CGARS, sez. I, sentenza 2023-07-27, n. 202300485

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2023-07-27, n. 202300485
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202300485
Data del deposito : 27 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/07/2023

N. 00485/2023REG.PROV.COLL.

N. 01092/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1092 del 2022, proposto da
Istituto nazionale previdenza sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati D M, G M e T G N, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio G M in Palermo, via Maggiore Toselli 5;

contro

G C, C S, S C, N R e L T, rappresentati e difesi dall'avvocato V I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Carso, n. 1;

nei confronti

Guardia di Finanza Comando Generale e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) n. 2401/2022, resa tra le parti,

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di G C, C S, S C, N R, L T, Guardia di Finanza Comando Generale e Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2023 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO



1. La controversia riguarda l’indennità di buonuscita.



2. I signori G C, C S, S C, N R e L T, già appartenenti alla Guardia di finanza, collocati in congedo a domanda, hanno chiesto l’accertamento del diritto al riconoscimento di sei scatti contributivi fra le voci computabili al fine della liquidazione dell’indennità di buonuscita, e per l’effetto, la condanna delle amministrazioni resistenti, ciascuna per quanto di propria competenza, alla rideterminazione dell’indennità di buonuscita, mediante l’inclusione nella relativa base di calcolo dei sei scatti stipendiali contemplati dall’art. 6- bis del d.l. 21 settembre 1987 n. 387, convertito dalla legge 20 novembre 1987 n. 472, e al conseguente pagamento delle differenze maturate tra quanto percepito a titolo di indennità di buonuscita e quanto invece parte ricorrente avrebbe dovuto correttamente percepire, oltre interessi e rivalutazione come per legge.



3. Il Tar Sicilia – Catania, con sentenza 15 settembre 2022 n. 2401, ha accolto il ricorso e condannato l’Inps a corrispondere agli interessati “ quanto dovuto in applicazione dell’art. 6- bis del decreto legge n. 387/1987 ”, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali secondo le modalità di computo di cui all’art. 22 comma 36 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 e all’art. 16 della legge 19 ottobre 1992 n. 412.



4. L’Inps, con ricorso n. 1092 del 2022, ha appellato la sentenza.



4.1. Nel giudizio di appello si è costituita parte convenuta, già ricorrente in primo grado, il Ministero dell’economia e delle finanze e il Comando generale della Guardia di Finanza.



5. All’udienza del 20 giugno 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO



6. L’appello è infondato.



6.1. L’infondatezza dell’appello esime il Collegio dal rilevare e scrutinare eventuali vizi del ricorso in appello.



7. Prioritariamente il Collegio ritiene di non rinviare la causa al fine di attendere la trattazione di analoga questione da parte del Consiglio di Stato atteso che il Consiglio di Stato si è pronunciato con sentenza n. 2884 del 21 marzo 2023, confermando l’orientamento di questo CGARS.

È quindi venuta meno la ragione della richiesta di rinvio, in disparte la valutazione, non più necessaria in questa sede, circa la ricorrenza dei presupposti indicati dall’ 73 comma 1- bis c.p.a. per il rinvio delle cause.



8. Prima di scrutinare il merito della controversia il Collegio esamina il primo motivo d’appello con il quale è dedotta l’inammissibilità del ricorso introduttivo perché proposto collettivamente.



8.1. La censura è infondata.

Nel processo amministrativo vige la regola generale in base alla quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo legittimato con separata azione.

Il ricorso collettivo costituisce una ipotesi derogatoria rispetto a detta regola generale.

I presupposti di ammissibilità del ricorso collettivo nel processo amministrativo di impugnazione sono così individuati dalla giurisprudenza:

- identità di situazioni sostanziali e processuali e cioè che le domande giudiziali siano identiche nell'oggetto e gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e vengano censurati per gli stessi motivi (Cons. St., sez. III, 22 marzo 2022 n. 2081);

- assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l'accoglimento della domanda di una parte dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con quella degli altri (Cons. St., sez. II, 27 settembre 2022 n. 8338).

Inoltre, il Consiglio di Stato ha precisato che deve ritenersi onere di parte ricorrente specificare le condizioni legittimanti e l'interesse di ciascuno dei ricorrenti, in quanto tale situazione impedisce sia all'Amministrazione emanante, sia al Giudice di controllare il concreto e personale interesse dei ricorrenti e l'omogeneità e non confliggenza degli interessi dei singoli (Cons. St., sez. IV, 16 maggio 2018, n. 2910 e sez. I, parere n. 1512 del 22 settembre 2021).

Allorquando il ricorso è collettivo e cumulativo, cioè allorquando più ricorrenti impugnano atti diversi, le censure implicano un onere di differenziazione e specificazione della censura in funzione delle singole posizioni. “ Sono inammissibili quando riguardano senza adeguate specificazioni e pretesi vizi della concreta determinazione dell'importo singolarmente dovuto da ogni azienda ” (Cons. Stato Sez. III, 20/07/2022, n. 6332).

Detta impostazione, tipicamente declinata con riferimento al processo amministrativo impugnatorio, trova la propria ratio nel ruolo centrale che l’atto impugnato riveste all’interno del processo: “ nel giudizio impugnatorio di legittimità, l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso principale motivi aggiunti o ricorso incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti ” (Ad. plen. 27 aprile 2015 n. 5).

Nel caso di specie la controversia riguarda profili patrimoniali del rapporto di impiego presso l’Amministrazione, di cui è chiesto l’accertamento.

Si tratta, in particolare, dell’indennità di buonuscita.

Essa rientra nella giurisdizione del giudice che conosce del rapporto di lavoro (ss. uu. 9 giugno 2016 n. 11849).

Del rapporto di lavoro presso la Guardia di finanza conosce il giudice amministrativo ai sensi dell’art. 63 comma 4 del d. lgs. n. 165 del 2001.

Si tratta di una giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133 comma 1 lett. i) c.p.a.

In particolare, nel caso di specie i ricorrenti hanno chiesto l’accertamento di un diritto patrimoniale, rispetto al quale la formale impugnazione dei prospetti di liquidazione ha natura servente.

Il presente giudizio non ha quindi natura demolitoria.

Di talché non vigono le regole che connotano il processo amministrativo di annullamento, nel quale la proposizione contestuale di un’impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto dei sopra richiamati stringenti requisiti.

Sono piuttosto applicabili le meno stringenti regole del processo civile, che consentono l’esercizio dell’azione nello stesso processo da parte di più parti quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni, in una prospettiva volta a realizzare al massimo grado il simultaneus processus in quanto rispondente a ragioni di economia processuale e funzionale al raggiungimento dell’incontrovertibilità della res controversa .

Se infatti è vero che il codice del 2010 ha proposto un modello processuale tendenzialmente comune per le controversie aventi ad oggetto interessi legittimi e per le liti riguardanti diritti soggettivi, ciò è stato declinato in particolar modo con riferimento al giudizio impugnatorio.

A norma dell’art. 103 c.p.c. più cause possono essere trattate nello stesso processo nel caso di connessione per oggetto o per titolo o di risoluzione di una identica questione di diritto.

In quest’ultimo caso si parla di connessione facoltativa impropria: le cause cumulate sono autonome e indipendenti e l‘ammissibilità del litisconsorzio si giustifica con l‘opportunità di risolvere una sola volta, e ugualmente per tutte le cause, le questioni comuni, senza che ciò pregiudichi le singole, specifiche, posizioni processuali.

Il giudizio litisconsortile è infatti un processo con pluralità di cause tra di loro diverse, ove i diritti sostanziali costituiscono oggetti di distinte controversie, in un processo solo formalmente unico. Il processo, benché estrinsecamente unitario, consta di più cause distinte, i cui diritti connessi tollerano anche una regolamentazione disomogenea: “ Il provvedimento discrezionale di riunione di più cause - e la conseguente, congiunta trattazione delle stesse - lascia immutata l'autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni, di modo che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise ” (Cass., sez. VI, ordinanza 16 settembre 2022 n. 27295).

Una prima conferma si evince dalla lettura del secondo comma dell‘art. 103 c.p.c. ove l‘unità del processo, sempre in virtù del principio di economia processuale, soccombe se, nel corso dell’istruzione o decisione, le cause debbano essere separate, qualora la loro continuazione ritardi o renda troppo gravoso il processo.

Il procedimento litisconsortile, pertanto, può avere sviluppi differenti ad esiti difformi.

Alla luce di tali considerazioni si afferma, quindi, che il litisconsorzio è solo formalmente unico e tale unità non intacca la pluralità e l‘indipendenza delle cause riunite che procedono parallelamente.

L‘opportunità di cumulare cause che abbiano in comune dei meri punti controversi e pregiudiziali di fatto o di diritto è giustificata precipuamente da ragioni di economia processuale.

L‘ambito di rilevanza della connessione impropria attiene infatti soprattutto al campo dei rapporti seriali, fra i quali i rapporti di lavoro o di previdenza e assistenza, i quali non di rado concernono un numero elevato di lavoratori, dipendendo tutti da una medesima questione interpretativa di diritto o di clausole di contratti o accordi collettivi di lavoro. Di ciò era cosciente anche legislatore, il quale ha attribuito rilievo all‘istituto della connessione impropria per identità di questioni introducendo in materia di lavoro, tipico contenzioso seriale, prevedendo l‘obbligatorietà della riunione delle cause di lavoro, di previdenza e assistenza (art. 151 disp. att. c.p.c.).

Del resto, tecniche diverse dal processo litisconsortile, idonee a garantire una soluzione unitaria della questione - quantomeno nel momento in cui è entrato in vigore il codice di rito -, non erano ancora state apprestate dall‘ordinamento (quale ad esempio l’azione di classe di cui all’art. 140 bis d. lgs. n. 206/2005).

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