CGARS, sez. I, sentenza 2024-04-08, n. 202400292

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2024-04-08, n. 202400292
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202400292
Data del deposito : 8 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/04/2024

N. 00292/2024REG.PROV.COLL.

N. 00266/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 266 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'Avvocato A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Castellammare del Golfo, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) n. 2386/2021, resa tra le parti, in data 30 luglio 2021 e pubblicata il 30 luglio 2021, comunicata in pari data e non notificata, con cui era rigettato il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 64 del 24 novembre 2017 di cui alla nota prot. n. 53826 del 24 novembre 2017 del Settore IV – Urbanistica e Gestione del Territorio del Servizio III Controllo del Territorio – Prevenzione e repressione abusivismo edilizio del Comune di Castellammare del Golfo;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2024 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti gli Avvocati come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;

FATTO e DIRITTO

I – Con l’appello indicato in epigrafe, l’istante premette di essere proprietaria – in proprio e quale erede - del fabbricato che insiste sulle particelle -OMISSIS- (in forza di atto di compravendita rogato in data 11 giugno 1982 e di denuncia di successione prot. n. 881 del 13 maggio 2016).

Afferma che tale fabbricato era costruito, nel 1960, con progetto approvato dalla Commissione edilizia, in parte su area propria, identificata con le particelle 2 e 3, e in parte su area demaniale in forza di concessione del Ministero della Marina Mercantile n. 123 dell’anno 1960, di seguito intestata al dante causa.

Il 16 luglio 2013, a seguito di riordino fondiario di cui alla convenzione col Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (n. 13883.1/2013), la porzione di fabbricato ricadente su area demaniale, fino ad allora non evidenziata in mappa, veniva identificata con la particella -OMISSIS- e intestata al Comune di Castellammare del Golfo, definendola “ Fabbricato Urbano da accertare ” per una superficie catastale pari ad are 00 e ca 40.

Il fabbricato nel suo complesso occupa una superficie coperta pari a 83,47 mq e nella sua interezza è stato denunciato al Nuovo catasto edilizio Urbano, con scheda n. -OMISSIS- del 23 settembre 1975.

La porzione di fabbricato identificata con la particella -OMISSIS- si estende per una superficie di mq 38,90 (catastalmente mq 40) e si sviluppa per tre elevazioni con un volume edificato che risulta pertanto pari a (mq 38,90 x ml 12,00) mc 466,80. Il fabbricato nella sua interezza era realizzato come silos per lo stoccaggio del vino e ha mantenuto tale funzione nel tempo.

Pertanto, l’odierna appellante espone che, con l’istanza del 20 luglio 2016 – al fine di regolarizzare la propria posizione - chiedeva la fissazione di un giusto canone nonché la formalizzazione della concessione per sé e per gli eventuali aventi causa a qualunque titolo per il godimento della particella n. -OMISSIS-. Con successiva determinazione sindacale n. 5 del g 20 gennaio 2017 la P.A. appellata determinava di concedere per un anno la particella, previo pagamento del canone annuale.

Tuttavia, con comunicazione di avvio del procedimento del 11 aprile 2017 il Comune di Castellammare del Golfo - sul presupposto della assenza di titolo autorizzativo e istanza di sanatoria e/o condono edilizio – comunicava alla ricorrente l’avvio del procedimento preordinato all’emissione dell’ordine di demolizione (impugnato).

Con la sentenza di primo grado era respinto il ricorso per i seguenti motivi:

a) la natura vincolata del potere repressivo degli illeciti edilizi;

b) l’irrilevanza rispetto all’ordine di demolizione impugnato della circostanza della proprietà della P.A. di parte dell’area;

c) l’insussistenza dell’affidamento.

Avverso siffatta pronunzia, l’appellante propone i seguenti motivi di censura:

1 – la sentenza sarebbe nulla o annullabile ed in ogni caso meriterebbe riforma perché avrebbe errato nel non riconoscere la fondatezza della dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380/01, eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà con la determinazione sindacale n. 5 del 20 gennaio 2017, con la deliberazione consiliare n. 61 del 29 dicembre 2008 e con la deliberazione n. 15del 20 novembre 2008 dell’Ufficio urbanistica per esercizio di un potere riservato ad un’altra amministrazione, incompetenza;

2 – altresì, avrebbe errato la sentenza nel non riconoscere la dedotta violazione del cit. art. 31 d.P.R. n. 380/01 sotto altro profilo, eccesso di potere per travisamento, sviamento, violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost.;
infatti, in dalla perizia giurata redatta dal tecnico di fiducia della odierna appellante emergerebbe una esaustiva descrizione dell’immobile oggetto dell’ordinanza di demolizione, che evidenzierebbe che il fabbricato si configura come una unica unità immobiliare e unità funzionale in relazione ai vari aspetti già descritti che lo caratterizzano;
anche in considerazione della inesistenza di alcun frazionamento catastale, non sarebbe possibile, allo stato, individuare compiutamente la porzione di fabbricato che ricade sulla particella del Comune, di guisa che non sarebbe materialmente possibile procedere alla demolizione del fabbricato;
alla scadenza o alla revoca della concessione, non sarebbe possibile individuare esattamente quale porzione dell’immobile diventerebbe di proprietà comunale secondo il disposto dell’art. 953 c.c., per cui la demolizione dell’intero immobile potrebbe essere eseguita in danno alla medesima P.A. procedente;
la finalità perseguita dall’Amministrazione con l’ordine di demolizione non sarebbe funzionale alla tutela dell’assetto urbanistico, ma per converso sarebbe diretta ad avviare un procedimento volto all’acquisizione di un bene che avrebbe – asseritamente tutto l’interesse a preservare;

3 – ancora avrebbe errato la sentenza nel non riconoscere la fondatezza della dedotta violazione e falsa applicazione del cit. art. 31 sotto altro profilo e della l. n. 15/2005, l’eccesso di potere per manifesta carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione e difetto di istruttoria;
infatti, il fabbricato in questione, ricade in zona A1 del Piano Regolatore del Comune di Castellammare del Golfo, approvato con D. Dir. Assessorato Territorio e Ambiente n. 616/DRU del 9 giugno 2004;
la P.A. sarebbe stata a conoscenza dell’esistenza della costruzione di cui si verte quantomeno dal giorno 20 giugno 1960, data di una nota dell’Associazione Turistica pro-Castellammare del Golfo;
il trascorrere di un lunghissimo lasso di tempo - durante il quale la PA, come evidenziato, era ben consapevole dell’esistenza e (ancor prima e addirittura) dell’avvio dei lavori per la realizzazione dell’edificio oggi dichiarato abusivo – nonché il sostanziale accoglimento delle richieste avanzate, avvenuto con l’adozione della determinazione sindacale n. 5 del 20 gennaio 2017 – avrebbero ingenerato il legittimo affidamento del privato sulla legittimità dei manufatti;
a riguardo invoca dunque, i principi comunitari e la sentenza del Consiglio di Stato 8 aprile 2016 n. 1393.

Produce poi delibera consiliare in ordine ad un parere legale sulla regolarità degli edifici costruiti ante 1967.

L’Amministrazione non si è costituita.

All’udienza di discussione del 28 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

II – L’appello è infondato.

III – Osserva il Collegio che, nella specie che occupa, non appare contestata l’epoca di costruzione del fabbricato, ovvero anteriormente al 1967. Non si pone, dunque, una questione di onere della prova in ordine alla realizzazione dell’opera prima della novella introdotta dall’art. 10 della c.d. “legge ponte” n. 765 del 1967.

Tuttavia, dalle stesse affermazioni di parte appellante, emerge che la costruzione avveniva senza un titolo edilizio, ma solo con approvazione del progetto da parte della Commissione edilizia dell’epoca.

Sennonché, anche nella vigenza della legge n. 1150 del 1942, la necessità di un titolo abilitativo edilizio era disposta da altre fonti, come del resto ribadito dalla Corte Costituzionale (con sent. n. 217/2022), che ha avuto modo di precisare che: “ la legislazione statale antecedente al 1977 – in particolare la legge urbanistica n. 1150 del 1942, sia nel suo testo originario sia in quello innovato dalla legge n. 765 del 1967 – prevedeva che il committente titolare della licenza, il direttore dei lavori (quest’ultimo a partire dalla disciplina introdotta nel 1967), nonché l’assuntore dei lavori fossero «responsabili di ogni inosservanza così delle norme generali di legge e di regolamento come delle modalità esecutive che siano fissate nella licenza di costruzione» (art. 31, terzo comma, della citata legge, che diviene comma 12 a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 765 del 1967). E a garanzia del rispetto di tale disciplina, il podestà, prima, e il sindaco, poi, avevano il compito di vigilare sull’attività edilizia e dovevano ordinare l’immediata sospensione dei lavori con riserva dei provvedimenti che risultassero necessari per la modifica delle costruzioni o per la rimessa in pristino (art. 32, secondo comma, della legge n. 1150 del 1942) ”.

Anzitutto, per gli immobili realizzati in comuni ricadenti in zone sismiche, l’obbligo di una previa autorizzazione edilizia era sancito, in epoca precedente, a livello di fonte primaria dal r.d.l. 25 marzo 1935, n. 640 (testo delle norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti) e dal r.d.l. 22 novembre 1937, n. 2105 (norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti).

Inoltre, l’obbligo di previa autorizzazione alla costruzione poteva essere disposto dal regolamento edilizio comunale, emanato in esecuzione della potestà regolamentare attribuita ai comuni nella materia edilizia dai testi unici della legge comunale e provinciale susseguitisi nel tempo, quali il r.d. 10 febbraio 1889, n. 5921 (che approvava il t.u. della legge comunale e provinciale), il r.d. 21 maggio 1908, n. 269 (che approvava l’annesso t.u. della legge comunale e provinciale) ed il r.d. 4 febbraio 1915, n. 148 (di approvazione del t.u. della legge comunale e provinciale).

In particolare, per quanto attiene il caso di specie, l’art. 1 del Regolamento edilizio, approvato con delibera del Consiglio comunale n. 59 del 12 novembre 1950 prevedeva per le edificazioni il provvedimento di assenso del Sindaco.

Sul punto, l’istante non formula censure specifiche idonee a contrastare quanto puntualmente indicato nei provvedimenti gravati (cfr. allegati 1 e 2 del ricorso in appello).

Il primo motivo di appello risulta, dunque infondato.

IV – Orbene, vale precisare che, ai fini della decisione della presente controversia, devono essere tenuti distinti i diversi profili circa la concessione demaniale dell’area e la regolarità edilizia della costruzione. I due aspetti attengono a aspetti del tutto differenti e, pertanto, contrariamente a quanto dedotto da parte appellante nell’ambito il primo motivo, non si rinvengono profili di contraddittorietà.

È evidente che per l’esecuzione di un’opera su area pubblica non è sufficiente il provvedimento di concessione per l’occupazione di detto suolo, ma occorre l’ulteriore ed autonomo titolo edilizio, che opera su un piano diverso e risponde a diversi presupposti rispetto sia all’atto che consente l’utilizzo a fini privati di una determinata porzione di terreno di proprietà pubblica, sia ad altri atti autorizzativi eventualmente necessari.

In questa prospettiva è, pertanto, irrilevante il fatto che il fabbricato corrispondesse o meno a quanto previsto dalla concessione di suolo pubblico, dato che la abusività di esso non discende dalla conformità o meno al titolo concessorio ma dalla totale mancanza di titolo edilizio, come contestato dall’Amministrazione.

V – Per ordine logico, deve trovare esame. a questo punto, il terzo motivo di appello.

Costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato quello che afferma il carattere permanente dell’illecito edilizio.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 17.10.2017 ha affermato il principio in base al quale “ il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso .”

Inoltre, l’Adunanza Plenaria ha specificato come tale principio non ammetta deroghe “ neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino .”

Nella specie, peraltro, stante la risalente espressa disposizione comunale, non può configurarsi alcun affidamento incolpevole dell’interessata.

VI – Con riferimento ai profili di censura di cui al secondo motivo di appello, va precisato che essi non comportano vizi del provvedimento di demolizione.

Come già questo Consiglio ha avuto modo di evidenziare e secondo quanto ribadito dall’Adunanza Plenaria n. 16/2023, “ L'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, al comma 2, disciplina la diversa ipotesi in cui il Comune - anziché procedere esso stesso senz'altro alla demolizione o dopo avere attivato il procedimento previsto dall'art. 27 senza concluderlo - accerta "l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'articolo 32" e "ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3 ".

Si legge, altresì, nella norma richiamata, che l’eventuale richiesta di accertamento di conformità, al fine di evitare la demolizione, è rivolta dall’interessato a seguito dell’emanazione dell’ordine di demolizione – ove tuttavia ne sussistano i presupposti. Essa attiene, dunque, la successiva fase esecutiva dell’ordine, mentre non compete al Comune il previo accertamento dell’eventuale sanabilità delle opere o delle difficoltà della demolizione.

VII – Ancora, si ricorda, sul punto che secondo la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. VII, n. 8873/2022), “ il solo fatto della realizzazione dell’abuso sul suolo di proprietà comunale (o comunque pubblica) giustifica l’irrogazione della misura vincolata ex art. 35 del d.P.R. n. 380/2001, rivolta a tutelare le aree demaniali o di Enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, senza che si debba accertare l’epoca di tale realizzazione e senza la possibilità di configurare affidamenti tutelabili alla conservazione di una siffatta situazione d’illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto (C.d.S., Sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 85;
id., 5 gennaio 2015, n. 13;
Sez. V, 21 aprile 2016, n. 1580)
”.

VIII – Per tutto quanto sin qui ritenuto, l’appello deve essere respinto.

IX – In ragione della mancata costituzione del Comune, nella presente fase, nulla è dovuto per le spese del grado.

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