Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-07-23, n. 202406641

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-07-23, n. 202406641
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202406641
Data del deposito : 23 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/07/2024

N. 06641/2024REG.PROV.COLL.

N. 07272/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7272 del 2022, proposto da
Atac S.p.a. Azienda per la mobilità, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza San Bernardo, 101;

contro

Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato R S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Quinta) n. 5934 del 2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio e il suo appello incidentale;

Viste le memorie delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 luglio 2024 il Cons. Elena Quadri e uditi per le parti gli avvocati Abbinente, in delega dell'Avv. Piazza, e Fusco, in dichiarata delega dell'Avv. Santo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Atac S.p.a. Azienda per la mobilità ha proposto ricorso per l'accertamento del mancato rispetto, da parte della Regione Lazio, dell'obbligo di adeguamento annuale - per il periodo 2004/2011 - delle tariffe del sistema integrato Metrebus, previsto dall'art.13 della legge Regione Lazio n. 1/1991 nonché dagli artt. 6 e 30 -bis , comma 4, della legge Regione Lazio n. 30/1998;
nonchè per la condanna della Regione Lazio al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi da Atac S.p.a.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha respinto il ricorso con sentenza n. 5934 del 2022, appellata da Atac S.p.a. per i seguenti motivi di diritto:

I) error in iudicando : violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 della legge Regione Lazio n. 1/91 e degli artt. 6 e 30 -bis della legge Regione Lazio n. 30/98;
violazione dei principi in tema di interpretazione della legge (art. 12 delle c.d. preleggi);
illegittimità per mancato esame delle argomentazioni difensive rappresentate in primo grado da Atac S.p.a.;
eccesso di potere per motivazione contraddittoria o carente, mancato esame di aspetti decisivi risultanti inequivocabilmente dagli atti – travisamento dei fatti – ingiustizia grave e manifesta;

II) error in iudicando : eccesso di potere per carenza e contraddittorietà della motivazione anche con riguardo alla domanda risarcitoria formulata da Atac;
contraddittorietà intrinseca della sentenza ed illogicità manifesta.

Si è costituita per resistere all’appello la regione Lazio, che ha proposto, altresì, appello incidentale deducendo:

I) erroneità della sentenza nella parte in cui il Tar ha disatteso l’eccezione di inammissibilità del ricorso sul rilievo che Atac non ha mai azionato il rimedio giudiziale del silenzio per costringere la Regione ad adeguare le tariffe di trasporto.

Successivamente le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

All’udienza pubblica del 4 luglio 2024 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Giunge in decisione l’appello proposto da Atac S.p.a. Azienda per la mobilità per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 5934 del 2022 che ha respinto il suo ricorso per l'accertamento del mancato rispetto, da parte della Regione Lazio, dell'obbligo di adeguamento annuale - per il periodo 2004/2011 - delle tariffe del sistema integrato Metrebus, previsto dall'art.13 della legge Regione Lazio n. 1 del 1991 nonché dagli artt. 6 e 30 -bis , comma 4, della legge Regione Lazio n. 30 del 1998;
e per la condanna della Regione Lazio al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi da Atac S.p.a.

Con il primo motivo l’appellante ha dedotto, essenzialmente, l’errata interpretazione della normativa applicabile al caso di specie da parte del giudice di prime cure. Infatti, l’art. 30 -bis della legge Regione Lazio n. 30 del 1998 avrebbe previsto due differenti modalità per provvedere all’adeguamento tariffario, disciplinando, ai commi 1, 2 e 3, la procedura – ad istanza di parte – per l’adeguamento delle tariffe non integrate e statuendo, invece, al comma 4, un preciso ed autonomo obbligo a carico della Regione per stabilire l’adeguamento delle tariffe integrate. Riguardo a queste ultime, oggetto dell’odierna pretesa, la Regione avrebbe il preciso obbligo di riconoscerne periodicamente l’adeguamento, e risulterebbe indubbio che la misura di tale adeguamento sia indicata dalla stessa legge facendo riferimento al tasso di inflazione programmata. Ai sensi dell’ultimo comma del succitato art. 30 -bis , invero, ogni anno costituirebbe specifico e preciso dovere della Regione provvedere all’adeguamento delle tariffe integrate sulla base del criterio di cui alla lett. a) del comma 3 del medesimo articolo e, dunque, del tasso di inflazione programmata. Si tratterebbe di un obbligo ex lege , non soggetto né a termini né a condizioni, direttamente attuabile ed esigibile, il cui adempimento rientrerebbe nella esclusiva competenza e responsabilità della Regione. Tale atto si configurerebbe, dunque, come un atto vincolato non solo nell’ an , cioè con riferimento alla doverosità di adottarlo, ma anche nel quando e nel quomodo , dal momento che la medesima disposizione chiaramente stabilirebbe che l’adeguamento debba avere cadenza annuale e debba essere disposto con atto della Regione Lazio, nonché nel quantum , essendo l’adeguamento commisurato al dato oggettivo del tasso di inflazione programmato. La disposizione non avrebbe attribuito alla Regione Lazio il potere di compiere una valutazione discrezionale e, dunque, ad esempio, di verificare l’opportunità o meno di riconoscere l’adeguamento tariffario, ovvero di valutare la ricorrenza di determinati presupposti e condizioni, o di operare un bilanciamento tra gli interessi contrapposti, ma avrebbe imposto espressamente all’amministrazione di riconoscere periodicamente tali incrementi, stabilendone, in modo preventivo e determinato, anche la cadenza (annuale) ed il quantum (tasso di inflazione programmata stabilito dal Governo nell’ultimo documento di programmazione economico-finanziaria).

Anche a voler condividere, per assurdo, la sussistenza di un margine di discrezionalità in capo alla Regione, questo non potrebbe assolutamente riguardare la possibilità o meno di disporre l’adeguamento tariffario con cadenza annuale, ma semmai la determinazione dell’entità di tale adeguamento. Discrezionalità, in ogni caso, ancorata ad un criterio ben preciso, quello del tasso di inflazione programmata.

Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto la contraddittorietà intrinseca della sentenza, l’illogicità manifesta e la carenza di motivazione della stessa, atteso che, con riferimento all’adeguamento delle tariffe integrate, la legge, diversamente dalle tariffe non integrate, non contemplerebbe alcun procedimento ad istanza di parte, ma rimetterebbe all’amministrazione il potere/dovere di provvedervi. Il danno subito sarebbe costituito, in particolare, dalla differenza tra i prezzi praticati per i titoli di viaggio ed i prezzi che si sarebbero dovuti applicare se la Regione avesse adempiuto al proprio obbligo di adeguamento tariffario. Conseguentemente, siffatto danno non potrebbe che essere quantificato sulla base dei titoli di viaggio venduti dal Consorzio Metrebus. Il danno subito dal Consorzio è stato, pertanto, quantificato in complessivi euro 189.278.713,00 di cui la quota incassi spettante ad Atac (comprensiva della quota di spettanza della società Metro, ora incorporata) pari a euro 140.226.856,00.

L’appellante ha reiterato, altresì, l’istanza istruttoria di verificazione, all’occorrenza.

La Regione ha riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso. Ed invero, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, dopo aver affermato che “ la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda ”, avrebbero ripetutamente chiarito che “ tale principio trova il suo limite nella estensione oggettiva del giudicato, nel senso che se la statuizione sulla giurisdizione, ovvero sulla competenza, resa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, è fondata sulla qualificazione del rapporto dedotto in giudizio e sugli accertamenti di fatto che hanno condotto ad essa, il giudicato sulla giurisdizione è inscindibile da tale qualificazione, che diviene quindi vincolante per il giudice di merito, rimettendosi altrimenti in discussione la giurisdizione stessa ” (Cass. civ., Sez. Unite, 23 ottobre 2014, n. 22552). Negli stessi sensi si sarebbero pronunciati anche i Giudici Amministrativi : “ L'art. 386 c.p.c. - in forza del quale la decisione sulla giurisdizione è determinata dalla domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda - trova il suo limite nell'estensione oggettiva del giudicato, nel senso che, se la statuizione sulla giurisdizione, resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è fondata sulla qualificazione del rapporto dedotto in giudizio e sugli accertamenti di fatto che hanno condotto ad essa, il giudicato sulla giurisdizione è inscindibile da tale qualificazione, che diviene quindi vincolante per il giudice di merito, rimettendosi altrimenti in discussione la giurisdizione stessa ” (Cons. Stato, VI, 6 agosto 2013, n. 4119). Atac, dunque, pretenderebbe di possedere un diritto soggettivo all’adeguamento delle tariffe, senza tener conto che sul punto è già intervenuta la sentenza del Tribunale Civile di Roma, non impugnata e passata in giudicato, che ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo, inquadrando la posizione soggettiva dedotta in giudizio come interesse legittimo. La pronuncia sulla giurisdizione, sia espressa che implicita, comporta la formazione di un giudicato interno, e non può essere più messa in discussione (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. Unite, 24 novembre 2021, n. 36372). Da ciò conseguirebbe l’irrimediabile inammissibilità del ricorso di primo grado, che in ogni caso sarebbe anche infondato, per le ragioni ben messe in luce dalla sentenza impugnata.

L’appello è infondato nel merito, potendo, il Collegio, prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado riproposta dalla Regione.

L’appello incidentale dalla stessa proposto - con cui ha censurato in parte la sentenza affermando che Atac sarebbe decaduta tanto dall’azione di accertamento dell’obbligo di provvedere per non avere mai proposto nei termini il ricorso avverso il silenzio, che dalla conseguente domanda risarcitoria, e che, pertanto, il ricorso di prime cure doveva essere dichiarato inammissibile - è, invece, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

In relazione all’appello principale, le cui censure si esaminano congiuntamente per la loro stretta connessione, deve ribadirsi che, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, la posizione del gestore del servizio di trasporto pubblico che richiede alla Regione l’adeguamento delle tariffe corrisposte dagli utenti ha natura e consistenza di interesse legittimo, attesa la natura autoritativa e spiccatamente discrezionale di tale determinazione. Ne consegue, dunque, la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle controversie relative ai provvedimenti con i quali sono stabilite le tariffe in base alle quali vanno remunerate le prestazioni rese dal predetto gestore.

Il legislatore statale ha demandato in tale materia il potere di legiferare alle Regioni, che devono, tuttavia, rispettare i principi fondamentali in materia, assicurando l’imposizione del recupero di efficienza delle aziende di trasporto oltre che un prezzo del servizio calmierato, prevedendo, dunque, l’adeguamento delle tariffe in relazione ai risultati conseguiti in termini di efficienza, e in ogni caso nei limiti del tasso di inflazione programmata.

Il tetto agli incrementi tariffari costituisce, quindi, una misura di programmazione economica e non una previsione per incrementare gli introiti dei gestori del servizio pubblico.

Ed invero, l’art. 30 -bis della legge della regione Lazio 16 luglio 1998, n. 30 non prevede un criterio automatico di adeguamento tariffario, neppure con riferimento ai servizi integrati.

La ratio della norma, in conformità con la legge 15 marzo 1997, n. 59 e con il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (cfr., in particolare, l’art. 19), che individuano le funzioni e i compiti conferiti alle regioni e agli enti locali in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale e che fissano, altresì, i criteri di organizzazione dei servizi stessi, è costituita dal metodo del price cap (tetto ai prezzi), in analogia a quanto stabilito dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, secondo cui gli adeguamenti tariffari dei servizi pubblici devono essere posti in essere tenendo conto della performance degli operatori nella gestione del servizio, oltre che dei livelli qualitativi delle prestazioni, e, in ogni caso, non possono superare un valore determinato per un dato periodo di tempo calcolato sottraendo al tasso d’inflazione programmato una quota minima in considerazione dell’aumento della produttività. In tal modo, i gestori dei servizi pubblici sono incentivati a migliorare sempre di più le proprie performance per aumentare i propri margini di profitto di periodo in periodo.

Riguardo alle tariffe per i servizi integrati di trasporto pubblico, l’adeguamento avviene in base al criterio del tasso di inflazione programmato, come precisato dalla più volte citata disposizione normativa della legge regionale.

Adeguare le tariffe tenendo conto del tasso di inflazione programmato non significa che le tariffe devono aumentare in misura pari al tasso di inflazione programmato, ma che le stesse non possono aumentare in misura maggiore. Altrimenti la norma avrebbe previsto che la Regione deve provvedere agli adeguamenti tariffari in misura pari al tasso di inflazione programmata.

Risultano, dunque, perfettamente condivisibili le statuizioni della sentenza impugnata, secondo cui: “ l’adeguamento non è automatico, non imponendo la norma un parametro predeterminato, né inderogabile, dal quale cioè la Regione non potrebbe in alcun caso discostarsi;
mentre invece è previsto che la Regione possa fare riferimento, se del caso, al “tasso di inflazione programmata fissato dal Governo nell’ultimo documento di programmazione economico-finanziaria” laddove il riferimento al tasso di inflazione programmata costituisce soltanto un criterio di riferimento e valutazione (e, al contempo, anche un tetto agli incrementi tariffari) posto quale misura di programmazione economica, non costituendo invece una previsione di incremento degli introiti a favore delle aziende di trasporto
”.

Riguardo all’istanza di risarcimento del danno, il collegio condivide le statuizioni della sentenza impugnata, che ha escluso qualsiasi risarcimento per i periodi pregressi, ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., costituente espressione del principio posto dall’art. 1227 c.c., atteso che in relazione agli anni precedenti Atac non si è mai attivata per ottenere la dichiarazione dell’obbligo della Regione di provvedere all’adeguamento delle tariffe.

In ogni caso, il danno lamentato non è stato provato.

Ed invero, il mancato adeguamento delle tariffe non si risolve automaticamente in un danno per il gestore del trasporto pubblico, che ha comunque il diritto di vedersi garantito l’equilibrio della gestione nell’ambito dei contratti di servizio, al netto dei proventi tariffari (cfr. artt. 18 e 19 d.lgs. n. 422 del 1997).

Correttamente, dunque, la sentenza appellata ha affermato che: “ i rapporti tra Ente affidatario del servizio e gestore del servizio di TPL devono essere disciplinati da un contratto di servizio. Il Regolamento CEE 26 giugno 1969, n. 1191 e il successivo Regolamento 23 ottobre 2007 n. 1370 dispongono al riguardo che l’equilibrio della gestione delle aziende di trasporto deve essere garantito all’interno dei contratti di servizio, attraverso la compensazione degli oneri conseguenti all’applicazione del regime tariffario: poiché l’espletamento del servizio di trasporto pubblico comporta costi che non vengono coperti dalle tariffe, i gestori del servizio devono ricevere una compensazione tale da garantire l’equilibrio della gestione. Gli stessi principi sono contenuti negli articoli 18 e 19 del decreto legislativo 19 novembre 1997 n. 422. L’art. 18 prevede espressamente l’obbligo di disciplinare lo svolgimento del servizio mediante contratti di servizio. Il successivo articolo 19 dispone (tra l’altro) che i contratti di servizio assicurano la completa corrispondenza fra oneri per servizi e risorse disponibili, al netto dei proventi tariffari. Analoga disciplina è contenuta nella Legislazione emanata dalla Regione Lazio, in particolare nella Legge Regionale 16 luglio 1998 n. 30 (art. 24). Deve allora osservarsi che soltanto il Gestore del servizio può avere contezza della necessità dell’adeguamento delle tariffe rispetto al più generale equilibrio finanziario che deve perseguire nell’ambito del contratto di servizio, tenuto anche nel debito conto che i costi del trasporto pubblico locale sono in gran parte finanziati con risorse pubbliche, mentre i proventi tariffari (cioè gli introiti derivanti dal pagamento dei titoli di viaggio da parte degli utenti) coprono solo una parte dei costi di esercizio ”.

L’equilibrio della gestione delle aziende di trasporto risulta, dunque, garantito nell’ambito dei contratti di servizio, mediante la compensazione degli oneri di servizio pubblico conseguenti all’applicazione del regime tariffario. Ciò risulta avvalorato dalle agevolazioni concesse nel tempo ai gestori del trasporto pubblico che hanno fatto gravare sullo Stato e sulle Regioni gli incrementi di costo derivanti dal rinnovo dei contratti collettivi di lavoro, o che hanno disposto una compartecipazione delle Regioni al gettito delle accise sul gasolio per autotrazione, da distribuire nell’ambito dei contratti di servizio.

Risulta evidente che se le aziende di trasporto hanno ricevuto dallo Stato e dalla Regione il rimborso dei maggiori costi sopportati, non possono pretendere anche maggiori introiti derivanti dagli adeguamenti tariffari.

Alla luce delle suesposte considerazioni l’appello principale va respinto e quello incidentale va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse;
per l’effetto, a conferma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado va respinto.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.

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