECCE SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL'UNIONE EUROPEA
Il Tribunale di Lecce, in composizione collegiale, riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: dr. M C Presidente dr.ssa A C Giudice dr.ssa E G G Relatore in nome del popolo italiano, ha emesso la seguente:
SENTENZA
nella procedura iscritta al n. 6404/2023 R.G. promossa
DAL
Sig. (cognome) (nome), nato il 17/11/1988 in MAROCCO, Pt_1 Pt_2 rappresentato e difeso dall'avv. GARRISI LETIZIA, presso il cui studio ha eletto domicilio
RICORRENTE CONTRO
, in persona del Ministro pro Controparte_1 tempore, rappresentato e difeso nel presente giudizio dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di
CP_1
- RESITENTE -
Con ricorso depositato in data 27/09/2023, il Sig cognome (nome), nato Pt_1 Pt_2 il 17/11/1988 in MAROCCO, ha chiesto, previa sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato di rifiuto di rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale emesso in data 30.06.2023 e notificato al ricorrente in data 7/09/2023, annullare/revocare
l'impugnato provvedimento e in riforma dello stesso, accertare il diritto dell'odierno ricorrente di cui all'art.19, co.1.1 TUI come novellato dal D.L. 130/2020 conv. Con L.173/2020 e, per l'effetto, ordinare alla competente questura il rilascio del permesso di soggiorno per Protezione Speciale.
Il si costituiva con memoria del 22/12/2023, chiedendo il rigetto del ricorso Controparte_1 con vittoria di spese di lite.
Sono stati acquisiti in atti certificati del casellario giudiziario e dei carichi pendenti dai quali risultano delitti commessi in Italia dal ricorrente durante il suo periodo di permanenza.
Dall'informativa aggiornata dalla Questura di si evince che il ricorrente è gravato da CP_1
precedenti penali e di polizia per i reati di: “il medesimo è gravato da precedenti penali e di polizia per i reati di: MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA O VERSO I FANCIULLI, , PORTO DI Per_1
OD OGGETTI ATTI AD OFFENDERE, EVASIONE, INOSSERVANZA DEI Pt_3
PROVVEDIMENTI DELL'AUTORITA', VIOLENZA PRIVATA, DANNEGGIAMENTO,
PERCOSSE, LESIONI PERSONALI, VIOLAZIONE DI DOMICILIO, RAPINA AGGRAVATA
PERCHE' COMMESSA CON ARMI O DA PERSONA TRAVISATA, STUPEFACENTI,
RESISTENZA A P.U.. In suo pregiudizio risultano frequentazioni negative con altri soggetti gravati da precedenti di polizia per i reati di: “ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI CON
VIOLENZA SULLE PERSONE, STUPEFACENTI, LESIONI PERSONALI, GUIDA IN STATO DI
ALTERAZIONE PSICO-FISICA PER SOSTANZE STUPEFACENTI/PSICOTROPE, PORTO DI
ARMI OD OGGETTI ATTI AD OFFENDERE, RESISTENZA A UN PUBBLICO UFFICIALE”.
All'udienza del 12.07.2024, previa discussione della causa innanzi al Collegio e a seguito di termine concesso alle parti per il deposito di note scritte, il fascicolo veniva rimesso in decisione per la sentenza.
OSSERVA
In data 22.10.2020 è entrato in vigore il D.L. 21 ottobre 2020 n.130 recante, tra l'altro,
“Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare…” convertito con modificazioni (aventi efficacia dal 20.12.2020) nella L. n.173 del 18 dicembre 2020, pubblicata nella GU n.314 del 19.12.2020.
Con espressa disposizione transitoria l'art.15 comma 1 di detto decreto prevede: “Le disposizioni di cui all'articolo 1 comma 1, lettere a), e) ed f) si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto avanti alle commissioni territoriali, al questore ed allesezioni specializzate dei tribunali, con esclusione dell'ipotesi prevista dall'art 384, secondo comma del codice di procedura civile”.
Occorre, quindi, riportare le aggiunte e modifiche, di cui alle lettere a) ed e) del predetto decreto come convertito nella legge di cui innanzi, apportate al decreto legislativo 25 luglio 1998 n.286 (T.U. sull'immigrazione).
La lett. a) dell'art.1 comma 1 ha apportato al testo unico la seguente modifica:
“all'art. 5 al comma 6: dopo le parole “Stati contraenti” sono aggiunte le seguenti: “ fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano”.
La lett.e) ha sostituito il comma 1.1. dell' art. 19 del predetto T.U. col seguente:
“1.1.Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all'art 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni
2 di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica, nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n.722 e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine” (le parti in grassetto sono le aggiunte e modifiche apportate al TUI dal D.L. n.130/2020 aggiornato con le modifiche apportate dalla legge di conversione).
Sempre la lett. e) dopo il comma 1.1. del predetto art. 19 ha inserito il seguente:
“ 1.2. Nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale. Ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1., la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. Nel caso in cui sia presentata una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1, il Questore, previo parere della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, rilascia un permesso di soggiorno per protezione speciale”.
Ancora, la lett.e) al comma 2 lettera d-bis: (3.1) al primo periodo dell'art. 19, ha sostituito le parole
“condizioni di salute di particolare gravità” con quelle: “gravi condizioni psico-fisiche o derivanti da gravi patologie” e al secondo periodo (3.2) ha sostituito le parole “condizioni di salute di particolare gravità” con quelle “di cui al periodo precedente” con l'aggiunta, infine, “e convertibile in premesso di soggiorno per motivi di lavoro”.
Il decreto in esame - occorre precisare - non ha abrogato le disposizioni del D. L. n.113 /2018 (convertito nella legge n.132/2018) con il quale, espungendo qualsiasi riferimento letterale all'istituto della protezione umanitaria, sono stati tipizzati (nell'espresso intento di conferire maggiore determinatezza al dato normativo) i “casi speciali” di permesso di soggiorno (per motivi di protezione sociale;per vittime di violenza domestica;per particolare sfruttamento lavorativo, rispettivamente ex art. 18, 18 bis e 22 comma 12 quater T.U. Immigrazione), nonché il permesso di soggiorno per cure mediche di particolare gravità (art 19 comma 2 lett. d.bis T.U.I.;“per contingente ed eccezionale calamità naturale” (nuovo art. 20 bis T.U.I.), “per atti di particolare valore civile” (nuovo art 42 bis T.U.I.) ed, infine, il “permesso di soggiorno per protezione speciale” (novellato art. 32 comma 3 e art.19, commi 1. e 1.1. del T.U.I. nel rispetto del principio di non refoulement per rischio di persecuzione e tortura.
Va però detto che nel sistema della previgente protezione umanitaria, riconducibile al combinato disposto dell'art. 32 comma 3 del d.lgs. n. 25/2008 e degli art. 5, comma 6 e 19 del D. lgs. n.286/1998, la cui disciplina è stata ritenuta applicabile ratione temporis (cfr. SS.UU n.29459/2019), a tutte le domande proposte prima dell'entrata in vigore (5 ottobre 2018) del D.L.n.113/2018 - pur nell'assenza di una definizione legislativa dei "gravi motivi di carattere umanitario" - il riconoscimento della relativa forma di protezione è stata invariabilmente collegata al rispetto dei diritti umani fondamentali riconosciuti dalle convenzioni internazionali e dalla Costituzione italiana (Cass. Sez. un., ord. n. 19393/2009), posti ad indefettibile presupposto.
In particolare, i gravi motivi di carattere umanitario, o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali che impediscono il rientro del richiedente nel suo paese di origine sono stati
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ricondotti a significativi fattori soggettivi di vulnerabilità (ad es. particolari motivi di salute o ragioni di età, o ancora rilevanti traumi subiti), ovvero a fattori oggettivi di vulnerabilità (ad es. guerre civili, conflitti interni, rivolgimenti violenti di regime, catastrofi naturali, rischi di tortura o di trattamenti degradanti ed altre gravi e reiterate violazioni dei diritti umani subite dal richiedente che hanno lasciato traumi persistenti sulla sua persona).
Fondamentale in tal senso la sentenza della Suprema Corte n. 4455 del 2018 nella quale, si legge:“…I seri motivi di carattere umanitario oppure risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (art. 5 comma 6 cit) alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivoal rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass. sez.un. n. 19393/2009 e Cass. sez.un. n.5059/2017) non vengono tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore, cosicché costituiscono un catalogo aperto (Cass.n.26566/2013). Con la precisazione che ai fini della relativa individuazione non deve necessariamente ricorrere il fumus persecutionis dovendosi ravvisare l'unico limite imposto, nella differenza della legittimazione rispetto alle altre forme di protezione maggiori con requisiti di accesso ben tipizzati (cfr. Cassaz. n.13079/2019;n.23604/2017;21903/2015),
Sicché si è giunti alla conclusione della natura residuale ed atipica di tale forma di protezione:
“Secondo il diritto vivente, la protezione umanitaria ha natura residuale e atipica nell'ambito del sistema pluralistico della protezione internazionale di derivazione europea” (cfr. n.8571/2020, n.21123/2019;13079/2019, n.13088/2019;n.13079/2019) sottolineando come proprio “l'apertura e la residualità” di tale misura di protezione non risultino compatibili con “tipizzazioni” di alcun genere (cfr. Cassaz., n.13079/2019, n.13096/2019).
Ed è stato, altresì, affermato il rilievo centrale che assume il c.d. giudizio di comparazione, ossia la valutazione comparativa tra il grado di integrazione sociale effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente nel Paese di origine;tanto, al fine di verificare se la “compressione” della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani possa essere ritenuta al di sotto del nucleo minimo dei diritti della persona il quale connota la condizione di vulnerabilità.
Con la precisazione che la condizione di vulnerabilità va verificata di volta in volta all'esito di una valutazione individuale della vita privata e familiare del richiedente, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza alla stregua di “un più generale principio di comparazione attenuata, concettualmente caratterizzato da una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti” nel senso che “quanto più risulti accertata in giudizio (con valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità se scevra da vizi logico-giuridici che ne inficino la motivazione conducendola al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalle stesse sezioni unite con la sentenza 8053/2014) una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri rappresentati dalla privazione della titolarità dell'esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”. (cfr. Cassaz., n. 8819/2020 che richiama i principio affermato in Cass., n.1104/2020).
Quanto innanzi per porre in evidenza come la nuova disciplina, in particolare, con il ripristino nel comma 6 dell'art. 5 del D. Lgs. 1998 dell'inciso: “ fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali dello Stato Italiano” e la sostituzione del comma 1.1. dell'articolo 19 del medesimo decreto legislativo, abbia in sostanza operato una sorta di reviviscenza della
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vecchia protezione umanitaria, potenziandone l'applicazione e chiarendo i relativi presupposti, sulle orme del percorso tracciato dai principi affermati nel corso dell'ultimo decennio dalla gran parte dei giudici di merito con l'avallo della Suprema Corte.
Non altra lettura può esser data infatti alla esplicita codificazione in quest'ultima norma del
“diritto al rispetto della propria vita privata e familiare” del richiedente ed alla valutazione dei fondati motivi, al vertice dei quali è posta “la violazione sistematica e grave di diritti umani” con l'indicazione specifica dei quattro criteri di valutazione ai quali deve attenersi l'interprete:
a) natura ed effettività dei vincoli familiari dell'interessato;
b) il suo effettivo inserimento sociale;
c) la durata del suo soggiorno sul territorio nazionale;
d) l'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d'origine”.
Non v'è dubbio alcuno che la significativa rivisitazione, in particolare delle due norme di cui innanzi, operata dal legislatore con il decreto legge in esame, oltre alla resurrezione di fatto della protezione umanitaria (previgente al D.L.n.113/2018), integri un' emblematica sintesi dei principii andati via via affermandosi nel corso degli ultimi anni nella giurisprudenza più sensibile ed attenta alle problematiche connesse alla grave tragedia umanitaria contemporanea costituita dell'inarrestabile fenomeno migratorio.
Alla stregua di tali principi va dunque esaminata la domanda del ricorrente, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno con la nuova dicitura “per protezione speciale”, in base, appunto, alle novellate disposizioni, applicabili al presente giudizio ai sensi della chiara disposizione transitoria dell'art. 15 del D. l. n.130/2020.
Ciò premesso in punto di fatto e di diritto, ritiene questo Tribunale che il ricorso introduttivo non possa trovare accoglimento.
Infatti, andando a valutare la situazione personale del ricorrente ed in applicazione del principio della proporzionalità degli interessi sottesi, si può affermare che da tutta la documentazione depositata ed acquisita in atti si evince che il ricorrente ha a suo carico dei precedenti penali e delle criticità ancora in fase di accertamento (v. in atti certificato dei carichi pendenti) che non possono certamente prescindere da una comparazione con altri fattori in ossequio al principio di cooperazione istruttoria cui è tenuto il Giudice. Occorre tenere conto, infatti, della durata del soggiorno in Italia che nel caso di specie si prolunga dal 2011;dell'integrazione sociale e culturale nel territorio italiano: nel caso che ci occupa, infatti, il ricorrente non ha un'attività lavorativa stabile. Non risulta, infatti, documentata alcuna integrazione sul territorio dello Stato italiano, né ha fornito la prova di svolgere, o aver mai svolto, alcuna attività lavorativa regolare dalla quale possa trarre il proprio sostentamento (nessun modello unilav è stato prodotto in atti). Ha prodotto una mera autorizzazione per l'esercizio dell'attività di commercio su area pubblica tipo B emessa dalla
in data 03/04/2015 e una dichiarazione di avvenuta consegna modello 730 del Controparte_2
24/06/2022, senza tuttavia allegare ulteriore documentazione di carattere retributivo e fiscale, idonea a comprovare un sufficiente, continuativo, stabile ed effettivo inserimento nel tessuto produttivo italiano e la concreta sussistenza di idonei mezzi per il proprio sostentamento. Pertanto,
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considerando l'età del ricorrente ed il fatto che si trovi stabilmente in Italia da diversi anni, non emerge che egli, dal suo arrivo, abbia profuso alcuno sforzo di integrazione lavorativa.
Non vi è prova di alcuna attività stabile lavorativa e non vi è prova di alcuna patologia da cui sarebbe affetto l'istante.
La situazione, quindi, complessivamente valutata fa propendere per un comportamento sintomatico di una mancanza di volontà di integrazione sul T.N. anche alla luce dell'assenza totale di un percorso integrativo finalizzato alla ricerca di una occupazione che possa garantire al ricorrente un'esistenza onesta e dignitosa, quale per esempio l'iscrizione dello stesso nelle liste del collocamento al lavoro presso il centro per l'impiego competente.
Il ricorrente non ha poi dedotto, né allegato, alcun profilo di personale ed ulteriore vulnerabilità da rapportare alla situazione generale del Paese d'origine. Infatti, dalle uniche informazioni relative all'istante, non emergono specifiche ricadute individuali causate dall'instabile situazione del Paese, da distinguersi da quelle destinate a prodursi sulla generalità delle persone provenienti dal medesimo ambito territoriale. Come, di recente ribadito dalla Corte di Cassazione "il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, quale misura atipica e residuale, è il frutto della valutazione della specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente;ne consegue che a tal fine non è sufficiente la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine a cui non si accompagni l'indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità" (v. Cass. ord. nn. 5929/21 e 5923/21). Come poi riaffermato dalla Corte di Cassazione, ai fini del riconoscimento della misura invocata, "non può essere in nessun caso elusa la verifica della sussistenza di una condizione personale di vulnerabilità, occorrendo dunque una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio: i seri motivi di carattere umanitario possono allora positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all'esito di tale giudizio comparativo, risulti non soltanto un'effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, ma siano individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d'origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al cit. D.Ls. n. 286, art. 5, comma 6" (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, conf. Cass. sent. n. 29460/19 e SU 29459/19)”. Principi di diritto cui ha, anche di recente, dato continuità la S.C. la quale ha ricordato che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (v. già Cass. 17072/18), "si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria" (v. SS.UU. n. 244131/21). E comunque da tale giudizio comparativo non sono risultati, anche dalle ultime informazioni sulla situazione attuale in Marocco, situazioni di privazioni di diritti umani tali da giustificare il riconoscimento della protezione speciale, atteso peraltro l'inserimento del Paese d'origine del richiedente, il Marocco, tra i Paesi di origine sicuri ai sensi dell'art 1 del Decreto del Ministro degli
Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale del 17 marzo 2023, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 72 del 25/03/2023 ai sensi dell'art.2 bis del decreto legislativo 28/01/2008 nr.25.
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Sul punto, si confrontino altresì le COI USDOS – US Department of State: 2022 Country Report on Human Rights Practices: Gambia, Settembre 2023 https://www.ecoi.net/en/document/2071172.html (accessed on Settembre 2023);Freedom House: Freedom in the World 2023 - Marocco, Settembre 2023 https://www.ecoi.net/en/document/2068829.html.
Per di più, sono emerse delle criticità dall'informativa della Questura competente (cfr allegati in atti), riportate nella parte iniziale del presente provvedimento, che senza dubbio fanno propendere per un giudizio negativo circa l'integrazione dell'istante nel tessuto socio culturale del territorio statuale, tanto da non meritare riconoscimento e protezione, non solo alla luce dell'art. 8 CEDU, indicativa di un effettivo radicamento in Italia, ma anche dell'art. 35 della Costituzione, che tutela il diritto al lavoro come posizione soggettiva assoluta del singolo. Ha assunto nel Paese d'accoglienza un comportamento penalmente rilevante, risultando agli atti sentenze divenute ormai irrevocabili per i reati di cui all'art. 73 DPR 309/1990 (circ. art. 73 c. 4 DPR 309/1990), 81 CP, 73 c. 5 DPR 309/1990, 628 c. 1 (circ. 628 c. 3 n.1 CP) e periodi di detenzione presso strutture circondariali (cfr documentazione in atti), circostanze ostative al beneficio richiesto e che non dimostrano la corretta ed effettiva integrazione dell'interessato nel tessuto sociale del Paese di accoglienza. D'altronde, la condotta criminale del cittadino straniero, come in caso di reati in materia di stupefacenti, può essere considerata intollerabile per lo Stato ospitante, rendendo ineludibile il diniego alla sua permanenza o al rinnovo del permesso di soggiorno, anche in presenza di legami familiari sul territorio nazionale italiano (cfr. Consiglio di Stato, Terza Sezione, sentenza 6709 del 27/07/2022), da egli pur documentati, avendo allegato i certificati di nascita della figlia e di convivenza con la medesima e la compagna (cfr. documentazione allegata in atti).
Il ricorrente, inoltre, risulta destinatario di numerosi procedimenti di polizia e deferimenti all'autorità giudiziaria per reati anch'essi di massimo allarme sociale quali maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, minaccia, porto di armi od oggetti atti ad offendere, evasione, inosservanza dei provvedimenti dell'autorità, violenza privata, danneggiamento, percosse, lesioni personali, violazione di domicilio, rapina aggravata perché' commessa con armi o da persona travisata, stupefacenti, resistenza a p.u. Peraltro, alla luce di quanto innanzi riportato, non può trovare accoglimento nemmeno il rilievo formulato dall'istante in merito alla presenza sul territorio del proprio nucleo familiare, composto dalla moglie e dalla figlia, nata nel 2022, sia in considerazione del fatto che il ricorrente è stato raggiunto anche da notizie di reato per reati commessi in ambito domestico a danno dei propri familiari, sia in quanto nel giudizio di bilanciamento tra interessi contrapposti, ossia quello alla tutela dell'unità familiare e quello alla salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, richiamato dall'art. 5 c. 5 del T.u.i., è ben possibile che il secondo venga ritenuto prevalente rispetto al primo alla luce delle circostanze del caso concreto. Significativo al riguardo risulta essere, in particolare, il consolidato orientamento giurisprudenziale ai sensi del quale “la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano, esistendo comunque una soglia di gravità, oggettivamente percepibile secondo l'id quod plerumque accidit, oltre la quale il comportamento criminale diviene intollerabile per lo Stato che offre ospitalità, in guisa da rendere, in concreto, vincolato il diniego di permanenza” (v. Cons. di Stato sez. III, 27/11/2018, n. 6700;Sez. III 05.06.2020 n. 3204).
Alcuna valenza dirimente può inoltre riconoscersi alla lunga durata della permanenza dello straniero sul territorio nazionale atteso che l'istante, è risultato da subito, ed in modo protratto negli anni, dedito allo svolgimento di attività delittuose, talune delle quali definitivamente accertate
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in sede giudiziaria, dimostrando così di non aver portato a termine alcun percorso di effettiva integrazione nel tessuto socioculturale dello Stato ospitante, verso le cui regole, al contrario, si è da sempre dimostrato non rispettoso.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, si deve concludere che la mancata deduzione e prova di condizioni di vulnerabilità e l'assenza di un apprezzabile percorso integrativo unitamente ai precedenti penali ed alla presenza di pendenze di carattere penale sia pure ancora in corso, sono elementi che considerati unitamente alla situazione oggettiva del paese d'origine, fanno propendere per il rigetto integrale del ricorso.
Sulle spese del giudizio Con riferimento, infine, alle spese di giudizio, poiché per il la costituzione in giudizio CP_1 della Commissione territoriale è avvenuta a mezzo di un suo funzionario autorizzato (il Presidente della Commissione), si osserva che “nell'ipotesi in cui l'Amministrazione (…) si sia difesa a mezzo di un proprio funzionario e non a mezzo di procuratore mandatario, spettano alla parte pubblica vincente esclusivamente le spese vive, debitamente documentate con apposita nota” (Cass. Civ. Sez. 1, 2/9/2004 n. 17674, in relazione a giudizio di opposizione a sanzioni amministrative, ma con motivazioni valide anche per i giudizi quali il presente). Di conseguenza, nonostante la soccombenza del ricorrente, non essendo stato documentato alcun esborso da parte della Commissione, non vi è pronuncia sulle spese.
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