Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-02-28, n. 202201405

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-02-28, n. 202201405
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202201405
Data del deposito : 28 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/02/2022

N. 01405/2022REG.PROV.COLL.

N. 06992/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6992 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe D'Alonzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Questura di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS-, Sezione Terza, n. -OMISSIS-, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Questura -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2022 il Cons. Carmelina Addesso e dato atto delle istanze di passaggio in decisione prodotte dai difensori delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante - assistente capo di Polizia di Stato in servizio presso la Direzione Investigativa Antimafia, centro Operativo di -OMISSIS-, e all’epoca dei fatti aggregato temporaneamente alla Sezione Operativa della D.I.A. di -OMISSIS- - ha impugnato davanti al Tar -OMISSIS- il decreto del 9 aprile 2014 n. -OMISSIS-, notificato in data 11 aprile 2014, con cui il Questore di -OMISSIS- gli ha comminato la sanzione del “richiamo scritto”.

1.1 Detta sanzione veniva irrogata in quanto, durante un’operazione di polizia giudiziaria, al fine di impedire la fuga di una persona in stato di arresto, l’assistente capo -OMISSIS- esplodeva in aria due colpi a scopo intimidatorio, utilizzando la propria arma personale, anziché quella di ordinanza.

1.2 A seguito di tali fatti veniva avviato il procedimento penale avanti la Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS-, per il reato di cui all’art. 7 L. 121/1981, successivamente archiviato con decreto del GIP su richiesta dello stesso Pubblico Ministero.

1.3 Con ricorso al TAR l’interessato chiedeva l’annullamento del provvedimento disciplinare, deducendo: violazione di legge per la mancata sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale ex art 11 DPR 737/1981;
ingiustizia manifesta-illogicità per disparità di trattamento tra gli appartenenti alla Polizia di Stato e gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza per i quali non sussiste un divieto penalmente rilevante di portare in servizio armi diverse da quelle in dotazione;
difetto di motivazione in quanto il Questore di -OMISSIS- aveva comminato la sanzione del richiamo scritto, nonostante l’avvenuto proscioglimento in sede penale.

1.4 L’adito tribunale con la sentenza segnata in epigrafe respingeva il ricorso, con compensazione delle spese.

2. Con appello notificato in data 20 luglio 2018 e depositato in data 4 settembre 2018 l’ass. capo -OMISSIS- censura la sentenza impugnata sulla base di un unico motivo di appello con cui deduce: Errore di fatto e di diritto-error in judicando ed procedendo- difetto di istruttoria- mancanza dei presupposti- violazione di legge (art.21 l.Tar, art.113 Cost.)- difetto di motivazione-motivazione erronea e superficiale . Erroneamente il TAR avrebbe ritenuto infondata l’eccezione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento dell’art 77 l. 121/1981, avanzata in primo grado sul rilievo che se è vero che il legislatore può modulare con regole e modalità diverse le esigenze organizzative dei singoli Corpi di Polizia, non può dubitarsi tuttavia che, ferma restando la discrezionalità organizzativa, sussisterebbe la disparità di trattamento tra agenti di pubblica sicurezza che, anche se impiegati presso lo stesso reparto interforze, la Direzione Investigativa Antimafia, e pur svolgendo un identico servizio, sarebbero assoggettati ad una disciplina differenziata per quanto riguarda la possibilità di portare un’arma diversa da quella di ordinanza. Tale differenza non si giustificherebbe, trattandosi di figure professionali esposte ad identici rischi per l’attività svolta, come si desume dal decreto 371/1994 concernente l’esonero degli oneri di concessione per la licenza di porto d’armi per le persone che sono esposte a rischio dipendente dalla attività svolta nell’ambito dell’amministrazione della giustizia o della difesa, o nell’esercizio di compiti di pubblica sicurezza;
l’appellante insiste perché venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art 77 l. 212/1981 in relazione all’art 73 RD 635/1940 per l’esistente contrasto con le previsioni di cui alla L. 133/2002 che prevede parità di funzioni, attribuzioni e prerogative per tutti gli agenti di Pubblica Sicurezza, ed in relazione al principio di uguaglianza e pari dignità dei soggetti che – dotati di pari qualifica - sono chiamati a svolgere analoghe funzioni.

3. In data 26 ottobre 2018 si è costituita, con memoria di stile, la Questura di -OMISSIS-.

4. All’udienza pubblica del 23 febbraio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. L’appello è infondato.

5.1 L’appellante censura unicamente il capo della sentenza che ha respinto per manifesta infondatezza l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art 77 l. 121/1981 per disparità di trattamento tra gli appartenenti alla Polizia di Stato e gli appartenenti alle altre Forze di Polizia, in quanto solo per i primi vi è un divieto sanzionato penalmente di detenere in servizio armi diverse da quelle di ordinanza.

5.2 Ne discende che, in assenza di specifiche censure, si è verificato il passaggio in giudicato degli altri capi della sentenza impugnata.

6. Premesso quanto sopra, l’eccezione di incostituzionalità deve essere respinta in quanto irrilevante e manifestamente infondata.

6.1 L’appellante lamenta la disparità di trattamento in quanto, pur essendo tutti gli operatori di Forze di Polizia qualificabili come agenti di pubblica sicurezza, esposti come tali ai medesimi rischi e destinatari di identiche funzioni, la detenzione in servizio di un’arma diversa da quella di ordinanza è sanzionata penalmente unicamente per gli appartenenti alla Polizia di Stato dall’art 77 l. 121/1981 (oltre che per gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in forza del rinvio contenuto all’art 20 legge 15 dicembre 1990, n. 395- Ordinamento del Corpo di Polizia Penitenziaria - all’art 77 l. 121/1981).

6.2 La disposizione in questione configura un reato di pura condotta, consistente nel portare in servizio un’arma diversa da quella di ordinanza e il cui soggetto attivo è costituito dall’appartenente alla Polizia di Stato (e al Corpo di Polizia penitenziaria). Si tratta, pertanto, di un reato proprio, insuscettibile di applicazione agli appartenenti alle altre Forze di Polizia, stante il noto divieto di analogia in malam partem in ambito penale.

6.3 Il dubbio di legittimità costituzionale prospettato dalla difesa si fonda sull’assenza, nella condotta penalmente sanzionata in capo all’operatore della Polizia di Stato, di un maggior disvalore rispetto all’identica condotta posta in essere da un altro operatore di Forza di Polizia. Il dubbio, in altre parole, afferisce all’irragionevolezza, nella prospettazione difensiva, di una ratio incriminatrice incentrata sul Corpo di appartenenza del soggetto attivo, asseritamente inidonea, anche sul piano dell’offensività del fatto, ad elevare a fattispecie penalmente rilevante la detenzione in servizio di arma diversa da quella di ordinanza.

6.4 Si tratta di profili suscettibili di acquisire rilevanza nell’ambito del procedimento penale a cui l’appellante è stato sottoposto proprio in relazione al reato previsto dall’art 77 l. 121/1981, successivamente archiviato per difetto dell’elemento psicologico.

6.5 La ragionevolezza o meno della fattispecie delittuosa prevista dall’articolo sopra citato è irrilevante in questa sede ove non si controverte del delitto di detenzione in servizio di arma diversa da quella di ordinanza, ma della sanzione disciplinare di cui all’art. 5 n. 7 D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 per avere l’interessato utilizzato, durante un’operazione di polizia giudiziaria, un’arma diversa da quella di ordinanza.

6.6 L’oggetto della contestazione disciplinare prescinde dal rilievo penale della condotta, come comprovato dall’avvenuta irrogazione della sanzione nonostante l’archiviazione del procedimento penale, e si appunta, più che sulla mera detenzione, sull’utilizzo dell’arma personale in luogo di quella di ordinanza.

6.7 Per le suddette ragioni, la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa è irrilevante in questa sede, non venendo in questione il delitto di cui all’art 77 l. 121/1981 (già ritenuto insussistente in sede penale), ma l’art 5 n. 7 DPR 737/1981 per l’utilizzo per l’attività di servizio di un’arma diversa da quella di ordinanza.

7. Sotto diverso profilo, anche ove di volesse ritenere la questione di legittimità costituzionale afferente al combinato disposto degli art. 5 n. 7 DPR 737/1981 e art 77 l. 121/1981 nella parte in cui viene assegnato rilievo disciplinare alla detenzione, oltre che all’utilizzo, dell’arma personale, se ne deve affermare la manifesta infondatezza.

7.1 La diversa disciplina prevista per la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria trova la propria giustificazione nella natura di Forza di Polizia ad ordinamento civile di entrambe, a differenza dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza che sono corpi ad ordinamento militare.

7.2 Per altro verso, non può logicamente dubitarsi che qualunque appartenente alle Forze di Polizia per l’assolvimento dei compiti a cui è preposto sia tenuto ad utilizzare le armi e i mezzi in dotazione, la cui efficienza e funzionalità, unitamente all’idoneità all’impiego, sono garantite e controllate dall’amministrazione di appartenenza.

7.3 A prescindere dal rilievo penale della condotta in questione, pertanto, non emerge alcuna irragionevole disparità di trattamento, mentre, sotto il profilo all’esposizione al rischio, l’appartenente alla Polizia di Stato è sufficientemente tutelato, in servizio, dall’arma in dotazione, al pari di qualunque altro appartenente alle Forze di Polizia.

8. Né possono trarsi argomenti a sostegno della dedotta disparità di trattamento dall’art 73 RD 635/1949 e dal decreto ministeriale 371/1994, entrambi richiamati dall’appellante.

8.1 L’art 73 R.D. 6 maggio 1940, n. 635 (Approvazione del regolamento per l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931-IX, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza) sancisce che gli agenti di pubblica sicurezza portano, senza licenza, le armi di cui sono muniti, a termini dei rispettivi regolamenti.

8.2 Tutti gli agenti di pubblica sicurezza, siano essi appartenenti alla Polizia di Stato o ad una Forza armata, sono legittimati a portare senza licenza solo le armi in dotazione, sia in servizio che fuori servizio. L’appartenenza a qualsiasi Forza Polizia, pertanto, non abilita al porto senza licenza di un’arma diversa di quella di ordinanza, in quanto l’agente di pubblica sicurezza non è di regola esposto, fuori dal servizio, a situazioni di pericolo differenziate da quelle dei comuni cittadini (Cassazione penale sez. I - 27/10/2005, n. 43000 e 24/03/1997, n. 4478).

8.3 Nella valutazione del rilascio di porto d’armi per difesa personale l’amministrazione può legittimamente negare il rilascio, evidenziando che l’interessato, per la sua appartenenza alle Forze dell’ordine, è dotato della pistola di ordinanza, sicché – pur nei limiti istituzionali concernenti il suo utilizzo – egli non ha una obiettiva necessità di andare armato con una pistola per la difesa personale (Cons Stato, sez III, 26/10/2016 n. 4495;
Cons Stato, sez III, 1742/2014).

8.4 In coerenza con quanto sopra indicato, il decreto del Ministro dell’interno 24 marzo 1994, n. 371 (Regolamento di attuazione dell'art. 7, commi 2 e 3, della legge 21 febbraio 1990, n. 36) prevede il rilascio della licenza di porto d’armi in esenzione dal pagamento della tassa di concessione governativa, tra gli altri, al personale dell'Amministrazione civile dell'interno in servizio presso il Dipartimento della pubblica sicurezza e al personale delle Forze armate, previo accertamento dell’attualità e gravità del rischio dipendente dall'attività svolta nell'ambito delle amministrazioni della giustizia o della difesa, o nell'esercizio dei compiti di pubblica sicurezza.

8.5 Ne discende che gli appartenenti alle Forze di Polizia (sia ad ordinamento civile che ad ordinamento militare), in quanto assegnatari di identiche funzioni, sono soggetti alla medesima disciplina che prevede la detenzione dell’arma di ordinanza senza licenza, sia in servizio che fuori servizio e il rilascio di un porto d’armi per difesa personale solo in caso di esposizione a rischi potenziali ulteriori rispetto a quelli fronteggiabili con l’arma in dotazione.

8.6 L’identità di disciplina a cui sono soggetti tutti gli agenti di pubblica sicurezza in relazione alla detenzione dell’arma di ordinanza e al rilascio del porto d’armi per difesa personale non esclude la ragionevolezza di una diversa regolamentazione della detenzione in servizio dell’arma personale, in ragione della specifica organizzazione della singola Forza di Polizia.

8.7 In conclusione, la questione di legittimità costituzionale prospettata dall’appellante deve essere dichiarata irrilevante e manifestamente infondata, con conseguente reiezione dell’appello.

9. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate, stante l’esiguità delle difese svolte dall’amministrazione appellata.

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