CGARS, sez. I, sentenza 2022-10-11, n. 202201025
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Pubblicato il 11/10/2022
N. 01025/2022REG.PROV.COLL.
N. 00240/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 240 del 2022, proposto da
Comune di Giarre, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
M R, G R, R R, M A R e G R, rappresentati e difesi dagli avvocati Liliana D'Amico e V M S L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Commissario ad acta nominato per ottemperanza della sentenza Tar Catania n. 1727 del 2013, non costituito in giudizio;
per la riforma
dell’ordinanza collegiale del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) n. 491/2022, resa tra le parti,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di M R, G R, R R, M A R e G R;
Visto l'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 settembre 2022 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il Comune di Giarre ha proposto reclamo davanti al Tar Sicilia - Catania avverso la deliberazione 8 aprile 2021 n. 22, avente ad oggetto acquisizione sanante, riconoscimento del debito fuori bilancio e impegno della relativa spesa, adottata dal Commissario ad acta nominato con sentenza n. 2226 del 13 settembre 2016 per l’ottemperanza al giudicato derivante dalla sentenza del Tar 13 giugno 2013 n. 1727.
2. Il Tar, con ordinanza 16 febbraio 2022 n. 491, ha ritenuto il ricorso “ parzialmente fondato con riferimento alle somme impegnate su capitoli di bilancio relativi a somme destinate all’espletamento di servizi locali indispensabili (cioè sui capitoli 1192510 e 212040) ”, annullando quindi parzialmente il provvedimento impugnato, con la conseguenza che “ il commissario “ad acta” dovrà riprovvedere per la somma residua tenendo conto di quanto affermato con la presente decisione ”.
3. La pronuncia è stata appellata davanti a questo CGARS con ricorso n. 240 del 2022.
4. I signori M R, G R, R R, M A R e G R, comproprietari dell’immobile, hanno presentato appello incidentale.
5. Nel corso del giudizio si sono costituite parte appellante e parte appellante incidentale.
6. Alla camera di consiglio del 21 settembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. L’appello principale e l’appello incidentale sono infondati.
8. Si riassume per sommi capi la vicenda controversa.
8.1. Con sentenza 13 giugno 2013 n. 1727 il Tar ha accolto il ricorso proposto dagli odierni appellati concernente l’irreversibile trasformazione di alcuni fondi utilizzati dal Comune per la realizzazione di una strada pubblica senza il perfezionamento delle necessarie procedure espropriative. Conseguentemente l’Amministrazione è stata condannata a restituire i beni o, in alternativa, a perfezionare un accordo transattivo ovvero ad attivare la procedura ex art. 42- bis d.P.R. n. 327 del 2001 (analogamente a quanto avvenuto con riferimento ad altri due procedimenti espropriativi, tutti oggetto delle medesime traversie del presente, aventi in primo grado r.g. nn. 1074/2015, 1075/2015 e 1076/2015 e in secondo grado nn. 240/2022, 241 e 399).
8.2. Gli originari ricorrenti, attuali appellati, hanno quindi agito in sede di ottemperanza.
Con sentenza 13 settembre 2016 n. 2226 il Tar ha accertato l’obbligo del Comune di dare esecuzione alla precedente sentenza e ha nominato il Prefetto di Catania quale Commissario ad acta in caso di inottemperanza.
Insediatosi il Commissario, questi ha chiesto chiarimenti ex art. 114 comma 7 c.p.a. in ragione del fatto che, nelle more, il Comune aveva adottato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, con conseguente sospensione delle azioni esecutive.
8.3. Con sentenza 12 aprile 2017 n. 801 il Tribunale ha chiarito che si sarebbe dovuto procedere con la definizione degli assetti proprietari (mediante accordo transattivo ovvero adozione di un provvedimento di acquisizione ex art. 42- bis ) e conseguente quantificazione delle somme relative “ al fine precipuo dell’inserimento del debito così liquidato nel piano di risanamento secondo il sistema e le procedure di cui agli artt. 243-bis e ss. ovvero, in caso di dissesto finanziario, nel piano di rilevazione della massa passiva ex art. 254, d.lgs. n. 267 del 2000, e, comunque, al riconoscimento della sua legittimità quale debito fuori bilancio ”.
8.4. Nel frattempo con deliberazione del Consiglio comunale 11 luglio 2018 n. 52 il Comune ha dichiarato il dissesto.
8.5. Con sentenza 27 agosto 2019 n. 2083 il Tar, su ricorso per chiarimenti presentato dal Commissario ad acta in merito all’imputabilità degli oneri conseguenti all’ emanando provvedimento ex art. 42- bis d.P.R. n. 327 del 2001 alla massa passiva gestita dall’organo straordinario competente per il dissesto, ha affermato che “ il momento genetico del credito portato da un eventuale provvedimento di acquisizione sanante ancora da adottare ” sorge “ nel momento di emanazione di tale provvedimento, così non ponendosi la necessità di insinuazione alla massa passiva in seguito al dissesto ”.
8.6. Con sentenza 5 agosto 2020 n. 15 l’Adunanza plenaria è giunta a conclusioni opposte, affermando che “ l’atto di acquisizione sanante, generatore dell’obbligazione (e, quindi, del debito), è attratto nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione e non rientra quindi nella gestione ordinaria, sia sotto il profilo contabile sia sotto il profilo della competenza ammnistrativa, se detto provvedimento ex art. 42-bis è pronunciato entro il termine di approvazione del rendiconto della gestione liquidatoria e si riferisce a fatti di occupazione illegittima anteriori al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato ”.
8.7. In ragione di ciò il Commissario ha chiesto ulteriori chiarimenti al giudice dell’ottemperanza, che si è pronunciato con ordinanza 15 gennaio 2021 n. 116, affermando che “ a) la sentenza di questo Tribunale n. 2083/2019 del 27 agosto 2019 non è stata impugnata ed è passata in giudicato;b) conseguentemente, a prescindere dalla correttezza di quanto con essa statuito o da eventuali affermazioni di diverso tenore della giurisprudenza successiva, risulta ormai definitivamente sancito quanto in essa stabilito e, cioè, che il giudizio è ‘estinto’ solo in relazione ‘alle spese legali portate nella sentenza cui si chiede ottemperare ed a quelle di cui alla citata sentenza 2223/2016’, mentre, per il resto, il commissario è tenuto a dare esecuzione alla sentenza del T.A.R. di Catania, Sezione III, n. 1727/2013, escludendosi che la competenza a provvedere al riguardo spetti all’organo straordinario di liquidazione ”.
Sempre su richiesta del Commissario, il Tar ha quindi concesso ulteriori centocinquanta giorni per dare ottemperanza al giudicato (che pertanto sarebbero andati a scadere il 14 giugno 2021).
8.8. Con deliberazione 8 aprile 2021 n. 22 il Commissario ad acta ha quindi acquisito l’immobile interessato dall’occupazione al patrimonio indisponibile del Comune ex art. 42- bis , ha approvato la stima dell’indennità dovuta e riconosciuto il debito fuori bilancio, oltre ad avere indicato la copertura finanziaria della relativa spesa non imputandola alla gestione straordinaria del dissesto, così come chiarito dal Tar.
8.9. Avverso detto provvedimento il Comune di Giarre ha proposto reclamo ex art. 114 c.p.a., deciso con l’ordinanza qui impugnata.
8.10. Da ultimo si dà conto che con istanza depositata in primo grado il Commissario ha chiesto una proroga per portare a conclusione il proprio mandato e che risulta fissata davanti al Tar la camera di consiglio del 19 ottobre 2022.
9. Riassunti i fatti sottesi alla presente controversia può essere scrutinato il ricorso in appello.
10. L’esito del giudizio e, in particolare, la reiezione dell’appello esime il Collegio dal valutare le eccezioni di inammissibilità dedotte in relazione ai motivi di appello, riguardanti, fra l’altro, la (in tesi) non consentita impugnazione surrettizia di precedenti pronunce del giudice dell’ottemperanza non gravate nei termini.
11. Con il primo motivo il Comune appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar non ha accolto i motivi di reclamo con i quali “ il provvedimento del Commissario è stato censurato perché i relativi oneri finanziari sono stati posti a carico del bilancio corrente comunale e non di quello liquidatorio di competenza dell’O.S.L. a seguito della dichiarazione di dissesto come chiarito da C.d.S., Ad. Pl. n. 15/2020 ”.
11.1. Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha ritenuto non superabile la precedente decisione del medesimo in ordine alla competenza della gestione ordinaria del Comune e non dell’organo straordinario del dissesto, dal momento che “ a norma dell’art. 252, D. Lgs. n. 267/2000, dopo il dissesto la competenza ad effettuare l’imputazione della spesa era dell’O.S.L. e non del Commissario ad acta , nominato per sostituire l’amministrazione ordinaria e non la gestione liquidatoria ”.
11.2. I motivi sono scrutinati congiuntamente.
11.3. La qui impugnata deliberazione n. 22 del 2021 del Commissario ad acta ha un contenuto composito. Da un lato, ha ad oggetto l’acquisizione dell’immobile al patrimonio indisponibile del Comune ex art. 42- bis del d.P.R. n. 327 del 2001 e l’approvazione della stima dell’indennità dovuta. Dall’altro lato con esso si riconosce il relativo debito fuori bilancio e si provvede alla copertura finanziaria della spesa.
L’acquisizione dell’immobile e l’approvazione della stima dell’indennità dovuta non sono oggetto delle doglianze qui in esame, con le quali è piuttosto criticata la decisione del Commissario ad acta di ascrivere la spesa alla gestione ordinaria del Comune, nella prospettiva della disciplina del dissesto e nella (diversa) prospettiva dell’asserita impossibilità di formazione del giudicato sulla precedente statuizione del Tar avente il medesimo tenore, ma del terzo motivo di appello, scrutinato di seguito.
Precisato l’oggetto della domanda demolitoria supportata dai due motivi qui in esame, rivolti quindi essenzialmente a censurare il provvedimento impugnato quanto all’imputazione della relativa spesa, il Collegio osserva quanto segue.
11.4. L’art. 252 comma 4 del d.lgs. n. 267 del 2000 stabilisce, con riferimento alla procedura di dissesto, che “ l’organo straordinario di liquidazione ha competenza relativamente a fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato ”.
Ai sensi dell’art. 5 comma 2 del d.l. n. 80 del 2004, convertito con legge n. 140 del 2004, “ ai fini dell'applicazione degli articoli 252, comma 4, e 254, comma 3, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si intendono compresi nella fattispecie ivi previste tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data ma, comunque, non oltre quella di approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256, comma 11, del medesimo Testo Unico ”.
Alla luce del dettato normativo, se gli atti e fatti cui è correlato il provvedimento giurisdizionale o amministrativo, come ha ritenuto l’Adunanza plenaria nella sentenza 5 agosto 2020 n. 15, sono cronologicamente ricollegabili all’arco temporale anteriore al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, il provvedimento successivo, che determina l’insorgere del titolo di spesa deve essere imputato alla gestione liquidatoria, purché detto provvedimento sia emanato prima dell’approvazione del rendiconto della gestione di cui all’art. 256 comma 11
L’Adunanza plenaria ha poi specificato, in ordine al provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42- bis del d.P.R. n. 327 del 2001, che “ l’atto di acquisizione sanante, generatore del debito è attratto nella competenza dell’OSL, e non rientra quindi nella gestione ordinaria, sia sotto il profilo contabile che sotto il profilo della competenza ammnistrativa, se detto provvedimento ex art. 42-bis è pronunciato entro il termine di approvazione del rendiconto della Gestione Liquidatoria e si riferisce a fatti di occupazione illegittima anteriori al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato ”.
L’Adunanza plenaria, con sentenza 12 gennaio 2022 n. 1, ha ribadito l’indirizzo già illustrato con la sentenza n. 15 del 2020, per poi soffermarsi a valutare la conformità di detto indirizzo, e della normativa sottesa, con i parametri costituzionale e CEDU, evidenziando la funzione del dissesto quale strumento di salvaguardia delle funzioni fondamentali dell’ente in stato di insolvenza in quanto consente di recuperare una situazione finanziaria di riequilibrio, che altrimenti sarebbe compromessa dai debiti sorti nel periodo precedente. Né la mancanza di un limite temporale allo stato di dissesto costituisce un profilo inconciliabile con le fonti superiori in quanto detto termine finale, da un lato, non è previsto neppure per le procedure concorsuali (cui il dissesto va sempre più assimilandosi) e, dall’altro lato, “ la remunerazione dei crediti attraverso gli interessi di mora ai sensi del citato d.lgs. n. 231-2002 offre una compensazione al creditore, che si contrappone al rischio che il credito venga attratto nella massa della Gestione liquidatoria ”.
Nel caso di specie l’acquisizione sanante è stata disposta con provvedimento 8 aprile 2021 n. 22, quindi nelle more della procedura di dissesto, entro il termine di approvazione del rendiconto della gestione liquidatoria.
Esso si riferisce a fatti di occupazione illegittima anteriori al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato.
Il dissesto è stato infatti dichiarato dal Comune di Giarre con delibera del Consiglio Comunale n. 52 dell’11 luglio 2018, mentre l’ipotesi di bilancio riequilibrato di cui all’art. 250 del d. lgs. n. 267 del 2000 risulta deliberata dal consiglio comunale con atto n 10 del 24 febbraio 2020 (così dal preambolo della delibera impugnata).
Di talché la situazione dell’acquisizione sanante di cui al provvedimento qui gravato risulta analoga a quella su cui si è pronunciata l’Adunanza plenaria con sentenza n. 15 del 2020, la cui impostazione è stata poi confermata dalla successiva pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2022. Sulla base di dette pronunce la spesa relativa all’acquisizione sanante de quo dovrebbe essere inserita nella massa passiva gestita dall’organo straordinario di liquidazione del dissesto.
L’impugnata deliberazione n. 22 del 2021 è stata invece adottata dal Commissario ad acta nel rispetto di quanto statuito dal Tar (diversamente dall’Adunanza plenaria) in punto di soggetto competente ad adottare l’atto di acquisizione sanante di cui all’art. 42- bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
Con sentenza 27 agosto 2019 n. 2083 il Tar infatti ha affermato, come già detto, che il credito controverso non deve essere insinuato nella massa passiva del dissesto e è esclusa la competenza al riguardo dell’organo straordinario di liquidazione.
In seguito alla ulteriore richiesta di chiarimenti presentata dal Commissario ad acta in seguito alla sentenza 5 agosto 2020 n. 15 (che diversamente statuisce, come già detto) il giudice di primo grado ha confermato il proprio orientamento.
Così ricostruito per sommi capi l’antefatto processuale dell’atto gravato, il tema che si pone è quello del regime di stabilità delle decisioni del giudice di ottemperanza, della natura giuridica delle medesime e della conseguente attitudine a formare giudicato.
Innanzitutto, indipendentemente dall’attitudine delle pronunce rese dal giudice dell’ottemperanza e in particolare delle decisioni su richiesta di chiarimenti ad acquisire autorità di cosa giudicata, si rileva che a dette pronunce deve riconoscersi un qualche effetto, che altrimenti dovrebbero essere considerate inutili.
Una volta che il Commissario ad acta ha richiesto, in sede di chiarimenti ai sensi dell’art. 112 comma 5 c.p.a., al giudice di ottemperanza di pronunciarsi in ordine all’imputabilità degli oneri conseguenti all’emanando provvedimento ex art. 42- bis d.P.R. n. 327 del 2001, e che il Tar si è pronunciato non può rimproverarsi al primo di avere agito conseguentemente ai chiarimenti ricevuti. Delle due l’una infatti: o detti chiarimenti non sono idonei a produrre alcun vincolo rispetto all’attività di ottemperanza, sicché l’eventuale contrasto fra l’atto adottato dal Commissario e la statuizione del giudice non è passibile di essere censurata, rendendo quindi inutile l’istituto processuale, o altrimenti, volendo riconoscere un qualche vincolo derivante dai chiarimenti, se il Commissario aderisce all’impostazione definita dal giudice, la relativa pronuncia non può essere censurata per tale motivo.
Nell’ottica che connota l’intero giudizio di ottemperanza, quindi anche la richiesta di chiarimenti di cui all’art. 112 comma 5 c.p.a., e della finalità del medesimo di garantire l’effettività della tutela, principio consacrato nell’art. 1 c.p.a. in osservanza dei ripetuti moniti della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui “il diritto ad un tribunale sarebbe fittizio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato membro permettesse che una decisione giudiziale definitiva e vincolante restasse inoperante a danno di una parte ” (sent. Hornsby c. Grecia, 13 marzo 1997, e Ventorio c. Italia, 17 maggio 2011), non può ritenersi che sia stato introdotto un istituto non funzionale ad assicurare tale risultato, in una prospettiva di ragionevole durata del processo.
La certezza e la vincolatività della pronuncia è infatti, in tale prospettiva, indispensabile perché essa possa svolgere efficacemente la sua funzione di indirizzo dell’attività di ottemperanza. Che altrimenti verrebbe incisa la vincolatività del precetto e la stabilità della regolazione della situazione controversa, con lesione delle prerogative di effettività della tutela e proliferazione di contenzioso.
Sicché il provvedimento gravato non può essere censurato nella parte qui impugnata, con la quale si conforma al decisum del Tar.
Né può ravvisarsi un vero e proprio contrasto fra la sentenza n. 2083 del 2019, e l’ordinanza n. 116 del 2021, e la precedente pronuncia n. 801 del 2017, laddove il Tar ha ritenuto che si sarebbe dovuto procedere con la definizione degli assetti proprietari (mediante accordo transattivo ovvero adozione di un provvedimento di acquisizione ex art. 42- bis ) e conseguente quantificazione delle somme relative “ al fine precipuo dell’inserimento del debito così liquidato nel piano di risanamento secondo il sistema e le procedure di cui agli artt. 243- bis e ss. ovvero, in caso di dissesto finanziario, nel piano di rilevazione della massa passiva ex art. 254, d.lgs. n. 267 del 2000, e, comunque, al riconoscimento della sua legittimità quale debito fuori bilancio ”.
Invero detta affermazione è incidentale rispetto al chiarimento reso in ordine alla necessità che il Commissario ad acta procedesse a regolamentare gli assetti proprietari dell’area nei termini indicati nella sentenza ottemperanda senza che potesse porsi il tema della sospensione della procedura con riferimento a detta regolamentazione, per poi lasciare ad un momento successivo e comunque conseguente la decisione di inserire “ il debito così liquidato nel piano di risanamento secondo il sistema e le procedure di cui all’art. 243 - bis e ss. del T.U.E.L. ovvero, in caso di dissesto finanziario, nel piano di rilevazione della massa passiva ex art. 254 del T.U.E.L. e, comunque, al riconoscimento della sua legittimità quale debito fuori bilancio ”. E ciò anche considerando che il dissesto dell’Ente neppure era stato dichiarato e che la pronuncia reca una serie di iniziative fra loro alternative, dando prevalenza, “ comunque ”, al riconoscimento del debito fuori bilancio.
In ogni caso, e considerato quanto sopra, anche a ritenere che vi sia un contrasto fra provvedimenti del giudice dell’ottemperanza, non può che confermarsi che deve essere data prevalenza alla pronuncia successiva in ordine di tempo, peraltro resa con specifico riferimento alla situazione di dissesto nel frattempo intervenuta e confermata a seguito dell’adozione dell’adunanza plenaria n. 15 del 2020.
Più in generale, nella prospettiva della natura giuridica di detta pronuncia, si rileva che l’Adunanza plenaria, con decisione 15 gennaio 2013 n. 2, ha chiarito che il giudizio di ottemperanza presenta un contenuto composito, entro il quale convergono azioni diverse, talune riconducibili all’attuazione del comando giudiziale e alla concretizzazione dei suoi effetti conformativi, altre di mera esecuzione di una sentenza di condanna pronunciata nei confronti della pubblica amministrazione, altre ancora aventi natura di cognizione, e che, in omaggio ad un principio di effettività della tutela giurisdizionale, trovano nel giudice dell'ottemperanza il giudice competente, in guisa da potere intendere quest’ultimo quale “ giudice naturale della conformazione dell'attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto ”.
Così riassunto il contenuto del giudizio di ottemperanza e delle relative decisioni, il regime di stabilità di queste ultime “ non può che seguire la natura composita dei relativi contenuti e differenziarsi in relazione ad essi ” (Ad. plen. 15 gennaio 2013 n. 2).
È quindi “ inutilizzabile il concetto di “giudicato” nei confronti delle statuizioni strumentali alla materiale esecuzione ”, che “ attivano strumenti surrogatori, com’è nel caso della nomina del commissario ad acta , o compulsori, tipicamente le astreintes”. E ciò a cagione del loro continuo e fisiologico raccordo con l’evoluzione dei fatti pertinenti (Ad. plen. 9 maggio 2019 n. 7).
In particolare, è “ corretto parlare di un ineludibile controllo successivo ove le sopravvenienze rendano lo sviluppo della condanna nel tempo non più coerente con la sua funzione ” (Ad. plen. 9 maggio 2019 n. 7), così come previsto, in altro settore dell’ordinamento, dall’art. 1384 c.c. laddove esso fa riferimento ad esempio alla parziale esecuzione dell’obbligazione principale.
Nel caso di specie non è dirimente stabilire se la questione su cui si disquisisce è annoverabile, o meno, fra le questioni meramente esecutive in quanto, se anche lo fosse, l’asserita sopravvenienza non è idonea, essendo stata espressamente valutata dal Tar, come si illustrerà infra , a far venir meno gli effetti della sentenza n. 2083 del 2019 e dell’ordinanza n. 116 del 2021. E ciò a tacere del fatto che la questione involge una tematica giuridica che ha interessato per ben due volte l’Adunanza plenaria, a testimonianza dell’attività di interpretazione che essa presuppone e che non consente alla medesima di essere connotata in modo prettamente esecutivo, pur essendo strumentale all’attività di ottemperanza (anche in ragione della sede processuale in cui è emersa).
La questione della stabilità delle pronunce d’ottemperanza e della rilevanza delle sopravvenienze si pone al crocevia, da un lato, dell’esigenza di certezza, propria del giudicato, ossia di un assetto consolidato degli interessi coinvolti, e, dall’altro lato, delle esigenze di continuità dell’azione amministrativa e di perseguimento dell’interesse pubblico, che impongono di considerare le situazioni sopravvenute nella riedizione di un potere, ove questo coinvolga aspetti non contemplati in precedenza.
Il giudicato, infatti, non può incidere sui tratti liberi dell’azione amministrativa lasciati impregiudicati dallo stesso e, in primo luogo, sui poteri non esercitati e fondati su presupposti fattuali e normativi diversi e successivi rispetto a quest’ultimo.
La sopravvenienza incide quindi sulle situazioni giuridiche durevoli nel solo tratto dell’interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima (Ad. plen. 2016 n. 11).
Nel caso di specie peraltro, anche a considerare la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 15 del 2020 una sopravvenienza (sul punto Ad. plen. 9 novembre 2021 n. 17, seppur su fattispecie non identica), essa è stata vagliata dal giudice con l’ordinanza n. 116 del 2021, adottata in risposta a una richiesta di chiarimenti formulata dal Commissario ad acta , non modificando l’orientamento già espresso dal giudice di primo grado, cui si è conformato il Commissario ad acta . Sicché non può ritenersi che costituisca una sopravvenienza non valutata dal giudice e idonea a incidere sul tratto libero dell’azione amministrativa successivo al giudicato e ciò indipendentemente dalla portata meramente esecutiva, o meno, della pronuncia del giudice d’ottemperanza.
I chiarimenti peraltro sono la sede naturale ove valutare le sopravvenienze, posto che essi riguardano proprio le modalità applicative dell’ottemperanza alla luce del comportamento successivo delle parti e delle sopravvenienze fattuali e giuridiche, sussumibili nell’ampio concetto di “ modalità d’ottemperanza ” di cui all’art. 112 comma 5 c.p.a.
Né si pone un problema di rispetto del diritto di difesa, atteso che la pronuncia di chiarimenti è disposta su domanda di parte, all’esito di un giudizio svolto nel pieno contraddittorio, sulla base di valutazioni poggianti sugli atti e i documenti di causa, ed è superabile attraverso il doppio grado di giudizio.
Non avendo usufruito di tale ultima prerogativa la parte non può poi dolersi a posteriori del contenuto della pronuncia, che altrimenti si ammetterebbe una forma di gravame atipico idoneo a condizionare in modo ostativo l’effettività della tutela.
Depone in tal senso anche la funzione che l’ordinamento attribuisce al commissario ad acta .
La disciplina normativa definisce espressamente “il commissario ad acta quale ausiliario del giudice ” (art. 21, art. 34 comma 1 lett. e), art. 114 comma 4 lett. d), art. 117 comma 3 e art. 59 c.p.a.) ed “ esclude, al tempo stesso, che a questi possa essere riconosciuta la natura di organo (straordinario) dell’amministrazione ” (Ad. plen. 25 maggio 2021 n. 8).
Il perimetro dei compiti del medesimo coincide con i confini della giurisdizione del giudice che lo ha nominato e nel cui ambito il commissario agisce (Ad. plen. 25 maggio 2021 n. 8). E ciò avviene tutte le volte in cui il comando espresso dalla sentenza non venga eseguito dall’Amministrazione, con pregiudizio per l’effettività e la pienezza della tutela della situazione soggettiva della quale è titolare la parte vincitrice nel giudizio di cognizione.
Il ruolo assegnato al Commissario ad acta è quindi funzionale all’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione, in attuazione degli articoli 24 e 113 Cost., nonché degli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Il compito del commissario ad acta non è infatti quello di esercitare poteri amministrativi funzionalizzati alla cura dell’interesse pubblico, bensì quello di dare attuazione alla pronuncia del giudice, anche eventualmente attraverso l’esercizio di poteri amministrativi non esercitati, dei quali il comando contenuto in sentenza (o nell’ordinanza) costituisce il fondamento genetico e l’approdo funzionale.
Ne deriva che i provvedimenti del commissario ad acta , in uno con quelli del giudice dell’ottemperanza, partecipano di quell’esigenza di certezza e conseguente stabilità e irretrattabilità della pronuncia, indispensabile ai fini dell’ottemperanza della sentenza passata in giudicato e, in ultima analisi, della stabilità dell’effetto di certezza che quest’ultima produce sulla res controversa .
È la stessa Adunanza plenaria ad affermare infatti, così cogliendo la prospettiva unitaria di intervento del giudice dell’ottemperanza e del commissario ad acta , che il ricorso per chiarimenti al giudice dell’ottemperanza “ è utile a prevenire l’eventuale successivo reclamo avverso gli atti del commissario ai sensi dell’art. 114 comma c.p.a. che le parti avrebbero comunque titolo a proporre ” (Ad. plen. 9 maggio 2019 n. 7).
Anche in tale prospettiva, quindi, non può essere censurato l’atto adottato dal Commissario ad acta laddove è conforme alla pronuncia resa dal giudice dell’ottemperanza.
11.5. Quanto sopra è sufficiente a motivare l’infondatezza del secondo motivo, con il quale l’appellante, ritenendo superabili le precedenti statuizioni del giudice di primo grado (sentenza n. 2083 del 2019 e ordinanza n. 116 del 2021) circa l’imputazione della spesa per l’acquisizione sanante alla gestione ordinaria del Comune, ha chiesto l’annullamento del provvedimento del Commissario ad acta che la dispone.
11.6. Quanto sopra argomentato in ordine al fatto che il Commissario ad acta non avrebbe potuto che attenersi a quanto deciso dal Tar impedisce altresì di ritenere fondato il primo motivo di appello, teso a criticare, sulla base della disciplina del dissesto e delle Adunanze plenarie sopra richiamate, il provvedimento gravato per avere imputato la spesa alla gestione ordinaria del Comune (così come chiarito dal Tar).
12. Con il terzo motivo l’appellante ha riproposto la terza censura formulata con il reclamo su cui si è pronunciato il Tar con l’ordinanza impugnata. Con detta doglianza l’appellante ha dedotto che “ non solo il debito viene imputato al Bilancio della Gestione Liquidatoria sotto il profilo amministrativo-contabile, e non a quello della gestione ordinaria, ma anche la competenza amministrativa ad emanare il provvedimento che costituisce il titolo di spesa (nella specie, l’acquisizione sanante) deve essere attribuita al Commissario Liquidatore, in quanto è quest’ultimo soggetto che deve costituire la relativa partita debitoria del bilancio da lui gestito ”.
12.1. Il motivo è infondato.
12.2. La decisione di acquisire l’immobile e di quantificare l’indennità dovuta non può che essere adottata dal Commissario ad acta o dall’Amministrazione comunale surrogata dal primo, secondo la dinamica illustrata dall’Adunanza plenaria con sentenza 25 maggio 2021 n. 8.
La competenza relativa all’imputazione della spesa, cui si riferiscono i motivi scrutinati sopra, presuppone infatti che vi sia una spesa da affrontare e quindi un titolo che la legittimi.
Il ruolo, nell’ambito della procedura di dissesto degli enti locali, dell’organo straordinario di gestione è quello di provvedere a definire la massa passiva e di farvi fronte, rilevando i debiti da ascrivere alla gestione straordinaria. Ai sensi dell’art. 252 comma 4 del d. lgs. n. 267 del 2000, infatti, egli provvede alla:
“ a) rilevazione della massa passiva;
b) acquisizione e gestione dei mezzi finanziari disponibili ai fini del risanamento anche mediante alienazione dei beni patrimoniali;
c) liquidazione e pagamento della massa passiva ”.
Sicché la funzione dal medesimo svolta presuppone la presenza di debiti e quindi di un titolo di spesa già formato. Anzi, in mancanza di detto titolo neppure si pone un problema di spesa da imputare e di competenza ad assumere detta decisione.
Ne deriva che la concorrenza fra organo liquidatorio del dissesto e Comune in gestione ordinaria si misura sull’imputazione della spesa derivante dai debiti e sul pagamento dei relativi oneri finanziari, non sui titoli che costituiscono la ragione della spesa.
La competenza ad adottate il titolo da cui deriva la spesa non rientra fra le funzioni dell’organo straordinario del dissesto.
Questi ultimi rimangono di competenza dell’ente locale, o dal Commissario ad acta nel caso in cui sia nominato, come nella presente controversia, così come già stabilito dal Tar con sentenza n. 801 del 2017, in forza della quale è il Commissario ad acta a dover “ provvedere a definire gli assetti proprietari, mediante la scelta di adottare il provvedimento di acquisizione sanante ovvero di stipula di un accordo transattivo ovvero di restituzione del fondo con quantificazione delle somme dovute a titolo di risarcimento e indennizzo secondo i criteri indicati nella sentenza da eseguire ”.
La decisione di acquisire l’immobile e di pagare la dovuta indennità non può quindi rientrare fra i poteri dell’organo straordinario del dissesto.
13. Con il quarto motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità dell’ordinanza nella parte in cui il Tar ha accolto solo parzialmente la censura volta a contestare il provvedimento del Commissario perché finanziato mediante impegno dei capitoli di bilancio destinati a spese per servizi essenziali.
In particolare il Tar ha condiviso la censura relativamente all’impegno sui capitoli di bilancio nn. 192510 (spese per acquisto di acqua potabile) e 212040 (spese ricovero e custodia cani) ma non anche quello sul fondo di riserva (Cap. 62000). La decisione, con riferimento a tale ultimo aspetto, non avrebbe considerato quanto disposto dall’art. 159 del d. lgs. n. 267 del 2000.
13.1. Il motivo è infondato.
13.2. Con il provvedimento gravato il Commissario ad acta , al fine di impegnare la somma di euro 409.208,00 sul capitolo n. 59014 denominato “Fondo Debiti Fuori Bilancio” del bilancio 2021, ha disposto la variazione con prelevamento dal capitolo 192510, per l’importo di euro 191.195,89, dal capitolo 62000 per l’importo di euro 123.245,63 e dal capitolo 212040 per l’importo di euro 94.766,48.
Prima e senza necessità di indagare sull’ambito di applicazione dell’art. 159 del d. lgs. n. 267 del 2000 (su cui infra ) si rileva che esso dispone che “ Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, le somme di competenza degli enti locali destinate a […] espletamento dei servizi locali indispensabili ” (comma 2).
La ratio è quella di sottrarre al pignoramento le somme vincolate, fra l’altro, all’espletamento dei servizi indispensabili, al fine di non pregiudicare la disponibilità di dette somme e così consentire l’erogazione di detti servizi senza soluzione di continuità.
In base all’art. 166 del d. lgs. n. 267 del 2000 il fondo di riserva è utilizzato, con deliberazioni dell'organo esecutivo da comunicare all'organo consiliare nei tempi stabiliti dal regolamento di contabilità, nei casi in cui si verifichino esigenze straordinarie di bilancio o le dotazioni degli interventi di spesa corrente si rivelino insufficienti.
Ne deriva che detto fondo, almeno fino all’adozione della deliberazione dell’organo esecutivo, non può ritenersi immediatamente e direttamente riconnesso all’espletamento dei servizi indispensabili, non ravvisandosi pertanto la sussistenza della ragione giustificatrice dell’impignorabilità.
Del resto, in base al punto 8.12 del principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria di cui all’Allegato 4/2 del d. lgs. n. 118 del 2011, nel corso dell'esercizio provvisorio è consentito l'utilizzo del fondo di riserva per fronteggiare, fra l’altro, le obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e le obbligazioni derivanti da obblighi tassativamente previsti dalla legge (quali, ad esempio, le spese per le elezioni in caso di stanziamenti non adeguati nella spesa corrente).
14. I successivi motivi attengono al rispetto della disciplina contabile.
Al riguardo si rileva in termini assorbenti che le prescrizioni contabili e quelle che riguardano le procedure di spesa degli enti locali appartengono a un ordinamento giuridico autonomo, che contiene, al proprio interno, la previsione delle conseguenze del mancato rispetto di quelle regole, in primis la responsabilità amministrativo contabile e i controlli della Corte dei conti.
La rilevanza della violazione delle regole contabili nell’ordinamento giuridico generale è affidata a specifiche previsioni legislative che individuano ipotesi di invalidità degli atti compiuti oltre conseguenze specificamente delineate. In mancanza di dette previsioni specifiche la violazione della disciplina contabile non si riverbera sulla validità dell’atto compiuto.
Una specifica regola contabile che si riverbera sull’ordinamento giuridico generale è, per quanto interessa nella presente controversia, quella dettata dal già richiamato art. 159 del d. lgs. n. 267 del 2000, che prevede alcune ipotesi di impignorabilità dei crediti.
14.1. Precisato quanto sopra e rilevato quindi che i motivi scrutinati di seguito non sono idonei a supportare la domanda di annullamento proposta, si rileva quanto segue in relazione a ciascuno di essi.
14.2. Con il quinto motivo l’appellante ha riproposto la censura, assorbita dal giudice di primo grado, circa la violazione degli artt. 163 e 250 del d. lgs. n. 267 del 2000 in quanto il Commissario ad acta avrebbe impegnato somme in conto capitale senza rispettare il vincolo dei dodicesimi, pur essendo il Comune in esercizio provvisorio.
14.3. Al riguardo si rileva che il motivo è assorbito nella parte riguardante i capitoli di spesa nn. 192510 (spese per acquisto di acqua potabile) e 212040 (spese ricovero e custodia cani), in quanto è stata annullata (con decisione qui confermata) la deliberazione impugnata in parte quo.
Il presente motivo è quindi scrutinato solo con riferimento al fondo di riserva.
L’art. 163, che disciplina l’esercizio provvisorio, deve essere coordinato con il punto 8.4 del principio contabile di cui all’allegato 4.2 del d. lgs. n. 118 del 2011, che espressamente prevede come la gestione provvisoria comprenda, fra l’altro, l’” assolvimento […] delle obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e di obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge ”, oltre che le “ operazioni necessarie per evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all’ente ”.
Se è pur vero che, in termini generali, “nel corso dell’esercizio provvisorio, possono essere impegnate solo spese correnti e le eventuali spese correlate” il legislatore si premura di fare salva la possibilità di variare il bilancio gestito in esercizio provvisorio, secondo le modalità previste dalla specifica disciplina di settore, al fine di consentire interventi di somma urgenza.
Con specifico riferimento agli enti per i quali è in corso la procedura di dissesto “ Per le spese disposte dalla legge e per quelle relative ai servizi locali indispensabili, nei casi in cui nell'ultimo bilancio approvato mancano del tutto gli stanziamenti ovvero gli stessi sono previsti per importi insufficienti, il consiglio o la giunta con i poteri del primo, salvo ratifica, individua con deliberazione le spese da finanziare, con gli interventi relativi, motiva nel dettaglio le ragioni per le quali mancano o sono insufficienti gli stanziamenti nell'ultimo bilancio approvato e determina le fonti di finanziamento. Sulla base di tali deliberazioni possono essere assunti gli impegni corrispondenti ” (art. 250 comma 2 del d. lgs. n. 267 del 2000).
Nel caso di specie non solo la spesa deriva da una sentenza esecutiva ma il giudice di primo grado, con ordinanza n. 116 del 2021, ha ribadito l’obbligo del commissario di dare esecuzione alla sentenza del Tar n. 1727 del 2013, superando “ qualsiasi comportamento ostruzionistico da parte dei funzionari del Comune, tenuti a fornire piena collaborazione al commissario “ad acta” quale ausiliario del giudice ”, con conseguente trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica. E ciò a fronte di una richiesta di chiarimenti del Commissario ad acta volta proprio a evidenziare le difficoltà frapposte dal Comune all’ottemperanza del decisum , fondate sulla tematica della difficoltà di reperimento della copertura finanziaria.
Con specifico riferimento al caso di specie, pertanto, la spesa de quo può essere compresa fra gli interventi indifferibili per i quali sono consentite variazioni di bilancio, considerato anche quanto deciso dal Tar.
Con riferimento invece all’asserita violazione dell’art. 250 del d. lgs. n. 267 del 2000 si rileva che a norma di detto articolo “ l’ente locale non può impegnare per ciascun intervento somme complessivamente superiori a quelle definitivamente previste nell'ultimo bilancio approvato con riferimento all'esercizio in corso, comunque nei limiti delle entrate accertate ”.
Considerato che parte appellante non ha allegato né comprovato le circostanze di fatto idonee a ritenere non rispettato il vincolo contenuto nel richiamato art. 250 e che è stato rilasciato parere positivo di regolarità contabile della deliberazione impugnata, il motivo non può essere accolto.
14.4. Con ulteriore motivo l’appellante ha censurato il provvedimento per il fatto che il Commissario ad acta non ha provveduto a dilazionare il pagamento, come previsto dall’art. 194 comma 2 del d. lgs. n. 267 del 2000.
14.5. Il motivo è infondato.
Innanzitutto la rateizzazione costituisce una mera facoltà ai sensi dell’art. 194 comma 2 del d. lgs. n. 267 del 2000 (“ Per il pagamento l'ente può provvedere anche mediante un piano di rateizzazione ”), con la conseguenza che il mancato utilizzo di detta facoltà non determina conseguenze sul provvedimento assunto.
Il Commissario era tenuto a rispettare il perentorio e ultimativo termine assegnato dal Tar con l’ordinanza n. 116 del 2021 perché “la questione trovi una sua concreta definizione”, indicato in centocinquanta giorni.
Atteso che, ai sensi dell’art. 42- bis del d.P.R. n. 327 del 2001, il trasferimento della proprietà del bene al Comune avviene sotto la condizione sospensiva del pagamento dell’indennità e la fattispecie acquisitiva si perfeziona quindi soltanto con quest’ultimo, oltre a contemplare la successiva trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari, il completamento e la stabilità del superamento della res controversa si verifica solo a valle di detti adempimenti, che quindi sono necessari per assicurare l’effettività della tutela al privato.
Considerato il ristretto termine assegnato dal giudice dell’ottemperanza e rilevato che esso è funzionale al superamento della res controversa e, in ultima analisi, ad assicurare effettività di tutela non si rinvengono motivi per annullare un provvedimento che ha disposto un pagamento senza rateizzazione, atteso anche che il profilo non era stato sollevato dai soggetti all’uopo competente, cui comunque il Commissario ad acta è tenuto a rivolgersi ai sensi dell’art. 159 comma 5 del d. lgs. n. 267 del 2000, così demandando a tali funzionari la responsabilità del rispetto della disciplina contabile, con le conseguenze già viste sopra.
15. In conclusione l’appello principale deve essere respinto.
16. Il Collegio si appresta quindi a scrutinare l’appello incidentale.
17. Con appello incidentale è stata impugnata l’ordinanza gravata nella parte in cui il Tar ha accolto il motivo di reclamo fondato sull’art. 159 del d. lgs. n. 267 del 2000, che dispone l’impignorabilità dei crediti afferenti ai servizi pubblici indispensabili. Ciò in quanto la previsione sarebbe applicabile alle sole esecuzioni civili, facendo riferimento, al primo comma, alle “ procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali ” e, al secondo comma, all’“ esecuzione forzata ” e non sarebbe stato comprovato dal Comune.
17.1. Il motivo è infondato.
17.2. L’art. 159 del d. lgs. n. 267 del 2000, laddove dispone che “ Non sono ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri ” (comma 1) e che “ Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, le somme di competenza degli enti locali destinate a […] espletamento dei servizi locali indispensabili ” (comma 2), non attiene all’ammissibilità dell’azione esecutiva in generale nei confronti dell’ente locale, bensì alla pignorabilità dei crediti dell’ente medesimo presso il proprio tesoriere, e che espressamente sottrae al pignoramento presso quest’ultimo determinate somme che risultino vincolate dal primo per gli scopi e con le modalità prefissati dall’art. 159 del d. lgs. n. 267 del 2000.
Detta disposizione non comprende, nel proprio ambito di applicazione, il giudizio di ottemperanza intrapreso nei confronti dell’ente locale quale debitore principale: “ Non inibisce, inoltre, l’ottemperanza il vincolo di impignorabilità ai sensi dell’art. 159 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (“Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”), la cui applicabilità, come bene deduce la ricorrente, è limitata alle sole esecuzioni civili (facendo la norma letteralmente riferimento alle “procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti locali” e, al secondo comma, all’ “esecuzione forzata”), stante la diversità strutturale e funzionale rispetto all’azione di ottemperanza qui proposta ” (Cons. St., sez. V, 16 febbraio 2022 n. 1154).
Nondimeno, in base al comma 5 del richiamato art. 159, i provvedimenti adottati dai commissari ad acta (la disposizione fa riferimento, fra l’altro, ai commissari nominati nel giudizio di ottemperanza disciplinato dall'art. 37 della legge n. 1034 del 1971 , la cui disciplina è ora contenuta nell’art. 112 e ss. c.p.a.) devono essere muniti dell'attestazione di copertura finanziaria e “non possono avere ad oggetto le somme di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2, quantificate ai sensi del comma 3”.
Ai sensi di tale ultima disposizione, pertanto, i provvedimenti adottati dall’organo ausiliario del giudice non possono, fra l’altro, disporre delle somme destinate all’espletamento dei servizi locali indispensabili, con una previsione che si applica direttamente al caso de quo .
La quantificazione dei cespiti destinati alle finalità indicate nel comma 2 dell’art. 159 del d. lgs. n. 267 del 2000 è avvenuta nel rispetto del comma 3 del medesimo articolo, con la deliberazione di giunta comunale 30 novembre 2020 n. 120, richiamata nella nota comunale 12 febbraio 2021 n. 5328 proprio ai fini di cui all’art. 159 con specifico riferimento alla procedura d’ottemperanza de quo.
Sono quindi integrate le condizioni indicate nell’art. 159 comma 5 del d. lgs. n. 267 del 2000 perché le somme destinate, fra l’altro, allo svolgimento dei servizi pubblici indispensabili non possano essere utilizzate dal Commissario ad acta.
L’organo di revisione, inoltre, ha ritenuto che “ l’attività posta in essere dal Commissario ad Acta e dall’Amministrazione Comunale potrebbe generare una situazione di squilibrio strutturale che pregiudica le attività dell’Ente tale da mettere il Dirigente dei servizi finanziari nelle condizioni di segnalarlo ai sensi dell’articolo 153, comma 6, del Decreto Legislativo 18.08.2000, n. 267 e successive modifiche e integrazioni ” (verbale n. 32 del 2021), così evidenziando la problematicità dell’impegno finanziario assunto.
Considerate le voci di bilancio coinvolte nella variazione di cui alla deliberazione impugnata (nn. 192510, relativa a spese per acquisto di acqua potabile, e 212040, relativa a spese ricovero e custodia cani), l’adozione della deliberazione n. 120 del 2020, che comprende le spese per acqua potabile e le spese per servizi sociali, e la già rilevata integrazione della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 159 del d. lgs. n. 267 del 2000, non rilevano le osservazioni di parte appellante incidentale circa la mancanza di prova in ordine al fatto che dette somme fossero necessarie per assicurare lo svolgimento di detti servizi e circa l’utilizzo dell’istituto di cui al comma 2 dell’art. 250 del d. lgs. n. 267 del 2000.
A fronte di quanto sopra non depone in senso contrario il parere di regolarità contabile rilasciato sull’impegno di spesa contenuto nella delibera gravata, atteso che con esso il responsabile finanziario attesta, ai sensi dell’art. 153 comma 5 del d. lgs. n. 267 del 2000, la copertura della spesa in relazione alle disponibilità esistenti negli stanziamenti di spesa, che nel caso di specie sono stati variati prima di assumere l’impegno.
Né, a fronte di quanto sopra, è sufficiente a giustificare una diversa decisione il fatto che il Comune non abbia compiutamente dimostrato “l’azzeramento dei capitoli di bilancio destinati a servizi essenziali”, anche in considerazione del fatto che, se anche residuano somme in alcuni capitoli aventi la medesima destinazione, non è comprovato che comunque siano sufficienti a coprire l’intero fabbisogno finanziario necessario per lo svolgimento dei servizi indispensabili. Né può essere utilizzato l’istituto della variazione di bilancio per rimpinguare i capitoli resi incapienti dal Commissario ad acta (art. 250, secondo comma, T.U.E.L.) svuotati per finanziare il credito delle controparti, richiamato a pag. 12 dell’appello incidentale, è un istituto che serve a rimediare alla condizione di definanziamento dei capitoli di bilancio destinati ai servizi essenziali, non a sanare provvedimenti commissariali adottati in violazione di legge.
18. Quanto sopra argomentato in merito ai primi due motivi di appello circa il contenuto della sentenza 27 agosto 2019 n. 2083 rende superata la censura contenuta nell’appello incidentale circa la portata “ parziale di talune considerazioni contenute nell’ordinanza del 16.02.2022 circa i contenuti della decisione inter partes del 27.08.2019 ”, con specifico riferimento al fatto che il Tar si sarebbe focalizzato più sulle statuizioni che in tale decisione sarebbero volte a “ specificare le concrete modalità dell’esecuzione ”, che non su quelle che hanno affrontato “ le questioni giuridico-fattuali ”. Né rileva il mezzo utilizzato per dedurre detta censura, cioè l’impugnazione incidentale, atteso che si tratta di un profilo attinente non ad un capo della sentenza (rispetto al quale peraltro parte appellante incidentale non è risultata soccombente) ma ad un’argomentazione spesa dal giudice di primo grado per giustificare la decisione assunta.
19. Lo stesso è a dirsi con riferimento all’impugnazione incidentale della parte dell’ordinanza con la quale il Tar ha affrontato, superandolo, uno degli argomenti svolti dal Comune a sostegno delle proprie tesi, riguardante il contrasto fra la sentenza n. 2083 del 2019 e la precedente pronuncia n. 801 del 2017. Secondo l’appellante incidentale non vi sarebbe contrasto laddove il giudice di primo grado lo ha ritenuto sussistente superandolo a favore della tesi degli odierni appellanti incidentali, quindi dando prevalenza al secondo decisum .
20. Da ultimo si rileva, quanto all’impugnazione incidentale della decisione del Tar circa la tardività dei documenti depositati nel primo grado di giudizio dagli appellanti incidentali, in data 4 ottobre 2021, che detta documentazione non è rilevante ai fini della decisione sul reclamo riguardante la deliberazione di acquisizione sanante, che viene presa in considerazione, nel rispetto del principio della domanda e quindi del reclamo proposto, nel suo contenuto, non in merito agli adempimenti esecutivi che ne conseguono. Ciò esime il Collegio dalla necessità di scrutinarla.
21. In conclusione l’appello principale e l’appello incidentale devono essere respinti, con conseguente conferma dell’ordinanza gravata.
22. La particolarità e la novità della questione giuridica sottesa alla presente controversia non solo non consente di applicare la disciplina della lite temeraria ma giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.