Cass. civ., SS.UU., sentenza 29/07/2016, n. 15815
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Testo completo
158 15/16 Oggetto REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Pubblicazione arbitraria LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di atto di procedimento SEZIONI UNITE CIVILI penale diffamazione Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: a mezzo stampa - Dott. RENATO RORDORF Primo Pres.te f.f. lesione della Dott. GIOVANNI AMOROSO Presidente Sezione - privacy Presidente Sezione Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO R.G.N. 17398/2013 Presidente Sezione Cron1.158.15 Dott. PIETRO CURZIO - Rep. Dott. ADELAIDE AMENDOLA - Rel. Pres. Sezione Ud. 05/07/2016 - Presidente Sezione Dott. ANNAMARIA AMBROSIO PU - Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA C.I. Consigliere Dott. STEFANO PETITTI Consigliere し Dott. CARLO DE CHIARA ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 17398-2013 proposto da: MEDIASET S.P.A., in persona del legale rappresentante 2016 pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA 374 CICERONE 60, presso lo studio degli avvocati STEFANO PREVITI ed ALESSANDRO IZZO, che la rappresentano e difendono, per delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
EDITORIALE DIARIO S.P.A., BARBACETTO GIANNI, DEAGLIO elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLOENRICO, PASSAGLIA 11, presso lo studio dell'avvocato VALENTINO SIRIANNI, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato CATERINA MALAVENDA, per deleghe in calce al controricorso;
controricorrenti - avverso la sentenza n. 2969/2012 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 10/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/07/2016 dal Presidente Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
uditi gli avvocati Carla PREVITI per delega dell'avvocato Stefano Previti ed Antonio SIGILLO' per delega dell'avvocato Caterina Malavenda;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 4 settembre 2006 il Tribunale di Milano rigettò la domanda proposta da Mediaset s.p.a. nei confronti di Editoriale Diario s.p.a., di IC GL e di NI AR al fine di ottenere il risarcimento dei pregiudizi conseguenti alla pubblicazione sul numero del 4 marzo 2005 del periodico Diario di due articoli a firma, l'uno, del direttore IC GL e, l'altro, di NI AR, attinenti alle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Milano, nell'ambito del procedimento penale noto come Inchiesta Mediaset - Diritti TV. Segnatamente la società attrice aveva lamentato sia la pubblicazione di ampi stralci dei verbali delle dichiarazioni testimoniali raccolte dal P.M. nel corso delle indagini preliminari nonché di documenti acquisiti al fascicolo processuale, in violazione dell'art. 684 cod. pen.;
sia la lesione del suo diritto alla riservatezza;
sia, infine, la commissione di un illecito diffamatorio in suo danno, avendo gli scritti prospettato, in chiave colpevolistica, fatti da sottoporre ancora al vaglio del giudicante. Proposto gravame dalla soccombente, la Corte d'appello di Milano, con la sentenza ora impugnata, depositata il 10 settembre 2012, lo ha respinto. La Corte territoriale ha ritenuto condivisibile la negativa valutazione delle domande risarcitorie connesse alla asserita pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale, sia in quanto il divieto sarebbe posto a tutela della sola terzietà del giudice del dibattimento, sia in quanto le "poche righe" dedicate, nel secondo degli articoli in contestazione, di ben quattro facciate e otto colonne piene, a frasi tratte dalle sommarie informazioni testimoniali rese da talune persone sentite dagli inquirenti - perciò stesso inidonee a pregiudicare l'obiettivo avuto di mira dal legislatore andrebbero - considerate una legittima forma di contemperamento degli interessi della giustizia e di quelli dell'informazione. Ha quindi escluso la Curia meneghina anche ogni violazione della normativa sulla privacy, sostenendo che di questa avrebbe potuto discorrersi solo sul presupposto, nella fattispecie insussistente, della non pubblicabilità delle citazioni testuali riportate negli articoli. Il ricorso di Mediaset s.p.a. avverso detta decisione è affidato a quattro motivi. 1 Hanno resistito, con un unico controricorso, Editoriale Diario s.p.a., NI AR ed IC GL. Con ordinanza interlocutoria n. 22003 del 28 ottobre 2015 il collegio investito della trattazione del ricorso, rilevato che con provvedimento n. 6428 del precedente 30 marzo la terza sezione civile di questa Corte, dato atto della sussistenza di orientamenti giurisprudenziali non sempre armonici e collimanti in ordine all'interpretazione degli artt. 684 cod. pen. e 114 cod. proc. pen., aveva disposto, stante la natura di massima di particolare importanza della relativa questione, la trasmissione della causa al Primo Presidente ai sensi dell'art. 374 cod. proc. civ., per l'eventuale rimessione alle sezioni unite civili, ha provveduto nei medesimi sensi. In vista della celebrazione della presente pubblica udienza, i resistenti hanno depositato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo l'impugnante lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Deduce di avere denunciato, con il primo motivo di gravame, la nullità della sentenza del Tribunale per assenza di motivazione, essendosi il decidente limitato a riportare pedissequamente e acriticamente le argomentazioni svolte in altra decisione del medesimo ufficio. Sostiene quindi che l'assunto della Corte territoriale secondo cui il giudice di prime cure non era incorso in alcuna carenza motivazionale sarebbe assolutamente apodittico, considerato che la sentenza impugnata non aveva individuato, né riprodotto, i "passaggi logici" seguiti dal Tribunale per giustificare il rigetto della domanda di Mediaset, in violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 111 della Costituzione.
2. Le censure non hanno pregio. Nel rigettare il motivo di appello, la Curia meneghina ha osservato che del precedente costituito da altra decisione del medesimo ufficio giudiziario, il Tribunale aveva in realtà utilizzato le sole argomentazioni giuridiche relative alla fattispecie criminosa di cui agli artt. 684 cod. pen., 114 e 329 cod. proc. pen.;
alla lesione del diritto alla riservatezza nonché alla ricorrenza della scriminante del diritto di cronaca, non mancando peraltro di verificare la tenuta dei relativi principi alla luce delle peculiarità proprie della fattispecie dedotta in giudizio. 2 3. La decisione è in linea con l'affermazione secondo cui la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte, di altro atto processuale o di un provvedimento giudiziario, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della scelta adottata siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d'imparzialità del giudice, al quale non è imposta l'originalità né dei contenuti né delle modalità espositive (cfr. Cass. civ. 26 maggio 2016, n. 10937;
Cass. civ. 16 gennaio 2015, n. 642). A ciò aggiungasi che deve ritenersi inammissibile, per difetto di interesse, il motivo di ricorso in cassazione volto a far valere il vizio della sentenza impugnata costituito dalla mancata intercettazione di carenze motivazionali della sentenza di prime cure, essendo, in generale, inammissibile, per difetto di interesse, il motivo di ricorso avverso la sentenza di appello che abbia omesso di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado, qualora il vizio di questa, laddove esistente, non avrebbe comportato la rimessione della causa al primo giudice, in quanto estraneo alle ipotesi tassative degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., e il giudice di appello abbia deciso nel merito su tutte le questioni controverse, senza alcun pregiudizio per il ricorrente conseguente alla omessa dichiarazione di nullità (cfr. Cass. civ. 21 settembre 2015, n. 18578;
Cass. civ. 4 dicembre 2015, 24710).
4.1. Si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi, i successivi due motivi di ricorso. Con il secondo mezzo la ricorrente società lamenta violazione degli artt. 684 cod. pen. e 114 cod. proc. pen., nonché vizi motivazionali, ex art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.. Evidenzia che gli articoli in contestazione contenevano la citazione testuale di atti dell'indagine preliminare e che, per espressa disposizione legislativa il divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti da segreto vige fino al termine dell'udienza preliminare e, se si procede a dibattimento, fino alla pronuncia in grado di appello. Assume anche che le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte d'appello in ordine alla sostanziale insignificanza degli atti processuali pubblicati sarebbero errate in diritto, in quanto in contrasto con il chiaro dettato delle norme testé richiamate e con il carattere plurioffensivo del reato dalle stesse 3 previsto, ripetutamente affermato, peraltro, dalla giurisprudenza di legittimità;
le stesse conclusioni sarebbero altresì contraddittorie, perché la sentenza impugnata, dopo avere ammesso che "chiuse le indagini preliminari, l'art. 114, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce il divieto di pubblcabilità del testo, anche parziale, degli atti di indagine", avrebbe arbitrariamente valorizzato il dato quantitativo, dal quale doveva invece del tutto prescindersi.
4.2. Con il terzo motivo la ricorrente società prospetta violazione dell'art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003, ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., segnatamente deducendo che la pubblicazione arbitraria degli atti del procedimento penale assumerebbe rilievo anche sotto il profilo della lesione della privacy. Ricorda che il codice deontologico dei giornalisti - il cui rispetto, in base al disposto dell'art. 12 del d.lgs. n. 196 del 2003 "costituisce