Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-05-30, n. 202204399

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-05-30, n. 202204399
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202204399
Data del deposito : 30 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/05/2022

N. 04399/2022REG.PROV.COLL.

N. 00536/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 536 del 2018, proposto da
V D V, rappresentato e difeso dall'avvocato L L e M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio M C in Roma, via Emilia, 86/90, e dall'avvocato M T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Gorizia, 52;

contro

Università degli Studi Roma La Sapienza, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 07385/2017, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma La Sapienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2022 il Cons. Marco Valentini e udito per la parte appellante l’avvocato M T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe l’appellante ha richiesto la riforma della sentenza resa dal TAR per il Lazio, Sezione Terza, n. 7385/2017, nella parte in cui ha respinto il ricorso n. 3903/2007 per l’annullamento degli atti con i quali l’Università “La Sapienza” ne ha disposto la decadenza, limitandosi a modificare la decorrenza e, per l’effetto, l'annullamento:

- del decreto n. 3091 del 22.1.2007, ricevuto in data 5.4.2007, con il quale il Rettore ha disposto, ai sensi dell'art.127 del D.P.R. n.3 del 1957, la decadenza del ricorrente dal servizio di Ricercatore universitario con decorrenza retroattiva dal 16.11.1999;

- della nota di accompagno prot. n. II A/34929, prot. n.4624 del 29.1.2007;

- della nota del Preside della I Facoltà di Medicina e Chirurgia del 4.1.2007;

- di ogni altro atto lesivo presupposto, connesso e/o consequenziale.

L’ingegner V D V era stato nominato in data 9 agosto 1999 ricercatore universitario in bioingegneria presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” per il settore scientifico disciplinare K06X ed assegnato, dapprima, alla Facoltà di Medicina e Chirurgia e, successivamente, al Dipartimento di Informatica e Sistemistica.

Tenuto conto delle disposizioni di cui all’art. 19, comma 6, del D. Lgs. n. 165/2001 e all’art. 15 septies , comma 1, del D. Lgs. n. 502/1992, l’Azienda Policlinico Umberto I di Roma gli conferiva il 5 maggio 2002 l’incarico di responsabile del Servizio di Ingegneria Clinica presso il Dipartimento Tecnologie e Gestione del Patrimonio, all’epoca Unità Operativa Semplice, per un periodo di tre anni. L’Università collocava il ricorrente in aspettativa per 3 anni, a far data dal 16 maggio 2002.

Il 24 marzo 2005, il Policlinico rinnovava l’incarico dirigenziale al D V per un ulteriore periodo di 3 anni, decorrente dal 16 maggio 2005. L’Università prevedeva di conseguenza un corrispondente prolungamento del periodo di aspettativa fino al 15 maggio 2008.

A causa di problemi di salute, il ricorrente chiedeva al Policlinico di essere posto in congedo senza assegni dal 15 febbraio al 15 luglio 2006.

In data 3 agosto 2006, il Direttore Generale del Policlinico inviava al D V una nota di contestazione di addebito, riferita ad “incompatibilità ambientale” e alla violazione del rapporto di esclusività;
sospendendolo cautelativamente dal rapporto di lavoro per un periodo di trenta giorni. Con deliberazione n. 526 del 17 ottobre 2006, la delibera veniva adottata.

In data 20 novembre 2006, il Comitato dei Garanti, istituito presso la Regione Lazio, il cui parere è obbligatorio ai sensi dell’art. 23, comma 5, del CCNL applicabile, rendeva al Policlinico parere negativo sull’ipotesi di recedere dal rapporto di lavoro con il ricorrente.

In data 14 dicembre 2006, ai sensi dell’art. 65 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, il D V avviava l’azione giudiziaria avverso il provvedimento, che si concludeva con l’annullamento ex tunc dello stesso da parte della Corte di Appello di Roma (sentenza n. 4186/2014 del 12 agosto 2014). Nelle more, con nota del 4 gennaio 2007, il Preside della Facoltà di Medicina informava il Rettore dell’Università appellata che il dr. D V non risultava essersi presentato per riprendere servizio al termine del periodo di aspettativa Nella rappresentazione dei fatti da parte dell’appellante, si evidenzia che questa comunicazione non vedeva come destinatario, neanche per conoscenza, il D V, che quindi non sapeva che l’Università considerasse anticipatamente concluso il periodo di aspettativa, il cui termine naturale di scadenza sarebbe stato il successivo 15 maggio 2008.

In data 22 gennaio 2007, con decreto n. 3091, l’Università decretava, ai sensi dell’art. 127 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, la decadenza del ricorrente da ricercatore universitario del settore scientifico disciplinare ING-INF06 in servizio presso la I Facoltà di Medicina e Chirurgia, e ciò con decorrenza retroattiva dal 16 novembre 1999. L’Ingegner D V impugnava il provvedimento, unitamente agli atti allo stesso connessi e presupposti, come innanzi specificato. Con la sentenza impugnata con il presente ricorso in appello, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Terza, accoglieva il ricorso solo limitatamente al quarto motivo, poiché “la retroattività della decadenza non avrebbe potuto superare a ritroso la data di comunicazione del licenziamento da parte dell’Azienda Policlinico ”. I restanti motivi di ricorso venivano invece rigettati.

DIRITTO

In sede di appello, la parte appellante ha articolato tre motivi di ricorso.

In particolare, ha premesso che dalla sentenza appellata emerge con estrema chiarezza che il rigetto dei motivi 1, 2, 3 e 5 del ricorso di primo grado si basa in realtà su un unico erroneo presupposto di fatto e giuridico, ovvero che, ai sensi l’art. 127, comma 1, lettera c), del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, per procedere all’emanazione del provvedimento di decadenza dal servizio non fosse necessario fissare un termine entro cui il lavoratore in aspettativa avrebbe dovuto riassumere il servizio presso l’amministrazione di appartenenza. Ha poi prospettato i seguenti motivi:

con il primo motivo, ha dedotto error in iudicando con riferimento all’unico capo della sentenza con il quale sono stati rigettati il primo ed il terzo motivo di ricorso: violazione e falsa applicazione dell’art. 127 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e dell’art. 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e diritto. Sul punto, la parte appellante ha argomentato ritenendo che il TAR adito abbia erroneamente considerato che la “disposizione applicata dall’Ateneo non imponeva l’assegnazione di un termine “ad hoc” entro il quale ripresentarsi in servizio, avendo determinato la norma stessa (direttamente) l’effetto decadenziale, in relazione al protrarsi dell’assenza ingiustificata del dipendente dall'ufficio, per un periodo di durata non inferiore a quindici giorni” . Viceversa, la parte appellante sostiene che l’art. 127, comma 1, lettera c), del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, disciplina le conseguenze connesse all’assenza ingiustificata dal servizio in due distinte fattispecie. Nella prima, la decadenza si verifica solo in caso di mancata ripresa del servizio entro un termine prefissato dall’Amministrazione di appartenenza;
nella seconda, invece, la decadenza opera automaticamente ex lege una volta decorsi quindici giorni di assenza ingiustificata.

Le due ipotesi sono ad avviso dell’appellante diverse e devono applicarsi a situazioni diverse. Mentre la prima ipotesi si riferisce ai casi di assunzione o riassunzione in servizio, la seconda si applica in caso di interruzione e quindi di assenza da un servizio già in essere, in quanto l’enunciato “rimanga assente dall’ufficio” presuppone che vi sia un rapporto in corso, che il dipendente sia in ufficio e che, a un certo momento, si assenti senza giustificato motivo.

Si considera infatti palese che un lavoratore non in servizio, sia perché non lo abbia ancora mai assunto, che perché lo debba riassumere a seguito di un periodo di interruzione, necessiti di un’apposita comunicazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, che indichi il giorno, l’ora, la sede e l’ufficio a partire da cui ed in cui assumere o riassumere il servizio. Per potersi applicare l’istituto della decadenza automatica, soggiunge l’appellante, occorre che vi sia un dies a quo dal quale far decorrere i quindici giorni di assenza, il cui superamento provoca, appunto, la decadenza. Mentre tale momento è determinato nei casi di un dipendente in servizio che si assenti, così come è chiaro allo stesso dipendente in quale ufficio e con quali mansioni egli debba tornare al lavoro, ciò non succede nel caso di dipendente che debba rientrare in servizio da un periodo di aspettativa e che sino a quel momento stava lavorando presso altro Ente. Appare dunque evidente, nella prospettazione dell’appellante, che la prima parte del citato art. 127, comma 1, lettera c), ovvero quella che prevede la previa fissazione di un termine entro cui assumere o riassumere il servizio, si applichi ai lavoratori che non sono in servizio effettivo, mentre la seconda, ovvero quella che fa riferimento all’assenza prolungata per un periodo non inferiore a 15 giorni, è esclusivamente applicabile ai lavoratori che stanno svolgendo la propria attività presso l’Amministrazione di appartenenza. L’appellante si trovava nella situazione di dover riassumere il servizio, essendo in aspettativa e quindi assente dal servizio in Università ininterrottamente dal 16 maggio 2002.Pertanto, ai sensi del citato art. 127, comma 1, lettera c), l’Università avrebbe dovuto invitare il docente, secondo l’appellante, a riassumere il servizio entro un termine prefissato e, solo in caso di inadempimento, avrebbe potuto dichiararne la decadenza, mentre l’Università non ha mai fatto tenere alcuna comunicazione in tal senso. La parte appellante richiama infine sul punto l’applicazione del principio pacificamente riconosciuto in giurisprudenza secondo il quale l’assenza dal servizio può determinare la decadenza dal rapporto solo ove sia significativo dell’inequivoca volontà del lavoratore di sottrarsi ai doveri d’ufficio e, comunque, in radice incompatibile con la prosecuzione del rapporto, da ultimo la pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4914) secondo la quale “grava sull’amministrazione l’onere di verificare in concreto, e valutate tute le circostanze del caso, se l’assenza dal servizio rilevante a termini dell’art. 127, comma 1, lett. c, D.P.R. n. 3/1957 sia espressiva di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, in specie laddove dal comportamento del dipendente non possa desumersi con certezza l’intenzione di sottrarsi all’obbligo di prestare il servizio, o possano sussistere dubbi circa l’effettiva volontà del dipendente di abbandonare il posto di lavoro” .

Il provvedimento di decadenza fondato sulla mera circostanza dell’assenza del servizio sarebbe pertanto carente di motivazione;

con il secondo motivo, è stato dedotto error in iudicando con riferimento al capo della sentenza con il quale è stato rigettato il secondo motivo di ricorso avanti al TAR. Secondo il giudice di prime cure, era onere del ricorrente, non assolto, dar prova di essersi reso disponibile alla ripresa in servizio presso la struttura universitaria dal medesimo ritenuta competente. L’obbligo di riprendere il servizio non dipendeva da una comunicazione “ad hoc” da parte dell’Ateneo, trattandosi di obbligazione discendente direttamente dalla legge e dal rapporto di servizio quale ricercatore, che imponeva al ricorrente di mettere a disposizione le proprie prestazioni, una volta venute meno le ragioni che ne avevano determinato la sospensione in dipendenza del collocamento in aspettativa. Sulla base di quanto argomentato nel primo motivo, ritiene viceversa l’appellante che non poteva che essere onere del competente organo dell’amministrazione di appartenenza quello di fissare una data per la riassunzione in servizio del lavoratore e, se del caso, di verificare l’effettiva intenzione di quest’ultimo di non riprendere il servizio;

con il terzo motivo, l’appellante ha dedotto error in iudicando con riferimento al capo della sentenza con il quale è stato rigettato il quinto motivo di ricorso avanti al TAR, relativo alla violazione dell’art. 7 della Legge 7 agosto 1990, n. 241. Il giudice di prime cure ha sostenuto al riguardo che la natura vincolata, accertativa e non sanzionatoria del provvedimento, rendeva del tutto superflua la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della Legge n. 241 del 1990. Anche relativamente a tale doglianza, la parte appellante richiama gli argomenti già spesi relativamente al primo motivo di ricorso, riaffermando che la fattispecie era caratterizzata dalla necessità di una previa comunicazione dell’Università, che invitasse il docente a riprendere servizio, indicandogli data, ora e ufficio. In assenza di tale invito, non ricadendo la fattispecie nella ipotesi della decadenza automatica, l’Università aveva il dovere di aprire un contradditorio con l’appellante, per consentirgli di presentare le proprie ragioni e, conseguentemente, valutarle.

L’appellante conclude richiedendo di riformare la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio n. 7385/2017, Sezione Terza, nella parte in cui non ha accolto integralmente il ricorso n. 3903/2007, e per l’effetto annullare gli atti innanzi dettagliatamente individuati.

L’appello è fondato.

Osserva il collegio che quanto prospettato nel primo motivo di appello, relativo al capo della sentenza con il quale sono stati rigettati il primo e il terzo motivo di ricorso, vada considerato preliminarmente assorbente per la definizione della controversia. L’interpretazione del TAR adito circa l’applicazione della fattispecie decadenziale di cui all’art. dell’art. 127 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 non è infatti esente da rilievi. Appare invero conforme al dettato della disposizione appena richiamata, nella specie a quanto previsto sub c), la distinzione tra due diverse ipotesi di decadenza dall’impiego. Mentre la prima (“quando, senza giustificato motivo, non assuma o non riassuma servizio entro il termine prefissatogli”) non può che riferirsi a un rapporto d’impiego ancora non avviato ovvero interrotto o sospeso per ragioni tali, come il collocamento in aspettativa presso altro ente, che ne determinino la successiva riassunzione in servizio, con la conseguenza dell’obbligo per l’amministrazione di fissare all’uopo un termine, la seconda (“ovvero rimanga assente dall’ufficio per un periodo non inferiore a quindici giorni ove gli ordinamenti particolari delle singole amministrazioni non stabiliscano un termine più breve”), è all’evidenza riferibile a una condizione in costanza di rapporto di lavoro, per la quale l’obbligo di prefissare un termine non opera, discendendo, solamente in questo caso, la facoltà decadenziale ex lege al verificarsi della condizione ivi prevista.

Nel caso di specie, pertanto, la mancata comunicazione di un termine per la riassunzione in servizio ha di fatto compromesso la legittimità formale e sostanziale dell’atto di decadenza che ne è conseguito.

Tale indicazione interpretativa è ad avviso del collegio assorbente anche con riferimento al secondo e al terzo motivo di appello, non sussistendo per le ragioni evidenziate, quanto al secondo motivo, un onere del ricorrente di dar prova di essersi reso disponibile alla ripresa in servizio presso la struttura universitaria dal medesimo ritenuta competente, pur in assenza di un termine assegnato dall’amministrazione per la riassunzione in servizio e, infine, quanto al terzo, il terzo motivo, perché consegue dall’interpretazione prospettata del citato art. 127 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, l’obbligo dell’amministrazione di comunicare all’interessato l’avvio del procedimento, per le note finalità previste dalla legge.

L’appello va pertanto integralmente accolto.

Le spese sono liquidate come in dispositivo.

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